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Conclusioni

Nel documento Kierkegaard e il cinema (pagine 50-55)

2. Carl Theodor Dreyer

2.3 Conclusioni

Come abbiamo visto le opere cinematografiche di Dreyer presentano molte analogie e consonanze con il pensiero filosofico di Søren Aabye Kierkegaard. Nei suoi film infatti il regista affronta temi cari al filosofo quali il rapporto tra fede e ragione, ma presenta anche un’aspra critica alla religione istituzionale, falsa e moralista.

La somiglianza intellettuale tra i due ha sicuramente le sue radici nell’ambiente dove entrambi sono nati e cresciuti, ovvero la Danimarca, e nella religione protestante che ha influenzato le loro vite e il loro modo di pensare.

Dreyer nelle sue pellicole descrive le angosce e le paure degli uomini, e i drammi e le insicurezze che nascono dalle scelte che compiono i protagonisti delle vicende narrate. Come in Kierkegaard, anche nei film di Dreyer, il tema religioso è predominante, specialmente l’idea di peccato e di colpa.

Le opere di Dreyer sono inoltre incentrate sulle figure femminili, che hanno un ruolo sempre più rilevante, da Giovanna D’Arco ad Anne, la giovane moglie in Dies Irae, da Inger e la piccola Maren, rispettivamente la moglie e la figlia minore in Ordet fino a Gertrud, protagonista del suo ultimo film. Anche Kierkegaard nelle sue opere si concentra sul ruolo della donna, specialmente nei suoi scritti pseudonimi, quando tratta lo stato estetico ed etico. La donna per il filosofo è vista soprattutto sotto un’ottica che riprende la tradizione giudaico-cristiana, in cui essa è considerata come un essere subordinato all’uomo, creata dalla sua carne allo scopo di essergli di aiuto. Kierkegaard però non si ferma solo a questa analisi e vede nella figura femminile anche il compito di tenere l’uomo legato al finito consentendogli di non perdersi nell’infinito. Infatti specialmente quando tratta la sfera etica, che Kierkegaard rappresenta con il matrimonio, la moglie è descritta con toni che, visti sotto un’ottica moderna, appaiono quasi comici:

La donna spiega la finitezza, l’uomo va in caccia dell’infinitezza. Così sia, e ognuno ha il suo dolore, perché la donna genera i figli nel dolore, ma l’uomo concepisce le idee nel dolore, e la donna non deve conoscere l’angoscia del dubbio o il tormento della disperazione, ma non che stia al di fuori dell’idea, quanto l’ha di seconda mano. Ma per il fatto che la donna in tal modo spiega la finitezza, perciò ella è la più profonda vita dell’uomo, ma una vita che dev’essere nascosta e celata dal segreto come sempre lo è la vita della radice. Ecco, per questo io odio tutto quell’esecrabile discorso sulla emancipazione della donna! Iddio non voglia che ciò possa mai succedere!55

Kierkegaard vedeva nei movimenti dell’epoca per l’emancipazione della donna un grande pericolo, perché essi causerebbero l’abolizione delle

differenze tra i sessi, che per il filosofo sono alla base della buona riuscita di un matrimonio.

Nelle opere di carattere estetico, soprattutto nel Diario del seduttore, invece, la ragazza conquistata è considerata al pari di una preda che deve essere vinta dal seduttore Giovanni, tanto da donarsi di sua spontanea volontà.

Le donne descritte da Dreyer, invece, hanno caratteristiche diverse tra loro, ma il loro modello è ugualmente rintracciabile all’interno del pensiero del filosofo danese.

Giovanna rappresenta la vera credente, ovvero lo stato religioso kierkegaardiano, disposta a sacrificare tutto per il volere di Dio. Gli altri uomini non riescono a comprenderla perché la sua fede trasporta la giovane in una dimensione in cui lei dialoga personalmente con Dio, in cui le regole basate sulla semplice ragione umana non valgono più. È lei a incarnare il tema del sacrificio, che per Kierkegaard è ciò che il vero cristiano deve essere sempre pronto a compiere, senza lasciarsi sedurre dai piaceri terreni, che distolgono l’attenzione dell’uomo da ciò che Dio vuole per lui.

