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1. L’EVOLUZIONE DEL FEDERALISMO AMERICANO

1.2. b – Le garanzie giurisdizionali del federalismo

In contrasto all’approccio sulle garanzie politiche, i sostenitori delle garanzie giurisdizionali ritengono essenziale che il potere giudiziario eserciti un ruolo in difesa del federalismo affinché ne siano così rispettati i limiti.

Questa teoria si basa sulla convinzione che né il governo nazionale né il Congresso possano dibattere seriamente le questioni riguardanti il federalismo americano, né tanto meno siano aperti alla possibilità di limitare i rispettivi poteri. Secondo questo punto di vista, neppure gli Stati sarebbero in grado di difendere con continuità i propri interessi: se è vero che gli Stati considerati collettivamente hanno interesse a preservare la propria sovranità statale, in certi casi può succedere tuttavia che alcuni Stati – individualmente – preferiscano cedere una parte di questa sovranità in cambio di altri tipi di benefici conferiti loro dal Congresso. Tocca quindi alla Corte Suprema assumersi la responsabilità di mantenere l’equilibrio federale, da una parte proteggendo gli Stati membri dalle ingerenze del governo federale e dall’altra proteggendo quest’ultimo dall’aggressione statale78; lo strumento usato è appunto la judicial review.

Seppure il potere di judicial review non venga disciplinato in maniera esplicita dalla Costituzione americana, la sua esistenza era già stata quantomeno teorizzata nel corso del dibattito che portò all’approvazione della carta costituzionale.

In particolare, nell’articolo n. 78 del Federalista, Hamilton difende il potere giudiziario, definendolo come il più debole fra i tre poteri e di conseguenza il meno pericoloso: il giudiziario infatti non può influire né sulla “spada” né sulla “borsa” e quindi non ha né forza né volontà, ma solo giudizio; il suo compito principale è far rispettare le leggi, fra cui la Costituzione ricopre una posizione di supremazia, e ciò si applica anche nei confronti del governo79.

Il potere di judicial review è stato riconosciuto nel 1803 in seguito alla sentenza sul caso Marbury v. Madison80, nella quale il Chief Justice Marshall afferma che è

78 J. M

ITCHELL PICKERILL, CORNELL W. CLAYTON, The Rehnquist Court and the Political Dynamics of Federalism, in “Perspectives on Politics”, Vol. 2, n. 2 (Jun. 2004), American Political Science Association, p. 235.

79 B

ARSOTTI,op. cit., p. 361.

80 Marbury era stato nominato giudice di pace dal presidente John Adams a poche ore dallo scadere del suo mandato presidenziale (una delle famose “nomine di Mezzanotte”); Madison, in

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ruolo e dovere del potere giudiziario l’esercizio del sindacato giudiziale di costituzionalità delle leggi: ogni giudice federale ha il potere di disapplicare una norma di legge se ritiene che questa sia in contrasto con la Costituzione.

Le principali disposizioni costituzionali possono essere idealmente raggruppate in tre grandi categorie: a) una categoria riguardante la separazione dei poteri a livello nazionale fra ramo legislativo, esecutivo e giudiziario, stabilendone inoltre i limiti nei rispettivi rapporti; b) una categoria riguardante la distribuzione dei poteri tra Federazione e Stati membri; c) una categoria riguardante le libertà personali che limitano i poteri di governo, sia a livello federale che a livello statale, nei confronti degli individui81.

Esistono opinioni discordanti a livello accademico su quali fra queste categorie sia opportuno per la Corte Suprema esercitare il proprio potere di judicial review, quando essa sceglie i quesiti costituzionali da considerare giustiziabili.

Jesse Choper è un convinto sostenitore del fatto che certe questioni politiche non dovrebbero essere sottoposte alla judicial review, poiché ritiene che in alcuni ambiti siano sufficienti le garanzie politiche fornite dal processo politico.

