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«[...] tutto avviene come se la musica e la mitologia

non avessero bisogno del tempo se non per infliggergli una smentita. Esse sono macchine per sopprimere il tempo».

Claude L´evi-Strauss

“Gli strumenti musicali sono particolari macchine che, come tutte le altre macchine, incorporano un fine ma, diversamente da ogni altra macchina, non contengono la propria fine”.

Definizione elaborata nel Workshop “Il soggetto contemporaneo e il suo rapporto con la macchina e il macchinismo” (coordinatore G. Lucilli) in occasione del Convegno Nazionale di Studi, “Democrazia, tecnologie e testimonianza educativa oggi”, Udine 18-19 novembre 2011.

In questo secondo capitolo si intende approfondire la natura della relazione uomo-strumento musicale come particolare declinazione della pi`u generale relazione uomo-macchina mettendo in evidenza come questa relazione-interazione abbia delle carat-teristiche radicalmente in controtendenza rispetto alla logica strumentale, funzionale e di consumo tipica dell’apparato della tecnica. All’interno di essa, infatti, sembra

2. Strumenti musicali La relazione uomo-macchina

non potersi realizzare quel capovolgimento da mezzi a fini tipico dell’et`a attuale e che conduce ad atteggiamenti di tipo passivo ed “oracolare” nei confronti di macchine e strumenti.

Diversamente da molte delle altre tecnologie esaminate in questa tesi, la relazione con gli strumenti musicali sembra non indurre effetti di tipo esonerante sull’indivi-duo, ma, anzi, configurandosi come uno strumento “a-strumentale” mantiene vivo il contatto con il corpo e con tutte le abilitazioni cognitive dell’individuo.

L’interesse per gli strumenti musicali nasce dall’idea secondo la quale, pur es-sendo gli strumenti musicali delle macchine, la relazione d’uso tra essi e l’uomo `e caratterizzata da alcuni tratti che la rendono particolarmente interessante ai fini di una significativa distanziazione dagli aspetti pi`u strumentali nella generale relazione tra l’uomo e gli artefatti tecnologici. L’interesse, inoltre, scaturisce dalle conse-guenze che tali considerazioni sugli strumenti musicali possono avere nel contesto di una generale rivalutazione della pratica strumentale negli ambienti di formazione ed apprendimento.

Come gi`a visto nel corso del primo capitolo relativamente all’analisi della figura dell’automa (Sini, 2009), grazie alla protesi qualcosa esce dal corpo in azione e lo abbandona e nello stesso tempo gli si riflette indietro producendo in esso un sapere: un nuovo modo di saper fare e poi un “inaudito” saper dire, nonch´e un sagace saper scrivere. Chi agisce “sa” di avere un corpo ed un corpo del quale dispone come strumento e mezzo. Lo sa perch´e legge nel medio, nel mezzo della protesi, l’intenzione e lo scopo dell’azione. Si osserva inoltre come tutto il discorso che conduce al corpo “saputo” conduce anche alla nozione di corpo cos`ı come la si intende nella cultura occidentale, ossia il corpo come «quella cosa che riteniamo di “avere” avendola “cosalizzata” nell’estroflessione dimenticando essenzialmente di “esserla”» (Sini, 2009).

L’originaria e vivente esperienza di “essere” corpo in azione tende a venire dimen-ticata quasi completamente, sopraffatta dall’esperienza del corpo “saputo”, ossia il corpo conosciuto dai saperi.

L’esperienza vivente del corpo in azione pu`o essere per`o rigenerata tutte le volte che noi mettiamo il corpo in esercizio, ossia coinvolto in un’azione priva di scopo, per esempio quando si suona uno strumento musicale, oppure quando si `e coinvolti nella genuina passione amorosa (Sini, 2009). In questa prospettiva, la pratica mu-sicale permetterebbe di ricordare il corpo vivente in azione, il nostro “essere corpo” prima ancora di “avere un corpo” e di stemperare la pressione totalizzante del corpo “saputo” e “avuto”.

Questa fondamentale premessa ha stimolato a condurre un approfondimento sulla natura della relazione uomo (corpo)-strumento musicale ed ha in qualche modo indotto ad una rivisitazione e rilettura delle diverse concezioni sulla musica, alla luce di questa chiave di lettura. A tale scopo, il capitolo `e stato organizzato seguendo un ordine storico, ossia esaminando alcuni tratti fondamentali della storia e dell’estetica

La relazione uomo-macchina 2. Strumenti musicali

musicale dalle “origini” fino al pi`u recente dibattito musicologico sulla natura e sul “significato” della musica.

