4 Tecnica e Rete alla luce del modello
4.1.2 La logica di formazione della tecnica
L’imperativo fondativo della tecnica sta nell’indicazione in base alla quale “`e neces-sario fare tutto ci`o che si `e in grado di fare” anche se i fini non sono del tutto noti; nulla di ci`o che pu`o essere utilizzato viene abbandonato. Il mondo `e pensato come materia prima e l’uomo si colloca nella posizione terminale del ciclo produzione-consumo-produzione; in questo ciclo i bisogni dell’uomo non sono il fine della pro-duzione ma la macchina che alimenta la propro-duzione, ossia l’uomo `e l’essere di cui `e necessario alimentare l’indigenza affinch´e i suoi bisogni non siano troppo scarsi rispetto al ritmo della produzione. Nel ritmo della produzione tecnica, l’uomo `e materia prima aristotelica m`e ´on, “non-ente” (Aristotele, 1994b), ossia mancanza che deve costantemente rigenerare il proprio stato di mancanza.
Sulla base di ci`o si realizza la subordinazione dell’uomo all’apparato tecnico: gi`a nel 1927, in Essere e Tempo (Heidegger, 2008), Heidegger distingue tra l’aver cura degli uomini e il prendersi cura delle cose: questa distinzione trova il suo fondamento nel fatto che vi sono rapporti tra uomini, mentre sembra trascurare qualsiasi consi-derazione di natura economica, sociologica, psicologica e tecnica, ossia non prende in considerazione l’ordine ontico. Sembra invece che gli uomini siano esposti in primo luogo ad un mondo di cose e di apparati tecnici entro cui esistono anche altri uomini piuttosto che un mondo umano in cui esistono anche gli apparati tecnici. Galimberti (Galimberti, 1999) mette in evidenza in tal senso il mancato riconoscimento del fatto che oggi, nell’ambiente della tecnica, i rapporti sono mediati dal rapporto con le cose e dal rapporto con l’apparato tecnico che “impiega” l’uomo con le stesse modalit`a con cui gestisce ed impegna i propri ingranaggi. Galimberti sostiene anche come il mondo degli apparati tenda ad una progressiva cancellazione delle differenze tra forme tecniche e forme sociali nel senso che le forme sociali sono, di fatto, forme di organizzazione tecnica e, come tali, consentono la comunicazione e l’organizzazione sociale solamente nei termini e secondo i progetti consentiti dall’apparato stesso. Per poter funzionare, l’apparato tecnico deve essere in grado di coordinare gli individui con i dispositivi presenti nella struttura, come se gli uomini stessi fossero essi stessi dispositivi. Queste osservazioni aderiscono perfettamente alle attuali modalit`a di organizzazione sociale e della comunicazione di cui si pu`o fare esperienza in Rete, ad esempio nei social network, e descrivono l’attuale modalit`a di interazione tra uomini e macchine digitali, giustificando le modalit`a di accesso e di gestione degli individui negli apparati. Inoltre, `e possibile offrire una caratterizzazione “forte” del concetto
Esonero come modalit`a di declinazione tecnica di uomini, dispositivi e cose
di esonero poich´e esso trova la sua massima espressione nel momento in cui esiste una sovrastruttura che prescinde sia dalle macchine sia dagli individui, ossia uomini e macchine vengono in essa declinati alla stessa maniera. In tal senso le considera-zioni precedenti consentono di affermare come la “macchina”, intesa nel tradizionale senso, debba essere superata: la macchina diventa la modalit`a attraverso la quale si produce la declinazione tecnica dell’uomo e dei suoi dispositivi nell’apparato della
4.1.2 La logica di formazione della tecnica 4.1. Apparato della tecnica ed esonero
tecnica e viceversa.
Per quanto concerne l’ontologia dell’apparato tecnico e, di conseguenza, la strut-tura ontologica della Rete `e possibile osservare come ogni apparato funzioni in quanto coordinato con altri apparati, dove sono disponibili le condizioni e le finalit`a dell’e-sistenza dell’apparato stesso. Nel macroapparato viene custodito il senso di tutti i suoi microapparati. L’unicit`a e la totalit`a del macroapparato giustificano tut-ti i suoi microapparatut-ti. L’obbiettut-tivo di ogni microapparato `e quello di risolvere il mondo in un macroapparato ed ogni microapparato, nel tentativo di realizzare il proprio potenziale, tende a considerare se stesso come parte potenziale dell’apparato universale.
