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anni della presidenza Trump

L’8 novembre 2016, dopo lunghi mesi di accanita e brutale campagna elettorale, Donald Trump è stato eletto come quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti, segnando l’inizio di una nuova era della politica americana dopo otto anni di amministrazione democratica sotto la guida di Barack Obama.

Nonostante la candidata democratica Hillary Clinton avesse vinto il voto popolare con 65,8 milioni di voti99 a fronte dei 62,9 milioni raccolti da Trump, quest’ultimo aveva ottenuto voti negli Stati più significativi riuscendo così ad aggiudicarsi la vittoria alle elezioni presidenziali; il risultato delle elezioni è stato una e vera propria sorpresa per la maggior parte degli esperti del settore, in particolar modo coloro che si occupavano di sondaggi e previsioni di voto a livello statale.

Se prima delle elezioni la vittoria negli Stati del Michigan, Pennsylvania e Wisconsin (facenti parte del cosiddetto Blue Wall100) era data per certa a favore di Hillary Clinton, nei fatti, seppur con una margine strettissimo pari a meno dell’1% in tutti e tre i casi, vennero conquistati da Trump; inoltre Trump ottenne margini di vittoria molto ampi nei tradizionali swing states come Iowa (9,4%) e Ohio (8%), sigillando di fatto la sua ascesa alla Presidenza.

Una delle principali ragioni del fallimento dei sondaggi in occasione delle elezioni del 2016 è stata attribuita all’altissimo numero di indecisi che, durante l’Election

Day, hanno infine scelto all’ultimo minuto di votare per Donald Trump -

nonostante le riserve che potevano aver nutrito riguardo alle sue qualifiche per il ruolo di Presidente - e ciò è avvenuto con un margine così significativo da non poter essere predetto in precedenza con abbastanza accuratezza101.

99 Con un numero simile di voti (65,9 milioni) Obama aveva vinto il voto popolare ed era inoltre riuscito a garantirsi la rielezione alla presidenza durante le elezioni del 2012.

100 Con questo termine si fa riferimento all’insieme di diciotto Stati più Washington D.C che il Partito Democratico si era aggiudicato con una certa costanza nel corso delle elezioni presidenziali dal 1992 al 2012, rappresentando un notevole vantaggio per la votazione dei Grandi Elettori. 101 G

REG GOELZHAUSER,SHANNA ROSE,The State of American Federalism 2016-2017: Policy Reversals and Partisian Perspectives on Intergovernmental Relations, in “Publius: The Journal of Federalism”, Volume 47, n. 3, Oxford University Press, 2017, p. 287.

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Osservando le votazioni per il Congresso, il partito Repubblicano è riuscito a mantenere la maggioranza in entrambe le Camere di cui aveva goduto nell’ultimo periodo della presidenza Obama, pur perdendo dei seggi nello scontro con il partito Democratico: in seguito al rinnovo di un terzo del Senato, i Repubblicani hanno perso due senatori scendendo da 54 a 52 seggi, a fronte dei 48102 dei Democratici; alla Camera dei Rappresentanti i Democratici hanno guadagnato sei seggi, riducendo lievemente la maggioranza repubblicana da 247-188 a 241-194. Anche a livello statale il partito Repubblicano è riuscito in larga parte a mantenere il proprio vantaggio. Il numero totale dei Governatori repubblicani è aumentato da trentuno a trentatré103, mentre per quanto riguarda il controllo delle camere legislative statali la situazione è rimasta in buona parte stabile104, con sessantanove camere controllate dai repubblicani su un totale di novantanove. Si può infine osservare il netto predominio repubblicano a livello statale se si considera il fatto che, su cinquanta Stati facenti parte della Federazione, in ben venticinque105 di essi i Repubblicani hanno il controllo su entrambe le camere e sulla carica di governatore, mentre i Democratici solo in sei stati; nei restanti diciannove stati il governo è invece diviso tra i due partiti106.

Questo predominio repubblicano nelle elezioni statali può essere dovuto alla coesistenza di diversi fattori: innanzitutto l’alternanza di governo tra il Partito Repubblicano e il Partito Democratico è stata da sempre un caratteristica propria del sistema statunitense, riflettendo nel tempo l’idea originaria dei check and

balances dell’assetto federale; questa peculiarità è infatti riscontrabile anche

durante le elezioni nel comportamento degli elettori stessi quando, non di rado, si

102 Nel totale rientrano anche i seggi appartenenti a due Senatori indipendenti (Bernie Sanders del Vermont e Angus King del Maine) che avevano partecipato ai caucus del partito Democratico. 103 I Repubblicani hanno guadagnato tre Stati (Missouri, New Hampshire e Vermont), cedendone solo uno (North Carolina) ai Democratici.

