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Tracce di astronomia, catasterismi promessi e catastrofi minacciate

Prima di concentrarsi sulla successiva grande sezione astronomica delle

Dionisiache, ovvero la descrizione dello scudo di Dioniso all'interno del

venticinquesimo canto, sembra opportuno precisare che anche le parti del poema di contenuto non propriamente astronomico includono, a tratti, annotazioni di questo tipo, in alcune delle quali mi pare si possano individuare riprese aratee. In casi del genere l'impiego della fonte astronomica, sempre lungi dall'essere sistematico, talvolta si rivela addirittura imprevedibile, a differenza di quanto possiamo osservare a proposito dei versi analizzati finora; in tali circostanze il nostro scopo sarà, dunque, anche quello di riflettere sui motivi che possono aver determinato la scelta di un modello tecnico in contesti che di tecnico hanno poco o niente.

Giunti a questo punto della nostra trattazione, considereremo le riprese rintracciabili in quella porzione dell'opera che si frappone tra la Tifonia e la descrizione dello scudo di Dioniso, continuando così a seguire l'ordine secondo il quale si succedono i canti delle Dionisiache.

Partiamo dall'incipit del terzo canto, in cui si descrive la primavera che sboccia in concomitanza con la vittoria di Zeus su Tifeo (vv. 1-6):

λῦτο δ᾽ ἀγών, ὅτε χεῖμα παρήλυθεν· ἄκρα δὲ φαίνων320 ἀννεφέλῳ τελαμῶνι φαεσφόρα νῶτα μαχαίρης Ὠρίων ἀνέτελλε· καὶ οὐκέτι κυκλάδι λίμνῃ λούετο παχνήεντα δεδυκότος ἴχνια Ταύρου· οὐκέτι δ᾽ ὀμβροτόκοιο παρὰ κλίμα διψάδος Ἄρκτου 5 ἴχνεσιν ἀβρέκτοισιν ὁδεύετο μάρμαρον ὕδωρ.

Era sciolta la battaglia, quando l'inverno era passato; l'estremità mostrando con la cinghia senza nuvole del luminoso dorso della spada,

Orione sorgeva; e non più nel circolare specchio d'acqua si lavavano le gelate impronte del tramontato Toro;

non più presso la regione dell'assetata Orsa generatrice di pioggia 5 320 L'edizione di riferimento per i canti 3 e 4 è quella di Chuvin 1976.

con piedi asciutti veniva attraversata la lucente acqua.

Innanzitutto si osservi che Orione e il Toro, qui citati uno dopo l'altro, sono due costellazioni vicine in Arato (Fenomeni 322-323 λοξὸς μὲν Ταύροιο τομῆ ὑποκέκλιται αὐτὸς / Ὠρίων), come abbiamo già rilevato.

La prima costellazione associata all'evento fondamentale di cui sopra, destinato a fare da “cerniera” tra la Tifonia e la Cadmeide321, è Orione (vv. 1-3), il quale viene

rappresentato nell'atto di sorgere. Mi sembra che tale descrizione sia improntata a

Fenomeni 586-589322:

ὣς οἱ μὲν δύνουσιν, ὁ δ᾽ ἀντίος οὐδὲν ἀεικής, ἀλλ᾽ εὖ μὲν ζώνῃ, εὖ δ᾽ ἀμφοτέροισι φαεινός ὤμοις Ὠρίων, ξίφεός γε μὲν ἶφι πεποιθώς,

πάντα φέρων Ποταμόν, κέραος παρατείνεται ἄλλου.

Così quelle tramontano, mentre lui, opposto, per nulla sconveniente, ma ben splendente nella cintura, ben splendente in entrambe

le spalle, Orione, nella forza della spada confidando,

tutto il Fiume portando (con sé), dall'altro corno (del cielo) si distende.

