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Il canto 47: verso un'astronomia dionisiaca

La nostra ricerca si chiude con il canto quarantasettesimo, in cui l'influenza di Arato si avverte prima nella descrizione dei catasterismi di Erigone, Icario e del loro cane a opera di Zeus (vv. 246-262), poi nella promessa di catasterismo rivolta da Dioniso ad Arianna (vv. 448-452).

Partiamo dal primo blocco di versi:

Ζεὺς δὲ πατὴρ ἐλέαιρεν· ἐν ἀστερόεντι δὲ κύκλῳ607 Ἠριγόνην στήριξε Λεοντείῳ παρὰ νώτῳ. Παρθενικὴ δ᾽ ἄγραυλος ἔχει Στάχυν608· οὐ γὰρ ἀείρειν ἤθελεν οἴνοπα βότρυν ἑοῦ γενέταο φονῆα. Ἰκάριον δὲ γέροντα συνήλυδα γείτονι κούρῃ 250 εἰς πόλον ἀστερόφοιτον ἄγων ὀνόμηνε Βοώτην φαιδρόν, Ἁμαξαίης ἐπαφώμενον Ἀρκάδος Ἄρκτου. καὶ Κύνα μαρμαίροντα καταΐσσοντα Λαγωοῦ ἔμπυρον ἄστρον ἔθηκεν, ὅπῃ περὶ κύκλον Ὀλύμπου ποντιὰς ἀστερόεντι τύπῳ ναυτίλλεται Ὁλκάς. 255 καὶ τὰ μὲν ἔπλασε μῦθος Ἀχαιικὸς ἠθάδα πειθώ ψεύδεϊ συγκεράσας. τὸ δ᾽ ἐτήτυμον, ὑψιμέδων Ζεύς ψυχὴν Ἠριγόνης σταχυώδεος ἀστέρι Κούρης οὐρανίης ἐπένειμεν ὁμόζυγον, αἰθερίου δέ ἄγχι Κυνὸς κύνα θῆκεν ὁμοίιον εἴδεϊ μορφῆς, 260 Σείριον ὃν καλέουσιν, ὁμόρρυτον, Ἰκαρίου δέ ψυχὴν ἠερόφοιτον ἐπεξύνωσε Βοώτῃ.

Zeus padre aveva pietà: su uno stellato cerchio Erigone fissò vicino al dorso del Leone.

La Vergine agreste ha una Spiga: sollevare non

voleva il grappolo color del vino, di suo padre uccisore. 607 L'edizione di riferimento per il canto 47 è quella di Fayant 2000.

608 Ritengo, con Accorinti, si debba stampare Στάχυν, in quanto qui si allude chiaramente alla stella che appartiene alla costellazione della Vergine.

Il vecchio Icario che procede con la vicina Vergine 250 nel polo attraversato di stelle conducendo, lo chiamò Boote

splendente, che tocca l'arcade Orsa del Carro609.

E il Cane brillante che balza giù sulla Lepre,

bruciante astro, collocò dove, intorno al cerchio d'Olimpo,

per mare, in forma astrale, naviga la Nave. 255 E questo lo inventò un racconto acheo, l'usuale persuasione

alla menzogna mescolata. Questa invece è la verità: Zeus che domina dall'alto l'anima di Erigone all'astro della Vergine con la spiga,

celeste, assegnò, aggiogata a esso, e vicino al celeste

Cane un cane pose, simile nella forma dell'aspetto, 260 che chiamano Sirio, che sorge nello stesso tempo610, mentre di Icario

l'anima che vaga nell'aria l'attribuì a Boote.