104 I Democratici hanno assunto il controllo di quattro camere legislative precedentemente a maggioranza repubblicana e i Repubblicani hanno fatto lo stesso con altre tre camere legislative fino a quel momento sotto il controllo democratico.

105 Durante le elezioni del 2016 i Repubblicani hanno aumentato il numero di Stati in cui hanno guadagnato contemporaneamente la carica di governatore e il controllo di entrambe le camere, conquistando Missouri, Iowa, Kentucky e New Hampshire; hanno invece perso questo allineamento favorevole in Nevada, dove i Democratici hanno riconquistato entrambe le camere dell’assemblea legislativa, e in North Carolina, dove i Democratici sono riusciti a strappare la carica di Governatore dal candidato repubblicano uscente (49% contro il 48,8%).

106 Tutti i dati relativi alle elezioni legislative statali del 2016 sono reperibili presso il seguente link: https://ballotpedia.org/State_legislative_elections,_2016, consultato in data 28/02/2019.

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può vedere il partito del Presidente perdere seggi sia all’interno del Congresso che nelle legislature statali, come ad esempio è successo a più riprese durante gli otto anni della presidenza Obama107.

Non è da sottovalutare nemmeno il fenomeno del gerrymandering108 poiché, in seguito al censimento del 2010 della popolazione statunitense, i Repubblicani hanno avuto l’occasione di ridisegnare le mappe dei collegi elettorali in un numero di Stati molto superiore rispetto ai Democratici.

Il rafforzamento del potere dei Repubblicani sia a livello statale che a livello federale, in seguito alle elezioni del 2016, contiene al proprio interno un enorme potenziale per il federalismo americano in termini di conseguenze future.

Già durante la propria campagna elettorale Donald Trump era andato a toccare campi di politiche che avrebbero inevitabilmente portato a ripercussioni sui governi statali e locali, oltre ad essere cariche d’implicazioni in merito ai rapporti intergovernativi. Gli esempi più rilevanti in tal senso sono indubbiamente la sanità, l’immigrazione e l’ambiente: i cavalli di battaglia di Trump sono stati infatti la promessa di abrogare l’Affordable Care Act (ACA), probabilmente una delle legislazioni più significative dell’intera presidenza Obama e al tempo stesso una delle più combattute da parte repubblicana; la promessa di costruire un muro al confine con il Messico per fermare l’immigrazione clandestina e di rendere più difficile l’immigrazione, attraverso dei controlli più rigidi; infine la promessa di eliminare le restrizioni concernenti l’estrazione del petrolio e del gas naturale109.

107 Già alle midterm elections del 2010 Obama aveva perso la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti per poi perdere anche quella all’interno del Senato in seguito alle midterm elections del 2014; è interessante notare come anche la presidenza Trump sembri destinata a seguire un simile trend, poiché alle midterm elections del 2018 i Democratici sono riusciti a conquistare nuovamente la maggioranza all’interno della Camera dei Rappresentanti.

108 Questa termine è utilizzato per indicare un fenomeno che affonda le sue radici storiche fin dall’Ottocento e consiste nella pratica di ridisegnare i confini dei collegi elettorali, così da manipolarli a favore di un partito o di un certo gruppo.

Il problema del gerrymandering è inoltre fortemente influenzato dalla natura maggioritaria del sistema elettorale americano, poiché il grado di omogeneità all’interno dei collegi uninominali ha notevoli ripercussioni sugli esiti generali delle elezioni: il Voting Rights Act (1965) stabilisce infatti che i districts elettorali, oltre a rispettare i criteri canonici del redistricting (come compattezza, contiguità, ecc.), devono risultare abbastanza omogenei in relazione al numero della popolazione che vi è inclusa, non devono penalizzare gli elettori appartenenti a minoranze e non devono contemplare forme di “racial gerrymandering”. ELETTRA STRADELLA, Dai rotten borough ad oggi: il lungo viaggio verso la rappresentanza, in “Diritto pubblico comparato ed europeo”, fascicolo 4, ottobre-dicembre 2017, p. 980.

109 G

OELZHAUSER,ROSE, op. cit., p. 288.