2.1. Relazione corpo-strumento musicale

dall’antichit`a al XX secolo 2. Strumenti musicali

2.1 Relazione corpo-strumento musicale

dall’an-tichit`a al XX secolo

Gi`a Platone, nel Timeo (Platone, 1984b) afferma che l’autentico “musico” `e il filo-sofo che non persegue finalit`a edonistiche ma vede la musica come autentico riflesso dell’ordine cosmico; per questo motivo l’apprendimento musicale `e destinato a rive-lare la matematica divina del creato e non si limita alla pratica strumentale della lira o dell’aul´os perch´e pu`o prescindere dalla manifestazione fisica del suono oggetto dell’udito, come manifestazione del mutamento incontrollabile e della falsa opinione. La prospettiva offerta da Platone appare come decisamente intellettualistica, ormai lontana da quella tradizione arcaica che legava l’apprendimento coordinato della lira, del canto, della poesia, della ginnastica e della danza come esito di un processo di educazione integrale di tipo aristocratico (Guanti, 1999).

In questa prospettiva, legata all’accezione originaria del termine mousik´os, viene presentato Achille nel Libro XI dell’Iliade (Omero, 1950): di fronte ad Ulisse ed Aiace che si recano in ambasciata nella sua tenda per placarne l’ira, Achille, si fa trovare intento a «dilettare il suo spirito» al suono della phorminx (lo strumento a corda degli aedi). Nella figura di Achille fruizione edonistica e funzione psicote-rapeutica si accompagnano insieme: non diversamente dai re biblici Saul e David, Achille cerca di risollevare il suo spirito, di alleviare il peso che gli opprime l’anima. In questo contesto, sembra quasi completamente abbandonata quell’aura soteri-co-religiosa che invece caratterizza lo Pseudo Plutarco del trattato De Musica (III sec. d.C., cit. in Guanti, 1999, p. 3): qui, infatti, il mitico centauro Chirone viene descritto come «maestro non solo di musica, ma di giustizia e medicina» e testimonia di un’epoca in cui la musica faceva tutt’uno con le pratiche terapeutiche ed i riti magici. Si pu`o quindi osservare come la musica, attraverso il canto e gli strumenti, afferisse alle stesse dimensioni di pratica ed alle stesse suggestioni interpretative che caratterizzano i primi ragionamenti sulle macchine e sugli strumenti; l’elemento che `e possibile individuare come fattore di connessione `e sicuramente il corpo e gli effetti che strumenti del corpo ed esterni al corpo possono generare nell’uomo inteso nella sua interezza. La sfera musicale ed i suoi strumenti, dunque, sembra manifestare sin dalle origini quella pervasivit`a integrale che anche oggi tende a caratterizzare le macchine moderne.

Sulla base di tale impostazione, `e possibile intraprendere un’interpretazione ri-guardo alla disputa sorta intorno alla fine del VI sec. a.C. che vide confrontarsi il flauto e la lira: il flauto ne venne sconfitto in quanto si ritenne che la sua pratica dissociasse la musica dalla parola perch´e chi `e intento a suonare il flauto non pu`o simultaneamente cantare, mentre la lira consente il canto accompagnato. La disputa appare decisamente interessante se intrapresa nella prospettiva interpretativa che si sta cercando di sviluppare: due diversi strumenti vengono giudicati sulla base di una

2. Strumenti musicali

2.1. Relazione corpo-strumento musicale dall’antichit`a al XX secolo

funzione poetica ma anche e soprattutto in virt`u di una loro diversa interazione con il corpo. La lira risulta pi`u adatta perch´e pur rimanendo strumento lascia tuttavia libero il corpo nel disporre delle sua piene facolt`a espressive.

Anche il concetto di catarsi – concetto chiave della scuola pitagorica – ha una particolare rilevanza rispetto alla tematica relativa alla relazione uomo-strumento musicale che qui si vuole indagare. A questo proposito Giamblico (Vita Pitagorica, XXV, 110-111, cit. in Guanti , 1999) dice, a proposito del Maestro Pitagora, che

«credeva che la musica contribuisse molto alla salute fisica, se usata nei modi convenienti: soleva infatti – e non in linea secondaria – adope-rare una tale forma di “catarsi”. Cos`ı chiamava infatti la cura per mezzo della musica [...] I Pitagorici esercitavano anche la danza; il loro stru-mento musicale era la lira. Pitagora riteneva infatti che i flauti avessero un suono violento e da festa popolare, privo di ogni nobilt`a» (Guanti, 1999, p. 18).

