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Morreo e Calcomeda: variare la poesia ellenistica con la poesia ellenistica

Nel trentatreesimo canto prende avvio l'episodio di Morreo e Calcomeda: il valoroso Indiano viene fatto innamorare della bella Baccante affinché l'esercito dionisiaco, che versa in una condizione tragica a causa dell'assenza di Dioniso, impazzito per volere di Era, possa risollevarsi. Nel punto in cui viene descritto il cielo notturno contemplato da un Morreo ormai irrimediabilmente innamorato ho individuato innanzitutto un interessante caso di interpretatio e di completamento “tecnico” del modello arateo462. Ai vv. 286-297 leggiamo:

ἠέρι πεπταμένην μετανεύμενος αἴθριον αὐλήν463 νυμφίον Εὐρώπης ἐπεδέρκετο, Ταῦρον Ὀλύμπου· ἀξονίῳ δὲ τένοντι πολυπλανὲς ὄμμα τιταίνων Καλλιστὼ σκοπίαζε καὶ ἄστατον ὁλκὸν Ἁμάξης, γινώσκων, ὅτι θῆλυς ἐδέξατο θῆλυν ἀκοίτην 290 μιμηλῆς μεθέποντα νόθον δέμας Ἰοχεαίρης ἀγνώστοις μελέεσσιν· ὑπερτέλλοντα δὲ Ταύρου Μυρτίλον ἐσκοπίαζε, πυρίπνοον Ἡνιοχῆα, ὅττι γάμῳ χραίσμησε, καὶ εἰς δρόμον Ἱπποδαμείης ἀντίτυπον ποίησε τύπον464 τροχοειδέι κηρῷ, 295 ἄχρι Πέλοψ γάμον εὗρε· καὶ ἀγχόθι Κασσιεπείης Aἰετὸν Αἰγίνης τανυσίπτερον εἶδεν ἀκοίτην. Volgendosi verso il chiaro cortile disteso nell'aria, lo sposo di Europa vedeva, il Toro d'Olimpo;

verso la punta dell'asse l'errabondo occhio tendendo, Callisto spiava e la mai ferma spira del Carro,

sapendo che una donna accolse come sposo una donna 290 la quale accetta un falso corpo, che imita la Saettatrice,

462 A quanto mi risulta questo richiamo ad Arato non è stato individuato.

463 L'edizione di riferimento per il canto 33 delle Dionisiache è quella di Gerlaud 2005.

464 τύπον è la lezione tràdita da L, che, in unione a τροχοειδέι κηρῷ, non ha convinto molti studiosi. Per la spiegazione della mia decisione di mantenere il testo e della mia traduzione dell'espressione vd.

con irriconoscibili membra; poi

Mirtilo spiava, l'Auriga spirante fuoco, mentre sorgeva sopra il Toro, poiché a un matrimonio giovò e per la corsa di Ippodamia

una somigliante impronta rotonda di cera fece, 295 finché Pelope le nozze trovò; e vicino a Cassiopea

l'Aquila dalle ampie ali vide, sposo di Egina.

Tra le costellazioni sulle quali Morreo posa lo sguardo è compreso l'Auriga, identificato con Mirtilo465, di cui viene ricordato il mito ai vv. 294-296; ma a noi

interessa il v. 293, dove si specifica che esso sorge “sopra il Toro”, dettaglio che mi sembra presupporre Fenomeni 174-176:

λαιοῦ δὲ κεράατος ἄκρον

καὶ πόδα δεξιτερὸν παρακειμένου Ἡνιόχοιο 175 εἷς ἀστὴρ ἐπέχει, συνεληλάμενοι δὲ φέρονται.

Del sinistro corno (del Toro) l'estremità, poi,

e il piede destro del vicino Auriga 175 una sola stella li tiene, e così uniti procedono.