Nell’era della tecnica si inaugura una vera e propria ontologia dell’apparato inteso come ambiente esclusivo, entro cui esiste solo ci`o che pu`o qualificarsi come parte di esso. L’unico criterio attraverso cui l’apparato filtra il mondo `e il criterio di utilizzabilit`a: il mondo `e il nome di ci`o che `e utilizzabile e, in quanto tale, `e “essente”. Ci`o che invece non `e utilizzabile `e “ni-ente”. Si viene allora a creare una catena utilitaristica dove ogni passaggio viene affidato alla propria funzionalit`a al punto che le “cose” e gli “uomini” assumono il ruolo di materiali di requisizione che acquistano dignit`a ontologica solo in quanto integrati all’interno dell’apparato.
Ci si pu`o allora domandare quale sia il destino dell’ipotesi illuminista in base alla quale “l’uomo `e una macchina” (de Lamettrie, 1973) . Nell’et`a della tecnica questa ipotesi sembra essere rovesciata: l’uomo `e riconosciuto come “essente” solamente nel momento in cui `e inserito assieme alle altre macchine in un apparato, esso stesso macchina tra le macchine. Il coordinamento con le altre macchine garantisce il buon funzionamento dell’apparato e cos`ı pure il livello ottimale delle sue rappresentazioni. Non si pu`o dunque affermare che l’essenza dell’uomo sta nella sua esistenza, ma nel suo essere interno ed immerso nell’apparato tecnico allo stesso livello delle altre macchine e dispositivi presenti in esso. Inoltre, la tecnica `e la rappresentazione di un dominio, e il dominio non pu`o essere senza il controllo; quest’ultimo `e tale solo se si manifesta a livello planetario. Conseguentemente, l’individuo necessita dell’apparato tecnico per garantire la propria esistenza, mentre l’apparato ha bisogno degli individui in quanto “pezzi” del suo sistema.
Detto ci`o, l’ipotesi in base alla quale il pericolo della tecnica starebbe nel suo “buono” o “cattivo” uso perde la sua consistenza: la pericolosit`a della tecnica non pu`o pi`u porsi in questi termini in quanto essa agisce intrinsecamente. Il pericolo della tecnica `e cio`e implicito nell’essenza della tecnica stessa intesa come apparato in grado di sostituire ai rapporti tra gli individui relazioni funzionali cui hanno accesso solamente soggetti “atomizzati” e coordinati tra loro attraverso processi di
massificazione. Dominio della
tecnica e massificazione
Nella prospettiva appena indicata, svolgono un ruolo fondamentale i processi di massificazione: il concetto di massa (dal greco mˆaza, pasta per fare il pane, da cui m´assein, impastare), dall’originario carattere legato ad una idea di informit`a e
4.1. Apparato della tecnica ed esonero 4.1.2 La logica di formazione della tecnica
malleabilit`a come concentrazione di individui in un punto, `e passato, nell’et`a della tecnica, ad una caratterizzazione in termini di dispersione; la massa `e intesa come un insieme di individui singolarmente massificati, ossia che non sentono pi`u il bi-sogno di identificarsi come massa in quanto oggetto di massificazione “solistica”. Nel conteso attuale, caratterizzato da un’elevatissima pervasivit`a degli strumenti di comunicazione (dalla Rete alla telefonia mobile), ciascun individuo `e stato raggiun-to da un processo di massificazione fin nella solitudine del suo isolamenraggiun-to. A tal proposito Heidegger fa riferimento alla figura del Si [Man]:
«In questo stato di irrilevanza e di indistinzione il Si [Man] esercita la sua tipica dittatura [...] Ci teniamo lontani dalla “gran massa” come ci si tiene lontani, troviamo “scandaloso” ci`o che si trova scandaloso. Il Si, che non `e un esserci determinato, ma tutti (non per`o come somma), decreta il modo di essere della quotidianit`a.
Il Si ha le sue particolari maniere di essere [...] La mediet`a `e un carattere esistenziale del Si. Nel Si, ne va, quanto al suo essere, essen-zialmente di essa. Esso si mantiene perci`o nella mediet`a di ci`o che si conviene, di ci`o che si accoglie e di ci`o che si rifiuta [...] Nella determi-nazione di ci`o che `e possibile o lecito tentare, la mediet`a sorveglia ogni eccezione. Ogni primato `e silenziosamente livellato. Ogni originalit`a `e dissolta nel risaputo, ogni grande impresa diventa oggetto di transazione, ogni segreto perde la sua forza. La cura della mediet`a rivela una nuova ed essenziale tendenza all’esserci: il livellamento di tutte le possibilit`a di essere» (Heidegger, 2008, pp. 215-216).
