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Monumento alla Resistenza partigiana Cima Grappa, Crespano del Grappa (TV)

Nel documento La costruzione della memoria (pagine 76-80)

Giuseppe Davanzo, Augusto Murer, con la consulenza di Andrea Zanzotto 1974

“603 fucilati, 804 deportati, 171 impiccati. Questo è il tributo pagato nella sola zona di Bassano del Grappa. La città ha ormai un posto nella storia del nostro paese, ad ogni evento bellico sconta la sua posizione strategica nel sistema difensivo italiano. Non c’è fante o alpino della prima guerra mondiale che non la ricordi. Monte Grappa: la speranza di un’intera nazione in quella che doveva essere la prima e l’ultima guerra. Nella seconda guerra mondiale Bassano del Grap- pa è un cardine del dispositivo delle forze partigiane del comando regionale veneto. Qui opera la divisione Monte Grappa: 4500 uomini minacciano la strada delle truppe tedesche. Kesselring ha assoluto bisogno di quell’arteria che lo lega al suo paese, ma ci sono i ribelli su quei monti che ha sentito nominare da suo padre. Lui li chiama banditi, la storia li chiamerà partigiani”1.

Con queste parole un commovente documentario di Giuseppe Taff a- rel introduce il racconto dei rastrellamenti operati dai nazifascisti sul Monte Grappa nel settembre del 1944, culminati nel più drammatico episodio della Resistenza veneta: l’impiccagione di 31 partigiani ai lecci di quello che poi si chiamerà il Viale dei Martiri a Bassano del Grappa. Il Monte Grappa, la cima più alta dell’omonimo massiccio delle Pre- alpi venete, in posizione dominante tra le valli del Brenta e del Piave, è noto in tutta Italia per l’eroica resistenza dell’esercito italiano dopo la disfatta di Caporetto, ma pochi decenni più tardi fu teatro di un’al- trettanto eroica lotta partigiana e di terribili stragi durante la guerra di liberazione. Le brigate partigiane subirono nell’autunno del 1944 un feroce rastrellamento: all’alba del 20 settembre, dopo un intenso bombardamento di artiglieria, le truppe nazifasciste circondarono il

Il luogo delle commemorazioni (foto di Ezio Quiresi).

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monte e salirono da più parti senza lasciare vie di fuga. Gli episodi violenti furono molti. Tra questi l’uccisione, avvenuta il 22 settembre, di sette partigiani della Brigata Matteotti intrappolati in una stretta galleria naturale e bruciati vivi dai lanciafi amme nazisti2.

Alla memoria di questo eccidio, e di tutti i partigiani che in questa ter- ra hanno combattuto, sorge nel 1974 il Monumento alla Resistenza partigiana di Cima Grappa, frutto della collaborazione tra l’architetto Giuseppe Davanzo, lo scultore Augusto Murer e il poeta Andrea Zan- zotto. Il luogo scelto per la realizzazione del monumento è uno spe- rone di roccia aff acciato sulla valle, situato in prossimità della bocca della galleria che fu teatro dell’eccidio, e circa cento metri più in basso del gigantesco Sacrario Militare di Cima Grappa3.

Salendo al sacrario lungo la carrabile, prima del Rifugio Bassano, il monumento è segnalato da una grande statua in bronzo di Murer, ben visibile in lontananza, e da una targa sul ciglio della strada che ne riporta inciso il titolo. Da qui si diparte un percorso pedonale in discesa: inizialmente naturale, tra i sassi, diventa poi più costruito, scandito da gradini e da muretti in cemento sui quali sono riportati, con caratteri di bronzo, versi di Zanzotto, Ungaretti e Quasimodo. Dopo aver piegato bruscamente, il percorso si allarga e conduce a una terrazza panoramica, luogo delle manifestazioni uffi ciali. Qui il protagonista è il paesaggio. Paesaggio della memoria, perché da questo punto panoramico si possono abbracciare con lo sguardo i luoghi della lotta partigiana; ma anche paesaggio che accoglie e del quale “non resta che cingersi”4, come scrive Zanzotto in una poesia composta negli anni del confl itto.

