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Beroe: una celebrazione “astronomica” della giustizia

All'interno del quarantunesimo canto si possono individuare due casi in cui Arato aiuta a capire a quale elemento Nonno si riferisca. Com'è noto, il canto è dedicato, insieme ai due successivi, alla vicenda di Beroe, figlia – secondo la versione accreditata dal poeta – di Afrodite e Adone dalla quale prende il nome la città libanese famosa per la legge in cui si reca Dioniso, nel corso del lungo viaggio da lui intrapreso dopo la vittoria nella guerra indiana, volto a diffondere il suo culto.

Il primo caso è costituito dai vv. 212-215, nei quali si narra l'allattamento di Beroe. In particolare al v. 214 viene nominata, in qualità di sua nutrice, παρθένος Ἀστραίη, χρυσέης θρέπτειρα γενέθλης: παρθένος Ἀστραίη, “vergine Astrea” è il testo stampato da Keydell; Chuvin581 e Accorinti582 propongono invece di stampare Παρθένος ἀστραίη,

“Vergine astrale”, poiché Nonno intenderebbe riferirsi, come in Dionisiache 6, 102, alla costellazione della Vergine (descritta da Arato in Fenomeni 96-136), di cui ἀστραίη sarebbe un epiteto583. Personalmente credo che il poeta qui voglia alludere a una nutrice,

non a una creatura astrale la quale, immobilizzata nella volta celeste, senza un motivo per muoversi o riprendere vita (per esempio uno sconvolgimento), non potrebbe certo allattare una neonata, seppure divina. In altre parole, a mio avviso in questo passo Nonno si riferisce non alla costellazione della Vergine ma al personaggio del quale la medesima costellazione rappresenta il catasterismo e a cui il poeta assegna il nome “Astrea”. Tale nome, come d'altronde riconosce lo stesso Accorinti584, potrebbe essere

motivato dai vv. 97-98 dei Fenomeni, dove si riporta la tradizione secondo la quale Dike (con cui la costellazione della Vergine è identificata) è figlia di Astreo585:

581 Cfr. Chuvin 1992, p. 144. 582 Cfr. Accorinti 20062, p. 200.

583 In entrambi i casi si osservi il paradosso della vergine che allatta, sottolineato dall'ossimoro al v. 216 παρθενίῳ... γάλακτι. Su questo tema, che è da ricollegare alla cultura egizia, si veda Gigli Piccardi 1998b, pp. 162-163.

584 Cfr. Accorinti 20062, p. 201. Faulkner 2017, p. 110, n. 18 ritiene si possano stampare entrambe le

parole con la lettera maiuscola, non proponendo dunque esplicitamente un'identità precisa, ma limitandosi a indicare Arato come fonte. A mio parere il rimando ad Arato non deve necessariamente essere un rimando alla costellazione della Vergine, ma può essere (in questo caso, a mio modo di vedere, è, come spiego infra) un rimando alla creatura con cui la costellazione è identificata (Dike, da Nonno chiamata “Astrea”).

585 Eratostene (Cat. 9) non fa cenno a questa tradizione, che in Igino (Astr. 2, 25, 1) è attribuita specificamente ad Arato: Aratus autem Astraei et Aurorae filiam existimari, quae eodem tempore

Παρθένον, ἥ ῥ᾽ ἐν χειρὶ φέρει Στάχυν586 αἰγλήεντα.

εἴτ᾽ οὖν Ἀστραίου κείνη γένος κτλ.

La Vergine, che in mano porta la Spiga splendente. Sia che ella sia della stirpe di Astreo...

In questa denominazione si può intravvedere dunque, a mio parere, una precisa presa di posizione da parte dell'autore: la sua volontà di sostenere una genealogia di Dike ben determinata, presentata da Arato in contrapposizione a un'altra non meglio specificata (vd. Fenomeni 99 εἴτε τευ ἄλλου)587. Siamo pertanto proiettati nella

situazione precedente il catasterismo, come del resto dimostra anche la perifrasi χρυσέης θρέπτειρα γενέθλης, che rimanda all'età dell'oro, durante la quale Dike vive tra i mortali588. Per quanto riguarda il passo addotto da Chuvin e Accorinti ad avvalorare la

loro tesi, ovvero Dionisiache 6, 102, basti far notare che in questo verso il riferimento alla costellazione è chiaro: Astreo, studiando una riproduzione della sfera celeste, dispensa a Demetra due profezie inerenti alla figlia Persefone e una a lei, leggendo nella costellazione della Vergine un presagio del dono del grano da parte sua agli uomini589.