Nello specifico teorizza la necessità da parte della Corte Suprema di agire in difesa dei diritti individuali attraverso lo strumento della judicial review, poiché essi tendono a non ricevere un’adeguata considerazione - e quindi protezione - all’interno del normale processo politico82; al contrario per le questioni più prettamente riguardanti il federalismo e la separazione dei poteri, come ad esempio le controversie relative agli scontri istituzionali fra i diversi rami del governo federale o le questioni riguardanti l’ampiezza del raggio dell’autorità

veste di Segretario di Stato della nuova amministrazione antifederalista di Jefferson, non aveva però notificato tale nomina. Marbury, ritenendo la notifica della propria nomina come un atto dovuto, si rivolse quindi alla Corte Suprema affinché emettesse un writ of mandamus per obbligare Madison ad agire in suo favore; la richiesta si basava sul Judiciary Act (1789) che assegnava alla Corte Suprema tale competenza da utilizzare nei confronti di chi esercita un potere per autorità degli Stati Uniti, ma al tempo stesso la Costituzione americana non riconosceva tale controversia fra gli specifici casi in cui la Corte Suprema possedeva la competenza a giudicare. Il Chief Justice Marshall si trovò quindi a dover interpretare un caso in cui vi era un contrasto tra norma costituzionale e norma della legge federale.

81 J

ESSE H.CHOPER, Judicial Review and the National Political Process, Chicago, The University of Chicago Press, 1980, p. 61.

82 Ibidem, p. 176.

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federale rispetto ai diritti degli Stati membri, dovrebbero essere considerate come non giustiziabili dalla Corte Suprema e lasciate invece al processo politico83. Choper sostiene infatti che, ogni volta in cui la Corte Suprema decide di esaminare dispute rientranti nell’ambito del federalismo, essa spende una parte del “capitale istituzionale”84 derivante dal suo prestigio85; capitale che invece dovrebbe essere investito nell’area delle libertà individuali costituzionali, più bisognose della protezione garantita dalla Corte tramite la judicial review.

Choper sottolinea i potenziali rischi e danni in cui la Corte Suprema – e il potere giudiziario nel suo complesso – potrebbe incorrere andando ad invalidare delle leggi federali, specialmente nell’ambito del federalismo: innanzitutto per via dell’ampio consenso e della significativa maggioranza politica richiesta all’interno del Congresso e necessaria per approvare qualsiasi legge federale, alla quale spesso corrispondono dei programmi politici che nascono come risposta ai bisogni maggiormente avvertiti dal popolo; inoltre la Corte, quando nell’area della separazione dei poteri decide a favore di un ramo del governo in conflitto con un altro, si avventura in un’arena carica di risvolti politici e il rischio di uscirne danneggiata, sia a livello di prestigio che di credibilità, è estremamente alto86. Se osserviamo il comportamento della Corte Suprema nel corso del Novecento, è interessante notare come per numerosi decenni essa abbia essenzialmente evitato i casi che riguardassero questioni relative al federalismo, concentrandosi invece maggiormente sull’ambito dei diritti individuali87.

In precedenza, nel corso degli anni ’30, la Corte Suprema si era fortemente scontrata con il Presidente Roosevelt, andando ad invalidare numerose parti della legislazione facente riferimento al New Deal, il famoso piano di riforme economiche e sociali promosso dall’amministrazione Roosevelt; la Corte Suprema fu aspramente criticata da più parti a causa di questa sua condotta.

83 Ibidem, p. 193. 84 Ibidem, p. 169.

85 Choper, per meglio spiegare questo concetto, cita un passaggio tratto dal libro The Supreme Court and the Idea of Progress di Alexander Bickel: “[…] There is a natural quantitative limit to the number of major, principled interventions the Court can permit itself. […] A Court unmindful of this limit will find that more and more of its pronouncements are unfulfilled promises, which will ultimately discredit and denude the function of constitutional adjudication.”, pp. 94-95. 86

Ibidem, p. 170.

87 Ne sono un esempio la Corte Warren (1953-1969), con le sentenze relative alla segregazione razziale fra cui la celebre Brown v. Board of Education che rese illegale la segregazione nelle scuole, e successivamente la Corte Burger (1969-1986).