Dopo una sosta di quieta contemplazione, lasciandosi il panora- ma alle spalle, il percorso prosegue angusto, incuneato entro una fenditura intagliata nella roccia. Dall’ampiezza luminosa della ter- razza si passa repentinamente in uno spazio umbratile, costretto da aspre pareti in calcestruzzo. Il paesaggio da consolatorio si fa ostile: il contrasto tra luce e ombra, la ruvidezza del cemento, l’al- tezza opprimente delle pareti evocano le trincee, i nascondigli, la morsa ce non lascia via di scampo.

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indelebile incisa in questa montagna, è memoria di una ferita. Una volta fuori dalla fenditura si rivela inaspettatamente la grande scultura bronzea di Murer: una fi gura umana carica di pathos che rappresenta un partigiano mentre libera le proprie mani dal laccio che le teneva legate. Il percorso arriva alle spalle della statua, met- tendo il visitatore nella stessa prospettiva della fi gura dalle grandi mani imploranti, alzate verso il cielo.

Il monumento si traduce in un’esperienza, in un percorso pensato per emozionare e far rifl ettere mediante l’allusione e l’evocazione. Il suo valore si misura anche nella cura dei dettagli, appresa forse dal maestro Carlo Scarpa con cui Davanzo ha a lungo collaborato. I diversi elementi, pur unifi cati dallo stesso materiale, mantengono la propria individualità, sempre separati da quelli contigui mediante una ce- sura, una fuga, una linea d’ombra. Anche il muro che guida tutto il percorso è più volte frammentato, interrotto per sottolineare un cam- bio di quota o di direzione o per inquadrare un particolare scorcio del paesaggio. Ogni gesto è misurato, mai fi ne a se stesso, mai esibito. Rispetto al percorso celebrativo del vicino Sacrario Militare5, questo è un percorso intimo e silenzioso che narra le vicende senza retorica. (V. R.)

Note

1 Giuseppe Taff arel è stato un regista, attore e sceneggiatore italiano che ha par-

tecipato attivamente alla Resistenza. Particolarmente legato alla sua terra d’origi- ne, le montagne delle Prealpi venete, dedica ad essa molti dei suoi documentari, tra i quali quello citato del 1966 dal titolo Montegrappa 1944.

2 Cfr. Sonia Residori, Il massacro del Grappa, Vittime e carnefi ci del rastrellamento,

Cierre edizioni, Verona 2007.

3 Il Sacrario di Cima Grappa è costituito da una serie di gradoni semicircolari che

si sviluppano sul pendio e che ospitano le salme dei caduti all’interno di diver- se tipologie di loculi. Il modello a colombario insieme all’uso di materiali come la pietra bianca e il bronzo richiamano la classicità romana, molto amata dalla committenza fascista.

4 Il verso è tratto dalla poesia Ormai, contenuta nella raccolta Dietro il paesaggio

pubblicata nel 1951 comprendente liriche composte tra il 1940 e il 1948. In que- sta raccolta il poeta tenta di eliminare qualunque elemento storico ed esisten- ziale, per lasciare la scena al vero protagonista: il paesaggio. “Volevo solo parlare di paesaggi”, confessava il poeta nel 1981, “ritornare a una natura in cui l’uomo non avesse operato. Era un rifl esso psicologico alle devastazioni della guerra. Non avrei potuto più guardare le colline che mi erano familiari come qualcosa di bello e di dolce, sapendo che là erano stati massacrati tanti ragazzi innocenti”.

5 Paola Sozzi, Spazio, memoria e ideologia. Analisi semiotica del Sacrario Monu-

mentale di Cima Grappa, in «E/C », rivista on-line dell’Associazione Italiana Studi Semiotici, 30 Novembre 2012.

159 Il percorso nella spirale (foto di Armando Romeo Tomagra).

Memoriale per gli italiani caduti nei campi di sterminio nazisti

Nel documento La costruzione della memoria (pagine 76-80)