Secondo il medico pitagorico Alcmeone, come testimoniato da un frammento di Aezio, la salute dell’uomo dipende da un sostanziale equilibrio, armonia delle essenze che lo compongono; la terapia dunque consterebbe in una sorta di temperamento degli umori corporei in eccesso o in difetto perch´e la salute del corpo, esattamente come la musica, non `e null’altro che un armonioso equilibrio, un matrimonio di contrari.

Anche in questo caso sembra abbastanza evidente il fatto che lo strumento mu-sicale e la sua funzione di produzione acquista un significato peculiare: diventa una sorta di strumento di cura attraverso la cui interazione l’uomo, recepito nella sua fisicit`a e corporeit`a, ritrova un equilibrio e quell’armonioso accordo di tutte le sue parti. Cosa altrettanto simile o generale non `e dato individuare in un qualsiasi altro strumento di produzione o in qualsiasi altra macchina in senso lato.

L’epicureo Filodemo di Gradara (I sec. a.C.) giudica la musica un «gradevole passatempo» (Guanti, 1999, p. 26) con largo anticipo sull’analogo giudizio kantiano contenuto nella Critica del Giudizio (Kant, 2008) ; si tratta di una attivit`a contrap-posta al negotium che si inserisce in un vero e proprio programma pedagogico entro il quale il riposo necessita delle sue «nozioni e pratiche che hanno come scopo solo se stesse» (Guanti, 1999, p. 26). La musica e la pratica musicale nei processi educativi, in questo contesto, non ha alcuna necessit`a o utilit`a pratica; essa ha il solo scopo di accompagnare uno svago nobile appannaggio degli uomini liberi educati alla libert`a ed alla bellezza, piuttosto che solamente alla necessit¸a ed all’utilit`a.

Questo punto di vista appare affine all’approccio che nella Rete si manifesta ri-spetto alla musica, la quale rimane essenzialmente consumata ma certo non prodotta. Questa caratteristica pu`e essere inquadrata nella generale forma che le produzioni artistiche hanno acquisito per effetto della loro digitalizzazione e quindi per effetto delle loro caratteristiche che ne hanno garantito l’accesso alla Rete.

2.1. Relazione corpo-strumento musicale

dall’antichit`a al XX secolo 2. Strumenti musicali

Molti Padri della Chiesa si interrogarono sul significato del canto come strumen-to di preghiera e di adorazione fornendo diverse risposte, ma tutte essenzialmente caratterizzate dalla fede, nella funzione intermediaria tra l’umano ed il divino. Fede offerta dal canto e dal suono modulato cui viene attribuito quasi un potere magico coattivo: diverse suggestioni accompagnano le descrizioni relative al significato del canto ma in tutte si enfatizza l’aspetto, si potrebbe dire, “automatico” nella sua accezione magica. Il canto si manifesta come uno strumento che lavora da solo e si muove da solo: le analogie con la genesi del concetto di macchina e di automa sono innumerevoli in queste descrizioni, non altrettanto, tuttavia, la relazione dell’uomo che pratica la musica attraverso gli strumenti in relazione con il suo “essere corpo”. In ogni caso, in molte interpretazioni dei Padri della Chiesa, la musica `e il prodotto di “strumenti a-strumentali” e questo aspetto la rende particolarmente interessante dal punto di vista dell’interpretazione che qui si vuole offrire. A questo proposito Giovanni Crisostomo scrive:

«La musica `e fatta di numeri e quindi di armonia, tanto che si pu`o cantare anche dentro di s´e senza emettere suono, dal momento che si canta rivolti a Dio e Dio pu`o ascoltare i nostri cuori» (Patrologia Latina, XXVI, cit. in Guanti, 1999, p. 40).

Il testo citato rivela come la musica non necessiti di strumenti esterni rispetto a se stessa, ma si configuri all’origine come una sorta di intuizione corporea, oltre che come intuizione della mente. Questa idea del canto come “canto della mente”, come canto interiore, getta le premesse per una successiva severa riduzione della presenza della musica nei riti religiosi fino ad imporre il rogo agli strumenti musicali giudicati eccessivi, corporei, terreni, a cominciare dall’organo indicato da Giovanni Calvino come una vera e propria «cornamusa del diavolo». La vicenda appare come una conferma della profonda natura corporea degli strumenti musicali e dell’intimit`a della relazioni che l’uomo intraprende attraverso di essi con il corpo, il quale si manifesta e si dedica ad un evento inutile, non necessario, privo di qualsiasi scopo, quale `e la musica.

