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L’ipotesi visiva o magnocellulare

2. Le ipotesi eziologiche

2.5. L’ipotesi visiva o magnocellulare

Diverse evidenze empiriche hanno messo in luce la presenza di disturbi visivi in un sottogruppo ristretto di dislessici (Atkinson, 1991; Boden & Giaschi, 2007 per una review; Ramus, 2004; Ramus et al., 2003b; Shovman & Ahissar, 2006; Spinelli et al., 2002; Stein, 2001; Stein & Walsh, 1997). Alcuni dislessici riportano sintomi visivi quali, per esempio, lettere che ballano, linee distorte e testi offuscati (Shovman & Ahissar, 2006; Stein & Walsh, 1997); alcuni tipici errori di lettura quali l’inversione di lettere (leggere “b” invece di “d”) o il salto di riga sono stati da sempre interpretati come difficoltà riferite ad una compromissione del processamento visivo fin dagli studi di Orton (1925).

Insieme a quella fonologica, dunque, l’ipotesi visiva o magnocellulare costituisce una delle più dibattute in psicologia. Essa riflette un altro importante filone tradizionale di ricerca sulle cause della dislessia che, senza escludere quello fondato sul deficit fonologico, enfatizza il contributo visivo alla difficoltà di lettura, almeno in alcuni soggetti dislessici. Nel capitolo precedente è stato approfondito il ruolo e l’importanza del sistema magnocellulare nella lettura. In generale, l’ipotesi magnocellulare suppone che sia presente un malfunzionamento di tale via in alcuni soggetti dislessici che porterebbe a disturbi di elaborazione visiva e, attraverso la corteccia parietale posteriore, ad un’instabilità binoculare e ad una capacità visuo-attentiva deficitarie (Stein & Walsh, 1997; Hari, Renvall, & Tankanen, 2001).

Vediamo, in dettaglio, le principali evidenze empiriche a sostegno di quest’ipotesi.

Per quanto riguarda la sensibilità al contrasto, è stato dimostrato che i dislessici manifestano una performance peggiore rispetto a quella dei cattivi e dei normo-lettori (Lovegrove, Bowling, Balckwood, & Badcock, 1980). Altri studi hanno evidenziato come i cattivi lettori necessitino di una maggiore luminanza rispetto ai normo-lettori per distinguere griglie a bassa frequenza spaziale (Badcock & Lovegrove, 1981; Lovegrove, Martin, & Slaghuis, 1986; Martin & Lovegrove, 1984). Nonostante ciò, tali evidenze non sembrano supportare in modo forte l’ipotesi che un deficit alla sensibilità di contrasto in condizioni di

basse frequenze spaziali possa davvero interferire con l’elaborazione visiva della parola. Inoltre la perdita di sensibilità al contrasto misurata nei dislessici risulta troppo piccola per avere un ruolo nella spiegazione delle difficoltà di lettura (Boden & Giaschi, 2007).

Recentemente Whitney e Cornelissen (2005) hanno sostenuto che difficoltà nella codifica spaziale delle lettere durante l’acquisizione della lettura potrebbero spiegare i deficit nell’apprendimento di tale abilità. La difficoltà nella codifica della posizione delle lettere potrebbe derivare da una compromissione al processo di attenzione visiva legata al sistema M.

Il legame tra sistema magnocellulare e attenzione visiva è stato proposto da numerosi studiosi. Vidyasagar (1999), per esempio, ha proposto un modello che suggerisce che un deficit al sistema M sarebbe alla base della dislessia poiché riduce la capacità della via parietale (che riceve input dal sistema M) di controllare l’attenzione.

Ancora, Facoetti e collaboratori (2003) hanno mostrato come i bambini dislessici manifestino deficit di attenzione visiva e uditiva selettiva nell’orientamento automatico e nella focalizzazione dell’attenzione spaziale (Facoetti, Paganoni, Turatto, Marzola, & Mascetti, 2000). Secondo gli autori questi deficit potrebbero compromettere lo sviluppo di rappresentazioni fonologiche. Hanno, inoltre, ipotizzato che vi sia un asimmetrico spostamento dell’attenzione verso l’emicampo visivo destro nella dislessia, una sorta di piccola eminegligenza sinistra (Facoetti, Turatto, Lorusso, & Mascetti, 2001). In particolare, Lorusso, Facoetti, Pesenti, Cattaneo, Molteni e Geiger (2004) hanno individuato un’incapacità dei soggetti dislessici nel riferire lettere presentate nell’emispazio di sinistra ad una eccentricità di -2,5° di angolo visivo e una maggiore capacità di riportarle a maggiore eccentricità nell’emicampo destro (da 7,5° a 12,5° dal punto di fissazione).

