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95Barbora Veselá, Čestmír Houska, Jiří Veselý, Monumento a Jan Palach e Jana Zajíc, Praga, 2000.

Nel documento La costruzione della memoria (pagine 48-55)

La porta e la soglia

95Barbora Veselá, Čestmír Houska, Jiří Veselý, Monumento a Jan Palach e Jana Zajíc, Praga, 2000.

e Jiří Veselý realizzano in piazza San Venceslao, a Praga nel 2000, una croce in bronzo distesa sul selciato dove Jan Palach si immolò. La croce scura, che nel trattamento della superfi cie ricorda il legno bruciato, è modellata dalle curve del terreno: due bassi tumuli che muovono la pavimentazione come a seguito di una forza tellurica. La croce sta nel mezzo, a unire le due alture; forse si sta sollevando dal suolo o forse vi sta aff ondando. Quasi nascosta tra le pieghe del terreno, essa rappresenta, in forma estremamente antimonu- mentale, una caduta e una rinascita, senza insinuare la consequen- zialità dell’una rispetto all’altra, ma piuttosto lasciando aperta ogni possibilità di interpretazione, così che entrambi i signifi cati possano coesistere nello stesso segno. O simbolo, appunto.

97 Giuseppe Terragni, Danteum, Roma, 1938-40 disegno 47/006/BI/S, Archivio Terragni.

Il labirinto

Forse tra i simboli più antichi tracciati dall’uomo, il labirinto compa- re già nelle pitture rupestri di epoca neolitica. La sua forza evocativa risiede nel rapporto ingenito col mito e dunque nell’intrinseco si- gnifi cato misterico che gli viene attribuito. Espressione di una plu- ralità di signifi cati arcani, esso verifi ca in se stesso il principio della coincidentia oppositorum47. Fin dalla tarda antichità la letteratura lo richiama quale metafora di narrazioni intricate o di circostanze inesplicabili e perigliose, delle quali tuttavia le corrispondenti rap- presentazioni grafi che appartengono a codici iconologici più tardi, perlopiù di epoca rinascimentale, quando il labirinto si trasforma in irrgarten, che moltiplica le vie in modo ingannevole verso il raggiun- gimento dell’inatteso. Schematizzazione delle “viscere degli animali off erti in sacrifi cio, sulla base delle quali si divinava”48, il labirinto ha a che fare col mondo dei morti, ma al contempo è raffi gurazione del regno della Potnia, Signora della terra, ventre materno da cui tutto ha origine. Nella tradizione cretese esprime tanto la lotta tra ragio- ne e istinto, quanto l’equilibrio tra femminile e maschile. Dedalo, architetto dal multiforme ingegno, lo costruisce per nascondere le mostruosità del Minotauro, frutto della bramosia e della cedevolez- za morale dell’uomo da una parte, e dall’altra incarnazione della forza vitale che sempre si rigenera dalle sue morti. Ma sarà Teseo che, forte della sua duttile capacità congetturale49, inoltratosi nel labirinto, ne uscirà vivo, vittorioso sul monstrum, non senza l’aiuto di Arianna. Figura complementare a quella dell’eroe, la fanciulla qui incarna “la magica autorità del femminile, la saggezza e l’elevatezza spirituale che trascende i limiti dell’intelletto”50.

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In epoca moderna Jung associerà il Minotauro alla fi gura-archetipo della madre nel tentativo di rappresentare i suoi più cupi “caratteri essenziali [...] la sua orgiastica emotività, la sua infera oscurità”51. I molteplici caratteri dell’uomo, opposti ma congiunti, concorrono a quella che Mircea Eliade chiama orientatio52, ovvero la naturale tendenza a ricercare il centro. Spazio fi sico e mentale ad un tempo, il labirinto è luogo che ha a che fare col movimento. Tracciato delle coreografi e iniziatiche, induce il corpo in uno stato dinamico, ‘ela- stico’, continuamente oscillante tra margine e centro, tra rivelazione e nascondimento: un movimento che scandisce il tempo dell’espe- rienza e costituisce uno strumento di misura.

Un labirinto è la difesa, a volte magica, di un centro, di una ricchez- za, di un signifi cato. Penetrare in esso può equivalere a un rituale iniziatico. È l’uomo, faber fortunae suae, a stabilire il percorso e a posizionare il centro, l’antro del Minotauro; attraverso l’ingegno de- termina forma e dimensioni dell’intrico di cui egli stesso rischia di restare vittima nel tentativo di sottomettere al governo della logica il mistero del divino. Tentativo destinato al fallimento perché, come racconta Platone nell’Eutidemo, è impossibile racchiudere l’esisten- za e il senso della natura, poiché zōé sopravanza continuamente, non lasciandosi cogliere dalla coerenza del lógos.