Dal fatto che il piede dell'Auriga è vicino al corno del Toro (vv. 174-175) e che le due costellazioni sono connesse l'una all'altra (v. 176)466, Nonno deduce che la prima è

collocata sopra la seconda, dunque che sopra la seconda si leva. Si noti l'impiego del verbo ὑπερτέλλοντα: il verbo τέλλω/ἀντέλλω occorre in Arato accompagnato da vari preverbi, ma mai da questo – si tratta di un procedimento che il poeta opera di frequente, soprattutto quando si confronta con il modello omerico467, ma anche con

quello arateo, come abbiamo avuto modo di constatare altre volte468. Nonno, insomma,

465 Tale identificazione è riportata, insieme ad altre, in Sch. in Arat. 161 (Maass 19582, p. 368 = Martin

1974, p. 161), oltre che da Eratostene (Cat. 13) e Igino (Astr. 2, 13, 2), e si riscontra altresì in un mosaico di Filippopoli risalente al III sec. d. C., come segnala Agosti 20102, p. 507. Arato, invece, non

fa riferimento ad alcun mito eziologico nella descrizione dell'Auriga.

466 Vd. anche Arat. 178 ὁμηλυσίῃ περ ἀνελθών (il soggetto sottinteso è il Toro, che si leva “in compagnia” dell'Auriga).

467 Cfr. Hopkinson 1994b, p. 15. 468 Vd., e. g., p. 134.

interpreta e completa la fonte mediante un'espressione fortemente condensata, ricorrendo a un linguaggio che riproduce quello – tecnico, specialistico – da essa normalmente impiegato. È opportuno ricordare inoltre che il Toro e l'Auriga, i quali qui sono associati, nei Fenomeni vengono descritti uno dopo l'altro (l'Auriga ai vv. 156-166 e il Toro ai vv. 167-178).

Prima di continuare la nostra analisi del passo alla luce di Arato, mi sembra doveroso aprire una breve parentesi e soffermarmi sul problema testuale al v. 295. Come anticipato, l'espressione τύπον τροχοειδέι κηρῷ ha creato non poche difficoltà ai fini dell'interpretazione, motivo per il quale sono state proposte varie correzioni. Hopkinson ha ritenuto di dover leggere τύλον τροχοειδέι κύκλῳ, rendendo però in tal modo necessari ben due interventi sul testo (la sostituzione di τύπον con τύλον e di κηρῷ con κύκλῳ): Agosti ha dunque suggerito di modificare soltanto τύπον con τύλον e di tradurre “mozzo rotondo di cera”, intendendo l'aggettivo τροχοειδέι (che, secondo il lessico di Peek, in Nonno ha il significato di “rotondo”) riferito a κηρῷ per enallage469.

A mio parere, tuttavia, si può mantenere il testo tràdito, sempre considerando l'aggettivo τροχοειδέι riferito a κηρῷ per enallage, e tradurre quindi “una somigliante impronta rotonda (della ruota) di cera”. Ciò potrebbe apparire in contraddizione con i dati trasmessi dalle fonti mitologiche a noi note, le quali narrano che Mirtilo – per permettere la vittoria di Pelope, quindi il suo matrimonio con Ippodamia – manomise soltanto una parte (che nelle fonti varia)470 della ruota del carro di Enomao – padre di

Ippodamia che sfidava i pretendenti di costei a una gara di quadrighe e li batteva sempre, uccidendoli. Ma la contraddizione svanisce non tanto se si pensa che Nonno potrebbe qui rifarsi a una versione del mito a noi sconosciuta, quanto, piuttosto, se si ipotizza che qui la ruota designi per sineddoche l'assale o il mozzo del carro. D'altra parte Nonno, alludendo a uno stesso mito più volte all'interno del poema, non lo ricorda sempre in maniera precisa, in tutti i suoi dettagli, ma talvolta capita che lo sintetizzi in modo piuttosto sommario471. Qui la sineddoche (il tutto per la parte) potrebbe essere

motivata proprio da esigenze di sintesi: di fatto l'interesse del poeta in questo passo non è focalizzarsi specificamente sul mito di Mirtilo – visto che quest'ultimo, come vedremo 469 Cfr. Agosti 2003, pp. 13-14.