Idem dicasi per Dionisiache 6, 84, il cui contesto è il medesimo590. Il tutto,

naturalmente, va inquadrato nell'ottica tipicamente nonniana di totale disinteresse per la coerenza e il rispetto della cronologia. Per questi motivi ritengo che si debba stampare παρθένος Ἀστραίη. In sintesi, vediamo qui che il confronto con Arato risulta fondamentale ai fini dell'identificazione di un personaggio.

Ai vv. 228-229 la nutrice intreccia una collana per Beroe e gliela pone intorno al collo:

καὶ στάχυν ἀστερόεντα περιγνάμψασα κορύμβῳ

586 Martin stampa στάχυν, ma a me pare più corretto stampare Στάχυν (come fa per esempio Kidd), in quanto si tratta del nome di una delle stelle che formano la costellazione della Vergine (come peraltro dimostra di sapere lo stesso Martin traducendo “Épi”).

587 Sulla questione si veda Rocchi 2003, pp. 45-63.

588 Vd. Arat. 114: τόφρ᾽ ἦν ὄφρ᾽ ἔτι γαῖα γένος χρύσειον ἔφερβεν.

589 Si vedano i vv. 99-102: ὀλβίστην ἐνέπω σε· σὺ γὰρ τετράζυγι κόσμῳ / ἔσσεαι ἀγλαόκαρπος, ὅτι χθονὶ καρπὸν ὀπάσσεις / ἀτρυγέτῳ· κούρης γὰρ ὑπὲρ κλήροιο τοκήων / Παρθένος ἀστραίη σταχυώδεα χεῖρα τιταίνει. Su questa parte come uno dei “preludi cosmici” delle Dionisiache si veda Vian 1993, pp. 45- 46.

χρύσεον οἷά περ ὅρμον ἐπ᾽ αὐχένι θήκατο κούρης591.

E, la spiga astrale avendo piegato a corimbo,

come un'aurea collana sul collo la pose della fanciulla.

στάχυν è il testo stampato da Keydell. Accorinti propone invece di stampare Στάχυν, in quanto Nonno intenderebbe riferirsi alla Spiga, la stella appartenente alla costellazione della Vergine di cui parla Arato in Fenomeni 97592. Personalmente

concordo con Keydell: penso infatti che qui il riferimento sia a una spiga reale, intrecciata dalla nutrice di Beroe a mo' di collana per la fanciulla; ciò è confermato, a mio modo di vedere, dall'aggettivo χρύσεον attribuito a ὅρμον al v. 229, che stabilisce un'analogia tra la collana (a cui la spiga, intrecciata ad arte, semplicemente assomiglia – vd. οἷά) e l'oro in virtù del colore giallo che li accomuna593. L'epiteto ἀστερόεντα si

potrebbe spiegare come un'allusione al futuro catasterismo della spiga, che salirà nella volta celeste insieme alla nutrice594: da questa prospettiva il rimando ad Arato rimane,

ma si configura come l'anticipazione di un evento futuro, che il poeta, al pari dei suoi lettori/ascoltatori, conosce.

In generale mi sembra che questa scena tratta dalla vicenda di Beroe abbia, accanto all'innegabile valore simbolico (la nutrice di Beroe è Dike, la personificazione della giustizia, e la città che dalla fanciulla prende il nome è la patria della legge595), un valore

concreto, mettendo in scena personaggi ed elementi “reali” e non astrali: in questo modo Nonno va a collocarsi a monte del suo stesso modello, a suggello della propria superiorità (motivata da una “priorità”). D'altra parte negli ultimi otto canti del poema si nota che l'autore procede progressivamente verso la definizione di una propria personale poetica, per esempio “affrancandosi” dal modello omerico596, così come – mi pare si

591 L'edizione di riferimento per i canti 41 e 43 delle Dionisiache è quella di Chuvin 2006. 592 Cfr. Accorinti 20062, p. 202.