Altri, da Platone a Bacone, da Freud a Nietzsche, hanno visto nella massa la ne-mica della ragione in forza della sua incapacit`a di sottrarsi agli “idola” collettivi ed alle loro forze irrazionali; il paradigma di riferimento sta nella contrapposizio-ne tra individuo e massa, ossia tra l’irrazionalit`a della massa e la ragiocontrapposizio-nevolezza dell’individuo come espresso, ad esempio, da Le Bon e poi condiviso dallo stesso Freud (Freud, 1973). L’individuo immerso nella logica di massa si trasforma in una sorta di automa che non pu`o essere guidato dalla sua volont`a: a differenza di Le Bon, Freud sostiene come l’individuo assuma un carattere irrazionale quando im-merso nella logica di massa, ma non perch´e preda dell’anima collettiva, bens`ı perch´e qualora immerso nella massa, l’individuo trova la condizione ideale per sbarazzarsi delle rimozioni dei propri moti pulsionali inconsci. L’irrazionalit`a della massa risiede per Freud in una sorta di allentamento del meccanismo della rimozione garantito dalla diminuzione dell’angoscia sociale connessa con il giudizio della comunit`a nei confronti dell’individuo (Freud, 1973, p. 292).
Nella massa, inoltre, non risiedono solamente connotazioni negative, ma anche positive: in essa l’egoismo si trasforma in altruismo garantendo la comparsa di un
4.1.2 La logica di formazione della tecnica 4.1. Apparato della tecnica ed esonero
“sentimento sociale” che, una volta spezzato, si trasforma in panico; secondo l’idea di Freud l’assenza di panico garantisce l’aggregazione della massa.
Nella massa esiste quindi anche un principio di razionalit`a che trova la sua espres-sione in termini di autoconservazione ed efficienza, elementi questi ultimi, fondamen-tali rispetto ai processi di massificazione nell’et`a della tecnica che, tuttavia, trovano nel meccanismo di atomizzazione un presupposto fondamentale.
Per atomizzazione della massa si intende la sua disarticolazione in singolarit`a individuali; queste singolarit`a, plasmate dal consumo massificato, dalle informazioni e dai prodotti di massa, svuotano di significato la formazione di una concentrazione di massa, ossia di una massa concentrata; in tal senso, il processo di massificazione non ha il significato di una “concentrazione” di milioni di singoli, ma `e la manife-stazione della qualit`a di quei milioni di singoli che producono e consumano le stesse cose in modo solistico. A tal proposito, Galimberti, anticipando una delle caratteri-stiche pi`u evidenti della Rete e della comunicazione mediata dal computer, sostiene come a ciascuno venga consegnata la propria massificazione associata ad un’illusione di privatezza e ad un finto riconoscimento della propria individualit`a (Galimberti, 1999).
L’individualit`a conseguente a queste premesse `e un’individualit`a che gode di un forte tasso di coerenza rispetto al contesto, che consente la parziale eliminazione delle differenze tra dimensione pubblica (anche nel caso di una dimensione pubblica in senso digitale, online) e la dimensione privata. Nessuno sente necessariamente il bisogno di concentrarsi fisicamente con gli altri in una massa; una volta nutriti abbondantemente di prodotti, informazioni e comunicazioni, gli individui percepi-scono nel mondo reale una forte coerenza: ci`o che viene raccolto in pubblico `e essenzialmente lo stesso che viene raccolto in privato. Questo meccanismo accende un processo di massificazione individualizzata indicato da Anders con il termine di schizotopia (Anders, 1992) il quale rimanda ad una duplice condizione esistenzia-le in termini di “spazio abitato”: grazie all’azione dei media gli individui vengono “lanciati fuori”, in pubblico, anche quando abitano una dimensione privata e, con-seguentemente, lo spazio privato assume la forma di un pervasivo “altrove”, senza che la linea di demarcazione tra dimensione pubblica e privata sia facilmente rin-tracciabile. I media attuali, inoltre, disponendo di una forte valenza interattiva, aumentano la bilateralit`a del processo rispetto all’unilateralit`a dei “vecchi” media quale, ad esempio, la televisione. Il passaggio dal concetto di massa di individui (Le Bon e Freud) al processo di massificazione degli individui entro cui la differenza tra pubblico e privato viene ridotta la minimo, consente di affermare come la razionalit`a non pu`o essere la prerogativa del singolo individuo, ma `e invece caratteristica della massa di individui che, producendosi “dentro” e “fuori” con uniformit`a e coerenza, esprimono un’omologazione collettiva la quale garantisce la razionalit`a funzionale dell’ambiente della tecnica.