470 Per esempio Nonno in altri passi delle Dionisiache (37, 341 e 429) parla di un assale (ἄξων) del carro, mentre Igino (Fab. 84) di mozzi.

471 Uno dei casi più eclatanti è quello del mito di Tiresia, che, narrato in maniera particolareggiata in D. 5, 337-345, è invece semplicemente accennato in soli due versi in D. 7, 250-251.

meglio tra poco, è semplicemente uno degli exempla sollecitati dalle costellazioni contemplate da Morreo – ma piuttosto enfatizzare il desiderio di cui l'Indiano arde per la Baccante. Rimane un problema: τύλον sembrerebbe preferibile a τύπον in quanto lectio

difficilior (τύπον potrebbe essere stato trascinato da ἀντίτυπον). Tuttavia una delle cifre

stilistiche distintive delle Dionisiache, come messo bene in luce dal fondamentale studio di Keydell, è la ripetizione di parole o di singole radici e non mancano casi in cui il sostantivo e l'aggettivo a esso riferito presentano la medesima radice472, come qui τύπον

e ἀντίτυπον: nulla di strano, dunque, in questo nesso, che risulta perfettamente in linea con l'usus scribendi di Nonno.

Torniamo ora alla nostra analisi. A mio avviso un altro particolare del passo potrebbe rimandare ad Arato: all'interno della digressione su Callisto viene citata la “spira mai ferma del Carro” (v. 289): questa “spira” potrebbe essere un'allusione a Elice, ovvero al nome con il quale viene chiamata l'Orsa Maggiore in Fenomeni 37 (τὴν δ᾽ ἑτέρην Ἑλίκην – sottinteso καλέουσιν), dal momento che ἑλίκη significa propriamente “spira” e Nonno nelle Dionisiache impiega più di una volta questo termine in tal senso473. D'altronde in Dionisiache 8, 74, sempre nell'ambito di un riferimento al mito di

Callisto, Nonno ricorre al verbo ἑλίσσω, il che potrebbe essere interpretato come un rimando ad Arato474. Qui abbiamo anche un dettaglio in più che farebbe propendere per

questa interpretazione, cioè il nome Ἁμάξης al v. 289, il quale, come abbiamo visto, è sostanzialmente arateo475.

Si osservi che Morreo volge lo sguardo soltanto verso costellazioni il cui mito eziologico è consono alla sua personale vicenda: i brevi excursus mitici che accompagnano la descrizione della volta celeste (nell'ordine Europa e il toro-Zeus catasterizzato nel Toro, Callisto catasterizzata nell'Orsa Maggiore, Mirtilo catasterizzato nell'Auriga ed Egina e l'aquila-Zeus catasterizzata nell'Aquila – tutti miti incentrati sull'inganno476 come strumento per giungere al compimento dell'amore) hanno funzione

472 Cfr. Keydell 1953, p. 6. 473 Vd., e. g., 1, 161 e 278. 474 Vd. p. 22.

475 La iunctura ὁλκὸν Ἁμάξης occorre anche, nella medesima sede metrica, in D. 23, 295 (dove, peraltro, abbiamo rintracciato vari richiami ad Arato: cfr. pp. 111 sgg.).

476 Se Morreo vorrebbe ricorrere all'inganno per possedere Calcomeda, Calcomeda effettivamente vi ricorrerà nei confronti di Morreo per avviare l'esercito indiano alla rovina. Sui vari tipi di inganno nelle Dionisiache si veda l'accurata ricerca di Newbold 2010, pp. 81-106 (86-88 sull'episodio di Morreo e Calcomeda), che sottolinea la centralità del tema – intorno a cui ruota una serie di motivi a esso legati e altrettanto importanti, come il contraffatto, l'artefatto, il travestimento o la metamorfosi –

di exemplum e sono finalizzati a esprimere il forte desiderio dell'Indiano di possedere Calcomeda. Mediante l'inserzione di una notazione “tecnica” all'interno di questa sequenza di miti l'autore sembra non voler rinunciare a sfoggiare, a ostentare le proprie conoscenze astronomiche rifacendosi all'autorità di Arato – ma certamente non solo, dal momento che la collocazione dell'Aquila vicino a Cassiopea non trova riscontro nei

Fenomeni e si potrebbe spiegare attraverso il ricorso alla sphaera barbarica invece che

a quella greca477.