Si noti che la rappresentazione aratea è incentrata su tre elementi della costellazione: la cintura, le spalle e la spada. In Nonno occorre innanzitutto il particolare della spada, anche se non per lo stesso motivo per il quale esso occorre in Arato: mentre quest'ultimo menziona infatti la spada per la sua potenza (v. 588), il primo ne mette in evidenza la luminosità323 (v. 2). Questa differenza, tuttavia, non dev'essere trascurata se

si cerca di dimostrare la dipendenza del nostro autore dal poeta ellenistico. Arato, come abbiamo già avuto modo di constatare, enfatizza spesso lo splendore delle costellazioni, 321 Cfr. Stegemann 1930, pp. 122 sgg. e Gigli Piccardi 20062, pp. 274-275.

322 P. Chuvin 1976, p. 133 si limita a commentare: “sur les rapports entre Nonnos et Aratos, voir la note à 1, 235”, nota in cui Vian si limita a segnalare una serie di paralleli – tra cui anche quelli qui analizzati – tra i due poeti nella descrizione dei vari aspetti di Orione.

323 La luminosità è – più precisamente – attribuita, qui come in 1, 235, al dorso (νῶτα) della spada di Orione, conformemente a quel gusto tipicamente nonniano di evidenziare l'estensione di un oggetto nello spazio, a proposito del quale vd. Gigli Piccardi 1985, pp. 134-135.

anche nel caso di Orione (come emerge chiaramente dal v. 587 del passo sopra riportato): Nonno potrebbe aver trasferito questa caratteristica all'unico elemento della costellazione la cui brillantezza non è sottolineata324, in un abile gioco di variazione.

Con l'espressione ἀννεφέλῳ τελαμῶνι ci si riferisce invece, a mio avviso, all'altro dettaglio di Orione su cui si sofferma la descrizione aratea, cioè la cintura, in quanto è nella cintura che la spada trova tradizionalmente la sua collocazione325. Si ricorda che il

termine impiegato, τελαμών, occorre anche in Dionisiache 1, 198, in riferimento alle cinghie formate dai serpenti di Tifeo intorno a Boote: non a caso anche in questo passo il vocabolo allude a una cintura, benché cambi la costellazione che la possiede. Inoltre l'aggettivo attribuito al sostantivo in questione, ἀννεφέλῳ, propriamente “senza nuvole”, potrebbe alludere, oltre che all'avvento della primavera e del bel tempo associato alla vittoria di Zeus (in contrapposizione con l'inverno e il brutto tempo scatenati da Tifeo), all'eccezionale brillantezza di Orione, sulla quale tanto insiste il passo arateo proprio in relazione alla cintura della costellazione (v. 587).

Ai vv. 3-4 il focus si sposta sul Toro, il quale viene citato verosimilmente per la sua vicinanza a Orione, che deriva, come già rilevato, da Arato (Fenomeni 323)326. In

particolare l'attenzione dell'autore si appunta sulle zampe della costellazione, le quali – si dice – ora non si bagnano più nell'oceano (il “circolare specchio d'acqua” è infatti una perifrasi che designa l'oceano327): si tratta di un modo per descrivere il tramonto del

Toro. L'epiteto attribuito alle zampe (o, più precisamente, alle “impronte”) di quest'ultimo, ovvero παχνήεντα al v. 4, da una parte rimanda al fatto che la costellazione tramonta a metà novembre, quindi in un mese invernale328, dall'altra costituisce, com'è

stato osservato329, un richiamo verbale a Dionigi il Periegeta, Descrizione della Terra

168 (GGM 2, 111: ὑπὸ ψυχρῷ ποδὶ Ταύρου). Si noti pertanto che Arato, se da un lato si può chiamare in causa per giustificare, oltre che la descrizione di Orione, la menzione del Toro immediatamente dopo quest'ultimo, dall'altro non viene seguito nella descrizione del tramonto del primo, dove viene sostituito da un'altra fonte, un altro 324 Il particolare, naturalmente, è anche funzionale alla narrazione, dal momento che pone l'accento sull'aspetto della luce, il quale, come abbiamo più volte rilevato, nelle Dionisiache è strettamente connesso agli elementi celesti.