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Andremo ad analizzare nel dettaglio i cambiamenti avvenuti all’interno di questi tre ambiti di policies nei capitoli successivi di questo elaborato, mettendo in particolare risalto le differenze e, in certi casi, le similitudini dell’azione portata avanti dall’amministrazione Trump rispetto all’amministrazione Obama.

Come accennato in precedenza, nei primi due anni della presidenza Trump lo stato del federalismo americano è stato contraddistinto in primo luogo da una netta inversione di rotta su molteplici politiche federali, dovuta allo sforzo congiunto della nuova amministrazione e di un Congresso a maggioranza repubblicana di smontare numerose ed importanti politiche dell’era Obama.

Con il passare dei mesi è stato però possibile osservare come questa nuova linea politica sia stata portata avanti principalmente attraverso un’azione esecutiva di tipo unilaterale poiché, nonostante l’esteso controllo repubblicano a livello teorico sulla Presidenza e su entrambe le Camere del Congresso, nei fatti sono emerse notevoli divisioni ideologiche all’interno dello stesso Partito Repubblicano che si sono rivelate fatali ai tentativi di emanare legislazioni significative, fatta eccezione per la Tax Cuts and Jobs Act del dicembre 2017110.

Questo tipo di azione si è espressa principalmente attraverso gli executive orders, uno strumento usato dai presidenti americani per dare attuazione a politiche di particolare rilevanza; tale tendenza sembra prescindere dall’appartenenza politica dei presidenti, basti pensare al largo uso che ne ha fatto Clinton durante la propria presidenza o all’altissimo numero di executive orders emanati da Trump in questo primo biennio alla Casa Bianca111.

Un esempio di executive orders è stato l’estremamente controverso travel ban112 che proibiva l’ingresso negli Stati Uniti ai viaggiatori provenienti da sette paesi a maggioranza musulmana ed infatti passato alle cronache con l’appellativo di

110

GREG GOELZHAUSER,SHANNA ROSE,The State of American Federalism 2017-2018: Unilateral Executive Action, Regulatory Rollback, and State Resistance, in “Publius: The Journal of Federalism”, Volume 48, n. 3, Oxford University Press, 2018, pp. 319-320.

111 E

LETTRA STRADELLA, I poteri normativi dell’Esecutivo negli Stati Uniti: alcuni spunti costruttivi, in “Rivista AIC”, n. 1, 2018, p. 20.

112 Il 27 gennaio 2017, dopo una sola settimana dall’inizio ufficiale della nuova amministrazione, Donald Trump firmò l’Executive Order 13769: questo ordine esecutivo aveva la finalità di limitare notevolmente l’ingresso nel paese da parte di viaggiatori provenienti da Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. Le principali proteste contro questo ordine esecutivo sostenevano che esso andasse sia contro la Costituzione americana che contro alcuni statuti federali, portando tali argomentazioni davanti a numerose corti federali.

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Muslim ban, il quale ha pesantemente impegnato l’attività delle corti federali di

tutto il paese; un altro esempio è stata l’azione nel settore ambientale con la decisione di ritirare gli Stati Uniti dal Paris Climate Agreement, di terminare il

Clean Power Plan e di sospendere la Clean Water Rule.

In secondo luogo, il primo biennio della presidenza Trump è stato contraddistinto anche della particolare resistenza degli Stati nei confronti delle direttive federali. Questa resistenza a livello statale ha preso forma principalmente attraverso le cause intentate dagli state attorneys general113, i quali si sono ritagliati uno spazio all’interno del processo di policymaking americano e hanno di fatto giocato un ruolo molto attivo durante il periodo iniziale della presidenza Trump.

Poste queste premesse, è interessante però notare come il conflitto sostenuto dagli

state attorneys generals s’inserisca in realtà all’interno di un discorso più ampio,

nel quale il conflitto si accompagna alla storia del federalismo americano degli ultimi decenni. A partire dagli anni ’70, con l’affermarsi di un federalismo coercitivo, inizia un periodo contraddistinto da pressioni sugli Stati da parte del governo federale così da interferire sulle loro politiche, utilizzando ad esempio regolamenti top-down; si registrano inoltre numerosi casi di unfunded

mandates114.

Diventando quindi il processo di policymaking molto più nazionalizzato, tutto ciò ha prodotto un aumento della polarizzazione a tutti i livelli di governo ed ha ampliato ulteriormente il raggio del conflitto: è in questo contesto che si innesta l’azione degli state attorneys general, i quali iniziarono a sviluppare una serie di meccanismi per esercitare una maggiore influenza sulla politica nazionale.

