• Non ci sono risultati.

Lars Von Trier e Kierkegaard

Nel documento Kierkegaard e il cinema (pagine 100-115)

4. Lars Von Trier

4.2. Lars Von Trier e Kierkegaard

4.2.1. Le onde del destino e Dancer in the dark

Nel 1996 Lars Von Trier gira il film Breaking the Waves (Le onde del destino) facendosi conoscere a livello internazionale e riscuotendo un grande successo di critica e di pubblico. Il film è stato oggetto di interesse per alcuni studiosi che hanno trovato nella vicenda narrata, e soprattutto nel ruolo della protagonista Bess (Emily Watson), molte vicinanze con il pensiero di Kierkegaard.

L'influenza che può avere subito Trier dal filosofo danese è riconducibile a molti fattori, tra cui, quello più evidente, sicuramente la terra di origine di entrambi, la Danimarca. Infatti nascere e crescere in Danimarca e non avere a che fare con il pensiero di Kierkegaard, sarebbe come per noi italiani ignorare del tutto la Divina Commedia di Dante, e non subirne l'influenza. Inoltre Breaking the Waves è un film che a suo modo parla di religione e di categorie che lo stesso filosofo ha trattato spesso nelle sue opere, come il

martirio e la fede. Oltre a questo, Trier è sempre stato attratto dal sacro e dal religioso vivendo a stretto contatto con fedi diverse, e con un forte senso di anticlericalismo, proveniente dall'ateismo convinto del padre. La sua stessa biografia ci permette di capire il complesso rapporto con la religione del regista, essendo lui cresciuto considerandosi ebreo per linea paterna, per poi scoprire di non essere figlio naturale di colui che aveva sempre considerato suo padre. Lo shock della rivelazione, avvenuta solamente sul letto di morte della madre, lo spinge a convertirsi al cristianesimo ed in seguito a dichiararsi ateo.

Inoltre, Trier ha da sempre affermato di avere come modello cinematografico il regista Carl Theodor Dreyer, che considera il più grande autore di tutti i tempi, tanto da acquistare all'asta un suo smoking, e che il film Breaking the Waves sia ispirato a Ordet. Il paragone con Ordet, vista la netta differenza di stile e di trama, ci lascia pensare che sia dovuto soprattutto all'uso di concetti e categorie presi direttamente dalla filosofia di Kierkegaard, da cui Dreyer, come abbiamo visto, era profondamente influenzato ed attingeva a piene mani.

Tra gli studiosi che hanno analizzato il film è possibile citare Giacomo Bonagiuso, che nel suo saggio La donna che camminava con Dio. Una

lettura filosofica per Breaking the waves di Lars Von Trier99, pone un

parallelismo tra la storia d'amore di Bess e Jan, con il conseguente sacrificio finale di lei che sceglie di morire per salvare l'amato, e le categorie di sacrificio e miracolo di stampo kierkegaardiano. Infatti Bonagiuso nel suo scritto paragona Bess all'Abramo descritto da Kierkegaard in Timore e

tremore, cioè al credente che accetta la chiamata di Dio ed è pronto,

99 Giacomo Buonagiuso, La donna che camminava con Dio. Una lettura filosofica per Breaking

the Waves di Lars Von Trier in L’Arte dello sguardo. Kierkegaard e il cinema, a cura di Isabella

sorretto solo dalla fede, a portare a termine la prova più alta, quella dell'uccisione del suo unico erede:

Quello di Bess, è dunque l'incedere silenzioso di Abramo sull'erta del sacrificio [Gn, 22, 3-10].100

Inoltre il critico vede in Bess una donna buona, che vive solo per l'amore e la fede, tanto che Dio comunica con lei e in lei tramite la voce della stessa donna. In effetti Bess parla realmente solo con Dio, mentre, il dialogo con gli altri è viziato dal pregiudizio della sua malattia mentale, che induce il mondo esterno a parlarle come ad una pazza, con tono paternalistico o infantile. Bonagiuso insiste anche sull'importanza che ha per Bess la fisicità, e come il suo corpo sia l'unico strumento che la ragazza conosca per comunicare con gli altri, e specialmente con il marito Jan, con il quale si relaziona soprattutto tramite atti sessuali o contatti corporei. Questo limite diventa un ostacolo insormontabile nel momento in cui Jan torna a lavorare sulla piattaforma petrolifera e Bess, costretta a comunicare con lui solo verbalmente, tramite il telefono, entra in una crisi profonda. Questo per lei è inconcepibile, come ribadisce anche nel capitolo finale del film, in cui polemizza contro il sermone ascoltato durante la messa nella sua comunità, obiettando che non è possibile amare una parola, ma soltanto un altro essere umano.