l’in-4.1. Apparato della tecnica ed esonero 4.1.2 La logica di formazione della tecnica
dividuo ragionevole viene letteralmente capovolto nel momento in cui `e la massa a detenere la razionalit`a funzionale alla autoconservazione dell’apparato tecnico. Co-me gi`a Nietzsche aveva annunciato, laddove «tutti vogliono la stessa cosa, tutti sono uguali: chi sente diversamente va da s´e al manicomio» (Nietzsche, 1973a).
Produzione di massa e deidentificazione
L’et`a pre-tecnologica `e caratterizzata dall’homo faber il quale progetta, esegue e realizza la propria opera; nell’et`a della tecnica, anche questa catena viene spezzata: chi lavora si vede espropriato del proprio prodotto e della propria competenza secon-do un premeditato processo di separazione tra il progettare e l’eseguire. Il prosecon-dotto non rappresenta pi`u l’immagine guida dell’attivit`a: il fabbricare tipico dell’homo faber viene sostituito da un semplice fare senza conclusione di senso, ossia senza che chi `e artefice della produzione sia in grado di identificarsi con il suo prodotto. Nell’et`a della tecnica, la fine della giornata lavorativa corrisponde alla terminazione del lavoro, ma non del prodotto. In tal senso i passaggi fondamentali si possono
indi-Fabbricare, fare e
servire viduare attraverso la catena fabbricare-fare-servire; il servire si riferisce alla servit`u dell’uomo rispetto alla macchina che `e la reale produttrice dell’opera, mentre l’uomo svolge il compito di sorveglianza rispetto al corretto funzionamento della macchina sulla quale si concentra l’intero processo di produzione. Il fare, dunque, `e risolto in un servire quell’apparato di macchine cui il fare `e completamente demandato. In questo caso, la macchina ha il significato di un elemento di passaggio tra la fase del “fare” e quella del “servire”, ossia rappresenta l’incorporazione di una servit`u.
La catena fabbricare-fare-servire si arricchisce di un ultimo passaggio costituito
Fabbricare, fare, servire e specializzarsi
dallo specializzarsi : se il ritmo della macchina costituisce il ritmo del lavoro del servitore della macchina, allora l’uomo tende alla propria identificazione con qualcosa di non-umano e questo processo di disumanizzazione pu`o essere identificato con il processo di specializzazione. Esattamente come l’operaio serve la sua macchina, il dirigente, il funzionario o l’operatore di mercato servono i rispettivi apparati ed il servizio sar`a adeguato solo se gli operatori saranno in grado di specializzarsi tenendo il passo con l’innovazione tecnica. La macchina dunque, in questo caso, rappresenta l’oggetto di identificazione grazie al quale ha luogo il processo di specializzazione.
Il rapporto uomo-macchina, in tal senso, pu`o essere descritto dal modello he-geliano di “signoria-servit`u” (Hegel, 1963, pp. 153-164) con la sola differenza che macchine ed apparati, a differenza del Signore, non concedono margini di libert`a. Secondo Lessing, l’educazione del genere umano tende a coincidere con il complesso delle procedure di specializzazione al punto che ciascun operatore, per essere all’al-tezza delle operazioni tecniche richieste, diviene strumento delle proprie condizioni di lavoro (Lessing, 1951). Questo passaggio consente di superare la prospettiva della relazione uomo-macchina per intraprendere lo scenario disegnato dall’“essenza del-l’uomo neldel-l’uomo-macchina”. L’uomo diventa quindi il corollario della sua destrez-za, delle sue abilit`a e delle sue competenze, ossia viene ridotto alla propria funzione macchinale, cio`e alla funzione che potrebbe svolgere una macchina opportunamente programmata.