Agostino di Ippona (354-430), nel sesto libro del De Musica perviene ad una sistematica ed appassionata rivelazione dell’anima naturaliter christiana della mu-sica; partendo dal concetto aristotelico di bellezza, Agostino perviene alla celebre definizione di musica: «Musica est scientia bene modulandi» (Guanti, 1999, p. 40). La musica `e l’arte di muovere con una certa perizia perch´e non pu`o esserci modus se non nelle cose in movimento. Questo fa pervenire alla definizione di modula-zione come «perizia nel muoversi» (Guanti, 1999, p. 40) con un certo ritmo, ossia secondo quantit`a regolate e proporzionate di tempi e di intervalli che dilettano in grazia della loro stessa simmetrica struttura. Anche in questo caso `e sorprendente come i concetti di movimento e ritmo si pongano come fattori caratterizzanti co-muni tra le figure della macchina e dell’automa, nelle loro significazioni filosofiche,

2. Strumenti musicali

2.1. Relazione corpo-strumento musicale dall’antichit`a al XX secolo

e la musica. Quest’ultima, d’altronde, intrapresa come fenomeno culturale in senso generale, rientra nella cornice offerta da Sini (Sini, 2009) attraverso il concetto di protesi. Pertanto, in questo contesto, la relazione corpo-strumento musicale risulta completamente irrisolta, in quanto lo strumento musicale non `e ancora pervenuto ad una sua dignit`a, inteso quale strumento del corpo, “in essere” con il corpo. Il corpo `e servo, la musica strumentale `e serva: in una celebre classificazione di Boezio (ca. 480-525), l’unica musica percepibile all’udito `e la musica instrumentalis e pu`o essere prodotta da ogni corpo naturale o artificiale con il quale l’uomo `e in grado di interagire. Ma questa pratica, si direbbe corporea, non merita l’attenzione dei dotti. Questa svalutazione nasce evidentemente dalla tesi secondo la quale gli esecu-tori sono servi, ossia servono essenzialmente all’esecuzione della musica che rimane un’esperienza del tutto teorica piuttosto che un’esperienza di rara complessit`a psi-cofisica. L’osservazione si inquadra in una teoria generale secondo la quale la mente `e nettamente superiore al corpo perch´e, afferma Boezio, il corpo `e privo di una sua razionalit`a e quindi non pu`o che essere ridotto in schiavit`u. La pratica musicale `e una schiavit`u. Il corpo agisce, opera, ma non conosce le ragioni del suo fare, non possiede insomma alcun potere speculativo.

Questo atteggiamento mantiene il corpo ancora molto distante da qualsiasi ruolo attivo nella produzione della musica: l’atto di produzione rimane secondario rispetto all’atto creativo e non esiste ancora alcun legame tra di essi.

Tuttavia, in questa idea di schiavit`u si nasconde ancora una volta la figura del-l’automa, legata a quell’automatismo misterioso ed ingombrante costituito dal corpo in azione. Automatismo che in taluni casi viene evocato per produrre effetti di stra-niamento: il corpo in azione a causa di un movente “nascosto” quale `e la musica, diventa la maschera di se stesso e trasfigura nell’automatismo, nella marionetta.

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E possibile trovare un suggestivo esempio relativo a questo effetto di straniamento costruito mediante l’ambigua relazione tra corpo vivente ed automa, nella figura della Regina della Notte, personaggio centrale del Flauto Magico, celeberrima opera di Wolfgang Amadeus Mozart.

La Regina della Notte, infatti, prima di tutto incarna un esempio chiaro di un meccanismo comunicativo che si pu`o assimilare ed interpretare grazie alla “teoria del doppio vincolo”1 di Gregory Bateson (Bateson, 1976). La Regina dice alla

fi-1

Nel suo lavoro di maggiore divulgazione, Verso un’ecologia della mente, Gregory Bateson, (1976) ha descritto con chiarezza la cosiddetta “teoria del doppio vincolo”. Si `e vittime del doppio vincolo quando una persona che esercita potere su di noi (in primo luogo nostra madre), comuni-cando, ci invia due imposizioni in conflitto. A ciascuna di esse `e legata una punizione, e qualunque cosa noi facciamo, visto che le due richieste sono reciprocamente contraddittorie, non potremo che sbagliare. Siamo presi in una situazione senza vie d’uscita, e la pratica frequente del doppio vincolo, protratta sin dall’infanzia, conduce, secondo Bateson, alla schizofrenia: la vittima non riesce pi`u a discriminare tra livelli comunicativi differenti, e diventa lentamente incapace di comprendere non solo i messaggi altrui, ma anche quelli propri. Interviene una confusione insanabile tra il livello comunicativo letterale e quello metaforico. Ci`o che viene meno nell’individuo preda del doppio