In generale, Facoetti (2005) ipotizza che un disturbo a carico dell’attenzione visuo-spaziale possa determinare serie difficoltà nell’apprendimento della lettura, a prescindere dalle pure abilità uditive-fonologiche del bambino. Questo avverrebbe poiché un’efficiente segregazione grafemica (alla base della via sub-

lessicale) può essere realizzata solo attraverso un accurato e veloce processo di selezione dei grafemi che costituiscono le parole da leggere.

Un’altra ipotesi che prende in causa il sistema attentivo è quella proposta da Valdois e collaboratori (Ans et al., 1998; Bosse & Valdois, 2003; Valdois et al., 2004) all’interno del già citato multi-trace memory model per il riconoscimento di parole polisillabiche in cui viene sottolineato il ruolo importante dell’attenzione visiva per focalizzare la “finestra attentiva” su sottocomponenti della parola durante il processamento analitico. Le autrici hanno individuato dei soggetti dislessici caratterizzati da deficit visuo-attentivi, indipendentemente da un deficit al sistema magnocellulare. Inoltre, Valdois et al. (2003) hanno riportato due casi di dislessici evolutivi che mostravano come un deficit fonologico e uno a carico dell’attenzione visuo-spaziale possano essere dissociati nei bambini dislessici.

Inoltre, per quanto riguarda i movimenti oculari, come i lettori principianti, i cattivi lettori e i dislessici mostrano fissazioni più lunghe, saccadi più corte, un maggior numero di fissazioni e molte più regressioni rispetto ai normo-lettori (Eden, Stein, Wood, & Wood, 1994; Lefton, Nagle, Johnson, & Fisher, 1979; Martos & Vila, 1990). Inoltre, i cambiamenti che caratterizzano lo sviluppo dei movimenti oculari dei bambini normo-lettori (come la diminuzione del numero di fissazioni, l’aumento della lunghezza delle saccadi e l’abbassamento della frequenza delle regressioni) non si presentano nei lettori dislessici (Lefton et al., 1979). Ciò che si riscontra di anormale nei movimenti oculari di dislessici italiani è l’elevato numero di fissazioni dovute ai corti movimenti in avanti degli occhi (De Luca, Di Pace, Judica, Spinelli, & Zoccolotti, 1999). Il numero delle saccadi dipende dalla lunghezza dello stimolo sia per le parole che per le pseudoparole mentre l’ampiezza delle saccadi rimane piccola e costante. Lo scanning sequenziale mostrato dai dislessici sia per le parole che per le pseudoparole sembra essere coerente con la descrizione cognitiva del deficit di lettura che indica una preferenza per l’uso di una strategia di conversione grafema-fonema (De Luca, Borrelli, Judica, Spinelli, & Zoccolotti, 2002). Originariamente Pavlidis (1981) e altri studiosi hanno sostenuto che i dislessici sono caratterizzati

da difficoltà nel controllo dei movimenti oculari; al contrario, altri studiosi sostengono fermamente che i movimenti oculari non sono in genere causa del disturbo specifico di lettura ma che rappresentano il riflesso di altri tipi di deficit (per una rassegna vedi Rayner, 1998).

Infine, per quello che riguarda l’ipotesi di deficit nell’interazioni foveale/parafoveali essa verrà ripresa più avanti nel paragrafo dedicato al crowding. È da notare, però, che i dati a sostegno di un deficit del sistema magnocellulare legato a difficoltà nell’elaborazione dell’interazione tra stimoli presentati in fovea e in parafovea sono fortemente criticati.

L’ipotesi di un deficit al sistema magnocellulare è stato preso in causa anche da altri studi che mostrano come la percezione del movimento sia deficitaria nella popolazione di dislessici (Eden, Van Meter, Rumsey, Maisog, Woods, & Zeffiro, 1996; Eden & Zeffiro, 1998;). A questo proposito Wilmer, Richardson, Chen e Stein (2004) hanno evidenziato come un deficit nella percezione di stimoli che si muovono nella stessa direzione (movimento coerente) sia correlato selettivamente con una bassa accuratezza nella lettura mentre un deficit nella discriminazione della velocità di movimento di barre sia invece correlato ad una bassa rapidità nella lettura. Talcott et al., (2002) mostrarono che in un gruppo di 350 soggetti di scuola elementare la detezione del movimento coerente è associata sia all’accuratezza nel riconoscimento ortografico che a quella di decodifica fonologica. Wilmer et al. (2004) però, hanno suggerito l’esistenza di due deficit distinti che riguardano la percezione del movimento, in contrasto con parte della letteratura precedente che si riferiva, invece, ad un unico deficit.