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108 109cfr Marina Sommella Grossi, Monumento a Roberto Sarfatti sul Col d’Echele, in

Nel documento La costruzione della memoria (pagine 55-60)

La porta e la soglia

108 109cfr Marina Sommella Grossi, Monumento a Roberto Sarfatti sul Col d’Echele, in

Jeff rey T. Schnapp (a cura di), In cima. Giuseppe Terragni per Margherita Sarfatti. Architetture della memoria nel ‘900, Marsilio Editori, Venezia 2004, pp. 91-112.

22 Paolo Zermani, Cappella-monumento sull’ex-muro di Berlino, in Fabio Capanni

(a cura di), Paolo Zermani. Costruzioni e progetti, Electa, Milano 1999, pp. 72-77. 23 Per un approfondito studio sulle rovine e il paesaggio, cfr. Tessa Matteini, Pae-

saggi nel tempo: documenti archeologici e rovine artifi ciali nel disegno di giardini e paesaggi, Alinea, Firenze 2009.

24 Marguerite Yourcenair, Il Tempo, grande scultore, Einaudi, Torino 1994 [1 ed.

1983], p. 52.

25 Georg Simmel, La rovina, in Monica Sassatelli (a cura di), Saggi sul paesaggio,

Armando editore, Roma 2006, p. 76. Il saggio è edito per la prima volta nel 1911.

26 Sigmund Freud, Il disagio della civiltà, in Idem, Opere, Boringhieri, Torino 1978,

vol. 10, pp. 557-630.

27 Cfr. Claude Lévi-Strauss, Tristi tropici, il Saggiatore, Milano 1994 [1 ed. 1955]. 28 Marc Augé, Rovine e macerie, Bollati Boringhieri, Torino 2004, [1 ed. 2003], p. 37. 29 Salvatore Settis, Futuro del classico, Einaudi, Milano 2004, pp. 82-94.

30 Mies van der Rohe, lettera a Donald Drew Egbert, 6 febbraio 1951, citata da Je-

an-Louis Cohen, Ludwig Mies van der Rohe, Laterza, Bari 2007 [1 ed. 1994], p. 38.

31 Citazione di una conferenza datata 17 marzo 1926 e citata da Jean-Louis Co-

hen, Ludwig Mies van der Rohe, cit., p. 40.

32 Per un’analisi dettagliata del monumento cfr. Isotta Cortesi, Edvard Ravnikar,

Memorial di Kampor, in «Area», n. 56, 2001, pp. 6-17, e Filippo Bricolo, Edvard Ravnikar, il memoriale di Kampor. La grammatica della memoria, in Luciano Se- merani (a cura di), Memoria Ascesi Rivoluzione. Studi sulla rappresentazione sim- bolica in architettura, Marsilio, Venezia 2006.

33 La citazione di Louis Kahn si trova in David B. Brownlee, David G. De Long, Louis

I. Kahn, Rizzoli, Milano 1995 [1 ed. 1991], p. 137.

34 Tra le motivazioni c’è l’involontario riferimento alla gravidanza nella numerologia

ebraica, considerato poco appropriato alla circostanza. Per le vicende del progetto si veda Susan G. Solomon, Monumento commemorativo per i sei milioni di martiri ebrei, in David B. Brownlee, David G. De Long, Louis I. Kahn, cit., pp. 400-403.

35 Louis Kahn, Monumentalità, in Maria Bonaiti, Architettura è. Louis I. Kahn, gli

scritti, Electa, Mondadori, Milano 2015 [1 ed. 2002], pp. 56-63.

36 Al momento dell’aggiudicazione del concorso di progettazione per il memo-

riale, Maya Lin è una studentessa di Yale. Per una lettura critica del progetto cfr. Art Busse, River of tears: Maya Lin’s Vietnam Veterans Memorial, in «Architects› Journal», Nov. 22, 2013, pp. 36-37; Vincent Scully, The terrible art of designing a war memorial (Vietnam Veterans Memorial), in «The New York Times», July 14, 1991, Vol.140, p. H28(N).