Questi versi concludono l'episodio di Icario, il pastore/contadino che ospita Dioniso al suo arrivo in Attica e viene ricompensato dal dio con il dono della vite, ma viene poi ucciso dagli altri agricoltori, i quali, ubriachi del vino che egli ha offerto loro, pensano di essere stati da lui avvelenati. La figlia Erigone, una volta appresa e verificata la morte del padre, s'impicca, per poi essere sepolta dai viandanti e compianta dal suo cane Mera, che rimane presso la sua tomba lasciandosi morire. Zeus, mosso a pietà, procede quindi a catasterizzare i tre personaggi del mito. Notiamo subito che, secondo una consuetudine tipicamente ellenistica, vengono riportate due tradizioni a riguardo. La prima (vv. 246-257), in base alla quale Erigone viene trasformata nella costellazione della Vergine, Icario in quella del Bovaro e il loro cane in quella del Cane, sembra risalire all'Erigone di Eratostene611. Tuttavia molti dettagli conducono al poema arateo,

primo fra tutti la collocazione della Vergine accanto a Boote al v. 250612 (cfr. Fenomeni

136613) oltre che accanto al Leone al v. 247 (cfr. Fenomeni 545-546614, dove, come

609 Accorinti traduce “il Carro dell'arcade Orsa”, ma Ἁμαξαίης ha valore di aggettivo: cfr. Arat. 93 ἁμαξαίης ἐπαφώμενος... Ἄρκτου.

610 Su questo significato si veda infra.

611 Cfr. Sch. D in Il. 22, 29 (Van Thiel 2014, p. 569): οἳ καὶ καταστερισθέντες Ἰκάριος μὲν Βοώτης ἐκλήθη, Ἠριγόνη δὲ Παρθένος, ὁ δὲ κύων τὴν αὐτὴν ὀνομασίαν ἔχει. ἡ ἱστορία παρὰ Ἐρατοσθένει. 612 Cfr. Accorinti 20062, p. 536.

613 Per il testo vd. supra.

peraltro abbiamo già sottolineato, essa è posta sullo stesso cerchio su cui sta il Leone – e qui, mediante ἐν ἀστερόεντι δὲ κύκλῳ al v. 246, si fa riferimento proprio a un cerchio615). A proposito di quest'ultimo elemento si noti tra l'altro che l'aggettivo

Λεοντείῳ sembra essere impiegato per analogia con Ἁμαξαίης al v. 252, che ricalca l'arateo ἁμαξαίης (Fenomeni 93)616. Quanto ai vv. 248-249, si può a mio parere pensare

che si tratti di un particolare inventato da Nonno per esigenze narrative, ovvero per la necessità di giustificare l'attributo della spiga in mano alla Vergine-Erigone617. Anche

all'interno della descrizione di Boote si rilevano particolari aratei. Oltre alla collocazione vicino alla Vergine al v. 250, di cui abbiamo già detto, la clausola del v. 252, Ἁμαξαίης ἐπαφώμενον Ἀρκάδος Ἄρκτου, è indiscutibilmente modellata su

Fenomeni 93 ἁμαξαίης ἐπαφώμενος εἴδεται Ἄρκτου618: Ἀρκάδος, che sostituisce

εἴδεται, allude all'identificazione dell'Orsa Maggiore con Callisto619, cui Arato non

accenna, ma che si riscontra nei Catasterismi di Eratostene620; tuttavia, se si pensa che il

rapporto Arcade-Callisto è un rapporto figlio-madre, è probabile che il poeta abbia voluto fare riferimento a questo mito per porre in evidenza il rapporto analogo (seppure con un'inversione dei sessi) figlia-padre tra Erigone e Icario. Da notare inoltre che anche Arato, come Nonno (vd. v. 252 φαιδρόν), definisce Boote una costellazione particolarmente luminosa (Fenomeni 94 μάλα πᾶς ἀρίδηλος e 136 πολυσκέπτοιο Βοώτεω). Anche la rappresentazione del Cane che incombe sulla Lepre riecheggia Arato621: si osservi però che qui non ci si limita a fotografare un inseguimento622, in

quanto il verbo καταΐσσω (v. 253) indica il balzare giù partendo da una posizione superiore (quella occupata dal Cane rispetto alla Lepre623), l'avventarsi su qualcosa

piombando giù dall'alto, per cui anche questa volta l'autore fa compiere a una costellazione un'azione alla quale in Arato essa semplicemente tende. Altro elemento 615 Quindi questo cerchio andrà identificato, come in Arato, con lo Zodiaco: cfr. anche Fayant 2000, p.

