3. Ernst Ingmar Bergman
3.2 Bergman e Kierkegaard
3.2.1 Il settimo sigillo
Tratto da Pittura su legno (1954), un lavoro teatrale dello stesso Bergman,
Il settimo sigillo è considerato uno dei capolavori del cinema di tutti i
tempi, nonché uno dei più famosi del cineasta svedese. L’opera fu realizzata nel 1956 in appena trentacinque giorni, dopo che inizialmente il produttore aveva rifiutato il progetto, per poi acconsentire alle riprese dopo il successo a Cannes di Sorrisi di una notte d’estate.
Profondamente simbolica, l’opera ci trasporta in un medioevo intriso degli usi e costumi nordeuropei, in cui non manca nessuno degli elementi caratteristici dell’epoca: il cavaliere, lo scudiero, i giullari, i saltimbanchi, la pestilenza, la superstizione e l’esaltazione religiosa. Il film, unico nel suo genere, tratta tematiche cupe come la morte, la ricerca di Dio e il senso della vita con beffarda ironia risultando mai pesante per lo spettatore; la stessa figura della Morte che si presenta al cavaliere appare grottesca e ingannevole.
La trama narra le vicende del cavaliere Antonius Block e del suo scudiero Jons, di ritorno dalle Crociate dopo un’assenza di dieci anni. La prima scena mostra il cavaliere che al risveglio si vede apparire la Morte, venuta a prenderlo. Tuttavia Block, credente ma attanagliato dai dubbi, non è ancora pronto ad andarsene e vuole trovare il senso della vita e l’esistenza di Dio. Così cerca di guadagnare tempo sfidando la Morte in una partita a scacchi. Già dalle scene iniziali Bergman ci presenta anche lo scudiero Jons, che al contrario del cavaliere, dal portamento austero e serioso, si rivela da subito più propenso alla concretezza dei bisogni materiali e al godersi le gioie dei sensi. Infatti le sue prime parole pronunciate sono un ironico motivetto provocatorio indirizzato a Block, tentativo di smorzare la sua fredda rigidità e convincerlo a fermarsi per riposare e trovare ristoro.
Il regista ci presenta inoltre una famiglia di saltimbanchi, composta da Jof, viandante squattrinato dallo spirito semplice e sognatore, occasionalmente colto da visioni mistiche; la giovane e bella moglie Mia, dall’animo gentile e dal carattere più pragmatico che si trova spesso a riportare il marito alla realtà; il figlio Mikael, su cui soprattutto il padre nutre molte speranze per il suo futuro; infine l’amico e capocomico Skat, uomo dal temperamento libero e passionale.
Il cavaliere e lo scudiero nel frattempo giungono presso una chiesa in cui Jons si ferma a parlare con un pittore che sta affrescando una parete con immagini della morte danzante, appestati morenti e peccatori che si autoflagellano. Durante la discussione fra i due, Jons esprime la propria filosofia di vita, basata essenzialmente sul farsi beffa di Dio e della morte, godendo dei piaceri terreni:
SCUDIERO JONS: Io sono lo scudiero Jöns, che si beffa della morte e del Signore, che ride di se stesso, ma sorride alle ragazze. Ho un mondo che è soltanto
mio, di cui tutti si burlano, io compreso. Un mondo senza senso e senza scopo.59
Se da un lato abbiamo l’esteta e nichilista Jons, dall’altro troviamo Antonius Block che credendo di confessarsi con un prete, rivela alla Morte tutte le sue incertezze e paure esistenziali nei confronti della vita, della morte stessa e di Dio. Il dialogo arriva a toccare toni di altissimo valore lirico e affronta temi profondi e drammatici, in cui il cavaliere esprime la disperazione dell’uomo, per cui non è sufficiente credere ciecamente, ma ha bisogno della manifestazione concreta di Dio, che invece rimane in silenzio:
ANTONIUS: Che sia impossibile sapere? Ma perché? Perché non è possibile cogliere Dio coi propri sensi? Per quale ragione si nasconde tra mille e mille promesse e preghiere sussurrate e incomprensibili miracoli? Perché io dovrei avere fede nella fede degli altri? Che cosa sarà di coloro i quali non sono capaci né vogliono avere fede?60
Significativa inoltre la necessità interiore di volere estirpare Dio da se stesso, destinata a fallire per il profondo radicamento che ha nel proprio essere:
ANTONIUS: Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me sia pure in modo vergognoso e umiliante anche se io lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché nonostante tutto egli continua a essere uno struggente richiamo di cui non riesco a liberarmi?61