Ad esempio, in risposta all’approccio in ambito sociale ed economico dell’amministrazione Reagan, gli state attorneys general svilupparono delle strategie che si riveleranno poi utili anche nei decenni successivi, come la cause

113 Lo state attorney general è la figura apicale dell’amministrazione giudiziaria a livello statale e rappresenta gli interessi dello Stato in vari ambiti; le sue principali funzioni sono il fornire consulenza legale al governo e, attraverso la propria azione, proteggere i diritti dei cittadini dello Stato, per esempio facendo applicare le regole in aree come la salute e la protezione del consumatore. Questa carica viene solitamente assegnata tramite elezioni popolari o, in una minoranza di casi, tramite nomina del governatore; fanno eccezione il Maine, dove lo state attorney general viene nominato dalla legislatura statale, e il Tennessee, dove invece viene nominato dalla Corte Suprema dello Stato.

114 Si ha un unfunded mandate quando la legislazione federale richiede al governo statale o locale di compiere certe azioni, ma al tempo stesso a questi ultimi non vengono assegnati fondi per poter adempiere adeguatamente a tali funzioni, lasciando tutto il peso sulle loro spalle.

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intraprese collettivamente da più Stati contro certe industrie (ad esempio quella del tabacco) e riempiendo di fatto il vuoto lasciato dai legislatori federali.

La partecipazione degli state attorneys general nei dibattiti inerenti alla politica nazionale è cresciuta parallelamente all’aumento delle risorse messe a loro disposizione per tale attività, per esempio attraverso tutte quelle organizzazioni che contribuiscono finanziariamente alle associazioni di settore115 o le campagne individuali degli state attorneys general. Questi ultimi hanno inoltre appreso e coltivato l’abilità di anticipare le nuove regole federali in preparazione, così da poter predisporre per tempo delle risposte legali da mettere in azione nei momenti immediatamente successivi agli annunci di politiche fatti dal governo federale. Infine, accanto agli strumenti legali, gli state attorneys general hanno imparato ad utilizzare strumenti del cd. “soft power”, come lettere scritte a più mani o commenti indirizzati ad agenzie federali o a specifici membri del Congresso116. Analizzando più nel dettaglio le cause intentate dagli state attorneys general (AG) contro il governo federale, possiamo notare come esse siano sensibilmente aumentate nel corso degli anni. Se fino all’amministrazione Clinton e poi a quella Bush queste cause riguardavano principalmente la politica ambientale, si nota come, a partire dalla presidenza Obama e specialmente durante il suo secondo mandato, la portata degli ambiti interessati sia sensibilmente aumentata.

Andando a toccare questioni riguardanti l’health care, l’immigrazione, la riforma finanziaria e i diritti civili, gli AG repubblicani e conservatori hanno manifestato la volontà di sfidare e mettere alla prova numerose politiche federali.

Questo trend crescente si è intensificato in maniera notevole durante il primo anno della presidenza Trump: solo nel 2017 gli AG democratici hanno presentato trentasei azioni legali contro la sua amministrazione, più del totale di cause intentante contro Obama nel corso della sua intera presidenza.

Circa metà di queste azioni legali riguardano la protezione ambientale, a testimonianza del fatto che essa rimane una questione di rilievo anche per la presidenza Trump, e le rimanenti riguardano l’immigrazione, l’health care e

115

Nello specifico la Republican Attorneys General Association (RAGA) e la Democratic Attorneys General Association (DAGA).

116

PAUL NOLETTE, COLIN PROVOST, Change and Continuity in the Role of State Attorneys General in the Obama and Trump Administrations, in “Publius: The Journal of Federalism”, Volume 48, n. 3, Oxford University Press, 2018, p. 472.

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l’educazione, tutti temi scottanti nell’agenda politica del neoeletto presidente; questo appare come un chiaro indicatore del conflitto crescente e sempre più polarizzato fra gli Stati e il governo federale117.

Nonostante queste ultime considerazioni sulla portata e sulla natura del conflitto in cui gli state attorneys general giocano indubbiamente un ruolo molto importante, non si deve tuttavia dimenticare che permane tuttora una cooperazione

bipartisan fra essi concernente alcune aree specifiche d’interessi che, in virtù di

ciò, travalica i meri confini statali.