159.

616 Anche questo parallelo non risulta segnalato.

617 Fayant 2000, p. 159 pensa invece che Nonno qui segua una tradizione differente (senza tuttavia esplicitare quale).

618 Cfr. anche ibidem.

619 Su questo mito vd. pp. 22-23. 620 Vd. Cat. 1.

621 Abbiamo già avuto modo di far notare che nei Catasterismi questo elemento non si riscontra: cfr. p. 109, n. 357.

622 Non sottoscrivo dunque la traduzione di Accorinti, “il Cane scintillante che insegue la Lepre”.

623 È probabile che Nonno abbia dedotto questa informazione da Fenomeni 341 οἱ (la Lepre) ἐπαντέλλει (il soggetto è Sirio), intendendo ἐπαντέλλει nel senso di “sorge sopra”.

arateo è la vicinanza del Cane alla costellazione della Nave (vv. 254-255), che deriva da

Fenomeni 342 ἡ δὲ Κυνὸς μεγάλοιο κατ᾽ οὐρὴν ἕλκεται Ἀργώ624. A questo proposito

Ὁλκάς, che è lezione di L2sl (L ha ὁλκῶ, palese errore), non dev'essere corretto in Ἀργώ,

come vorrebbe Scaliger, in quanto, come fa notare Fayant625, in latino è attestata la

denominazione Navis. D'altra parte abbiamo constatato che in alcuni casi Nonno si distacca da Arato per quanto concerne il nome di una costellazione, pur rifacendosi a lui nella descrizione della stessa: si pensi per esempio all'Uccello (Ὄρνις), che egli chiama “Cigno” (Κύκνος)626. Ritengo invece, insieme a Rosokoki627, che il participio

μαρμαίροντα, attribuito al Cane al v. 253, si possa considerare un richiamo al nome “Mera”, quindi a Eratostene, vista la predilezione del Panopolitano per i giochi etimologici628. Un rimando al poeta di Soli e alla sua caratterizzazione del Cane come

“ardente” (Fenomeni 595) potrebbe piuttosto essere l'aggettivo ἔμπυρον applicatogli al v. 254. In definitiva si può affermare che Eratostene (assunto a modello per l'identificazione delle costellazioni) viene contaminato con Arato (assunto a modello per la descrizione delle costellazioni).

La seconda versione (vv. 257-262), che per lo più lega o associa (vd. vv. 259 ἐπένειμεν e 262 ἐπεξύνωσε) l'anima dei personaggi alle costellazioni in questione (considerate per lo più già esistenti nella volta celeste) e che viene presentata come l'unica vera si spiega invece, a mio parere, con la necessità nonniana di conciliare i catasterismi che coronano la vicenda con le diverse identificazioni delle medesime costellazioni proposte in altri passi delle Dionisiache629. Tra l'altro si tratta di una

versione perfettamente consona al gusto di Nonno per le associazioni (che si scorge in espressioni come ὁμόζυγον al v. 259 e ὁμοίιον εἴδεϊ μορφῆς al v. 260): a tale riguardo è interessante notare che il catasterismo, atto di ordine voluto da Zeus, segue qui la stessa modalità dello sconvolgimento (quella dell'associazione, appunto); questa logica associativa si configura come un tratto distintamente nonniano, con il quale l'autore 624 Vd. anche vv. 351-352, 503 e 603-605.

625 Cfr. Fayant 2000, p. 160. 626 Cfr., e. g., D. 1, 256. 627 Cfr. Rosokoki 1995, p. 74.

628 A titolo puramente esemplificativo si ricorda Cinosura. Mi sembra dunque improbabile che qui si tratti di una coincidenza come sostiene Fayant 2000, p. 35.

