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Memoriale di Gusen Mauthausen

Nel documento La costruzione della memoria (pagine 71-76)

BBPR (Luigi Banfi , Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers)

1967

“Gropius e il Bauhaus, Wright e Le Corbusier, Kokoschka e Picasso, anche i soli nomi per chi ancora non li conosceva tra i giovani e im- parava a ricordarli, furono nomi di battaglia, nomi di un’età passata e futura. E nella nostra stessa memoria l’impressionismo faceva le sue feste, il quarantotto le sue barricate e i sui manifesti, così come l’espressionismo, attraverso il teatro e la pittura, segnava di una nuova civiltà, la crisi stessa dell’Europa dei dopoguerra.

Gli amici che abbiamo per sempre perduto, Banfi , Giolli, Labò, Paga- no erano nati in questa Europa illuminata: sono morti in una Euro- pa oscura, uccisi dai nazisti persecutori di quell’arte e di quella vita in cui essi fermamente credevano”1.

Con queste parole, nel 1946 Alfonso Gatto ricorda sulle pagine di «Domus» gli Amici perduti. Quegli amici che insieme a mol- ti altri vissero il triste destino della deportazione nel campo di concentramento di Gusen. Qui Banfi e Giolli trovarono la morte; Belgiojoso e Carpi riuscirono a salvarsi diventando testimoni di orrende barbarie.

Il campo di sterminino di Gusen era un lager satellite di Mau- thausen, che dopo il 1945 fu lasciato in uno stato di totale abban- dono. La popolazione smantellò via via gli edifici per utilizzarne il legname e la pietra come materiale da costruzione, conservando soltanto il forno crematorio.

Nel 1960, prima che sull’ex-campo iniziasse incomprensibilmente una intensa opera di urbanizzazione, il terreno è comprato da un gruppo di ex internati italiani con l’intento di costruirvi un memo- riale. L’incarico è affi dato al gruppo BBPR, e sarà soprattutto Lodovi-

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co Belgiojoso a occuparsene.

Il progetto è un viaggio interiore nel quale ci guidano i disegni e gli scritti di Belgiojoso che, ancora detenuto nel 1945, annotava: “Ma ho potuto pensare una casa / in cima a uno scoglio sul mare / proporzionata come un tempio antico./ Sono felice: non mi avrete”2. L’impianto è formato da un grande recinto in calcestruzzo, che se- para il memoriale da tutto il resto. Il percorso è un labirinto formato da muri di crescente altezza, in cui il visitatore, come in un rito di purifi cazione o iniziazione, raggiunge gradualmente il luogo più sacro: il crematorio. Il forno è inglobato in una teca in calcestruzzo armato, cubo di cemento grezzo proporzionato come un tempio antico e inciso da una fi la orizzontale di fi nestre quadrate poste in prossimità della base.

La solidità del cemento diventa simbolo di protezione dell’unico brandello rimasto di memoria, che va custodita con cura perché, scrive Rogers, “conferisce alle cose dello spazio la misura del tem- po: di tutto quel tempo che è prima di noi. Ma è il tempo di co- loro che ci hanno preceduti e, in gran parte, è il tempo dei morti, riuniti in consorzio per ammonirci di essere vivi, come essi sono stati nel loro momento”3.

A differenza dei memoriali di Auschwitz e di Carpi, quello di Gu- sen non realizza un percorso narrativo, ma dà forma a un viaggio rituale, silenzioso e introspettivo, che si svolge entro i muri severi di uno spazio sacro. Il percorso è labirintico, metafora del viaggio non lineare verso la consapevolezza, secondo uno schema che ri- chiama la tradizione classica. Come al centro del labirinto di Cnos- so si trova il Minotauro, simbolo dell’irrazionalità e del sacrificio umano, così a Gusen il centro coincide col crematorio.

Il tema del labirinto, ricorrente nei progetti dei BBPR, è ogni vol- ta diversamente declinato: classico e bidimensionale a Gusen, ad Auschwitz diventa una spirale nello spazio, vortice dinamico più vicino alla poetica futurista di Balla.

Nel progetto il crematorio è ‘la casa della memoria’. Lo si può pen- sare come un tempio civile che trasforma il luogo del martiryum in pietra tombale, risarcendo ogni singolo individuo, qui perduto,

145 Vista dell’ingresso.

di quella che Hanna Arendt defi nisce una sottrazione della morte. “Rendendo anonima persino la morte, i lager la spogliavano del suo signifi cato di fi ne di una vita compiuta. In un certo senso, essi sottra- evano all’individuo la sua morte, dimostrando che a partire da quel momento, niente più gli apparteneva ed egli non apparteneva più a nessuno. La sua morte non faceva altro che suggellare il fatto che egli non era realmente esistito”4.

(G. C.)