37 Mircea Eliade, Immagini e simboli. Saggi sul simbolismo magico-religioso, cit., p. 21.

38 Cfr. Jean Chevalier, Dizionario dei simboli, cit.

39 È Paolo Zermani a sottolineare l’antimonumentalismo della composizione, in

Paolo Zermani, Ignazio Gardella, cit., pp. 17-18.

40 Cfr. Serena Maffi oletti, BBPR, Zanichelli, Bologna 1994, p. 134.

41 Christian Norberg-Schulz, La Tomba Galli, in Francesco Dal Co-Giovanni Maz-

zariol, Carlo Scarpa, Electa, Milano 1984, p. 178.

42 René Guénon, Il simbolismo della croce, Rusconi Editore, Milano 1973 [1 ed.

1931], p. 33.

43 Ibidem, pp. 207-230. 44 Ibidem, p. 16.

45 Cfr. Umberto Galimberti, La terra senza il male, vol. VI, Feltrinelli, Milano 2012

[1 ed. 1984], parte prima, cap. 14, edizione digitale.

46 Cfr. Jean Chevalier, Dizionario dei simboli, cit.

47 Mircea Eliade, Mefi stofele e l’androgine, Edizioni Mediterranee, 1995, p. 73. 48 Károly Kerényi, Nel labirinto, Bollati Boringhieri, Torino 1983 [1 ed. 1950], p. 33. 49 Si fa qui riferimento al concetto della mètis greca la capacità di aderire alla re-

altà in maniera duttile che consente la vittoria là dove nessuna soluzione sarebbe possibile all’intelletto comune.

50 Carl Gustav Jung, Gli archetipi e l’inconscio collettivo, cit., p. 83. 51 Ibidem.

52 Mircea Eliade, La prova del labirinto. Intervista con C. H. Rouchet, Jaca Book,

Milano 2002 [1 ed. 1979], p. 170.

53 Giuseppe Terragni, Relazione sul Danteum, manoscritto del 1938, citato in Tho-

mas L. Schumacher, Terragni e il Danteum, Offi cina Edizioni, Roma 1983, p. 139.

54 Mircea Eliade, La prova del labirinto, cit., p. 140.

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Luoghi

È noto che esiste un legame inscindibile fra la memoria e lo spazio. Da un lato la memoria necessita dello spazio per strutturarsi e fi ssarsi, dall’altro lo spazio alimenta la memoria in quanto deposito di tracce. In questo senso il monumento architettonico dà ‘luogo’ alla memoria, ovvero la accoglie, la nutre e la protegge; ma anche la suscita e la tra- smette. “Il nocciolo dell’ars memorativa sono le imagines”, ci ricorda Aleida Assmann, “che codifi cano i dati mnestici in forma di immagini signifi cative, e i loci, che ordinano queste immagini all’interno di uno spazio strutturato in una posizione specifi ca. Tra la rappresentazione della memoria secondo questa qualità topografi ca e come complesso architettonico il passo è breve: è il passaggio dallo spazio come me- diatore della mnemotecnica all’edifi cio come simbolo della memoria”1. L’architettura è sempre l’esito di un processo di astrazione volto a tra- durre la realtà (sia essa tangibile o intangibile) in ‘fi gure’ plasmate dalla geometria. Per questo motivo lo spazio che tali fi gure defi nisco- no possiede qualità più evocative che narrative, anche quando esso è costruito con intenti allegorici. Sebbene, dunque, un’architettura commemorativa sia sempre ascrivibile a specifi che motivazioni e la sua immagine legata a uno stile che ci parla del contesto storico- culturale di provenienza, lo spazio del monumento (inteso sia come contenuto sia come luogo modifi cato dalla sua presenza), proprio perché prodotto di un linguaggio astratto, possiede una feconda ambivalenza che consiste nel contenere il particolare e sottendere il generale, nell’essere defi nito sul piano semantico e aperto a nuovi signifi cati, nel rappresentare la Storia e alludere al Tempo, nel rac- chiudere il passato e restituirlo al futuro.