Inger invece sembra rispecchiare di più quella tipologia di donna che Kierkegaard descrive in Enter-eller tramite il giudice Wilhelm, ovvero la figura di colei che è sempre impegnata nelle faccende di casa e pronta a dispensare una buona parola per ognuno:

Ella non è mai stanca, e però mai inattiva, è come se le sue occupazioni fossero un giuoco, una danza, come se un giuoco fossero le sue occupazioni… […] Che cosa ella faccia non posso spiegare, ma fa tutto quanto con una leggiadria e una grazia, con un’indescrivibile leggerezza, senza esitazioni, senza cerimonie, cosiccome un uccello canta la sua aria.56

Inger si muove come se avesse veramente svelato il segreto del finito, ed è la colonna portante di tutta la famiglia. Con i suoi modi gentili e amorevoli è l’unica che riesce a capire e alleviare i dolori e gli affanni degli uomini di casa. Quando il vecchio Borg si lamenta rassegnato per la malattia del figlio Johannes e non trova più conforto nella preghiera, è Inger a ricordargli che per Dio nulla è impossibile e che non bisogna mai smettere di pregare; allo stesso modo si comporta con il marito, che ormai ha perso del tutto la fede in Dio, dicendogli che anche lui è comunque nella grazia del Signore essendo un uomo buono, e che compie la Sua volontà tramite le azioni di tutti i giorni. Lei lo rassicura, convinta che presto anche lui risentirà dentro di sé la voce di Dio.

Anche il giovane Anders cerca aiuto nella cognata per convincere il padre ad accettare il suo amore per Anna, la figlia del sarto Peter. Inger è al di sopra delle dispute religiose del suocero o dei dubbi del marito, perché è guidata dalla indiscussa fiducia verso Dio, che secondo lei sa cosa è meglio per noi esseri umani, e al contrario della maggior parte degli altri membri della famiglia, crede che i miracoli accadano tutti i giorni anche se noi non ce ne accorgiamo.

Un’altra figura femminile interessante è la piccola figlia di Inger, Maren, che alla fine del film riesce con la sua fede e l’aiuto dello zio Johannes a resuscitare la madre. Lei rappresenta l’innocenza e la purezza di una fede che è possibile riscontrare solo nei bambini o nella natura.

Gertrud invece è una donna diversa dalle altre figure descritte fino ad ora, e non rispecchia né la vera credente come Giovanna d’arco, né la moglie come fulcro della famiglia. Gertrud si trova a metà strada tra lo stile di vita estetico e quello etico, descritti da Kierkegaard soprattutto in Enter-Eller. Lei in gioventù è stata un’artista e prima di sposarsi con Kanning ha avuto altre relazioni, tra cui quella con il famoso poeta Gabriel Lidman. Nel film non si parla quasi mai di Dio, e l’unica a dire qualcosa in proposito è

proprio Gertrud, professandosi atea. Diversamente che nelle pellicole precedenti , in cui la religione e Dio erano presenti, nella sua ultima opera Dreyer vuole mettere in evidenza la vita di una donna che è pronta a sacrificarsi e donare tutta se stessa per un’ideale in cui crede ciecamente, ovvero l’amore. L’etico in Gertrud sta proprio nel suo modo di portare avanti le scelte che ha intrapreso, anche se queste la porteranno a soffrire e a trascorrere il resto dei suoi giorni in solitudine. Quello di Gertrud alla fine è, come scrive Iritano,

Un viaggio impietoso nel dramma moderno della solitudine, nell’irrevocabile destino della disperazione che sembra attendere l’uomo al termine di ogni suo vano, eppur infinitamente sensato, sforzo di esistere e di amare.57

Proprio alla fine del film, l’ormai anziana Gertrud reciterà una poesia scritta in gioventù in cui è racchiuso il suo testamento spirituale:

GERTRUD: (apre un armadio e trova la poesia scritta su carta ingiallita, con calligrafia incerta) Eccola. Devo leggertela? Sono tre strofe. (Legge le tre strofe) Guardami dunque. Son bella? No. Ma ho amato. Guardami dunque. Son giovane? No. Ma ho amato. Guardami dunque. Son viva? No. Ma ho amato.58

57 Massimo Iritano, Amore e paradosso, cit., p. 30.

58 C. Th. Dreyer, Cinque film, cit. p. 332. (La poesia, come le altre inserite nella sceneggiatura, è di Grethe Risbjerg Thomsen, una scrittrice e poetessa danese che collaborò con Dreyer.).

Nel documento Kierkegaard e il cinema (pagine 50-55)

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