Note

1 Alfonso Gatto, Scritti di Architettura, Nino Aragno Editore, Torino 2010, p. 169. 2 Marzia Ratti (a cura di), Non mi avrete. Disegni da Mauthasen e Gusen. La te-

stimonianza di Germano Facetti e Ludovico Belgiojoso, Silvana Editoriale, Milano 2006, p. 65.

3 Ernesto N. Rogers, Invenzione e Memoria, in Cesare de Seta (a cura di), Ernesto

N. Rogers. Gli elementi del fenomeno architettonico, Cristian Marinotti Edizioni, Milano 2006, p. 73.

4 Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino 2009 [1 ed. 1951],

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Memoriale ai caduti di Sabbiuno

Sabbiuno, Paderno (BO)

Gruppo Architetti Urbanisti “Città Nuova” (Umberto Maccaferri, Gian Paolo Maz- zucato, Letizia Gelli Mazzucato)

1973

“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, an- date lì o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”1. In prossimità del monumento ai caduti di Sabbiuno riecheggia da un vecchio mangianastri il famoso discorso sulla Costituzione pronun- ciato da Piero Calamandrei nel 1955. Le sue parole sono parte inte- grante di questo monumento, eretto nel 1973 ad opera del Gruppo Architetti Urbanisti “Città Nuova” su commissione dell’ANPI.

In ricordo dei 100 partigiani fucilati a Sabbiuno tra il 14 e 23 di- cembre 1944, viene realizzato un percorso scandito in tappe, cia- scuna contrassegnata da elementi diversi che raccontano l’ultimo viaggio dei condannati: una fi la di pietre, un muro curvilineo, il fi lo spinato, una croce bianca.

Una fi la di 53 pietre, tante quanti i nomi delle vittime note, più una ulteriore pietra collettiva per i dispersi, segue l’andamento del crinale a partire dal casolare dove furono detenuti i prigionieri. La linea for- mata dalle pietre termina con un muro curvo, in cemento, rivolto verso il declivio. Il muro rappresenta, in modo fi n troppo diretto, il luogo dell’esecuzione, lo schieramento dei soldati tedeschi pronti a sparare. Da una serie di feritoie spuntano infatti i calchi in ferro fuso delle mi- tragliatrici, all’altezza giusta per il tiro; a indicare la direzione dei colpi vengono inseriti dei fari puntiformi al di sotto di ciascuna arma2. Lungo il declivio, spire di fi lo spinato tinto di rosso evocano il ro- tolamento dei corpi insanguinati senza vita e, in fondo alla corsa,

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una croce bianca segna quello che in poco tempo divenne un Gol- gota fatto di corpi ammassati.

Costituito da tanti ‘oggetti’, momenti diversi, questo monumento è un’opera in bilico fra architettura, istallazione e sistemazione pae- saggistica. Forse è il suo carattere dichiaratamente corale a deter- minare questa ambiguità, che è anche alla base del suo interesse. “Questo monumento non è calato dall’alto, è un’opera collettiva”, si legge nella relazione di progetto, “è cominciato a nascere quando è caduto proprio in questo luogo il primo ucciso, è continuato a nascere per cento volte”3. Trasformando un pezzo di territorio in un racconto scritto nelle pieghe del paesaggio, il monumento costruisce una ‘via crucis’ destinata a imprimersi nella memoria collettiva di una comuni- tà che fu direttamente impegnata nella realizzazione del monumento. “Tutti questi valori”, concludono i progettisti nella relazione, “queste considerazioni, questa partecipazione collettiva, questa realtà colletti- va, hanno determinato questo monumento che non è più un monu- mento perché nessuna cosa conclusa poteva contenere tanta ricchez- za umana. Il monumento ora è aperto, non c’è più, e resta invece il vero monumento: il territorio e la partecipazione umana”4.

Il progetto nasce come segno nel territorio e fi nisce per essere siste- ma da cui osservare il paesaggio.

(L. C.)

Note

1 Piero Calamandrei, Discorso ai giovani sulla Costituzione nata dalla Resistenza,

Milano, 26 gennaio 1955.

2 Si veda il video a cura di Voli group (interviste: Andrea Garreff a, riprese e montag-

gio: Massimiliano Bartoloni), Letizia Gelli Mazzucato - Come si articola il monumen- to ai caduti di Sabbiuno?, https://www.youtube.com/watch?v=kz_yo0FIqEE.

3 Citato in Luciano Galmozzi (a cura di), Monumenti alla libertà: antifascismo,

resistenza e pace nei monumenti italiani dal 1945 al 1985, Edizioni La pietra, Milano, 1986, p. 145.

4 Ibidem, p. 146.

Immagine precedente: vista del muro rivolto verso la valle (foto di Lidia Sasdelli © 2016). In questa pagina: planimetria e prospetto, Archivio Letizia Gelli Mazzucato.

151 Vista della fenditura nel paesaggio (foto di Isabella Balena).

Monumento alla Resistenza partigiana

Nel documento La costruzione della memoria (pagine 71-76)