629 Così ritiene anche Keydell 1932, p. 195. Fayant 2000, pp. 28-30, la quale collega questa versione al Neoplatonismo, pensa invece che sia un modo per conferire maggior risalto a stelle “qui ne brilleraient que pour l'Attique” (p. 30).

sembra quasi volerci comunicare che ora è pronto a sfidare Arato nel suo stesso campo, laddove in precedenza ha saputo gareggiare solo opponendo al modello il proprio personale mondo caotico.

Anche qui, come nella prima versione narrata (v. 248), la Vergine è rappresentata con la spiga, ma questa volta attraverso un aggettivo, σταχυώδεος al v. 258, che abbiamo già rintracciato, in riferimento alla medesima costellazione, in Dionisiache 2, 655630; da notare, in compenso, la differente designazione (v. 258 Κούρης invece che

Παρθενική al v. 248, a sua volta variazione di Παρθένος), in linea con quella tendenza nonniana messa in luce poc'anzi. Per quanto riguarda il Cane, Keydell ha ritenuto di dover correggere il non attestato ὁμόρρυτον in ὁμόσσυτον e di conseguenza Σείριον in Σειρίου (in quanto ὁμόσσυτον regge il genitivo). Siccome dal testo si evince che l'animale, in forma astrale, viene non proprio assimilato, ma piuttosto aggiunto al Cane, se si accettano queste correzioni ci si deve interrogare sull'identità della costellazione in cui il cane viene tramutato: la traduzione di ὁμόσσυτον... Σειρίου sarebbe infatti “che si slancia insieme a Sirio” e non specificherebbe l'identità della “nuova” costellazione; inoltre, come ha osservato a ragione Rosokoki631, la trasformazione di Mera nel Cane

attiene soltanto alla prima tradizione riportata (e respinta) da Nonno. Keydell632, sulla

base di Igino633, ha proposto un'identificazione con il Procione. Tuttavia a me pare che

qui il poeta possa riferirsi, senza suscitare problemi, a Sirio, l'astro più brillante della costellazione del Cane, in quanto esso è da lui considerato un'entità a sé stante, esattamente come in Dionisiache 16, 199-205634, dove Dioniso promette al suo cane che

sarà catasterizzato, divenendo così un “terzo Cane” dopo il Cane e Sirio – anche se poi effettivamente ciò non accade, quindi non si pone il problema d'identificare questo cane con una determinata costellazione. Questo è il motivo per cui può essere mantenuto il testo tràdito, che peraltro è confermato da Arato: si confronti Dionisiache 261 Σείριον ὃν καλέουσιν con Fenomeni 331-332 καί μιν καλέουσ᾽ ἄνθρωποι / Σείριον635.

D'altronde Sirio, il quale viene connesso al mito di Icario e precisamente al suo cane 630 Su questo termine si veda p. 96.

631 Cfr. Rosokoki 1995, p. 75. 632 Cfr. Keydell 1932, p. 195.

633 Vd. Astr. 2, 4: canem autem sua appellatione et specie Caniculam dixerunt, quae a Graecis, quod

ante maiorem Canem exoritur, Procyon appellatur.

634 In merito a questi versi si vedano pp. 107 sgg. 635 Il confronto è proposto anche da Fayant 2000, p. 161.

Mera, “nasce” come astro alla fine di questo mito, ma, in un certo senso, può essere anch'esso considerato “aggiogato” al Cane – così come l'anima di Erigone alla Vergine e quella di Icario a Boote – dal momento che ne costituisce una parte. Per Nonno Sirio è sempre l'“astro di Mera”, sebbene la sua caratterizzazione sia sostanzialmente aratea (è ardente, insegue la Lepre, fa maturare i frutti), mentre Arato non accenna a nessun mito eziologico specificamente per questa stella, ma solo per la costellazione cui essa appartiene (il Cane, identificato con il cane di Orione): il Panopolitano ne fa due creature differenti, separate anche se unite nella medesima figura astrale, attribuendo una storia a quella che nei Fenomeni non ce l'ha. Rimane da giustificare ὁμόρρυτον: il vocabolo è da interpretare come una neoformazione nonniana proveniente dal verbo ὁμορρέω, attestato nella letteratura astronomica con il significato di “sorgere nello stesso tempo”636. Ecco dunque un altro caso in cui lo studio delle fonti si rivela

essenziale a fini esegetici. A monte della rappresentazione di Boote, a cui viene associato Icario (vv. 261-262), non si scorge invece nessun modello in particolare: Nonno è ormai giunto a “occupare il posto” di Arato.