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Roosevelt, forte della propria rielezione, propose al Congresso il Judiciary

Reorganization Bill (1937), il quale avrebbe permesso la nomina alla Corte

Suprema di altri giudici aggiuntivi88 per un totale di quindici; questa mossa di Roosevelt creò scompiglio all’interno del sistema federale, dando vita ad un vero e proprio scontro tra i tre rami del governo.

La situazione si risolse con un passo indietro da parte della Corte Suprema, quando il giudice Owen Roberts votò a favore nel caso West Coast Hotel Co. v.

Parrish che disapplicò una legge sul salario minimo nello Stato di Washington:

uno statuto che nella sua essenza era molto simile ad una legge dello Stato di New York che invece era stata rigettata l’anno precedente proprio a causa del voto contrario di Roberts; questa sua azione cambiò gli equilibri all’interno della Corte Suprema ed infatti, nelle settimane successive, seguirono altre sentenze sulla stessa linea che risanarono la legislazione del New Deal.

Un’altra conseguenza di questo cambio di rotta da parte della Corte Suprema fu il venir meno del supporto al progetto di legge voluto da Roosevelt; il 22 luglio 1937 il Judiciary Reorganization Bill venne definitivamente affossato dal Senato, mettendo la parola fine al conflitto senza precedenti fra i tre rami del governo89. Dopo più di cinquanta anni di sostanziale silenzio della Corte Suprema sulle tematiche legate al federalismo, queste sono tornate alla ribalta agli inizi degli anni ‘90 a causa dell’attività portata avanti della Corte Rehnquist: essa infatti andò ad invalidare una serie di statuti federali, fra cui il Gun-Free School Zones Act (1990), il Religious Freedom Restoration Act (1993), il Violence Against Women

Act (1994); tutte queste decisioni, prese tipicamente con maggioranze 5-490, ebbero l’effetto di porre nuovamente limitazioni al potere federale91.

Secondo alcuni studiosi questa riscoperta del federalismo, accompagnata dalla volontà di rimetterne in discussione gli equilibri, era presente anche nell’agenda

88 Secondo questo progetto di legge, il presidente avrebbe avuto il potere di nominare un giudice aggiuntivo per ogni membro della Corte Suprema con un’età superiore ai 70 anni il quale non avesse intenzione di ritirarsi; l’obiettivo di Roosevelt era di cambiare gli equilibri della Corte in proprio favore, essendo questa composta in quegli anni principalmente da giudici conservatori. 89 W

ILLIAM LEUCHTENBURG, When Franklin Roosevelt Clashed with the Supreme Court – and Lost, disponibile al link: https://www.smithsonianmag.com/history/when-franklin-roosevelt- clashed-with-the-supreme-court-and-lost-78497994/ , consultato in data 20.02.2019.

90 Queste maggioranze erano composte dai giudici Rehnquist, O’Connor, Scalia, Kennedy e Thomas, con invece le opinioni dissenzienti dei giudici Stevens, Souter, Breyer e Ginsburg. 91 P

ICKERILL,CLAYTON, op. cit., p. 233.

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politica del Congresso negli stessi anni di operatività della Corte Rehnquist, oltre ad essere un fenomeno già in corso da diversi decenni nella politica nazionale. Ad esempio, se si osserva il programma politico sia del Partito Democratico che del Partito Repubblicano fra gli anni ’60 e gli anni ’90, si registra un aumento dei riferimenti al federalismo: negli anni ’60-’70 entrambi i partiti vedevano il federalismo principalmente come una tematica relativa alla cooperazione fra Federazione e Stati per l’implementazione delle politiche; dagli anni ’80 i Repubblicani iniziarono a mettere l’accento sulla necessità di limitare il potere federale e di proteggere invece la sovranità statale, vedendo inoltre fondamentale in tal senso il ruolo delle corti e dei giudici; negli anni ’90 anche i Democratici iniziarono a prendere posizioni più forti nei confronti del federalismo, in particolare durante l’amministrazione Clinton.