4.1.2 La logica di formazione della tecnica 4.1. Apparato della tecnica ed esonero
L’apparato tecnico finisce per trasferire le istanze morali dell’uomo alla macchi-na nel momento in cui `e l’apparato stesso ad essere diventato il reale soggetto della domanda su cosa si debba o non si debba fare. Quando questo trasferimento si compie completamente, l’uomo non ha pi`u la necessit`a di domandarsi cosa debba o non debba fare perch´e `e la sua stessa specializzazione ad indicarglielo, ossia la sua conduzione ridotta a pura funzione macchinale. In questo modo la specializzazione assume il ruolo del complesso di risposte soggettive alle domande poste
dall’appara-to tecnico, cui `e “obbligadall’appara-torio” rispondere se si intende sopravvivere. Il meccanismo La macchina come esito
dell’identificazione tra l’individuo e l’apparato
appena descritto prevede allora una perfetta identificazione del soggetto con l’ap-parato tecnico ed in tal senso la macchina rappresenta l’esito di tale identificazione: in questo scenario l’uomo perde anche la percezione di essere strumento o di essere “strumentalizzato” in quanto la sua priorit`a consiste nel suo adeguamento rispetto al valore pi`u alto, ossia la totale utilizzabilit`a e flessibilit`a.
La sequenza citata in precedenza si arricchisce allora di un ulteriore passaggio: Fabbricare, fare, servire,
specializzarsi e guardare
fabbricare-fare-servire-specializzarsi ed infine guardare; il sempre pi`u alto livello di automazione delle macchine riduce progressivamente la servit`u nei confronti della macchina alla semplice osservazione e vigilanza sull’operato della stessa. L’uomo ritorna alla condizione di pastore alterando ancora una volta l’idea stessa di lavoro: gi`a l’introduzione della catena di montaggio aveva allontanato l’uomo dalla percezio-ne globale del processo lavorativo e dalla sua destinaziopercezio-ne, ossia dal prodotto e dal valore etico del suo impiego; ora il corpo dell’uomo non `e altro che un ingranaggio della catena ed il lavoro si riduce ad una sorta di “libero esercizio ginnico” (Anders, 1992). L’imperfezione del lavoro umano `e sostituita dalla precisione della macchina e ci`o esonera il lavoro umano anche da quell’attivit`a fisica che consente di trasformare il fare in un non-fare, il non-fare consiste nel prestare attenzione, sorvegliare nella propria immobilit`a fisica, il lavoro della macchina e dei suoi automatismi. Il lavoro consiste evidentemente nel non fare nulla se non impedire che qualsiasi forma di imprevisto possa accadere ed interrompere il lavoro esatto della macchina. Questa nuova tipologia di lavoro si configura come una sorta di meta-lavoro che esprime una certa logica di dominio sulla macchina ma che, in realt`a, nasconde una relazione di passivo adattamento ed oracolarit`a: l’uomo guarda la macchina che lavora fingen-dosi dominatore della situazione, ma in realt`a `e soltanto un funzionario, una sorta di “pastore di macchine”, e la sua condizione si caratterizza per almeno tre aspetti negativi secondo Anders (Anders, 1992):
1. il non-fare come essenza del lavoro;
2. il vigilare sul corretto funzionamento della macchina;
3. l’asocialit`a correlata alla dimensione sociale del lavoro e dell’operatore. In conseguenza di ci`o, il produttore diventa sempre pi`u non-responsabile, non avendo alcun contatto con il prodotto finale gi`a all’interno dello stesso processo di
4.1. Apparato della tecnica ed esonero 4.1.2 La logica di formazione della tecnica
produzione e, inoltre, ad esso `e precluso il diritto di “cattiva coscienza”. L’agire diventa un semplice botton pushing e ci`o implica che la tecnica sottrae all’etica il fondamentale principio della responsabilit`a personale che `e propria di tutte le etiche tradizionali. Nell’apparato della tecnica diventa estremamente complesso stabilire se i gesti sono attivi o se sono a loro volta azionati.
Nell’et`a della tecnica, l’etica `e puro controllo e autocontrollo della funzionalit`a senza alcuna ingerenza sull’esito finale dell’attivit`a che `e appannaggio dell’apparato. Di conseguenza ogni singolo lavoratore assume la sola responsabilit`a rispetto alla modalit`a del proprio lavoro, ma non rispetto alle sue finalit`a e ci`o comporta una sempre minore capacit`a di discernimento tra la dimensione dell’agire e quella del fare. Tutto ci`o ha luogo anche perch´e lo scopo del lavoro `e scollegato dall’attivit`a che si esprime attraverso il lavoro stesso: l’attivit`a lavorativa si svolge secondo criteri di funzionalit`a che non sono dipendenti dallo scopo, ma sono identici a qualsiasi scopo e questa caratteristica risulta perfettamente conforme rispetto alla pretesa di universalit`a delle macchine moderne.
Come ben noto, nella dinamica di produzione e consumo di merci e bisogni