Vediamo infine i vv. 448-452, in cui Dioniso promette il catasterismo ad Arianna: οὔ σοι Κασσιέπεια δυνήσεται ἰσοφαρίζειν

παιδὸς ἑῆς διὰ κόσμον Ὀλύμπιον· αἰθερίους γάρ

δεσμοὺς Ἀνδρομέδῃ καὶ ἐν ἄστρασιν ὤπασε Περσεύς. 450 ἀλλά σοι ἀστερόεν τελέσω στέφος, ὥς κεν ἀκούσῃς

εὐνέτις αἰγλήεσσα φιλοστεφάνου Διονύσου. Cassiopea non potrà eguagliarti

per l'ornamento olimpio di sua figlia: infatti celesti

catene ad Andromeda anche tra gli astri diede Perseo. 450 Ma per te io un'astrale corona farò, affinché tu sia chiamata

sposa splendente di Dioniso amante delle corone.

La promessa è contenuta nel primo discorso di Dioniso, quello con il quale il dio si 636 A farlo notare è Fayant 2000, p. 161, che rimanda a Serapione, CCA 8(4).226.

rivolge ad Arianna non appena la incontra a Nasso, al fine di convincerla a sposarlo. Essa s'inscrive nella σύγκρισις tra il protagonista del poema e Perseo sviluppata nel venticinquesimo canto, che qui risulta funzionale agli scopi di Dioniso: il futuro catasterismo di Arianna viene infatti confrontato con quello di Andromeda per sancirne la superiorità. Questi versi, di cui il primo è una ripresa omerica637 che mira a mio

avviso semplicemente a conferire una certa epica solennità alla promessa (visto il contesto completamente differente del modello), sono per vari aspetti improntati ad Arato. L'elemento più vistoso è sicuramente l'espressione καὶ ἐν ἄστρασιν al v. 450,

imitatio cum variatione di Fenomeni 203 καὶ ἐν οὐρανῷ638, che sottolinea la persistenza

della prigionia di Andromeda anche nel cielo e che abbiamo già rintracciato in

Dionisiache 25, 130 (in riferimento alle catene proprio come in questo passo), nel

lamento che la fanciulla indirizza a Perseo; esso viene ripreso in quanto costituisce senza dubbio uno dei più forti argomenti a detrimento della figura di quest'ultimo. Ma a mio modo di vedere anche la iunctura παιδὸς ἑῆς διὰ κόσμον Ὀλύμπιον al v. 449, che se non è ricollegata a nessuna fonte suona francamente un po' bizzarra, vuole essere un rimando all'αἰνὸν ἄγαλμα / Ἀνδρομέδης ὑπὸ μητρὶ κεκασμένον ai vv. 197-198 dei

Fenomeni639: si noti soprattutto – tenendo presente l'importanza dell'elemento acustico

per Nonno, inscindibile dalle modalità di fruizione della sua opera – l'assonanza tra κόσμον e κεκασμένον, oltre all'espressione “di sua figlia”, che potrebbe essere stata ispirata dall'arateo “sotto la madre” (entrambi i nessi sottolineano la parentela tra le due costellazioni).