Va però sottolineato che, se da una parte i Repubblicani avevano una concezione di un forte ruolo del potere giudiziario che bilanciasse il federalismo (judicial

safeguards), dall’altra i Democratici continuarono comunque a sostenere che i

contorni ed i limiti del federalismo dovessero essere definiti solo dai rami elettivi del governo (political safeguards)92.

Gli studiosi hanno identificato anche diverse modalità di devoluzione delle politiche, promosse da entrambe le parti ma con alcune differenze: i Repubblicani si erano concentrati sulla riduzione del potere regolatorio federale e delle sue responsabilità fiscali in diverse aree, mentre i Democratici avevano intrapreso delle iniziative più modeste nell’ambito della decentralizzazione amministrativa93. Tornando alle leggi federali invalidate dalla Corte Rehnquist, viene fatto notare che la maggior parte di esse erano state co-sponsorizzate dai Repubblicani e dai Democratici e le rimanenti potevano essere ricondotte agli uni o agli altri, indicando che la Corte non aveva agito in termini di divisioni partitiche94.

Inoltre la Corte Rehnquist aveva colpito principalmente leggi federali che toccavano gli ambiti delle politiche sociali e della criminal law, tenendosi invece ad un certa distanza dalle regolamentazioni più prettamente economiche; essa infatti non era andata ad intaccare il potere normativo statale e al tempo stesso non

92 Ibidem, p. 238. 93 Ibidem, p. 239. 94 Ibidem, p. 240.

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aveva nemmeno bloccato completamente misure alternative attraverso cui il potere federale potesse comunque raggiungere i propri obiettivi normativi, ad esempio non imponendo limiti al potere di spesa del Congresso; infine essa non aveva abbandonato o sfidato la cosiddetta preemption doctrine95.

Per tutti questi motivi, molti accademici ritengono che nei fatti le decisioni prese dalla Corte Rehnquist abbiano comportato solo delle limitazioni minime al regime politico nazionale96.

Le controversie intorno all’azione della Corte Rehnquist non sorgono quindi dal ritorno sulla scena del federalismo in sé poiché, come abbiamo visto in precedenza, quest’ultimo era un processo che aveva già preso piede e che si era poi sviluppato nel corso degli ultimi decenni all’interno del sistema politico nazionale; le discussioni sono piuttosto nate dal ruolo stesso della Corte Suprema. La Corte Rehnquist ha preso le distanze dal modello dei politcal safeguards, abbracciando invece quello dei judicial safeguards e il cambiamento nel suo comportamento è dovuto principalmente alle nomine dei giudici della Corte Suprema fatte dai presidenti repubblicani: il blocco di maggioranza delle decisioni prese dalla Corte Rehnquist era infatti composto da giudici nominati dai presidenti Reagan o Bush, mentre il blocco di “resistenza” era formato dai giudici scelti dai presidenti Ford o Clinton; questo spiega anche per quale motivo i Democratici abbiano risposto con più veemenza alle decisioni della Corte.

Se quindi da una parte le sentenze su questioni legate al federalismo della Corte Rehnquist hanno portato avanti valori condivisi in maniera bipartisan dai Democratici e dai Repubblicani, come ad esempio la necessità di decentralizzare il potere politico ed amministrativo, dall’altra hanno gettato luce sulle spaccature riguardo la diversa concezione del ruolo della Corte Suprema, soprattutto in un sistema politico caratterizzato dal dealignment97 dell’elettorato americano e dalle divisioni all’interno del governo98.

95 Sulla base della Supremacy Clause, questa dottrina afferma il prevalere della legge federale sulla legge statale; se quindi un giudice federale rileva un contrasto tra legge federale e legge statale, può imporre allo Stato interessato di porre fine al comportamento o azione in questione.

96

Ibidem, p. 241.

97 Il dealignment è il processo attraverso cui una cospicua parte dell’elettorato abbandona la propria affiliazione di partito, senza però svilupparne di nuove.

98 Ibidem, p. 243.

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2. LO STATO DEL FEDERALISMO AMERICANO NEL BIENNIO

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