La stessa notte in cui Morreo si strugge di desiderio senza riuscire a dormire, Calcomeda si dispera pensando al compito che le è stato assegnato. In procinto di gettarsi in mare, viene fermata da Teti, la quale, assunto l'aspetto di una Baccante, la incita a ingannare l'Indiano facendogli credere di essere da lei ricambiato e le promette che un serpente sarà posto a guardia della sua verginità e poi catasterizzato da Dioniso (vv. 370-376): ὑμέτερον δὲ δράκοντα λαβὼν μετὰ φύλοπιν Ἰνδῶν 370 στηρίξει Διόνυσος ἐν ἀστεροφεγγέι κύκλῳ, ἄγγελον οὐ λήγοντα τεῆς ἀλύτοιο κορείης, ἐγγὺς ἑοῦ Στεφάνοιο φεραυγέος, εὖτε τελέσσῃ ἀστερόεν μέγα σῆμα Κυδωναίης Ἀριάδνης· Ἀρκτῴῳ δὲ Δράκοντι δράκων τεὸς ἰσοφαρίζων 375 ἀστράψει μερόπεσσι, συναστράπτων Ὀφιούχῳ.

Il vostro478 serpente, preso dopo la strage degli Indiani, 370

lo collocherà Dioniso nel cerchio splendente di stelle, come nunzio incessante della tua inviolata verginità, vicino alla sua Corona splendente, quando compia

al fine di spiegare la predilezione nonniana per il paradosso: lo studioso collega infatti questa “costellazione tematica” all'annoso problema della relazione tra modello e copia, indagato a fondo da Nonno, ma, in fin dei conti, da lui lasciato senza soluzione, come dimostra proprio quella tensione paradossale che pervade l'intera opera.

477 Cfr. Feraboli 1984, pp. 52-53, dove si cita, come sussidio all'interpretazione, Manilio, il quale probabilmente attinge a un testo di paranatellonta che contempla un'aquila diversa dall'omonima costellazione greca.

l'astrale grande segno della cidonia Arianna;

il tuo serpente, uguale al Serpente dell'Orsa, 375 brillerà sui mortali, brillando insieme a Ofiuco.

Il serpente della fanciulla sarà collocato vicino alla Corona di Arianna (v. 373), nel “cerchio splendente di stelle” (v. 371), perifrasi destinata a designare il Tropico del Cancro479. D'altra parte la Corona si trova proprio vicino a tale cerchio, esattamente

come Ofiuco, insieme al quale il serpente brillerà dopo il catasterismo (v. 376). Ebbene, è Arato a trasmetterci questa informazione, in Fenomeni 569-572 e 577-578480:

569-572:

οὔ οἱ ἀφαυρότατοι, ὅτε Kάρκινος ἀντέλλῃσιν,

ἀστέρες ἀμφοτέρωθεν ἑλισσόμενοι περίκεινται, 570 τοὶ μὲν δύνοντες, τοὶ δ᾽ ἐξ ἑτέρης ἀνιόντες.

δύνει μὲν Στέφανος κτλ.

Non invisibili, quando il Cancro sorge,

degli astri che da entrambe le parti si avvolgono gli stanno intorno, 570 alcuni tramontando, altri dall'altra parte levandosi.

Tramonta la Corona. 577-578:

τὸν δὲ καὶ εἰς ὤμους κατάγει μογερὸν Ὀφιοῦχον Καρκίνος ἐκ γονάτων, κατάγει δ᾽ Ὄφιν αὐχένος ἐγγύς. Per le spalle porta giù anche il sofferente Ofiuco,

il Cancro, a partire dalle ginocchia, e porta giù il Serpente vicino al collo.