In ἀλλά σοι ἀστερόεν τελέσω στέφος al v. 451 alcuni studiosi vedono un'eco di

Argonautiche 3, 1003 ἀστερόεις στέφανος... Ἀριάδνης640, dove al mito di Arianna allude

Giasone portandolo come exemplum a garanzia della ricompensa che spetterà a Medea per il suo decisivo aiuto nell'impresa. È vero che il contesto è simile e non voglio negare del tutto il valore di questo parallelo. Tuttavia mi sembra che Nonno in questo passo sostanzialmente si autociti, con l'intenzione di riallacciarsi a 33, 373-374 εὖτε τελέσσῃ / ἀστερόεν μέγα σῆμα Κυδωναίης Ἀριάδνης641 cambiando però alcune espressioni chiave,

637 Cfr. Il. 6, 101 οὐδέ τίς οἱ δύναται μένος ἰσοφαρίζειν (dove il soggetto è Diomede, ritenuto ineguagliabile da Eleno). La ripresa è individuata da Fayant 2000, p. 176 e da Accorinti 20062, p. 558.

638 Parallelo segnalato anche da Fayant 2000, p. 176. 639 Il richiamo non risulta notato.

640 Cfr. Fayant 2000, p. 176 e Accorinti 20062, p. 558.

in particolare quelle che possono condurre ad Arato, ovvero il vocabolo σῆμα (che designa la Corona in Fenomeni 72) e il sintagma Κυδωναίης Ἀριάδνης (variazione di

Fenomeni 72 ἀποιχομένης Ἀριάδνης642), nell'ottica della definizione della propria

poetica, ormai sempre più profilata: non dimentichiamo che qui a parlare è il protagonista del poema, il quale, nell'appropriarsi di una prerogativa divina che poi questa volta effettivamente eserciterà (a differenza di quanto accade nel sedicesimo canto, dove il dio promette al suo cane un catasterismo che non realizzerà), vuole, per così dire, scostarsi dalla tradizione o meglio rielaborarla alla propria maniera, esibendo la propria indipendenza dal modello-padre Arato-Zeus643. Peraltro, a conferma della

volontà nonniana di autocitarsi per creare una rete di collegamenti tra i passi inerenti alla Corona mi pare si possa addurre il fatto che la clausola del v. 452, φιλοστεφάνου Διονύσου, è ripresa da Dionisiache 25, 147. D'altra parte il catasterismo di Arianna è fondamentale nel disegno dell'opera dal momento che costituisce l'ultimo atto compiuto da Dioniso prima dell'apoteosi, in 48, 969-973, dove – è interessante notare – esso è descritto senza riferimenti ad Arato a eccezione della clausola del v. 971, ἀποιχομένης Ἀριάδνης, ripresa solo qui da Fenomeni 72:

οὐδὲ Κυδωναίων ἐπελήσατο Βάκχος ἐρώτων644,

ἀλλὰ καὶ ὀλλυμένης προτέρης ἐμνήσατο νύμφης. 970 καὶ Στέφανον περίκυκλον ἀποιχομένης Ἀριάδνης

μάρτυν ἑῆς φιλότητος ἀνεστήριξεν Ὀλύμπῳ, ἄγγελον οὐ λήγοντα φιλοστεφάνων ὑμεναίων. E dei cidonii amori non si dimenticò Bacco,

ma anche della defunta prima sposa si ricordò. 970 E la Corona circolare di Arianna che se n'è andata,

testimone del suo amore, fissò saldamente nell'Olimpo, nunzio incessante di imenei amanti delle corone. 642 Per le osservazioni vd. pp. 146-147.

643 Non è a mio parere casuale che ciò accada proprio in questo passo, dove l'allusione alla Corona, essendo una promessa che verrà poi mantenuta, si allinea con il tempo della narrazione, mentre nei canti precedenti delle Dionisiache appare come un anacronismo (seppure da inquadrare – non guasta ricordarlo – nella logica tipicamente nonniana di disinteresse per la coerenza).