2.1. Relazione corpo-strumento musicale

dall’antichit`a al XX secolo 2. Strumenti musicali

glia Pamina: “Io sono la tua mamma e ti amo e ti riconosco, ma solo a patto che tu diventi un’omicida; se non lo farai ti ripudier`o” (Die Zauberfl¨ote, secondo atto, n.14. Aria della Regina della Notte) (Mozart, 2008). Si tratta di un doppio vincolo nella sua formulazione tipica ed `e tanto pi`u efficace in quanto contenuto all’interno dello stesso enunciato. Il meccanismo `e ancora pi`u manifesto nel momento in cui si considera l’interpretazione musicale mozartiana di queste parole, laddove improvvi-samente compaiono alcuni vocalizzi tra i pi`u celebri della storia dell’opera. Insoliti, rispetto al contesto altamente drammatico in cui sono situati, si collegano alle “gri-da” circostanti della Regina con un repentino cambio di clima espressivo. Quella che si ascolta `e una sorta di risata folle, acuta, testimonianza di una crisi nervosa sopraggiunta e perturbante. Tuttavia `e una risata misurata, meccanica, quasi au-tomatica: appartiene di diritto ai virtuosismi “di follia” delle celebri protagoniste femminili dell’opera lirica. E tutta la musica destinata alla Regina – in sostanza due interventi in tutta l’opera – `e scritta nel registro pi`u alto della voce di soprano, al limite del grido o della disperazione, e comunque sempre in un porsi “sopra le righe”, in una condizione espressa da una vocalit`a quasi disumana sia per effetto dell’altezza della tessitura musicale sia per la struttura ritmica del vocalizzo. Questo particolare vocalizzo `e quasi simmetrico, fortemente vincolato nel disegno ritmico e, per effetto di questa sua caratteristica, appare davvero perturbante ed inquietante. La regina sembra cantare in modo estraneo rispetto ad un’intenzionalit`a espressiva, come un automa, come un meccanismo automatico senza vita, svuotato dell’anima. E cos`ı deve apparire anche alla povera Pamina probabilmente: «immerso nel pathos musicale della sete di sangue barattata con l’amore, il vocalizzo misurato de-scrive l’intermittenza emotiva della Madre, il suo doppio registro, anche musicale» (Palma, 2007, p. 6). Nella Regina/Marionetta sembra esserci una sorta di consape-volezza della disfatta incombente che, nell’atto stesso di chiedere, in cuor suo sa che Pamina non aderir`a alle sue ingerenze ultimative: «La schizofrenia della Madre, che vorrebbe contaminare la figlia per mantenere l’occultamento, viene definitivamente smascherata da questo vocalizzo» (Palma, 2007, p. 6).

Alle soglie del Quattrocento l’atteggiamento dei trattatisti nei confronti della pratica vocale e strumentale cambia decisamente. In Marsilio Ficino (1433-1499), ad esempio, microcosmo e macrocosmo sono coinvolti in duplice moto e nella figura del mago viene individuata la possibilit`a di fare uso della musica per attirare verso il basso le influenze celesti, ma anche per ascendere verso una mistica unione con il divino. Il mago `e infatti un maestro di corrispondenze, sa modulare il canto in modo che assomigli a determinati pianeti. In questo caso, i canti, come atti del

vincolo `e la competenza meta-comunicativa, la comunicazione sulla comunicazione, ovvero la capa-cit`a di inserire i messaggi che riceve all’interno di un corretto contesto e di poterli di conseguenza correttamente interpretare. `E una grave mancanza, poich´e lesiva dei rapporti personali, sociali, lavorativi. Si stabilisce inoltre una impossibilit`a di guardare le cose dall’alto e di esercitare il senso dell’ironia e dell’autoironia.

2. Strumenti musicali

2.1. Relazione corpo-strumento musicale dall’antichit`a al XX secolo

corpo, manifestano la loro natura di segnali naturali, di fenomeni compresi nella

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