59 Il settimo sigillo, Svezia 1956, 95’; Produzione Globe. 60 Film cit.
In questa confessione troviamo tematiche vicine all’esperienza personale sia dello stesso Bergman, cresciuto in un ambiente fortemente religioso, sia di Kierkegaard, trattando di argomenti propri del suo pensiero, quali il
Singolo che deve intraprendere un percorso individuale di fede, la libertà di
scelta che deve tendere al raggiungimento di Dio e l’angoscia e la disperazione dell’uomo, in rapporto conflittuale con il mondo e con il proprio io. Antonius Block è il paradigma di colui che non ha ancora raggiunto la fede, ma che vive costantemente nel dubbio e nella continua ricerca di un Dio che rimane muto alle richieste degli uomini. Quello che manca al crociato è la capacità di staccarsi dalla ragione umana, di smettere di cercare Dio come qualcosa che è possibile conoscere tramite il proprio intelletto o grazie a prove tangibili. Al contrario, come Kierkegaard ripete costantemente nelle sue opere, la Fede è un salto, in cui la ragione umana viene annullata, o meglio, il compito della ragione è quello di capire di essere giunta al punto in cui non è più utilizzabile:
Come principio bisogna dire: la Fede non si può comprendere; il massimo a cui si arriva è poter comprendere che non si può comprendere. Così anche per un Assoluto non si possono dar ragioni, al massimo si possono dar ragioni che non ci sono ragioni.62
Antonius invece necessita di prove, lui vuole che Dio si manifesti:
ANTONIUS: Io vorrei sapere, senza fede, senza ipotesi, voglio la certezza. Voglio che Iddio mi tenda la mano e scopra il suo volto nascosto e voglio che mi parli.63
62S. Kierkegaard, Diario, cit., p. 330. 63 Il settimo sigillo, cit.
Quello che invece deve fare il vero credente è credere in forza dell’assurdo, cioè anche quando sembra che ogni speranza è persa, Dio lo aiuterà su questa terra.
Kierkegaard nel suo Diario ribadisce:
La Fede, la lotta del credente col mondo, è lotta di carattere. La vanità umana è di voler comprendere, di non voler ubbidire come un bambino, ma di fare l’adulto che può anche capire ma non vuole ubbidire quando non può capire (cioè, in sostanza, non vuole obbedire). Il credente è allora l’uomo di carattere il quale, assolutamente obbediente a Dio, capisce come un còmpito di carattere che non si deve voler comprendere.64
Il film è una vera e propria apoteosi di argomentazioni esistenziali, e le continue domande che si pone il cavaliere sono le stesse che Kierkegaard analizza nelle sue opere e che vive sulla sua pelle. L’angoscia e la disperazione che traspaiono dal volto del crociato, sono le stesse emozioni che condividono tutti gli uomini, e che per il filosofo danese sono imprescindibili dalla natura umana, e anzi sono prorpio il discrimen che ci contraddistingue dagli animali. L’angoscia stessa, legata al peccato originale, e trattata nel Concetto dell’angoscia, o la disperazione, presa in esame nella Malattia mortale, sono sia un male per l’uomo che anche l’unica via per la salvezza eterna: quando è consapevole della propria natura, il cristiano “si fonda, trasparente, nella potenza che l’ha posto.”65
[corsivo mio].