Quello che si compie nel labirinto è un viaggio odissiaco o ancora dantesco, dove fi ne ultimo e mezzo coincidono col viaggio stesso. Tentativo ben noto di tradurre in architettura gli spazi narrati nella Di- vina Commedia, è certamente il Danteum di Terragni (1938-1940) del quale, tralasciata ogni interpretazione storica, basterà qui dare breve nota per l’affi nità con gli spazi dedalici. Proprio come nel labirinto, non appena oltre il muro che “fa da schermo al fabbricato”53, all’interno del limpido impianto del rettangolo aureo, si snoda un percorso nar- rativo spiraliforme ed ascendente attraverso le tre sale sovrapposte, ognuna dedicata a uno dei tre regni ultraterreni e costruita attraverso l’uso sensibile della luce. Non solo è labirintica la struttura del percor- so nel suo avvolgersi e ripiegarsi, ma anche i singoli spazi, dalla ‘selva oscura’ fi no al Paradiso attraverso i gradi intermedi, sono una rappre-

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sentazione più o meno mediata di un labirinto che si manifesta ora come umbratile bosco di colonne, ora come vortice discendente che modella il pavimento dell’Inferno o come spirale di luce nel solaio del Purgatorio, e infi ne come selva di colonne cristalline, nello spazio del Paradiso. Un labirinto, quello di Terragni, dove la celebrazione di Dante e dell’italianità trascende nella rifl essione sulle potenzialità simboliche e allegoriche dell’architettura.

In qualità di memoriale privato, anche la tomba Brion di Carlo Scar- pa ricorre all’idea di uno spazio non lineare per disegnare il luogo del ricordo. Sebbene non nella forma conclusa di un vero e proprio labirinto, anche in questo caso, all’interno del recinto continuo l’ar- chitetto organizza un percorso obbligato concepito per tappe suc- cessive, che trovano il loro culmine nel centro rappresentato, stavol- ta, dal tempio a copertura piramidale di chiara ascendenza arcaica. Come nel labirinto funebre edifi cato per il re etrusco Porsina, il per- corso si arricchisce di alcune suggestioni sonore che si fondono con quelle della natura. Se nel tempio arcaico erano fi lari di campane mossi dal vento a diff ondere il proprio suono, nel progetto di Scarpa è l’architettura stessa a risuonare, ora per il movimento dei nume- rosi ‘meccanismi’, ora per il vento che la attraversa, ora per le note che emettono i passi sui gradini.

Ancora diversa declinazione di un principio analogo a quello espresso dal labirinto, si trova nel Memoriale di Auschwitz dei BBPR (1979- 1980). Il labirinto si tramuta in spirale, le curve che avvolgono il visita- tore si rincorrono e si muovono rimandando proprio a quel senso del movimento suggerito dalle danze iniziatiche che il labirinto guidava. L’introduzione del movimento all’interno del memoriale ne facilita la trasformazione in strumento di coscienza attiva, non più limitato alla scala di un oggetto inanimato: nel farsi spazio off re all’uomo la possibilità di calarsi in una dimensione esperienziale. La spirale rap- presenta allo stesso tempo lo smarrimento del sé e l’impresa verso la liberazione, quasi fosse il fi lo che dal labirinto conduce fuori.

Sospeso tra il rito di fondazione e quello funebre, è il Monumento ai caduti per la Resistenza di Giorgio Grassi (1965). Il labirinto imma- ginato da Grassi, chiuso all’interno di un muro continuo, mostra la

sua familiarità col temenos, sorta di muro magico atto ad assicurare una separazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Ma quello che dall’esterno pare essere soltanto un muro bianco, all’interno si rivela un piccolo frammento urbano. Vi è in questa associazione del dedalo alla città, una colta allusione agli impianti labirintici disegnati da Giulio Romano per le città ideali.

Il percorso dedalico prende forma tra il solido fronte ‘urbano’ degli ‘isolati’, posti lungo l’asse principale, e il lato opposto rivolto verso il muro perimetrale, dove i muri di cemento bianco levigato, incapaci di concludersi in un volume, lasciano penetrare il verde dando vita a un mondo dissolto e frammentario. Ogni campo è allo stesso tempo orto e giardino, luogo di contemplazione e sepolcreto. È il vuoto del- le vie e dei ‘campi’ a connotare lo spazio: lungo questi percorsi d’aria, tutti ricongiunti nel centro, dov’è il blocco di marmo dell’epigrafe, si compie la celebrazione dell’assenza e della morte. Un piccolo palco posto al margine del giardino, quasi con intenzione consolatoria e rivelatrice, consente di leggere dall’alto l’ordine planimetrico.

Il desiderio concreto di consolazione viene sublimato dal simbo- lo archetipico del labirinto nel Memoriale di Mauthausen Gusen I (1967) ancora dei BBPR. Il labirinto, in questo caso, sembra posse- dere la forza di rivelare “la sopravvivenza, camuff ata o sfi gurata, del sacro”54, anche laddove sia il più terribile e ineff abile degli orrori ad averlo nascosto. Alla fi ne del breve percorso preparatorio, quasi penitenziale, che si sviluppa costretto tra i frammenti di muro di- sconnessi, si raggiunge il crematorio, dove ancora una volta, come nel cuore del labirinto, convivono signifi cati opposti e stridenti: be- stialità e profonda pace, disperazione e liberazione.