593 Nonno è sempre molto attento all'effetto cromatico: a titolo puramente esemplificativo si ricorda il contrasto tra bianco e rosa/rosso nell'episodio di Inno e Nicea (in particolare nella descrizione della Ninfa, in D. 15, 224-243).

594 Nelle Dionisiache sono comuni gli epiteti narrativi e “profetici” o “prolettici”: per portare soltanto un esempio, si veda, in 13, 303, l'aggettivo νυμφοκόμῳ, che è attribuito al carro di Apollo su cui il dio trasporta Cirene e che allude alle future nozze tra lui e la Ninfa.

595 Per un approfondimento su questo tema in relazione non solo ad Arato, ma anche ai suoi modelli Esiodo ed Empedocle, con l'interpretazione di Astrea altresì come emblema dell'ispirazione poetica, si veda Faulkner 2017, pp. 111-114.

possa asserire – da quello arateo597.

Due altri circoscritti riferimenti ad Arato si possono rintracciare all'interno del quarantatreesimo canto, dove prosegue la storia di Beroe. Entrambi i riferimenti sono tratti dal discorso che Posidone rivolge a Dioniso durante la lotta tra i due per il possesso della fanciulla. Iniziamo dai vv. 168-171:

ἀμαιμακέτῳ δὲ ῥεέθρῳ

Ὠκεανὸς πυρόεντα λελουμένον ἀστέρα Μαίρης,

ληναίης προκέλευθον ἀκοιμήτοιο χορείης, 170 Σείριον ἀμπελόεντα μεταστήσειεν Ὀλύμπου.

E con invincibile corrente

Oceano l'infuocato astro (ora) bagnato di Mera,

che preannuncia del torchio l'insonne danza, 170 Sirio favorevole alla vite, allontani dall'Olimpo.

Non deve stupire che la creatura celeste citata da Posidone come suo bersaglio sia la stella Sirio598: essa viene presa di mira per la sua connessione con la vite (vd. vv. 170-

171), la pianta di Dioniso – e in effetti in questi versi Posidone dimostra di voler colpire tutto quanto attiene al suo avversario. Ora, certamente l'influenza positiva dell'astro sulla vendemmia è desunta da Esiodo (Opere 609-612)599, ma, come abbiamo già avuto

modo di sottolineare600, lo spunto sembra essere fornito da Arato, il quale – ricordiamo –

in Fenomeni 332-335 esplicita (a differenza di Esiodo, che si limita a dispensare un consiglio lasciandone sottintesa la motivazione), pur senza menzionare specificamente la vite, gli effetti benefici di Sirio sulle piantagioni (adombrati nel passo nonniano al v. 171 in ἀμπελόεντα, che non si può che tradurre “favorevole alla vite”). Anche in questo caso sembra dunque si possa ravvisare un intreccio delle due fonti. Una prova del fatto che Nonno qui tiene presente Arato è poi secondo me l'insistenza sull'idea del calore 597 Cfr. anche infra.

598 Sirio viene definito “infuocato astro di Mera” (v. 169) perché è identificato con il cane di Icario ed Erigone (Mera, appunto): cfr. infra.

599 Cfr. Accorinti 20062, p. 307.

(assente nel modello esiodeo), che è veicolata da πυρόεντα al v. 169 e alla quale anche nei Fenomeni si conferisce risalto601. Tale idea è ripresa dal Panopolitano in quanto si

rivela consona al contrasto secco/bagnato già ampiamente sfruttato per l'Orsa Maggiore, più precisamente al paradosso cui la stella si presta: normalmente essa arde, ma adesso viene bagnata da Oceano, esattamente come l'Orsa, la quale, mentre nel normale assetto del cielo non arriva a toccare il mare, varie volte nel corso dell'opera viene sommersa. Da notare la forte personalizzazione nonniana soprattutto al v. 170, dove “l'insonne danza” attribuita al torchio risulta essere un elemento indiscutibilmente dionisiaco: ciò conferma quanto abbiamo osservato poc'anzi, cioè che Nonno qui si sta cimentando nella composizione di una poesia quanto più possibile originale, che si distanzia anche da Arato attraverso allusioni sempre più velate.

