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I beneficiari del Terzo settore: mappa tura e criticità

PROVINCIA DI CUNEO IPOTESI E METODO.

2.3. I beneficiari del Terzo settore: mappa tura e criticità

La seconda parte della ricerca è volta ad analizzare l’altro lato del grande circolo del 5x1000, cioè i beneficiari, con particolar ri- ferimento agli ETS operanti sul territorio cuneese.

Il Terzo settore soffre da tempo, forse sin dalla sua origine, di un problema di identità. Nella misura in cui esso è pensato o rappre- sentato (o si concepisce esso stesso) come terzo, e lì dove questa sua terzietà sta a indicare il suo stare tra Stato e mercato, rischia sempre di essere catturato e pensato in questa polarità, e di ave- re quindi un’identità meramente negativa: il non profit è appunto ciò che non è mercato, le ONG (Organizzazione Non Governative) sono ciò che non è Stato (o governo). Queste etichette ci dicono solo cosa non è il Terzo settore, non cosa è29.

L’identità del Terzo settore, per essere rettamente intesa, deve essere pensata non tra, ma oltre la dicotomia mercato e Stato, privato e pubblico. Nonostante il fatto che illustri premi Nobel, quali Elinor Ostrom, abbiano da tempo esortato a guardare «oltre mercati e Stati» (Ostrom, 2010), in verità non ci siamo mai libe- rati del tutto di questa dicotomia che influenza il nostro modo di osservare il mondo. In altri termini, nonostante il fatto che diversi studi nelle scienze sociali abbiano da tempo identificato il Terzo settore quale luogo tipico della circolazione del dono e della costi- tuzione del legame sociale (Godbout, 1998), o spazio della solida- rietà, dell’altruismo, della reciprocità, della creazione, produzione e rigenerazione del capitale sociale e dei beni relazionali, o nell’o- rizzonte del paradigma dell’economia civile, ci pare che questa identità del Terzo settore come luogo della circolazione del dono fatichi ancora a emergere.

Ci sembra, quindi, che pensare gli ETS nell’orizzonte della cir- colazione del dono del 5x1000 possa costituire un piccolo contri- buto alla ricerca della loro identità.

La nostra indagine è stata svolta attraverso la somministrazio- ne di questionari mirati. L’obiettivo di questa parte della ricerca è duplice: ricognitivo e operativo.

Ricognitivo, nella misura in cui cerca di costruire una sorta di censimento o mappatura degli ETS, beneficiari e non beneficiari 29  Nella maggior parte degli studi scientifici le organizzazioni del Terzo settore sono ancora preva- lentemente etichettate come non profit e/o non governmental organization. Ciò è in parte dovuto agli studi sviluppati dal John Hopkins Comparative Nonprofit Sector Project, dagli inizi degli anni Novanta (Salamon e Anheier (1992, 1996, 1997), Anheier e Seibel (1993)). In verità, in alcuni dei primi studi gli autori avevano avvertito il lettore che il termine non profit potesse tradire l’origine nord-americana di un certo modo di comprendere il fenomeno: per questa ragione proponevano, soprattutto per fini com- parativi, il (apparentemente) più neutrale Terzo settore. Nonostante queste avvertenze, il termine non profit ha finito con l’imporsi nella letteratura scientifica, al punto da costituire il benchmark e il criterio di classificazione delle organizzazioni non profit per molti altri studi successivi e indagini statistiche (United Nations 2003). Il prefisso ‘non’ delle etichette non profit e non governmental organization tradisce il riferimento concettuale all’orizzonte di pensiero dicotomico, rispettivamente (non) mercato/ (non) Stato. Queste etichette non aiutano a pensare l’identità propria del Terzo settore proprio perché essa è pensata in negativo: il Terzo settore è un “non-qualcosa” (Moro, 2014). Così, l’identità del Terzo settore finisce con l’essere intrappolata dalla sua stessa terzietà: si rischia cioè di dare al Terzo settore un ruolo che è o residuale tra Stato e mercato, o meramente funzionale allo Stato e al mercato, pensato cioè per far funzionare bene l’uno e/o l’altro (Donati, 2004).

