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Uno sguardo critico alle ipotesi presentate

2. Le ipotesi eziologiche

2.6. Uno sguardo critico alle ipotesi presentate

Una delle maggiori critiche rivolte all’ipotesi fonologica è quella che prende in causa la sua incapacità di dare una spiegazione della presenza di deficit sensoriali e motori nei soggetti dislessici (Ramus et al., 2003b). I sostenitori di quest’ipotesi si riferiscono a tali disordini con il termine di marker biologici

(Vellutino et al., 2004) e sottolineano come essi non giochino un ruolo causale importante nell’eziologia del disturbo di lettura.

Il problema maggiore dell’ipotesi del processamento uditivo rapido, invece, è che i deficit sensoriali a livello uditivo non spiegano la difficoltà nel riconoscimento delle parole in modo parsimonioso. Il legame con il processamento fonologico è debole, sebbene vi siano delle evidenze che le difficoltà nella percezione del parlato siano collegate con le abilità di processamento fonologico (Mody et al., 1997).

L’ipotesi del deficit cerebellare fallisce anch’essa nel dare spiegazioni dei deficit sensoriali, ma coloro che la sostengono supportano l’idea di sottotipi distinti di dislessia dovuti a deficit cerebellari o magnocellulari (Fawcett & Nicolson, 2001). Un altro problema relativo a questa teoria è quello che postula un legame causale tra l’articolazione e la fonologia, in una visione ormai datata della “teoria motoria” del linguaggio la quale postula che lo sviluppo delle rappresentazioni fonologiche porrebbe le sue basi nell’articolazione del linguaggio. Questa visione è stata già abbandonata da tempo alla luce di casi di normale sviluppo fonologico in soggetti con disartria o aprassia del linguaggio (Ramus, Pidgeon, & Frith, 2003a). Infine rimane incerta quale sia la proporzione di dislessici con deficit motori: certi studi hanno fallito nel tentativo di trovarne (Kronbichler, Hutzler, & Wimmer, 2002), altri hanno evidenziato la presenza di deficit motori solo in un sottogruppo di dislessici (Ramus et al., 2003a) e da ciò si è concluso che questi tipi di deficit si presentano solo in soggetti dislessici con disordine iperattivo accompagnato da deficit attentivo (ADHD) (Wimmer, Ma yringer, & Raberger, 1999).

La teoria magnocellulare, unica nel dare delle spiegazioni alla maggior parte delle manifestazioni deficitarie dei dislessici e, per questo motivo, molto attraente, ha comunque subito delle forti critiche da parte di molti ricercatori. La principale tra queste è sostenuta da Skoyles e Skottun (2004) i quali hanno affermato che il legame di causa-effetto tra malfunzionamento magnocellulare e dislessia non sia così stretto in quanto esistono più soggetti normo-lettori con deficit al sistema M rispetto a soggetti dislessici; anche ciò porrebbe dei forti

dubbi sulla concezione che la dislessia possa essere spiegata come un deficit a carico del sistema magnocellulare. Altri studi hanno evidenziato la presenza di deficit uditivi in un sottogruppo costituito dal 50% della popolazione studiata (Marshall, Snowling, & Bailey, 2001). Inoltre è stato sottolineato che i deficit uditivi non predicono quelli fonologici (Mody et al., 1997; Marshall et al., 2001). Per quanto riguarda i deficit visivi, anch’essi sono stati trovati solo in un ristretto gruppo di dislessici e, in questo caso, essi sono stati osservati relativamente a stimoli visivi che non sono specificatamente processati dal sistema M (Amitay, Ben-Yehudah, Banai, & Ahissar, 2002; Skottun, 2000).

Sempre Skottun (2005) ha ribadito la differenza che esiste nel considerare il sistema M alla base del processo di lettura rispetto a considerare un deficit dello stesso come causa della dislessia; inoltre ha suggerito che, tutt’ora, non esiste un generale consenso su come dei deficit al sistema magnocellulare possano causare la dislessia (Skottun & Skoyles, 2006).

Riassumendo, secondo Ramus et al. (2003b) l’ipotesi fonologica è debole nello spiegare i deficit sensoriali e motori che si presentano in un gruppo ristretto di dislessici, mentre l’ipotesi magnocellulare non da spiegazioni per quanto riguarda l’assenza di deficit sensoriali e motori, sempre in un sottogruppo significativo di soggetti dislessici. L’ipotesi cerebellare, infine, presenta entrambi i problemi.

Sempre secondo questi autori, è possibile che le tre teorie diano ragione di manifestazioni differenti negli individui. Per esempio, essi propongono l’ipotesi che esistano tre diversi sottotipi di dislessia, ognuno dei quali conferisce un diverso contributo al disturbo: fonologico, uditivo-visivo e cerebellare. Alternativamente essi hanno ipotizzato che solo una teoria rappresenti una valida spiegazione al deficit di lettura e che tutti gli altri disturbi osservati rappresentino dei marker che non ne costituiscono una causa diretta. Per valutare queste possibilità è necessario, secondo gli autori, porsi le seguenti domande: qual è la proporzione di dislessici che manifestano un determinato disturbo? Esistono delle dissociazioni tra certi deficit? Esistono dei deficit associati tra di loro?