Non sopportando più la lontananza da Jan, Bess prega Dio di riportarlo a casa da lei. La sua richiesta letta in chiave kierkegaardiana rompe il vero senso della preghiera, come lo stesso Bonagiuso ammette nel suo testo:

Ma l'equilibrio della preghiera - vera condizione d'ascolto, vero luogo d'incontro tra il silenzio di Dio e

il silenzio dell'anima - è rotto dalla richiesta di Bess. L'amore è tradito. Il dialogo tra amante e amato è spezzato in senso deterministico e quantitativo. Bess chiede, infatti, qualcosa, il ritorno del marito.101

Infatti Kierkegaard nel suo brano Il giglio nel campo e l'uccello nel cielo descrive chiaramente come la vera preghiera sia possibile solo tramite un'obbedienza incondizionata di chi prega, e soprattutto nella consapevolezza che non è Dio che deve ascoltare l'uomo, ma è l'uomo che restando in silenzio e imparando a tacere, deve ascoltare la volontà di Dio. Colui che prega deve dimenticare se stesso per fare non la propria, ma la Sua volontà, affinché non venga il proprio, ma il Suo regno, essendo Dio qualitativamente incommensurabile rispetto all'essere umano, che non può conoscere il piano prestabilito per lui.

In questo c'è la chiave di volta dell'intero film, infatti Jan, a causa di un grave incidente che lo riduce in uno stato di paralisi totale, ritorna a casa da Bess per essere sottoposto a numerosi interventi chirurgici e ad una intensa terapia farmacologica che gli cambierà anche il carattere.

La condizione in cui versa Jan, impossibilitato ad avere rapporti sessuali con Bess, interrompe l'unica forma di comunicazione che i due riuscivano ad avere, e per questo il marito chiede alla moglie di andare con altri uomini affinché lui possa restare in vita grazie ai racconti della donna:

Mi ricordo appena che vuol dire fare l'amore. E se dimentico questo ne morirò [...]. Voglio che tu ti trovi un uomo con il quale fare l'amore. Poi voglio che tu ritorni qui e che mi racconti tutto. Così avrò l'impressione che siamo ancora insieme. Solo così posso rimanere in vita e non morire102

101 Op. cit., p. 90. 102 Op. cit., p. 91.

Bess inizialmente rifiuta di tradire il marito, ma, spinta dalle continue richieste di Jan e dal peggiorare della sua condizione, si lascia convincere e inizia ad avere avventure con sconosciuti incontrati occasionalmente, persuadendosi che grazie a queste, riuscirà a guarirlo.

La malattia del marito però continua il suo decorso e quando Bess viene a sapere che ormai è vicino alla fine, decide di andare sul mercantile dove i marinai sono soliti torturare e seviziare le ragazze, consapevole che molto probabilmente non sarebbe sopravvissuta. La ragazza infatti viene ricoverata in ospedale ormai moribonda, per le ferite procurategli dai suoi aguzzini, e riesce a vedere Jan per un 'ultima volta prima di morire. Il film si conclude con gli anziani della comunità che seppelliscono la bara vuota di Bess, accusandola di essere una peccatrice destinata all'inferno, mentre Jan, miracolosamente guarito, getta il corpo della moglie in mare dalla piattaforma, mentre si sente il suono delle campane appese alla volta celeste.