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Esempi di questa ‘apertura’ di senso sono le piramidi di Giza. A mi- gliaia di anni dalla loro edifi cazione, questi tumuli ciclopici che na- scono dal deserto come dune pietrifi cate, sono ancora oggi cariche di signifi cato in quanto testimonianza di una civiltà scomparsa, per il valore intrinseco dell’opera e come espressione simbolica del- la trascendenza. Le piramidi comunicano qualcosa che va oltre lo stereotipo prodotto dall’industria turistica e il dato contingente di una morte regale avvenuta in un’epoca lontana: rappresentano un istante promosso a eternità; e sebbene di quell’istante possiamo capire ben poco per la distanza culturale che ci separa, oggi siamo in grado di riattualizzarlo adattandolo al nostro sentire, qualunque esso sia. “Al loro cospetto si è indotti al silenzio”2, nota Louis Kahn. A ben vedere monumento e memoria, oltre a essere interdipen- denti, possono essere considerati aspetti diversi dello stesso pro- cesso di elaborazione del passato, che agiscono con criteri analoghi e si strutturano mediante la stessa sostanza: lo spazio. Ricorrendo alle categorie utilizzate da Henri Bergson in Materia e memoria3, si può aff ermare che se la memoria rappresenta l’aspetto ‘spirituale’ di questa elaborazione, il monumento ne rappresenta la trasposizione materiale, ancorché informata dallo ‘spirito’.

Quando la sede del monumento coincide col luogo della vicenda che si vuole commemorare4, si verifi ca una particolare concentra- zione di senso, di cui si avvantaggia le memoria stessa.

Nelle Affi nità elettive, Goethe contrappone Carlotta agli abitanti del villaggio nella discussione in merito alla collocazione delle lapidi del piccolo cimitero che lei stessa si è presa l’onere di sistemare. Carlotta vorrebbe rimuoverle e costruire, in loro vece, un monumento col- lettivo situato in un’altra sede, ma “alcuni s’erano subito lagnati che in questo modo il luogo dove riposavano i loro morti non fosse più indicato, e così ne fosse cancellata anche la memoria: le lapidi messe al riparo portavano sì il nome, ma non dicevano dove il defunto gia-

cesse, e proprio questo ‘dove’ era l’importante, sostenevano molti”5.

Il ‘dove’ è una questione primaria, che attiene alla possibilità di ricor- dare, di attivare il riconoscimento e di consolidare così la memoria:

sui luoghi si torna per questo motivo. Ma affi nché tale processo si

inneschi, il luogo deve anche subire una trasformazione, essere con- trassegnato ma non museifi cato. Non vi si torna infatti “per sapere,

ma per sentire, per l’esperienza più che per la conoscenza”6. In questo

senso il monumento può farsi segno, testimonianza, scoria che si deposita nelle pieghe del paesaggio, partecipe di quella costruzione che Eugenio Turri defi nisce ‘teatro’ dell’uomo. Teatro dove si agisce e si guarda allo stesso tempo e l’una azione implica l’altra, perché “sol- tanto in quanto spettatore egli [l’uomo] può trovare la misura del suo operare, del suo recitare, del suo essere attore che trasforma e attiva nuovi scenari: cioè il rispecchiamento di sé, la coscienza del proprio

agire”7. Non è quindi il solo guardare a permettere tale rispecchia-

mento, ma anche l’agire, il trasformare.

Il monumento in situ, mediatore tra la vicenda, lo spazio che l’ha ac-

colta e il tempo attuale,si fa garante di questo processo di teatralizza-

zione del luogo, che può vedere così amplifi cata, per intensità e durata, la sua forza evocativa e simbolica. Al contrario, i luoghi che si presu- me di mantenere inalterati cristallizzandone l’immagine al momen-

to dell’accaduto, rischiano di venire dissimulati o banalizzati8, perché

ridotti a vuota scenografi a, a sterile fi nzione. Ciò che in questi luoghi viene meno è la possibilità di rientrare in loro possesso, di integrarli nel ‘teatro’ dello sguardo e dell’azione, non per snaturarli o tantomeno cancellarli, ma per poterne, al contrario, percepire la forza evocativa. È accaduto talvolta che i sopravvissuti ai lager abbiano manifestato il proprio disagio tornando in visita sui luoghi della prigionia, che si presentano ora asettici, con le baracche ripulite e tutti gli ambien- ti privi di tracce autentiche di soff erenza, perciò assolutamente in- capaci di esprimere l’immensa tragedia di una umanità martoriata.