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del 5x1000, e comprendere l’impatto delle risorse derivanti dal 5x1000, vale a dire quanto incidono nell’economia complessiva di questi enti, come sono state utilizzate, quali servizi sono stati erogati e chi sono i soggetti che ne hanno beneficiato.

Operativo, nella misura in cui tale ricognizione era intesa a evi- denziare alcuni elementi di criticità inerenti alla valutazione, co- noscenza e uso del meccanismo del 5x1000 da parte di questi enti, beneficiari e non, al fine di individuare ipotesi correttive e/o proposte di policy.

→ BOX 2

Il capitale sociale del 5x1000

Nell’economia del presente quaderno ab- biamo dovuto lasciare sullo sfondo una que- stione importante, ma che tuttavia avrebbe richiesto una ricerca a parte, vale a dire se il 5x1000 potesse candidarsi a essere un indi- ce di capitale sociale.

Ci siamo limitati a trarre alcuni spunti da quegli studi che avevano un focus partico- lare sul sistema Italia e che hanno ripreso e aggiornato le ricerche di Putnam sulla civic- ness, i legami personali, le reti di conoscen- za, fiducia reciproca e cooperazione che si sviluppano nel tessuto della società civile e si propagano nella vita politica.

In particolare, ai fini di questa analisi, sono ri- levanti gli studi che hanno insistito maggior- mente, da un lato, sull’orientamento ai valori e la dimensione oblativa, donativa o altruisti- ca insita nel capitale sociale (Cartocci, 2007) e, dall’altro, sul Terzo settore quale attore fon- damentale della creazione e rigenerazione del capitale sociale e del legame sociale (Co- lozzi e Donati, 2006; Donati e Colozzi, 2007). Ci pare, infatti, che il meccanismo del 5x1000, visto sia dal lato dei contribuenti che del Terzo settore, tenga assieme queste due dimensioni del capitale sociale e che l’analisi delle scelte dei contribuenti permetta altresì di approfondire in che misura esse siano orientate non solo da un movente di natura altruistica, ma anche dalla rete di conoscenze più o meno allargate del contribuente stesso.

Onde rintracciare nella scelta del contri- buente la presenza di elementi di capitale sociale riconducibili alla sua rete di cono- scenze, abbiamo cercato, con i questiona- ri, di distinguere tra diversi livelli o gradi di conoscenza, tenendo a mente la distinzione tra capitale sociale primario e secondario, e seguendo, per quanto possibile, la tipologia introdotta da Donati e Colozzi, lì dove cia- scuno di questi due tipi di capitale sociale può essere distinto in altrettanti sottotipi: 1) Capitale sociale familiare parentale (pro- prio della sfera sociale prettamente familia- re e di parentela cui gli individui appartengo- no) e capitale sociale comunitario allargato (proprio della sfera sociale identificata con le reti informali di amicizia, vicinato e cono- scenza personale);

2) il capitale sociale secondario può essere invece distinto in associativo (proprio di co- loro che appartengono a una associazione di società civile) e generalizzato (proprio delle relazioni con l’altro generalizzato e con le istituzioni) (Donati e Colozzi, 2007: 10). Ovviamente, per poter costruire un indice di capitale sociale basato sul 5x1000 non ba- sta il semplice rintracciare nelle scelte dei contribuenti tanto la dimensione donativa quanto l’eventuale rete di conoscenze che lo connette al beneficiario del Terzo settore da lui scelto e lo rende partecipe della società civile o della vita politica in generale. Né ov- viamente può essere sufficiente un’indagine su base provinciale.

SETTEMBRE 2020

In altri termini, rintracciare queste dimen- sioni del capitale sociale potrà al massimo essere un pungolo per ricerche future vol- te a comprendere se “il grande circolo del

5x1000” possa candidarsi a diventare un indicatore affidabile di capitale sociale.

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L’ANALISI SUI