Contestualizziamo i due passi all'interno del poema. Arato, dopo aver descritto i vari cerchi celesti (vv. 480-524) ed essersi soffermato sullo Zodiaco (vv. 525-558), 479 Cfr. Gerlaud 2005, p. 184. La stessa espressione, riferita al medesimo cerchio, occorre in D. 1, 465,

su cui vd. p. 78.

invita a guardare quando sorga ciascuna delle dodici porzioni dello Zodiaco assumendo le costellazioni come punti di riferimento (vv. 559-568): il tramonto della Corona è citato come primo punto di riferimento per il Cancro (v. 572) e qualche verso dopo (vv. 577-578) viene menzionato, in qualità di ulteriore elemento guida, il tramonto di Ofiuco. Sulla base di tutte queste indicazioni a mio parere si può ipotizzare che Nonno intenda prospettare il catasterismo del serpente di Calcomeda nella costellazione del Serpente, cui Ofiuco deve il suo nome, e forse proprio per questo motivo – azzarderei – il catasterismo non viene più preso in considerazione nel prosieguo dell'opera481: il

serpente si trasformerà in una costellazione già esistente, quindi non sarà necessario tornare sull'argomento; in altre parole Nonno intende semplicemente proporre una propria identificazione del Serpente celeste e lo fa soltanto qui. Un altro elemento a sostegno di questa interpretazione è, secondo me, il fatto che questa costellazione (il Serpente) viene descritta da Arato insieme a Ofiuco come particolarmente splendente482

e nel passo nonniano di cui ci stiamo occupando s'insiste proprio sulla luminosità dell'astro in cui il protettore di Calcomeda sarà tramutato (si veda specialmente il v. 376, con i verbi ἀστράψει e συναστράπτων). È forse vero che il serpente della Baccante acquisisce nel contesto un certo valore simbolico483, ma sta di fatto che nel suo discorso

Teti ne parla come di un serpente reale, il quale sarà ricompensato proprio con la trasformazione in creatura astrale (da notare il consueto verbo στηρίζω, impiegato al v. 371 in riferimento al catasterismo) per l'onorevole compito che si accinge a svolgere.

I versi concernenti la Corona (373-374) si possono confrontare con Fenomeni 71- 72484:

αὐτοῦ κἀκεῖνος Στέφανος, τὸν ἀγαυὸν ἔθηκεν σῆμ᾽ ἔμεναι Διόνυσος ἀποιχομένης Ἀριάδνης. Là (si volge) anche quella Corona, che pose

481 Hopkinson 1994a, p. 287 richiama l'attenzione su questo dettaglio, ma non ne fornisce una spiegazione.

482 Sulla brillantezza di queste costellazioni vd. pp. 53-54.

483 Cfr. Newbold 1998, p. 4, il quale legge l'episodio in chiave psicanalitica, interpretando il serpente come un simbolo fallico, che rappresenta l'ansia dell'infante per la separazione dalla madre. Gerlaud 2005, p. 184 sottoscrive questa interpretazione.

Dioniso a essere luminoso segno di Arianna che se n'è andata.

Come si vede, entrambi i poeti definiscono la Corona un “segno” (σῆμα) che Dioniso ha fissato nel cielo a ricordo dell'amata Arianna: Κυδωναίης Ἀριάδνης al v. 374 è palesemente una variazione dell'arateo ἀποιχομένης Ἀριάδνης – si noti l'occorrenza delle due espressioni nella medesima sede metrica enfatica a fine verso – dettata da esigenze narrative (Arianna, in questo punto delle Dionisiache, non è ancora morta, come esplicitato dalla clausola del v. 373, εὖτε τελέσσῃ). D'altronde il termine σῆμα è profondamente arateo485 anche a prescindere dal passo in questione: quei fenomeni che

danno il titolo all'opera ellenistica sono essi stessi σήματα, indizi della volontà divina che il lettore è chiamato a interpretare sulla base dei precetti forniti dal poeta di Soli. Da sottolineare che Nonno, diversamente da Arato, qualifica questo σῆμα con due aggettivi (v. 374 ἀστερόεν e μέγα), in parte per completare l'esametro, in parte per evidenziare, mantenendosi in linea con il suo stile contraddistinto dall'accumulazione degli epiteti, la natura astrale di tale segno: abbiamo già avuto occasione di rilevare che anche Arato mostra questa preoccupazione in riferimento a più di una costellazione nel suo poema486.