Dopo aver esortato, in tono di sfida, Dioniso a cambiare le sue armi (vv. 172-181), Posidone ricorda brevemente la propria contesa con Elio per il possesso di Corinto602, in

qualità di exemplum della propria potenza, grazie alla quale in quell'occasione egli è riuscito a portare scompiglio nella volta celeste (vv. 181-191). Ai vv. 186-191 alcune costellazioni vengono citate a titolo esemplificativo come vittime dello sconvolgimento:

ὑψώθη δὲ θάλασσα κατ᾽ αἰθέρος, Ὠκεανῷ δέ λούετο διψὰς Ἅμαξα, καὶ ὕδασι γείτονος ἅλμης βάψας θερμὰ γένεια Κύων ἐψύχετο Μαίρης, καὶ βυθίων κενεῶνες ἀνυψώθησαν ἐναύλων κύματα πυργώσαντες, ἱμασσομένοιο δὲ πόντου 190 οὐρανίῳ Δελφῖνι θαλάσσιος ἤντετο δελφίς.

Si alzò il mare fino al cielo, nell'Oceano

si lavava l'assetato Carro e nelle acque del vicino mare,

avendo immerso le calde mascelle, il Cane di Mera si rinfrescava e delle abissali dimore i fondali s'innalzarono,

delle onde avendo fatto torri e, mentre veniva frustato il mare, 190 601 Si vedano il verbo σειριάει al v. 331 (da cui d'altronde deriva il nome “Sirio”) e il participio

αἰθομένοιο al v. 595 (riferito, per la precisione, alla costellazione del Cane). 602 Alla contesa si allude anche in D. 23, 312-313.

con il celeste Delfino il marino delfino s'incontrava.

Oltre al Delfino, di cui si dice semplicemente che viene raggiunto da un delfino marino603, nell'ottica di quella logica associativa che abbiamo visto attiva già nella

Tifonia, nonché – e il paragone mi sembra ancora più appropriato – nel discorso di Oceano in Dionisiache 23, 290-315604, sono menzionati l'Orsa Maggiore e il Cane,

evidentemente in quanto offrono entrambi la possibilità di rappresentare quella contrapposizione tra secco e bagnato cui sopra si è fatto riferimento. Nello specifico l'Orsa viene definita “assetato Carro” (v. 187 διψὰς Ἅμαξα)605, con il solito rimando ad

Arato e alla sua insistenza sulla lontananza della costellazione dall'oceano606; il Cane (v.

188 Κύων... Μαίρης) viene descritto nell'atto d'immergersi nell'acqua e di rinfrescare (v. 188 ἐψύχετο) le “calde mascelle” (v. 188 θερμὰ γένεια): in questo caso dunque si parte dalla caratterizzazione aratea della costellazione (e non specificamente della stella Sirio come qualche verso prima, a mio avviso per una semplice esigenza di variatio) come “ardente” (Fenomeni 595 Κυνὸς αἰθομένοιο) per dare vita a un altro contrasto (caldo/freddo), che, coerentemente con la necessità nonniana di personalizzare, viene sviluppato mediante un piccolo ampliamento. Osserviamo inoltre che l'intenzione di Nonno d'imprimere il marchio della propria individualità poetica anche a questi versi si può intravvedere altresì nella personale, ancorché breve, descrizione dello sconvolgimento del mare (vv. 189-190), che prepara l'incontro finale tra il delfino reale e la costellazione del Delfino (v. 191).

603 Vd. v. 191: οὐρανίῳ Δελφῖνι θαλάσσιος ἤντετο δελφίς. 604 Vd. p. 111.

605 Si ricorda che lo stesso epiteto è attribuito alla costellazione in D. 2, 279; 3, 5; 38, 367 (in tutti i passi essa è però designata come Ἄρκτος, “Orsa”).