325 Cfr. Pàmias i Massana – Zucker 2013, p. 100 e Hyg., Astr. 3, 33 incinctum ense (sc. Orionem). 326 Cfr. p. 65.

327 Cfr. Chuvin 1976, p. 133 e Gigli Piccardi 20062, p. 275.

328 Cfr. Gigli Piccardi 20062, p. 275.

autore ellenistico didascalico: da quest'ultimo, il quale si qualifica come geografo, Nonno trae una notazione di tipo astronomico per inserirla in questo passo del poema che si fonda in gran parte su Arato, realizzando, mediante la “contaminazione” dei modelli, il consueto mosaico di allusioni.

Ai versi successivi (5-6) viene citata l'Orsa, in quanto nella regione che essa rappresenta i ghiacci si sciolgono330. Quello che ci interessa sono però i termini nei quali

la costellazione viene caratterizzata. Essa è definita “assetata” e “generatrice di pioggia”, due aggettivi apparentemente antitetici, ma che trovano entrambi una spiegazione. Mentre il secondo si giustifica con il fatto che l'Orsa presiede alla stagione invernale, piovosa331, il primo riporta, oltre che a Iliade 18, 489332, a mio parere anche al

v. 48 dei Fenomeni, dove si esprime chiaramente la lontananza delle Orse dall'oceano: Ἄρκτοι, κυανέου πεφυλαγμέναι ὠκεανοῖο, “le Orse, che si guardano dall'oceano azzurro cupo”. Si noti che, nel verso in questione, Arato attribuisce alle due costellazioni connotati umani mediante l'impiego del verbo φυλάσσω, facendo coincidere – potremmo dire – la volontà di Zeus, da cui l'assetto del cosmo dipende, con la volontà delle creature astrali, conformemente a quel gusto ecfrastico più di una volta messo in luce. Nonno sembra riprendere tale gusto ecfrastico nell'applicare all'Orsa un aggettivo (διψάς) che le dona una parvenza di vita, seppur diversa da quella donata da Arato a entrambe le Orse, anzi quasi opposta a essa: nel passo arateo le Orse stanno “volontariamente” lontane dall'oceano, mentre in quello nonniano l'Orsa sembra desiderosa di attingervi (in quanto assetata). È opportuno ricordare, inoltre, che la costellazione viene definita “assetata” anche in Dionisiache 2, 279 (oltre che in 38, 367 e in 43, 187, in cui l'Orsa è designata con il termine Ἅμαξα333), dove però il contesto è

differente e, dal momento che il passo è incentrato sull'assimilazione metaforica del polo nord al timone di una nave, appare più calzante, come abbiamo già osservato, un confronto con il v. 26 dei Fenomeni334, benché occorra tener sempre presente che il

verso omerico può costituire anche qui il punto di partenza. In ogni caso, questa 330 Gigli Piccardi, traducendo liberamente “non è più possibile camminare su lastre di ghiaccio senza

bagnarsi i piedi”, chiarisce questo concetto.

331 Cfr. Chuvin 1976, p. 133 e Gigli Piccardi 20062, p. 275.

332 Cfr. ibidem. Abbiamo già citato questo passo in relazione a D. 2, 279-280 (cfr. p. 90).

333 Nel primo passo segnalato si descrive lo sconvolgimento verificatosi in concomitanza con la vicenda di Fetonte, nel secondo si rievoca tale sconvolgimento: su questi passi vd. infra.

polivalenza dell'aggettivo si configura, a mio avviso, come un ottimo esempio del valore narrativo che Nonno attribuisce agli epiteti, offrendo la possibilità di constatare come questi ultimi si caricano di significati fondamentali nell'economia della narrazione anche in virtù dei vari modelli individuabili a monte del testo.

Da notare, infine, che con il breve passaggio appena analizzato il ripristino dell'ordine viene definitivamente sancito: a rimarcare ciò sta l'insistenza sull'idea di luce, di cui è reso portatore Orione. Nonno non poteva non rifarsi a una auctoritas quale è Arato in campo astronomico per sottolineare l'importanza di questo momento: in particolare il poeta imita il predecessore in una delle parti più tecniche del poema di quest'ultimo (quella dedicata alla descrizione della levata e del tramonto delle costellazioni) – sebbene, come abbiamo visto, nella sua composizione attinga anche a un'altra fonte – a mio parere per evidenziare che la volontà di Zeus, la quale nei

Fenomeni regna indisturbata, è stata ormai ristabilita e tutto ricomincia a procedere in

ottemperanza a essa. Inoltre non sembra casuale, ma anzi dettato da esigenze di simmetria (oltre che di enfatizzazione del concetto di cui sopra) il fatto che le ultime due costellazioni menzionate in questi versi nonniani, cioè il Toro e l'Orsa, siano proprio quelle contro cui Tifeo si è maggiormente accanito.