Il film prosegue con Antonius e Jons che escono dalla chiesa e trovano una giovane donna legata ad un palo da un gruppo di soldati intenzi
64 S. Kierkegaard, Diario, cit., p. 321.
65 S. Kierkegaard, La malattia mortale, trad. di Meta Corssen, intr. di Remo Cantoni, Newton Compton, Roma 1995, p. 21.
onati a bruciarla di notte nel bosco. La ragazza è accusata di avere avuto rapporti carnali con il demonio e di essere la causa della pestilenza che sta decimando la popolazione. I due riprendono il viaggio e raggiungono un gruppo di case dove lo scudiero Jons salva una ragazza da un uomo intento a derubare cadaveri. Il ladro è un ex pastore che aveva convinto il cavaliere a partire per le crociate dieci anni fa. Lo scudiero gli intima di non farsi più vedere, perché se lo rincontrerà sulla sua strada lo marchierà come un ladro. Intanto la scena si sposta sul gruppo di attori, che giunti in un villaggio, stanno esibendosi in uno spettacolo teatrale. Qui il capo comico incontra furtivamente una paesana, moglie del fabbro Plog, e fugge con lei per una avventura amorosa. Nel mentre lo spettacolo viene interrotto da una processione di autoflagellanti che entra nella piazza del villaggio, riportando gli spettatori, che per un attimo si erano dimenticati della peste, alla triste realtà di morte e sofferenza che si respira in tutto il paese. Dal gruppo di penitenti un frate ammonisce il pubblico che presto tutti moriranno come punizione dei loro peccati e che ormai non c’è più salvezza per nessuno. Dopo essersi allontanati, Jons, irritato dallo spettacolo cruento e dalle parole del frate, ribadisce il suo pensiero, ovvero di non credere ad un Dio o ad una vita dopo la morte:
JÖNS: Accidenti a tutte quelle chiacchiere! Non siamo più bambini! Non vorranno che gli crediamo sul serio.
ANTONIUS: Hm-hm!
JÖNS: Sì, vi beffate di me, signore. Ma permettetemi di dirvi che queste storie non hanno neanche una briciola di verità nella loro parole.
ANTONIUS: Già...
JÖNS: Proprio così. E anche quelle fantasticherie sul Dio Padre, gli angeli, Gesù Cristo, lo Spirito Santo... Le ho sempre ascoltate senza commuovermi troppo.66
Lo scudiero è sempre pronto a demolire tutto quello che riguarda la religione o Dio. Il suo credo tutto terreno, di vivere una vita incentrata sui piaceri della carne, sembra solamente uno scudo, dietro cui nascondersi e che cela una paura ancestrale insita nell’animo di Jons e di ogni uomo. Riprendendo le parole di Kierkegaard, lo scudiero rappresenterebbe quella forma di disperazione in cui si è consapevoli della propria debolezza e si cerca di allontanare il pensiero con una vita sfrenata e irrequieta:
[..] un tale disperato si precipiterà nella vita, si distrarrà forse con grandi imprese, diventerà uno spirito irrequieto, la cui esistenza lascerà tracce visibili, uno spirito irrequieto che vuole dimenticare; e siccome c’è troppo rumore nel suo interno, ci vogliono mezzi forti, sia pure di un altro genere di quelli che adoperò Riccardo III per non sentire le maledizioni della madre. Oppure cercherà oblio nella sensualità; forse in una vita sfrenata; vuole disperatamente tornare all’immediatezza, ma sempre consapevole dell’io che non vuole essere67.
Nel proseguire della trama, il cavaliere Block entra in contatto con la famiglia di attori, e proprio da questo nuovo incontro scaturirà un cambiamento nella sua anima cupa e sempre pensierosa. Il dialogo che Antonius ha con Mia, anche se intriso di drammaticità, farà sbocciare nel cavaliere una piccola speranza di redenzione, o meglio un obiettivo da raggiungere per dare un senso alla propria vita. È da notare come anche in questo caso il ruolo della donna torna ad essere fondamentale per la salvezza o la riconciliazione interiore dell’uomo, come lo stesso Kierkegaard ha spesso ribadito nei suoi scritti. Mia non riesce a capire la tristezza del cavaliere, e con aria disincantata si domanda perché le persone spesso si tormentano:
MIA: Infatti non avete l'aria lieta. ANTONIUS: Infatti.
MIA: Siete stanco? ANTONIUS: Sì. MIA: Perché?
ANTONIUS: Ho un compagno molto sgradevole. MIA: Volete dire il vostro scudiero?
ANTONIUS: No. Non lui. MIA: E allora chi?
ANTONIUS: Me stesso. MIA: Oh, sì, capisco...
ANTONIUS: Davvero capite?
MIA: Sì. So come accadono queste cose, e spesso mi domando perché la gente appena ne ha la possibilità si tormenta. Che ragione c'è68?