Nell’esordio di Necropoli Boris Pahor scrive: “Lo ammetto, non riesco

ad accettare fi no in fondo l’idea che questo posto di montagna, cardi- ne del mio mondo interiore, sia visitabile da chiunque; e soff ro anche un po’ di gelosia: non soltanto perché oggi occhi estranei percorrono uno scenario che fu testimone della nostra anonima prigionia, ma anche perché questi sguardi curiosi (ne sono assolutamente certo) non potranno mai penetrare nell’abisso di abiezione in cui fu gettata la nostra fi ducia nella dignità umana e nella libertà personale”9. In

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ausilio a una debole immaginazione, Pahor invoca “le vie del cuore”.

Per realizzare l’autenticità serve, dunque, una trasformazione che ren- da manifesta la distanza fra il luogo di ‘allora’ e il tempo di ‘ora’, poi- ché ogni tentativo di riconciliare le due parti della frattura (il passato e il presente) risulta ingannevole. Nell’assumersi questo compito il monumento (purché non ambisca ad essere museo) svolge un lavoro analogo a quello della memoria: interpreta la realtà oggettiva (il luo- go e la vicenda) e costruisce, a partire da questa, un ordine modifi ca- to, fatto di quelle elisioni e trasfi gurazioni necessarie a far riemergere e consolidare dei signifi cati trasmissibili, funzionali alla permanenza del ricordo e alla sua utilità sociale. In altre parole, il monumento può off rire un’esperienza di elaborazione e di superamento del passato in virtù del suo farsi topografi a sovrapposta all’esistente, consenten-

do alla memoria di fi ssarsi in immagini mediate10, non banalmente

esplicite. Il luogo modifi cato dal monumento risulta quindi più lon-

tano, meno aff errabile, straniato, ma questo allontanamento lo rende più prossimo alla verità: “auratico”, per dirla con Walter Benjamin11. Per chiarire ulteriormente l’importanza della mediazione operata dall’architettura del monumento si pensi, per contrasto, alla funzione svolta dalle fotografi e. Esse ci consegnano, qual era, una realtà per- duta e, benché sia questo il loro fascino, inevitabilmente “parlano di morte: non fanno resuscitare i paesaggi, gli sguardi, gli oggetti, anzi, li fanno morire nuovamente “12. In quanto documenti, ci forniscono dati, informazioni utili sul piano storiografi co, ma la loro ‘immedia- tezza’ le rende estranee all’esperienza, che consiste invece nell’ela- borazione e nel lento deposito di quei dati13. Il limite sta anche nella loro ridondanza: “a partire da una determinata soglia”, nota infatti Joël Candau, “la densifi cazione della memoria iconica rende più diffi cile lo sviluppo della memoria semantica”14.

Solo dotandosi di puro senso il monumento può assicurare al luogo del ricordo una condizione di nodo fra passato e presente, assimilan- dolo a un luogo sacro dal quale ci si possa attendere una rivelazione. Per James Hillman i luoghi hanno un’anima, e quest’anima è la me- moria. Per evocarla è necessario compiere alcune azioni, quasi gesti rituali: “ricordare il sangue che scorre nel terreno”, segnare i confi ni tra

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sacro e profano, radunare signifi cati, affi darsi ai simboli e ai lacerti del passato, infi ne riuscire a vedere l’invisibile. Quest’ultimo è, secondo Hillman, “l’aspetto più importante della formazione di un architetto: il risveglio della risposta estetica, il risvegliarsi dall’anestesia. Tornare all’animismo, al paganesimo. Si diventa pagani come i Celti, gli In- diani, perché ci si accorge che tutto è vivo”15. Da queste azioni rituali emerge l’ordine nascosto delle cose, sul quale può strutturarsi a sua volta il ‘rito’ della memoria; del resto ‘ordine’ e ‘rito’, ci ricorda Guénon, sono reciprocamente legati anche sul piano linguistico16.