Si fa più lasca l’allusione al labirinto nel caso del Memoriale della Shoah di Peter Eisenmann a Berlino (1997-2005). Privo infatti di un nucleo centrale, il rimando al simbolo si verifi ca più che altro nell’ossessività dei percorsi indistinti e ripetuti, e nell’altrettanto os- sessiva serialità, appena incrinata dal fuori piombo di alcuni volumi che narrano di una condizione instabile.

Nel memoriale di Eisenman il sentimento arcaico del labirinto pren- de forma all’interno della sfera percettiva dell’uomo, in funzione

Giorgio Grassi con Luca Meda, Monumento ai caduti per la Resistenza a Brescia, 1965 (immagini fornite da Giorgio Grassi). In questa pagina: disegno di studio. Nella pagina a fi anco: planivolumetrico.

In questa pagina e nella pagina a fi anco: Peter Eisenman, Memoriale della Shoah, Berlino, 1997- 2005 (foto di Chiara De Felice).

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della quale è disegnato lo spazio. Situato al margine del quartiere di Mitte, il monumento si confi gura esso stesso come un brano di città, dove la variazione di scala sortisce un potentissimo eff etto di smarrimento, calando il visitatore nella dimensione alienante di una città fantasma, ridotta ai suoi muti volumi. Questi, che all’estremità si presentano come sepolture anonime, sarcofagi in attesa di essere congedati, crescono progressivamente fi no a un’altezza di oltre 3 m, accrescendo il senso di uno sprofondamento nelle viscere della terra. L’unità spaziale cresce e si amplifi ca come sistema aperto nel trac- ciato del tessuto urbano, dapprima capace di conservare un rap- porto col resto della città, poi, portato alle estreme conseguenze, completamente svincolato dal “sistema di relazioni che connette l’insieme con le diverse parti e ogni parte con tutte le altre”55, ren- dendo impossibile l’orientamento.

(C. D. F. per Il Labirinto)

Note

1 Johann Wolfgang Goethe, Massime e rifl essioni, Edizioni Theoria, Roma-Napoli

1983 [1 ed. 1833], massima n. 314, p. 74.

2 Mircea Eliade, Immagini e simboli. Saggi sul simbolismo magico-religioso, Jaca

Book, Milano 2015 [1 ed. 1952], p. 13.

3 Jean Chevalier, Introduzione, in Dizionario dei simboli, Bur, Milano 2014 [1 ed.

1969], p. XVII.

4 René Guénon, Il simbolismo della croce, Rusconi Editore, Milano 1973 [1 ed.

1931], p. 17.

5 Cfr. Carl Gustav Jung, Introduzione all’inconscio, in Idem (a cura di), L’uomo e i

suoi simboli, Raff aello Cortina Editore, Azzante 2016 [1 ed. 1967], p. 96.

6 Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, Torino 2004

[1 ed. 1948], p. 412.

7 Oltre a Carl Gustav Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, Bollati Boringhieri,

Torino 2007 [1 ed. 1934/1954], cfr. Umberto Galimberti, La terra senza il male, Feltrinelli, Milano 1984.

8 Paul Klee, Teoria delle forme e della fi gurazione, vol. 1, Feltrinelli, Milano 1959

[1 ed. 1956], p. 66.

9 Siegfried Giedion, Breviario di architettura, Bollati Boringhieri, Milano 2008 [1

ed. 1956], pp. 62-63.

10 Carl Gustav Jung, Introduzione all’inconscio, cit., p. 96.

11 Cfr. Jean Chevalier, Dizionario dei simboli, cit., e Mircea Eliade, Trattato di storia

delle religioni, cit.

12 Per un’analisi più dettagliata si rimanda alla scheda apposita nel capitolo 3. 13 Luciano Semerani, Incontri e lezioni. Attrazione e contrasto tra le forme, Clean,

Napoli 2013, p. 62.

14 Mircea Eliade, Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri, Torino 2001 [1 ed. 1957], p. 19. 15 Ibidem.

16 Cfr. Jean Chevalier, Dizionario dei simboli, cit.

17 Le intenzioni di Breuer sono scritte in un documento conservato presso gli

Archives of American Art, Smithsonian Institution. Disponibile online, è indivi- duato dalla seguente segnatura: Marcel Breuer, papers, 1920-1986, Cambridge War Memorial, Cambridge, Massachusetts, photographs of plans, drawing, and model, 1945, Box 22, Reel 5730, Frame 160.

18 Il monumento è collocato in una rotatoria davanti al Tempio Ossario per i ca-

duti della Grande Guerra.

19 Paolo Zermani, Ignazio Gardella, Laterza, Roma-Bari 1991, p. 126. 20 Cfr. Jean Chevalier, Dizionario dei simboli, cit.

21 Il monumento è commissionato dalla madre Margherita Sarfatti, intellettuale

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