Mia ama la vita, e il semplice pranzare con del latte e delle fragole selvatiche in buona compagnia la rende felice. La sua innata saggezza, solo per il fatto di essere una donna e quindi essere legata al finito, la contrappone ancora una volta al pessimismo del cavaliere, come si evince dal dialogo:
MIA: Ah. Com'è bello!
ANTONIUS: Sì, per un attimo.
MIA: È giusto che sia così. Tutti i giorni sono uguali, no? E non c'è niente di strano in questo. Certo, l'estate è migliore dell'inverno, perché d'estate non si ha freddo. Ma la primavera è la stagione migliore69.
Lei sa che la felicità deve essere fugace, perché solamente così possiamo goderne. Le sue risposte, semplici e dirette sembrano quasi smorzare la serietà tetra di Block:
68 Il settimo sigillo, cit. 69 Film cit.
ANTONIUS: Molte cose turbano gli animi. MIA: Comunque è meglio affrontarle in due70.
Anche i dubbi della fede non sono più un fardello così pesante grazie a lei:
ANTONIUS: La fede è una pena così dolorosa. È come amare qualcuno che è lì fuori al buio e che non si mostra mai per quanto lo si invochi. Come tutto questo mi sembra irreale ora che sono qui con voi e vostro marito. Tutto appare così diverso.
MIA: Adesso non avete più l'aria seria.
ANTONIUS: Lo ricorderò questo momento. Il silenzio del crepuscolo. Il profumo delle fragole. La ciotola del latte. I vostri volti su cui discende la sera. Mikael che dorme sul carro. Jof e la sua lira. Cercherò di ricordarmi quello che abbiamo detto e porterò con me questo ricordo delicatamente, come se fosse una coppa di latte appena munto che non si vuol versare. E sarà per me un conforto. Qualcosa in cui credere71.
Quando torna a giocare la partita con la Morte il cavaliere ha un’aria strana e un tono più leggero, di cui la stessa Morte si stupisce, e la scena si chiude con quest’ultima che domanda a Block se intende accompagnare la famiglia di attori nella foresta, lasciando capire al cavaliere di avere intenzione di porre fine alle loro vite.
Molto interessante è anche il dialogo tra Jons e il fabbro Plog nella locanda, dove quest’ultimo si lamenta per la perdita della moglie. I due danno vita ad una divertente dissertazione sull’amore e sugli effetti che questo provoca negli uomini:
JÖNS: E il tuo sarebbe amore? Lascia che ti dica, povero amore tenero e credulone, che l'amore è fatto
70 Film cit. 71 Film cit.
sostanzialmente di lussuria più lussuria, di inganni più inganni, di menzogne, sotterfugi e scempiaggini! PLOG: Comunque fa male lo stesso.
JÖNS: Ah beh... Naturalmente. L'amore è una faccenda molto dolorosa, e alle volte sembra di doverne morire. Ma poi, invece, passa.
PLOG: No, il mio è di quello che non passa.
JÖNS: Tutte storie, tutte storie! È estremamente raro che uno stupido come te muoia d'amore. Se tutto è imperfetto in questo imperfetto mondo, l'amore invece è perfetto nella sua assoluta e squisita imperfezione72.
È significativo notare come, nell'ultima parte della citazione, le parole usate da Bergman per descrivere l'amore sono quasi identiche a quelle utilizzate nell'ultima frase di un passo di Enten-eller, in cui Kierkegaard parla dell'importanza della donna per l'uomo e critica coloro che si dichiarano favorevoli alla sua emancipazione:
Ma ciò non succederà, ciò non deve e non può succedere, e che ci provino degli spiriti cattivi, che ci provino degli stupidi che non hanno idea alcuna di che cosa sia essere un uomo, nel senso del maschile, né di quanto v'è qui di grande ovvero di misero, alcun presentimento della perfezione della donna nella sua imperfezione!73
Anche da questa somiglianza di linguaggio sembra che Bergman abbia subito un'influenza conscia o inconscia dalla lettura delle opere del filosofo danese.