In questo modo i luoghi possono manifestarsi come svelamento del- le vicende trascorse, e il loro racconto, fatto di frammenti riemersi, suscitare immagini che rivelino e trasmettano ciò che i concetti non possono comunicare. Sono i luoghi, dunque, a suggerire le immagi- ni, ma essi ‘rispondono’ solo entro una trama aperta, non coercitiva, disponibile a farsi esplorare secondo percorsi spontanei non conven- zionali. In questa libertà di movimento risiede il valore della memoria operante e il cuore dell’esperienza.

Per assonanza coi miti di fondazione antichi, l’immagine del sangue che scorre nel terreno ci ricorda inoltre che la costruzione di un monu- mento è prima di tutto un atto fondativo, volto a estendere la memoria individuale nella memoria collettiva e a costruire una nuova identità di gruppo sulle ceneri di un passato per lo più violento. Il monumen- to in situ si fonda letteralmente sulle vicende trascorse, e dal sorgere (o emergere) da un terreno insanguinato trae il suo carico simbolico: nell’essere vincolo fra la storia e il luogo nel quale il gruppo si identifi ca, esso rappresenta un punto di riferimento territoriale e identitario. Al pari della memoria, la sua funzione è quella di evocare i fantasmi della storia per trasformarli in un mito funzionale alla costruzione del presente e del futuro. Il monumento è, anche da questa prospettiva, uno spazio liminare nel quale avviene lo scambio fra il trascorso e l’avvenire; li connette l’uno all’altro, esercitando una mediazione ‘te- rapeutica’ che consente di voltare pagina17. Senza dimenticare, ma prendendo serenamente congedo dai traumi del passato.

Note

1 Aleida Assmann, Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, il

Mulino, Bologna 2002 [1 ed. 1999], p. 175.

2 Louis I. Kahn, Architettura: silenzio e luce, in Maria Bonaiti, Architettura è. Louis

I. Kahn, gli scritti, Electa, Milano 2015 [1 ed. 2002], p. 134.

3 Il lavoro di Bergson consiste nel trovare un punto di contatto tra due posizioni

storicamente opposte che identifi cano la memoria o con la materia o con lo spirito. Per Bergson la memoria è puro spirito, ma il cervello (materia) dona al ricordo “presa sul presente”. Henri Bergson, Materia e memoria, Laterza, Bari- Roma 2016 [1 ed. 1896].

4 I luoghi teatro di eccidi sono generalmente defi niti “luoghi del trauma”. 5 Johann Wolfgang Goethe, Le affi nità elettive, Garzanti, Milano 1988 [1 ed.

1809], p. 142.

6 Patrizia Violi, Paesaggi della memoria. Il trauma, lo spazio, la storia, Bompiani,

Milano 2014, p. 89.

7 Eugenio Turri, Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio

rappresentato, Marsilio Editori, Venezia 1998, p. 16.

8 Aleida Assmann, Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, cit., p. 375. 9 Boris Pahor, Necropoli, Fazi Editore, Roma 2008 [1 ed. 1997], pp. 25-26.

10 Secondo Jan Assmann “le idee devono diventare materialmente sensibili

prima di trovare accoglienza nella memoria come suoi oggetti. In questo modo si ottiene una fusione indissolubile fra concetto e ‘immagine’”. Jan Assmann, La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Einaudi, Torino 1997 [1 ed. 1991], p. 13.

11 Cfr. Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica,

Einaudi, Torino 2011 [1 ed. 1936], p. 8.

12 Eugenio Turri, Il paesaggio e il silenzio, Marsilio Editori, Venezia 2004, p. 148. 13 Cfr. Paolo Jedlowski, Il sapere dell’esperienza, Il Saggiatore, Milano 1994, p. 112. 14 Joël Candau, La memoria e l’identità, Ipermedium, Napoli 2002 [1 ed. 1998], p. 143. 15 James Hillman, Carlo Truppi, L’anima dei luoghi. Conversazione con Carlo Truppi,

Rizzoli, Milano 2004, pp. 103-104.

16 In sanscrito ‘ordine’ è ‘rita’. Réne Guénon, Il regno della quantità e i segni dei

tempi, Adelphi, Milano 1982 [1 ed. 1945], p. 23.

17 Cfr. Paul Ricoeur, Ricordare, dimenticare, perdonare, il Mulino, Bologna 2001

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Nel documento La costruzione della memoria (pagine 55-60)