Differente è poi il verbo scelto per esprimere l'azione di Dioniso sulla Corona (τελέσσῃ487 invece di ἔθηκεν): si tratta di una variatio che conferma il modello arateo, in

quanto Arianna, non essendo ancora morta, non può nemmeno essere catasterizzata, ma il suo catasterismo viene anticipato, dunque Arato viene presupposto e il suo poema qui si configura, sotto questo aspetto, come la continuazione di quello nonniano. Ancora più interessante mi sembra il fatto che alla costellazione venga attribuito un aggettivo (v. 373 φεραυγέος) che può essere considerato un sinonimo di quello al quale ricorre Arato (v. 71 ἀγαυόν), anche se è senza dubbio vocabolo più ricercato488: si tratta, a mio modo

di vedere, di un'ulteriore prova del duplice atteggiamento di emulazione e competizione adottato da Nonno nei confronti del modello.

Ai vv. 375-376 la costellazione nella quale il serpente di Calcomeda sarà 485 Sul valore del σῆμα per Arato si veda Volk 2010, pp. 201 sgg.

486 Vd., e. g., vv. 358 (in riferimento al Fiume) e 548 (in riferimento ai Pesci).

487 Arato non impiega mai, in relazione a un catasterismo, questo verbo, che occorre solo due volte all'interno dei Fenomeni (vv. 79 – con le spalle di Ofiuco per soggetto – e 1144 – con l'aspettativa dell'uomo legata ai segni dispensati da Zeus, ἐλπωρή, per soggetto) e al passivo, con il significato di “risultare”.

488 Il termine occorre, oltre che in Nonno, in PMag.Berol. 2, 92. L'aggettivo arateo, invece, si rintraccia già in Omero (vd., e. g., Il. 3, 268 e Od. 11, 213).

trasformato viene equiparata, in virtù del suo splendore, al Dragone che si trova tra le due Orse.

Come fa notare Gerlaud489, l'espressione Ἀρκτῴῳ... Δράκοντι, in apertura del v. 375,

richiama la perifrasi Δράκοντι... Ἄρκτου che occorre in Dionisiache 2, 182: abbiamo già visto490 che tale perifrasi si può giustificare appellandosi ad Arato, il quale in Fenomeni

58-60 descrive la posizione del Dragone rispetto all'Orsa Maggiore, precisando che il primo ha la testa rivolta verso la seconda. Qui il nome del Dragone, in dativo, non è associato a quello dell'Orsa in genitivo (come in Dionisiache 2, 182), ma concorda con un aggettivo derivato comunque dal nome di quest'ultima, quindi l'intento di riferirsi direttamente alla costellazione è ben evidente in entrambi i passi: il termine, infatti, non indica semplicemente la collocazione del Dragone nell'emisfero boreale491, ma il suo

legame con l'Orsa, e a mio avviso serve, in questo caso, a distinguerlo dall'altra costellazione settentrionale anguiforme, cioè il Serpente di Ofiuco, con cui potrebbe confondersi492.

Infine il v. 376, dove – come rilevato poc'anzi – viene messa in risalto la lucentezza della costellazione cui Teti si riferisce, non fa che confermare, a mio modo di vedere, l'identificazione della stessa con il Serpente, affermando che essa brillerà insieme a Ofiuco (συναστράπτων Ὀφιούχῳ) – e non al Serpente493.