Prima di passare al canto successivo delle Dionisiache, in cui è riscontrabile un'altra notazione di carattere astronomico, si deve osservare che all'interno del terzo è rintracciabile altresì una ripresa aratea di tipo verbale: l'espressione καὶ πλόος ὥριος ἦεν al v. 19 infatti si può confrontare con Fenomeni 153-154 ὁ δὲ πλόος οὐκέτι κώπαις / ὥριος. In realtà si tratta di un'espressione che ha una sua tradizione, per cui Arato è soltanto una delle possibili fonti: com'è stato rilevato335, essa occorre già in Esiodo,

Opere 630 (αὐτὸς δ᾽ ὡραῖον μίμνειν πλόον, εἰς ὅ κεν ἔλθῃ) ed è reperibile anche in Antologia Greca 10, 1 (ὁ πλόος ὡραῖος). Tuttavia si noti, da una parte, che nel passo

esiodeo si sta descrivendo la brutta e non la bella stagione (l'autunno e non la primavera), mentre in Arato la bella stagione come in Nonno (anche se l'estate e non la primavera), dall'altra che nell'epigramma dell'Antologia Greca citato, il quale pure si riferisce alla primavera, l'aggettivo impiegato è, come d'altronde anche nel verso delle

Opere, differente rispetto a quello rintracciabile nel passo nonniano (ὡραῖος invece che

ὥριος), che occorre invece nel passo arateo (Fenomeni 154 ὥριος = Dionisiache 3, 19): il confronto con quest'ultimo, dunque, appare più stringente. È comunque verosimile che Arato per l'espressione si sia ispirato a Esiodo, visto che il concetto di ὡραῖον, cioè del momento opportuno per la realizzazione delle faccende marinare, che il poeta alessandrino esprime attraverso il termine più poetico (ὥριον), è tipicamente esiodeo, benché si adatti perfettamente anche al contesto dei Fenomeni336.

Possiamo ora passare al quarto canto. Cadmo è in viaggio verso la Grecia insieme ad Armonia e Nonno ne approfitta per tesserne un elogio, passando in rassegna tutte le invenzioni a lui attribuite, tra le quali figura anche l'astronomia (vv. 279-284):

ἄστατα κύκλα νόησε παλιννόστοιο Σελήνης, πῶς τρισσαῖς ἑλίκεσσι μετάτροπον εἶδος ἀμείβει, 280 ἀμφιφαής, διχόμηνις, ὅλῳ στίλβουσα προσώπῳ, πῶς δὲ συναπτομένη καὶ ἀπόρρυτος ἄρσενι πυρσῷ Ἠελίου γενετῆρος ἀμήτορι τίκτεται αἴγλῃ, πατρὸς ὑποκλέπτουσα παλιμφυὲς αὐτόγονον πῦρ. Gli incostanti cerchi di Selene che ritorna comprese,

come in tre rivoluzioni il mutevole aspetto cambia, 280 risplendente nel contorno, visibile a metà, brillante in tutto il volto,

poi come unita e separata337 dal maschio fuoco

del genitore Elio con splendore senza madre è generata, al padre rubando il fuoco generatosi da sé, che rinasce.

L'argomento di questo passo sono le fasi lunari. A mio avviso questi versi presuppongono la conoscenza di Arato, il quale in Fenomeni 733-739 tratta lo stesso tema:

336 Cfr. Gallego Real 2007, p. 238.

337 Gigli Piccardi 20062, p. 359 spiega che i termini συναπτομένη e ἀπόρρυτος sono da intendere in

questo modo sulla base di Manetone, il quale impiega συναφή e ἀπόρροια per indicare, rispettivamente, l'unione e la separazione di corpi celesti.