A questo proposito Kronbichler et al. (2002) hanno somministrato test fonologici (ripetizione di pseudoparole, compito di detezione delle rime, compito di denominazione rapida ecc.) e test per valutare la percezione illusoria uditiva del movimento, la detezione visiva del movimento coerente e il peg moving task di Annett (1985) (quest’ultimo compito serve per valutare la velocità di processamento). I risultati hanno presentato una differenza significativa tra dislessici e normo-lettori nei test verbali ma nessuna nei compiti uditivi, visivi e motori.

Sempre sulla stessa linea lo studio di Ramus et al. (2003b), precedentemente introdotto, ha valutato le competenze verbali, uditive, visive e cerebellari in un gruppo di dislessici adulti per testare tre teorie della dislessia evolutiva, quella fonologica, quella magnocellulare e quella cerebellare, appunto. I risultati hanno suggerito che il deficit fonologico si presenta in tutti i soggetti dislessici e anche in assenza di qualsiasi altro disordine sensoriale. Gli autori hanno concluso che il deficit fonologico può non essere considerato una causa necessaria della dislessia, data la possibilità di altre cause (rare) indipendenti da esso, ma tale deficit è da considerarsi sufficiente per il manifestarsi delle difficoltà in lettura. Secondo Vellutino et al. (2004), invece, il deficit fonologico è da considerarsi causa sia necessaria che sufficiente della dislessia. Inoltre, i risultati di Ramus et al. (2003b) hanno dimostrato che, comunque, un sottogruppo di dislessici manifesta deficit uditivi, visivi o legati alla percezione del movimento. I deficit visivi possono aggravare il deficit fonologico, con conseguenze sulle performance di lettura. Tuttavia tali deficit uditivi non possono essere collegati all’ipotesi di un deficit nel processamento rapido di stimoli collegato ad un malfunzionamento magnocellulare. Né tanto meno è possibile concludere che la natura del deficit motorio sia da collegare ancora ad un malfunzionamento del sistema M.

Ulteriori considerazioni critiche riguardano la metodologia utilizzata dai sostenitori delle diverse ipotesi eziologiche nell’indagare le cause del disturbo specifico di lettura. Goswami (2003) ha analizzato, da questo punto di vista, quelle che sono considerate le tre principali ipotesi: l’ipotesi fonologica, quella

magnocellulare e quella cerebellare. Seguendo un approccio neurocostruttivista (Karmiloff-Smith, 1998; 2007), secondo cui i primi segnali di deficit cognitivi dovrebbero essere identificati il più precocemente possibile e lo sviluppo dei processi ad alto controllo dovrebbero essere esaminati attraverso studi longitudinali, sono stati individuati tre criteri che possono essere applicati alle differenti ipotesi per valutarne il rigore metodologico:

1. Il primo consiste nello studiare l’evoluzione dei disturbi attraverso studi longitudinali per valutare quanto la variazione naturale dei presunti fattori causali sia predittrice della capacità o del disturbo considerato.

2. In seguito ci si deve porre queste domane: i compiti sperimentali creati differenziano tra comportamenti e processi cognitivi? Sono stati utilizzati appropriati gruppi di controllo? 3. Il terzo criterio sottolinea l’importanza di valutare l’influenza

di fattori ambientali sullo sviluppo di quelli considerati causa del disturbo.

Per poter rispettare i tre criteri, si sottolinea l’importanza di appaiare i soggetti di controllo per QI in modo da minimizzare le differenze nelle abilità cognitive tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo: questo garantisce che le prestazioni valutate attraverso i compiti sperimentali non siano influenzate da più generali capacità cognitive. Di fondamentale importanza risulta anche la selezione di accurati gruppi di controllo per poter generare delle ipotesi causali. Nel caso specifico della dislessia evolutiva, risulta necessario considerare anche un gruppo di controllo di pari età di lettura, oltre a quello di pari età cronologica, con cui confrontare la prestazione dei soggetti dislessici: se il processo cognitivo valutato è da considerare fattore causale esso dovrà manifestarsi in modo differente nei soggetti che sono equiparati ai dislessici per le abilità di lettura e che si trovano nella fase iniziale di acquisizione della lettura; se, invece, i due gruppi rivelano una prestazione simile, si può ipotizzare che nei confronti di questo processo cognitivo i dislessici manifestano un ritardo. Questa concezione

è conseguente a quella che ipotizza che la dislessia sia un vero e proprio disturbo e non un ritardo.

Dall’analisi effettuata sembrerebbe che solamente l’ipotesi del deficit fonologico scaturito da compromissioni nel processamento uditivo soddisfi appieno i criteri suggeriti dall’approccio neurocostruttivista garantendo, in tal modo, la legittimità di generare ipotesi causali (Goswami, 2003). A tale proposito, viene auspicato l’utilizzo di gruppi di controllo appaiati ai dislessici per età di lettura anche nello studio dei deficit visivi.

Concludendo, rimane ancora da chiarire quale sia il legame tra deficit nel processamento di stimoli uditivi e disordini fonologici e persiste ancora la controversia tra chi sostiene che l’unica causa della dislessia sia da imputare ad un deficit fonologico e chi sostiene, invece, la presenza di altre cause che, sebbene risultino rare, hanno il loro peso nell’insorgenza di tale deficit.