Bonagiuso vede nel sacrificio finale di Bess, l'atto consapevole di chi ha scelto la fede al di là di ogni etica, ed il suo meretricio come qualcosa di santo che la donna deve affrontare in totale solitudine, non potendo essere compresa dagli altri. In questo trova una corrispondenza con l'Abramo descritto in Timore e tremore, che in solitudine porta Isacco fino al monte Moria per sacrificarlo, e nella morte di Cristo, crocifisso per espiare i nostri peccati. Bess è paragonata al cavaliere della fede, colui che è al di fuori dall'etica e che non trova conforto nell'universale, ma che vive come un singolo in rapporto diretto con l'Assoluto.

Rispetto all'interpretazione e all'analisi di Bonagiuso, mi trovo sicuramente d'accordo nel credere che Trier si sia avvicinato al pensiero di Kierkegaard, e che il provocatorio regista ne abbia dato una sua interpretazione, ma non riesco a vedere il paragone ripetutamente posto tra Bess ed il cavaliere della fede, o nel considerare la protagonista come una martire cristiana.

Breaking the Waves, insieme a Idioterne, e Dancer in the Dark fa parte di

quella che lo stesso regista chiama trilogia del cuore d'oro, cioè di donne che rappresentano l'altruismo, la semplicità e la bontà assoluta. In realtà, al contrario delle apparenze, credo che sia Bess che Selma, la protagonista di

Dancer in the Dark, non siano quelle figure limpide e pure che astutamente

Trier ci spinge ad amare, ma che dietro a questa bontà si nasconda un'altra categoria, che lo stesso Kierkegaard ha trattato con attenzione, ovvero il demoniaco.

Cosa hanno in comune le due donne descritte da Trier nei suoi due film? Sembrerebbe che entrambe muoiano per salvare qualcuno che amano, infatti Bess si sacrifica per il marito Jan , mentre Selma, viene condannata a morte a causa di un omicidio che ha commesso per salvare la vista a suo figlio. In entrambi i film, il regista porta lo spettatore a parteggiare per loro e per la loro bontà, contrapposta alla crudeltà del mondo circostante, una volta rappresentato da una rigida comunità religiosa, nel caso di Bess, o dal sistema giudiziario americano nel caso di Selma.

Senza voler difendere quelle parti che vengono considerate come i "cattivi", vorrei però analizzare più approfonditamente se è veramente legittimo considerare atti di puro amore le scelte fatte dalle due donne, o se invece al contrario siamo di fronte ad altro.

Per sostenere la mia tesi credo sia opportuno analizzare il personaggio di Bess, così come ci viene presentato da Trier. La ragazza nel film ha dei dialoghi con Dio, a cui pone delle domande alle quali Lui risponde tramite la voce della stessa donna, che chiude gli occhi e cambia tonalità di voce. L'intento del regista è di presentarci la ragazza come una prescelta, un'anima talmente casta e pura da essere quasi una santa, che ha un rapporto privato con l'Altissimo. Ma se prestiamo attenzione al contenuto delle loro conversazioni, il Dio con cui parla Bess ci appare come un entità maligna, scocciato dalle continue richieste della giovane, il quale pretende che i peccati della ragazza possano essere rimessi solo con la morte. In realtà, più

che con Dio, sembra che Bess parli con la voce della sua coscienza e che il suo martirio non sia altro che l'unico modo che la ragazza conosca per placare il suo senso di colpa.

In questa prospettiva, non riesco a trovare somiglianze tra il sacrificio richiesto ad Abramo con quello di Bess.

Nel primo caso, Abramo è veramente l’autentico credente, che risponde alla richiesta di Dio senza indugio e ripensamenti, disposto a sacrificare il suo amato figlio che lo stesso Dio gli aveva concesso solo in tarda età. La sua missione rispecchia tutte le caratteristiche del cavaliere della fede, come l'incomunicabilità della prova, di cui non può parlare con nessuno, e l'impossibilità di essere compreso dagli altri uomini, che secondo l'etica comune lo accuserebbero di essere un assassino. Nel caso di Bess invece la richiesta del suo martirio non viene da Dio, ma dal marito Jan, un uomo malato e psicologicamente instabile a causa dei farmaci, che impone alla moglie la propria sopravvivenza come prova dell'amore:

JAN: Se morirò, sarà perché l'amore non ce l'ha fatta a tenermi in vita.103

Bess, più che il cavaliere della fede, sembra rispecchiare la figura descritta da Kierkegaard quando tratta il demoniaco, cioè colui che non riesce a credere che per Dio tutto è possibile e non ha l'umiltà di mettersi nelle Sue mani:

Perché sperare nella possibilità di un aiuto, specialmente in virtù del pensiero assurdo che per Dio tutto è possibile: no, questo non lo vuole. E cercare aiuto presso un altro: no, non lo vuole per tutto l'oro del mondo; egli, piuttosto che chiedere aiuto,

preferirebbe, se dovesse essere così, essere se stesso con tutti i tormenti dell'inferno.104

Quello che spinge Bess al sacrificio finale, non è tanto l'amore per Jan, ma il bisogno di essere riconosciuta come una persona buona e l'esigenza di placare i propri sensi di colpa. Inoltre lei è mossa dall'idea di essere la sola a poter salvare Jan, e vede nella morte l'unica soluzione. Questa sua ostinazione e mancanza di umiltà non le permettono di rivolgere le sue preghiere a Dio, non accettando che per Lui tutto sia possibile, e quindi Bess delega l'atto della preghiera alla sua amica Dodo.

In modo analogo troviamo lo stesso tipo di disperazione, che Kierkegaard chiama ostinazione, cioè il disperatamente voler essere se stesso, nella protagonista di Dancer in the Dark , Selma. Anche lei, presentata dal regista come una donna buona, che vive solo per l'amore, si dimostra da un'attenta analisi, spinta da un egoismo demoniaco.

Tutta la trama del film infatti ruota sul desiderio di Selma di trovare i soldi necessari per permettere a suo figlio di sottoporsi ad un intervento chirurgico che gli possa guarire la vista e salvarlo dalla cecità. Nel finale dell'opera Selma riesce nel suo intento, e felice accetta di essere uccisa in nome dell'amore, sopportando stoicamente il suo martirio. Nulla sembrerebbe smentire la tesi del film, e nessuno potrebbe dubitare della reale purezza del suo cuore.

In realtà le scelte che Selma compie in tutta la vicenda evidenziano un altro tipo di motivazione che la spinge ad agire, rovesciando il suo personaggio da positivo a negativo, da buono a cattivo.

Come chiave di analisi della pellicola riprendo la lettura fatta da Ettore Rocca nel suo saggio In colloquio con il cinema: Lars von Trier105 di cui

104 S. Kierkegaard, La malattia mortale, cit., p. 57. 105 Ettore Rocca, Tra estetica e teologia, ETS, 2004.

condivido l'opinione che il film di Trier risulti un'opera non riuscita nel suo intento di essere un manifesto sull'amore, l'arte e la libertà, riducendosi in definitiva a un film non del tutto riuscito.

Allo stesso modo non trovo conferma nella teoria sostenuta da certi critici cinematografici in cui si riscontrano somiglianze tra Selma e lo stadio religioso descritto da Kierkegaard nelle sue opere, ma al contrario, la considero - come già in precedenza per Breaking the Waves - molto più affine alla descrizione che il filosofo fa del demoniaco.

Innanzitutto Selma è una persona sola e chiusa in se stessa, che sceglie di portare avanti la propria missione in silenzio, senza mai confidarsi ai suoi amici, che la amano e potrebbero aiutarla. Il suo silenzio dimostra come in realtà lei non creda realmente nell'amore tanto professato, infatti se veramente ci credesse, saprebbe che il vero amore è condivisione e soprattutto fiducia nelle persone che ci stanno accanto. Al contrario Selma non chiede aiuto a nessuno, dimostrando di non conoscere l'umiltà e di agire spinta solamente dalla propria ostinazione e dal proprio orgoglio. In realtà la donna non lotta solo per salvare la vista al figlio, ma soprattutto per pagare la propria colpa, di avere voluto egoisticamente un bambino anche se era consapevole che sarebbe nato malato. Quindi, in realtà, ciò che la spinge a sacrificare la sua vita è il desiderio di espiare il proprio peccato per redimere se stessa. Se non fosse così, Selma capirebbe che il bene di un figlio non consiste nel potere vedere, ma soprattutto nel sentirsi amato e crescere con l'affetto di una madre, e che la cecità, per quanto terribile, non vale sicuramente la morte di due persone. In questa scelta è tangibile la vera natura dell'animo di Selma, come indica lo stesso Rocca:

In fondo la cecità possibile di Gene diventa così tremenda all'interno dell'animo di Selma, perché le ricorderebbe sempre la sua colpa. E che cosa è più difficile: liberarsi una volta per tutte della propria colpa pagando per essa, oppure amare per tutta la vita

il proprio figlio sapendo che il proprio amore non è sufficiente a donargli la vista? Ma la seconda alternativa significherebbe accettare i propri limiti, e Selma non lo vuole né lo può. Vuole essere onnipotente.106

Un altro aspetto che dimostra la chiusura di Selma rispetto agli altri è quando Bill, suo amico e padrone di casa, va da lei a confessarle che non ha più soldi e che non riesce a confidare il suo segreto alla moglie Linda per paura che lo lasci. Il suo racconto evidenzia come lo stesso Bill abbia una visione distorta dell'amore, credendo che il rapporto tra lui e la moglie sia vincolato solo dal possedere del denaro che permetta alla donna di spendere e vivere una vita agiata. L'uomo non crede nel vero amore, che invece è apertura e fiducia nell'altro e non qualcosa che può essere comprato. La sua confessione è anche una richiesta di aiuto, che Selma potrebbe accogliere liberando Bill dal peso soffocante del suo segreto, convincendolo a confessare tutto alla moglie in nome dell'amore reale. Ma Selma invece preferisce stringere con lui un patto diabolico, raccontandogli il proprio segreto e giurando a entrambi di mantenere il silenzio. Anche in seguito, quando Bill ruba i soldi che Selma aveva risparmiato per l'operazione del figlio e mente a Linda dicendo che Selma aveva cercato di sedurlo, lei continua a mantenere il segreto, non rompendo quel muro di bugie che separa i due da una verità liberatoria, fino ad arrivare all'omicidio.

Anche l'arte per Selma è fonte di una felicità privata che non condivide con gli altri, e quando fantastica di essere la protagonista dei musical che vive nella sua fantasia, lei non fa altro che isolarsi dal resto del mondo. Invece che unione c'è isolamento, che non trasforma la tristezza in una gioia condivisa, ma produce solamente chiusura e solitudine.

Nel film inoltre non c'è alcun riferimento al divino, Dio è assente, e i protagonisti della storia sono individui soli che agiscono in maniera autonoma senza rifarsi ad una concezione religiosa della vita. La stessa Selma, che per alcuni critici rispecchierebbe le categorie religiose kierkegaardiane107, non si rivolge mai a Dio, dimostrando di non avere fede e soprattutto di non credere che qualcuno al di fuori di lei possa aiutarla. La donna rappresenta il grado più alto di disperazione, che Kierkegaard chiama "disperatamente voler essere se stesso", che arriva a sfociare nel demoniaco quando l'io non vuole più abbandonare la sua pena e anzi ha timore che l'eternità gliela possa portare via:

La disperazione demoniaca è, elevata a potenza più alta, la disperazione che disperatamente vuol essere se stessa. Questa disperazione non vuol neanche essere se stessa in un'infatuazione stoica e in una divinizzazione di se stessa, non in questa in forma che, pur essendo menzognera, rappresenta in un certo senso la propria perfezione; no, vuol essere se stessa nell'odio contro l'esistenza, essere se stessa nella sua materia.108

Per Kierkegaard un individuo raggiunge questo stadio quando scopre nel suo io un difetto, una croce, che rovina il suo piano di costruirsi un io perfetto, e sentendosi imprigionato nella sua imperfezione si scandalizza dell'esistenza, e vuole essere ugualmente se stesso a dispetto dell'esistenza:

107

Cfr. Johannes Fibiger, Gerd Lütken, De profane helgeninder, in “Politiken”, 4 marzo 2001; qui

Nel documento Kierkegaard e il cinema (pagine 100-115)

Documenti correlati