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1. Definizione

1.2. Base neurobiologica

La definizione di cui sopra, inoltre, evidenzia le basi neurali del deficit, superando la dicitura di “origine costituzionale” di quella uscita nel 1995. I principali risultati provenienti dagli studi di brain-imaging sembrano dare

evidenza dell’esistenza di basi biologiche neurali nella DE. Eliez, Rumsey, Giedd, Schmitt, Patwardhan e Reiss (2000) hanno rilevato che il lobo temporale sinistro è significativamente ridotto in misura negli adulti dislessici valutati, a causa di una riduzione del contenuto della materia grigia. Inoltre la maggior parte degli studi in questo settore hanno rilevato un’ ipo-attivazione della regione temporale posteriore sinistra (Brunswick, McCrory, Price, Frith, & Frith, 1999; McCrory, Mechelli, Frith, & Price, 2005). Tale fenomeno è stato osservato non solamente nell’adulto, ma anche in bambini dagli 8 ai 12 anni, dove la sua ampiezza sembra predire la severità dei deficit in lettura. Un’altra anomalia evidenziata è quella di una riduzione volumetrica delle aree frontali e cerebellari di soggetti dislessici (Eckert, Leonard, Richards, Aylward, Thomson, & Berninger, 2003) e quella di un’ ipo-attivazione della corteccia frontale inferiore sinistra (la cosiddetta regione di Broca) di dislessici durante compiti di lettura o fonologici (Georgiewa et al., 1999). Sembrerebbe che, per compensare l’attività troppo debole delle regioni posteriori deputate alla decodifica, il cervello intraprenda un tentativo di lettura volontaria e non automatizzato, controllata e cosciente, sebbene a volte infruttuosa (Dehaene, 2007).

Studi di brain imaging, hanno evidenziato pattern specifici di attivazione neuronale in lettori dislessici. Per esempio, durante l’esecuzione di compiti fonologici (come compiti di rima e di memoria verbale) è stato evidenziato un funzionamento anormale nelle aree linguistiche di Wernicke e Broca (per una trattazione vedi Habib, 2000; Paulesu, Frith, Snowling, Gallagher, Morton, & Frackowiak, 1996); queste zone sono altamente specializzate per l’analisi fonologica e la sua trasformazione. Inoltre, il giro angolare, la parte del cervello che sembrerebbe essere deputata al linguaggio scritto e all’integrazione delle informazioni uditive, visive e tattili, è risultata essere meno attivata nei soggetti dislessici.

Una conclusione comune agli studi sul processamento fonologico è che, in soggetti dislessici, i processi di segmentazione e assemblaggio falliscono nell’attivare il cervello interamente in maniera normale ed efficiente. Il problema

chiaramente persiste anche in soggetti dislessici “compensati” che hanno manifestato difficoltà nell’infanzia e che procedono negli studi (Lishman, 2006).

Esaminando le immagini cerebrali presenti negli studi di Paulesu et al. (2001) che mettono in evidenza una profonda disorganizzazione corticale nei dislessici, si può notare come vi siano almeno due regioni ipo-attivate : la corteccia temporale laterale, deputata anche all’elaborazione del linguaggio orale, e una regione temporale inferiore che appartiene alla via visiva ventrale. Tali considerazioni hanno condotto Dehaene (2007) a ipotizzare che la prima ipo-attivazione rappresenti la causa della dislessia, mentre la seconda ne sia una conseguenza. Un’anomalia precoce nello sviluppo di questi circuiti neurali potrebbe spiegare i deficit fonologici osservati nei dislessici. Queste difficoltà fonologiche, a loro volta, impedirebbero alla regione occipito-temporo ventrale di acquisire l’expertise o l’accesso globale alla parola, da cui la seconda ipo- attivazione a questo livello.

Inoltre, l’analisi della sequenza temporale delle attivazioni cerebrali nei dislessici potrebbe essere interpretata come sostegno all’ipotesi del doppio deficit. Tramite la tecnica della magnetoencefalografia, che misura il decorso temporale dei campi magnetici evocati al momento dell’attivazione della corteccia, sono state evidenziate delle tipologie di anomalie successive che si svolgono durante il processo di riconoscimento delle parole. Per esempio, Helenius, Tarkiainen, Cornelissen, Hansen e Salmelin (1999) hanno mostrato come, seguendo gli stadi visivi, i dislessici non manifestino l’attivazione occipito-temporale sinistra che emerge normalmente verso i 150/200 millisecondi e che costituisce il riconoscimento della stringa di caratteri. Sembrerebbe quasi che tale regione non abbia acquisito la capacità di riconoscere, in parallelo, l’insieme delle lettere di una parola, che spiegherebbe la presenza, in alcuni soggetti dislessici, dell’effetto consistente del numero di lettere (lunghezza della parola) sui tempi di lettura (Zoccolotti, De Luca, Di Pace, Gasperini, Judica, & Spinelli, 2005). In secondo luogo, passati i 200 millisecondi, nel momento in cui il lettore normale attiva rapidamente le regioni laterali della corteccia temporale sinistra, nei dislessici l’attività sembrerebbe

debole a sinistra ma molto più intensa nella regione temporo-parietale destra che potrebbe esser interpretata come una strategia di compensazione dell’emisfero destro o l’assenza di accesso rapido alla fonologia delle parole (Simos et al., 2002).

Tale malfunzionamento è stato imputato alla presenza di una disorganizzazione profonda della regione temporale sinistra caratterizzata, in determinate zone, da una maggiore densità neuronale e in altre, anche molto vicine tra loro, in cui essa era troppo ridotta (Paulesu et al., 2001). L’ aumento della materia grigia è stato imputato ad un malfunzionamento, durante il periodo fetale, dei meccanismi di neural pruning, caratterizzato dallo sfoltimento e della migrazione dei neuroni (Galaburda, Sherman, Rosen, Aboitiz, & Geschwind, 1985). Sembrerebbe che il fenomeno della migrazione neuronale sia alterato nei soggetti dislessici. Ciò avrebbe portato alla presenza di neuroni “mal posizionati” (ectopie) che, per ragioni ancora sconosciute, si concentrano principalmente nell’emisfero sinistro, in prossimità delle aree deputate al trattamento del linguaggio orale, ma anche nella regione occipito-temporale sinistra che gioca un ruolo importante nel riconoscimento visivo delle parole. In queste condizioni tali aree non funzionerebbero in maniera ottimale dando origine a deficit fonologici e visivi che sfocerebbero, secondo gli autori, nella dislessia.

Una tale organizzazione sembra coinvolgere anche le connessioni tra la regione temporale sinistra e il resto del cervello, in particolare le regioni frontali (Paulesu et al., 1996).

Come suggerisce Ramus (2004), la variabilità dei sintomi fonologici manifestati dai dislessici, anch’essa considerata alla base delle manifestazioni eterogenee della dislessia, potrebbe riflettere direttamente la variabilità della distribuzione di queste anomalie corticali.

Più di recente, tali anomalie corticali sono state attribuite a cause genetiche. In particolare, il primo gene considerato essere suscettibile alla dislessia è stato il DYX1C1 (sul cromosoma 15), dopo di ché ne sono stati scoperti altri tre: il KIAA0319, il DCDC2 (entrambi sul cromosoma 6) e il ROBO1 sul cromosoma 3. I primi due sembrano deputati alla migrazione neuronale (Galaburda, Lo

Turco, Ramus, Fitch, & Rosen, 2006) mentre del terzo ancora non si è trovata la funzione specifica.