οὐχ ὁράᾳς; ὀλίγη μὲν ὅταν κεράεσσι σελήνη ἑσπερόθεν φαίνηται, ἀεξομένοιο διδάσκει μηνός, ὅτε πρώτη ἀποκίδναται αὐτόθεν αὐγή 735 ὅσσον ἐπισκιάειν, ἐπὶ τέτρατον ἦμαρ ἰοῦσα· ὀκτὼ δ᾽ ἐν διχάσει, διχόμηνα δὲ παντὶ προσώπῳ. αἰεὶ δ᾽ ἄλλοθεν ἄλλα παρακλίνουσα μέτωπα εἴρει ὁποσταίη μηνὸς περιτέλλεται ἠώς.

Non vedi? Quando piccola la luna con le corna a Occidente appare, che il mese è crescente insegna;

quando la prima luce si diffonde di là, 735 in quantità sufficiente a fare ombra, che sta andando verso il quarto giorno;

otto giorni (indica quando è) divisa, mezzo mese invece con tutta la sua faccia338,

ma sempre da punti diversi diverse facce mutando, dice quale alba della lunazione si leva.

Nonostante sia innegabile che la materia viene “maneggiata” in maniera molto diversa dai due poeti (vale a dire in modo molto più tecnico da Arato, come di consueto), mi preme mettere in evidenza alcuni punti di contatto a mio parere particolarmente vistosi, riguardanti sia il versante linguistico sia quello più prettamente tematico.

Al v. 281 del passo nonniano vengono sintetizzate tre diverse fasi della luna339, le

prime due mediante aggettivi (ἀμφιφαής e διχόμηνις) e la terza tramite un sintagma (ὅλῳ στίλβουσα προσώπῳ). In primo luogo si deve notare che l'epiteto διχόμηνις, hapax in Nonno, non può non richiamare alla memoria l'arateo διχόμηνα (v. 737), sebbene abbia un significato differente340: mentre nel passo dei Fenomeni esso si riferisce alla

luna piena e indica, precisamente, la metà del mese che essa marca, in quello delle

Dionisiache è da interpretare come l'equivalente di διχότομος, che qui significa, in

338 Il significato di questo verso è stato spiegato da Kidd 1997, p. 427, il quale è stato poi seguito da Martin 1998, p. 458.

339 Gli antichi distinguevano soltanto tre fasi lunari, come testimonia Cleomede (2, 5, Ziegler 1891, p. 202: οἱ μὲν οὖν παλαιοὶ τρία εἶναι περὶ τὴν σελήνην σχήματα ἔφασαν, τὸ μηνοειδές, τὸ διχότομον, τὸ πεπληρωμένον): cfr. Chuvin 1976, p. 161.

riferimento alla luna, “visibile a metà”. Non si deve trascurare, tuttavia, che in altri passi del poema arateo, non specificamente dedicati alla luna, il termine è impiegato per designare direttamente la luna piena341, cioè una delle tre fasi elencate nel passo

nonniano di cui ci stiamo occupando (anche se tale fase viene indicata da Nonno con un'espressione diversa, cioè ὅλῳ στίλβουσα προσώπῳ): è possibile che Nonno tenga presente ciò, ovvero impieghi, per la mezza luna, il vocabolo διχόμηνις in quanto Arato vi ricorre per designare una fase lunare, anche se differente (la luna piena); d'altronde abbiamo già constatato più volte la tendenza del Panopolitano a rimandare, all'interno di uno stesso passo, a versi estratti da sezioni diverse dei Fenomeni, anche molto lontane tra loro. Comunque, soprattutto il sintagma ὅλῳ στίλβουσα προσώπῳ, in chiusura del verso, sembra voler riecheggiare παντὶ προσώπῳ, che conclude il v. 737 del passo di Arato riportato sopra – e, come nel poeta di Soli, indica il plenilunio342. Insomma, per