Prima di congedare l'episodio di Morreo e Calcomeda dobbiamo considerare che esso è un passo chiave ai fini della nostra ricerca, in quanto particolarmente ricco di 489 Cfr. Gerlaud 2005, pp. 184-185, il quale però si limita a segnalare il richiamo e a spiegare che ci si riferisce al Dragone boreale collocato in mezzo alle due Orse. Lo studioso continua poi commentando: “Dionysos créera un second Dragon comme il aurait dû créer un Chien supplémentaire”. Ma a me sembra – ribadisco – che qui si alluda a una costellazione esistente nella volta celeste (il Serpente, al quale qui Nonno si riferisce con il termine δράκων a mio avviso solo per “assonanza” con il vocabolo Δράκοντι immediatamente precedente – d'altra parte Ὄφις e Δράκων si rivelano interscambiabili all'interno delle Dionisiache, se si considera che in 2, 290 l'espressione Ὄφις... Ἁμάξης designa il Dragone), mentre il cane di Dioniso avrebbe dovuto essere trasformato in una costellazione del tutto nuova (cfr. p. 107).

490 Cfr. pp. 81-82.

491 Risulta dunque ambigua la traduzione di Agosti, “il Serpente del nord”, alla quale preferisco quella di Gerlaud, “le Dragon de l'Ourse”, in quanto mette in evidenza il riferimento all'Orsa, particolare essenziale ai fini dell'identificazione della costellazione.

492 L'aggettivo in questione si riferisce direttamente alla costellazione dell'Orsa anche nel discorso di Tifeo a Cadmo in D. 1, 462 (su cui vd. p. 76). Non mancano, tuttavia, i passi nei quali esso è impiegato esclusivamente – e senza generare equivoci – con il significato di “settentrionale” (vd., e.

g., D. 6, 220).

493 Se il poeta avesse menzionato il Serpente di Ofiuco certamente avrebbe voluto alludere a una costellazione nuova, ma menzionando semplicemente Ofiuco egli lascia adito a dubbi – e autorizza, per così dire, la nostra ipotesi.

richiami alla poesia ellenistica, a partire dal tema erotico sul quale è incentrato: infatti per le vicende di questo tipo Nonno attinge prevalentemente all'abbondante repertorio messogli a disposizione dal genere bucolico, rifacendosi in particolare alla figura del Ciclope teocriteo nel tratteggiare il personaggio dell'innamorato non corrisposto; ma anche il modello apolloniano è ben presente al Panopolitano, soprattutto nei punti in cui l'innamoramento viene connesso direttamente all'intervento di una divinità494.

Emblematico in questo senso è l'epillio in questione, ispirato, almeno nel suo esordio, al terzo libro delle Argonautiche, precisamente alla descrizione della presa di coscienza, da parte di Medea, del proprio amore per Giasone. È stato a ragione notato che dal confronto tra il testo nonniano e il suo modello scaturisce il carattere fortemente grottesco del generale indiano, il quale, in contrasto con la bellicosità che lo contraddistingue, risulta preda del sentimento amoroso alla stregua di una fanciulla che s'innamora per la prima volta495. Così, se la notte insonne di Morreo è improntata – pur

con le dovute, inevitabili differenze – alla notte insonne di Medea, specialmente nella scena del loro incontro l'Indiano e la Baccante ricordano il Polifemo e la Galatea di Teocrito (Idilli 6 e 11). Diverse fonti alessandrine sono dunque intrecciate e contaminate tra loro per le differenti suggestioni da esse offerte, in un ambito tradizionalmente di loro pertinenza. Ma quale significato assume, in questo contesto, la ripresa di Arato? Infatti il passo in cui Morreo contempla le stelle (vv. 286-297), da noi esaminato, “costituisce naturalmente un ulteriore allontanamento dal prototipo di A. R. III”496. È

certamente vero che il poeta di Soli propone “lo spunto per accumulare exempla mitici”497, ma occorre spiegare meglio questo concetto. Nonno qui si volge ad Arato

perché ha bisogno di exempla per descrivere il desiderio dell'Indiano498: il cielo che sta

al centro dei Fenomeni si rivela particolarmente adatto a questo scopo, in quanto ha il grande vantaggio di presentare, attraverso la descrizione delle costellazioni, più miti tutti insieme, esemplari in quanto ormai “livellati” in una dimensione fuori dal tempo, in