Durante il viaggio nella foresta, la comitiva composta dal cavaliere, lo scudiero, la famiglia di saltimbanchi e il fabbro, incontra il capo comico e la moglie del fabbro, Lisa. Da qui nasce un comico siparietto dove il regista
72 Film cit.
ci presenta anche un altro lato del mondo femminile, quello più civettuolo e astuto, personificato da Lisa che convince il marito di essere stata sedotta dall’attore e di voler tornare a casa con lui. La sceneggiata si conclude con la finta morte di Skat, che subito dopo viene realmente preso dalla vera morte.
Nel proseguire del cammino, il gruppo si imbatte in dei soldati che stanno per eseguire la condanna della strega, ormai destinata a bruciare sul rogo. Antonius si avvicina alla donna chiedendole di poter parlare con il diavolo, certo che lui deve sapere qualcosa su Dio. Ma anche questa volta il crociato non trova risposte, e la disperazione aumenta quando di fronte alla ragazza, ormai posta sul rogo, lo scudiero Jons afferma che non c’è nessun Dio a vegliare su di lei, ma solo il nulla che la terrorizza e appare riflesso nei suoi occhi, provocando il terrore anche negli spettatori che assistono alla sua atroce fine:
JÖNS: Che cosa vede? Questo vorrei sapere. ANTONIUS: Ormai non vede più.
JÖNS: Non avete risposto alla mia domanda. Chi veglia su di lei? Gli angeli, o Dio, o Satana, oppure... oppure il nulla. Il nulla, ve lo dico io.
ANTONIUS: No, no, no, non può essere.
JÖNS: Guardate i suoi occhi. La sua torbida coscienza si sta accorgendo del nulla. Del nulla che ormai la sommerge.
ANTONIUS: No.
JÖNS: E noi siamo qui incapaci di fare qualcosa. Perché vediamo ciò che vede lei, e il nostro terrore è uguale al suo. E nessuno l'aiuta. No! Non posso guardarla74.
Accampatosi per trascorrere la notte, il cavaliere continua la sua partita con la morte, ma questa volta Jof riesce a vedere chi è l’avversario di Block, e
spaventato convince sua moglie a fuggire per tentare di mettere in salvo le loro vite. Antonius, ormai consapevole di stare perdendo, distrae la Morte facendo cadere dei pezzi dalla scacchiera per facilitare la fuga dei suoi amici, che riescono ad allontanarsi dall’accampamento. La Morte vince la partita e annuncia al cavaliere che quando si rivedranno lei porterà via con sé lui ed il resto dei suoi compagni.
Finalmente Block raggiunge il suo castello e riabbraccia la moglie che è rimasta ad aspettarlo per dieci anni. Insieme si siedono al tavolo per fare colazione quando sentono bussare alla porta. La Morte fa il suo ingresso davanti ai commensali e nuovamente il cavaliere invoca Dio mentre Jons rinnova il suo credo ateo come una ultima sfida davanti all’estrema ora:
ANTONIUS: Dall'oscurità che tutti ci attornia mi rivolgo a te, o signore Iddio. Abbi misericordia, che siamo inetti, e sgomenti, e ignari.
JÖNS: Nell'oscurità in cui dite che siamo avvolti, e probabilmente è proprio così, non c'è nessuno che ascolti i vostri lamenti o lenisca le vostre sofferenze. Asciugate le lacrime e specchiatevi nella vostra indifferenza.
ANTONIUS: Dio, tu che in qualche luogo esisti, che devi certamente esistere, abbi misericordia di noi. JÖNS: Forse avrei potuto liberarvi da questa angoscia dell'eternità che vi tormenta. Ma ormai è troppo tardi per insegnarvi la gioia smisurata di una mano che si muove e di un cuore che pulsa.
KARIN: Silenzio. Silenzio...
JÖNS: Sì. Farò silenzio, ma mi ribello75.
Il finale del film sancisce dunque lo scetticismo, o quantomeno l’agnosticismo – sia pure un agnosticismo tormentato e macerato nel dubbio – del regista che non smette mai di interrogarsi sulle problematiche legate
alla fede e all’esistenza di Dio, come si legge anche, ad esempio, nell’autobiografia di Lanterna magica:
Vent’ anni fa subii un’operazione, un intervento insignificante ma per il quale fu necessario addormentarmi. Per errore mi diedero un anestetico troppo potente. Sei ore della mia vita sono cancellate.