designare due fasi differenti si ricorre a due espressioni diverse, che però nella fonte esprimono entrambe la medesima fase. A Nonno qui interessa soltanto rappresentare la luna nei suoi tre principali aspetti, senza addentrarsi in nozioni più specifiche: dal momento che sta semplicemente offrendo un riepilogo di una delle varie invenzioni di Cadmo, egli estrae dal modello solo le immagini che possano essere, oltre che più rappresentative di tale invenzione (di certo non avrebbe potuto, in così poco spazio, descrivere tutte le costellazioni, altro particolare che sarebbe stato rappresentativo dell'astronomia343), più facilmente visualizzate dal lettore/ascoltatore, senza aggiungere

eventuali elementi di “distrazione”. Ne emerge un quadro indiscutibilmente suggestivo, nel quale si pone l'accento sulla mutevolezza della luna come suo tratto caratteristico. A questo punto non possiamo esimerci dall'osservare che quest'ultimo motivo si rintraccia anche nel passo arateo in questione (v. 738), dove riveste, tra l'altro, una certa importanza, se si considera che è posto a coronamento della descrizione delle fasi lunari, sotto forma di solenne conclusione: Nonno, secondo un modus operandi a cui spesso ricorre, lo amplia, o meglio – in questo caso – lo approfondisce in due versi (279-280). Si noti inoltre che questa volta egli risulta più preciso della fonte, specificando quanto nei Fenomeni risulta vago: laddove Arato non ha bisogno di entrare 341 Vd., e. g., vv. 78 e 471 (nella medesima sede metrica): διχόμηνι σελήνῃ.

342 Il parallelo verbale non risulta segnalato.

343 Tanto più che qualche verso prima (v. 276) si cita, tra i primi elementi rappresentativi della scienza astronomica (non trattati in questa sede in quanto non vi si riscontrano reminiscenze aratee), “la splendente orbita di innumerevoli astri” (φλογόεσσαν ἀνηρίθμων ἴτυν ἄστρων).

nel dettaglio, dal momento che intende semplicemente tirare le fila di un ragionamento già condotto in maniera particolareggiata nei versi precedenti, Nonno decide di porre maggiore accuratezza nell'introdurre ciò che tratterà in breve nei versi successivi. Sembra quasi che il poeta di Panopoli intenda, in un certo senso, attuare un capovolgimento del modello, collocando all'inizio ciò che in quest'ultimo si presenta alla fine, riassumendo ciò che in esso viene maggiormente sviluppato e ampliando ciò che è trattato in breve.

Infine, per quanto concerne la teoria della derivazione della luce lunare dal sole, esposta ai vv. 282-284 e risalente ad Anassimene344, non sembra si possano rintracciare

richiami ad Arato; idem dicasi per la concezione del rapporto tra il sole e la luna come un rapporto tra padre e figlia, che da questi stessi versi si ricava345.

Nel sedicesimo canto si può rintracciare una notazione astronomica (vv. 199-205), all'interno del discorso con il quale Dioniso promette al suo cane il catasterismo in cambio dell'aiuto di quest'ultimo nella ricerca della vergine Nicea:

κάμνε τεῷ βασιλῆι· χάριν δέ σοι εἵνεκα μόχθων346 δώσω ἀμοιβαίην· μετὰ Σείριον ἀστέρα Μαίρης 200 αἰθέρος ἔνδον ἄγω σε καὶ ἀστερόεντα τελέσσω ἄγχι Κυνὸς προτέρου, σταφυλὴν ἵνα καὶ σὺ πεπαίνῃς βότρυος εἰλείθυιαν ἀκοντίζων σέθεν αἴγλην. τίς φθόνος ἀντέλλειν τρίτατον Κύνα; καὶ σὺ φαείνεις σύνδρομος ἀστερόεντος ἐπειγομένοιο Λαγωοῦ. 205 Lavora per il tuo padrone! Come ricompensa per le tue fatiche

ti concederò un favore: dopo Sirio, astro di Mera, 200 nel cielo ti condurrò e una creatura astrale ti renderò

vicino al primo Cane, affinché l'uva anche tu faccia maturare, parto del grappolo, lanciando il tuo splendore.

Che male c'è se sorge un terzo Cane? Anche tu risplenderai, 344 La stessa teoria in D. 5, 165-166; 38, 378-379; 40, 376-377.