Infatti il maggiore sforzo di cooperazione bipartisan fra state attorneys general durante la presidenza Trump si è registrato nel comune proposito di affrontare quei comportamenti delle aziende private che, presumibilmente, andassero a danneggiare gli interessi degli Stati.

Inserendosi in una tendenza che vede le sue radici già negli anni ’80 e ’90, le questioni di contenzioso maggiormente interessate rientrano solitamente negli ambiti dell’antitrust, della protezione del consumatore, delle frodi nell’assistenza sanitaria e dell’applicazione delle normative per la tutela dell’ambiente118.

In questa prospettiva merita una menzione speciale il tema degli oppioidi: negli ultimi anni si è assistito ad un’incredibile impennata dei decessi per overdose dovuti a questa droga, in quella che è stata percepita come una vera e propria crisi; seppur nell’estate 2017 il Presidente Trump abbia dichiarato l’abuso di oppioidi come un’emergenza per la salute pubblica, nei fatti l’azione più aggressiva contro questa problematica è stata messa in campo proprio dagli state attorneys general. Nel maggio 2017 lo state attorney general dell’Ohio, il repubblicano Mike DeWine, ha intentato una causa contro le maggiori case produttrici di oppioidi le quali erano accusate di aver persuaso dottori e pazienti ad utilizzare tali farmaci per allevare i casi di dolore cronico, garantendone però la sicurezza.

Il fine ultimo della causa è innanzitutto ottenere un rimborso economico per il programma statale di Medicaid, da una parte per i costi associati al numero eccessivo di prescrizioni di oppioidi e dall’altra per i costi derivanti dalle terapie di prevenzione e cura per la dipendenza da tali farmaci; inoltre vuole impedire alle

117 Ibidem, p. 474. 118 Ibidem, p. 480.

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case produttrici, tramite legge, di fornire una rappresentazione fuorviante dei rischi e benefici dell’uso degli oppioidi per le terapie associate al dolore cronico. Presto molti altri state attorneys general si sono uniti con lo scopo di forzare la mano delle aziende e obbligarle a fornire maggiori informazioni sulle loro strategie di marketing in fatto di promozione degli oppioidi; questi AGs hanno così formato una coalizione di ben quarantuno membri, la quale raccoglie dentro di sé rappresentanti di entrambi gli schieramenti politici.

Non si sono fermati solo alle case produttrici, ma hanno iniziato ad investigare anche alcune case farmaceutiche di distribuzione che, insieme, rappresentano ben il 90% della rete distributiva di oppioidi di tutti gli Stati Uniti119.

I vasti poteri di subpoena120 in mano agli state attorneys general hanno la

potenzialità di scoprire informazioni compromettenti riguardo all’oggetto e alle tempistiche con cui i dirigenti aziendali sono venuti a conoscenza dei pericoli associati alla dipendenza da oppioidi; inoltre, essendo gli state attorneys general rappresentanti degli interessi dei rispettivi Stati, essi hanno la possibilità di connettere il comportamento fraudolento delle aziende ai danni riportati dai propri cittadini, quantificati come costi aggiuntivi al bilancio statale.

Questo caso di cooperazione bipartisan può essere lo spunto per trarre alcune considerazioni: in primo luogo, seguendo l’esempio di quanto avvenuto nell’industria del tabacco negli anni ’90, potrebbe essere la scintilla per innescare una riforma a livello nazionale per l’industria degli oppioidi; in secondo luogo, insieme agli strumenti più prettamente legali, gli state attorneys general hanno utilizzato un vario e considerevole soft power, contribuendo in tal modo sia a modellare le impressioni dell’opinione pubblica121 sulla questione sia a fare pressione122 sulle istituzioni, così da spronarle all’azione; in terzo luogo, infine, la

119

Ibidem, p. 484.

120 Il potere di richiedere la comparsa in giudizio e conseguentemente fornire elementi di prova pertinenti ad un dato giudizio, sotto la minaccia di dover far fronte ad una sanzione penale in caso di mancata collaborazione con le autorità.

121 Per esempio, annunciando un’investigazione bipartisan a livello multistatale riguardo delle possibili frodi, ciò inevitabilmente suggerisce al pubblico un colpevole con largo anticipo rispetto a quando la questione verrà risolta in maniera legale davanti ad una corte.

122 Gli state attorneys general hanno fatto ciò tramite attività di lobbying, scrivendo lettere al Congresso per chiedere lo stanziamento di fondi a favore di coloro che soffrono per la dipendenza da oppioidi e anche alla Food and Drug Administration (FDA) – un’agenzia federale alle

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