345 Per le possibili fonti di questi versi si veda Chuvin 1976, p. 162. 346 L'edizione di riferimento per il canto 16 è quella di Gerlaud 1994.

compagno di corsa dell'inseguita Lepre astrale. 205 In base al discorso di Dioniso, il suo cane sarà collocato nella volta celeste dove si trovano la costellazione del Cane e l'astro della canicola, Sirio: per questo motivo risulterà essere un “terzo Cane”347, vicino alla costellazione della Lepre esattamente

come i primi due348.

Il passo è incentrato su due elementi che contraddistinguono il Cane, cioè la facoltà di far maturare, in virtù del calore (la costellazione si leva insieme al sole), i frutti (in questo caso, nello specifico, l'uva) e il fatto che nel cielo esso appare nell'atto di inseguire la Lepre. Ebbene, questi due elementi si rintracciano nella rappresentazione che Arato fornisce della costellazione. In Fenomeni 332-335 è adombrato il primo aspetto349:

οὐκέτι κεῖνον ἅμ᾽ ἠελίῳ ἀνιόντα φυταλιαὶ ψεύδονται ἀναλδέα φυλλιόωσαι· ῥεῖα γάρ οὖν ἔκρινε διὰ στίχας ὀξὺς ἀΐξας,

καὶ τὰ μὲν ἔρρωσεν, τῶν δὲ φλόον ὤλεσε πάντα. 335 Non più a quello, quando insieme al sole sorge,

le piantagioni sfuggono, senza dar frutti facendo fronde:

infatti facilmente (il Cane) le separa tra i filari penetrante slanciandosi,

alcune le fortifica, mentre di altre distrugge tutto il rigoglio. 335 Si osservi, in particolare, il v. 335, che si rivela il nodo centrale della questione, in quanto in esso si precisano non soltanto gli effetti negativi della canicola sulle piantagioni (τῶν δὲ φλόον ὤλεσε πάντα), ma anche (e tra l'altro in prima istanza) quelli positivi (καὶ τὰ μὲν ἔρρωσεν). Bisogna, tuttavia, considerare che, per il passo nonniano 347 Feraboli 1984, pp. 50-51 identifica il primo cane con la costellazione del Cane, il secondo con quella del Procione e per l'identificazione del terzo guarda allo “zodiaco” egiziano, ma a me non sembra che a questo terzo cane debba corrispondere una costellazione esistente: qui, come spiegheremo meglio più avanti, Dioniso prospetta l'aggiunta di un elemento nuovo nella volta celeste. Poco chiaro Gerlaud 1994, p. 232: “le troisième Chien se serait confondu avec la Canicule et aurait été, comme elle, proche du Lièvre”.

348 Sulla vicinanza del Cane alla Lepre cfr. Arat. 339-341 e 503. 349 Eratostene (Cat. 33) non accenna a questo aspetto.

di cui ci stiamo occupando, è stata proposta un'altra fonte350, nella fattispecie Esiodo,

Opere 609-611, versi che riportiamo di seguito per poterli includere nella nostra analisi,

aggiungendo però il v. 612, per motivi che spiegheremo (ed. Solmsen 1970): εὖτ᾽ ἂν δ᾽ Ὠρίων καὶ Σείριος ἐς μέσον ἔλθῃ

οὐρανόν, Ἀρκτοῦρον δὲ ἴδῃ ῥοδοδάκτυλος Ηώς, 610 ὦ Πέρση, τότε πάντας ἀπόδρεπε οἴκαδε βότρυς.

δεῖξαι δ᾽ ἠελίῳ δέκα τ᾽ ἤματα καὶ δέκα νύκτας. Ma quando Orione e Sirio al centro siano giunti

del cielo e Arturo veda l'Aurora dalle dita di rosa, 610 o Perse, allora tutti i grappoli raccogli e portali a casa.

Esponili al sole per dieci giorni e dieci notti.

Come si può constatare, l'aggiunta del v. 612 è indispensabile al fine di mettere in luce la corrispondenza con il passo nonniano: prima di questo verso, infatti, non viene