Ciò significa che il poeta vuole presentare questo catasterismo come un atto decisamente nonniano e dionisiaco, avallato però da quell'autorità aratea che, se il suo personaggio (Dioniso) può ignorare quando lo prospetta all'amata ai fini del corteggiamento, come forte affermazione di autonomia, egli non può fare a meno di ricordare per una sorta di dovere professionale. Mi sembra anche si possa concludere che il catasterismo di Arianna giunge a rappresentare l'estrema conciliazione tra la caotica, dinamica e multiforme poesia dionisiaca e l'ordinata, immobile e uniforme poesia aratea: il mondo ha bisogno anche di Dioniso per mantenere quell'equilibrio indispensabile alla propria sopravvivenza, così come l'universo poetico ha bisogno di Nonno per la sua innovativa ποικιλία.

Conclusioni

L'analisi delle riprese aratee che abbiamo condotto sistematicamente permette, in primo luogo e in termini generali, di constatare un atteggiamento duplice di Nonno nei confronti del modello. Da un lato l'autore dei Fenomeni viene chiamato in causa per la sua autorevolezza, legata alla sua precisione tecnica, dall'altro egli viene contraddetto proprio nella sua scientificità, nel senso che tutte le leggi celesti di cui si fa portavoce e che celebra come inviolabili vengono clamorosamente infrante in molti passi delle

Dionisiache.

È questo il caso soprattutto e innanzitutto della Tifonia, la grande sezione di respiro cosmogonico collocata in apertura del poema e destinata a inquadrare quest'ultimo in un nebuloso passato mitologico, in una dimensione primordiale, archetipica, nella quale il potere degli dei olimpici non è ancora del tutto consolidato e le forze sovversive del caos sono sempre in agguato1. Alla Tifonia Nonno intreccia la vicenda del rapimento di

Europa da parte di Zeus, dunque del viaggio di Cadmo alla ricerca della fanciulla: a livello strettamente narrativo il poeta, partendo da un episodio della preistoria dionisiaca e “cucendolo” a quello della lotta tra Zeus e Tifeo2, intende porre in evidenza il ruolo

decisivo di un progenitore di Dioniso (Cadmo) ai fini del ristabilimento dell'ordine, anticipando così l'importante funzione che il protagonista della sua opera giungerà a svolgere per l'equilibrio dell'universo. In questo contesto, in maniera piuttosto prevedibile, gli excursus di carattere astronomico, in cui Arato spicca come fonte principale, risultano consistenti. Vediamo come si esplica qui l'atteggiamento duplice di Nonno cui ho accennato poc'anzi. Da una parte si osserva che l'ordine con cui Arato descrive le costellazioni3 viene tendenzialmente seguito nella citazione delle

costellazioni che vengono aggredite da Tifeo, seppure talvolta in modo “indiretto”, mediante una “logica associativa” secondo la quale due costellazioni sono abbinate sulla base di un mito o di un epiteto spesso proveniente dai Fenomeni: si pensi all'esempio di 1 Cfr. Gigli Piccardi 2016, p. 428, dove si aggiunge che in tal modo Nonno vuole sottolineare che la sua

opera rappresenta un microcosmo anche sul piano dell'argomento.

2 L'idea di associare i due episodi è tutt'altro che scontata e potrebbe derivare da Pisandro di Laranda: cfr. Gigli Piccardi 20062, p. 113.

3 Come abbiamo messo in chiaro nell'introduzione, l'ordine arateo si può considerare significativo in quanto è diverso, per esempio, da quello seguito nell'opera di Eratostene, conservatoci dall'indice originale della medesima.

Boote, che potrebbe essere citato insieme all'Orsa Maggiore perché definito Ἀρκτοφύλαξ da Arato (Dionisiache 1, 167-168). Questa logica risulta attiva su più versanti, riguardando sia l'azione aggressiva di Tifeo, che nel suo sconvolgimento non rispetta i limiti tra cielo, mare e terra associando a una creatura celeste la corrispondente creatura marina e/o terrestre, ma anche procede a molestare costellazioni in qualche modo legate tra loro nel modello, sia quella dei suoi serpenti, i quali si dirigono contro le costellazioni a loro più simili nell'aspetto imitandole, sia l'azione difensiva delle componenti del cielo, nel senso che si mobilitano solo quelle tra loro più adatte a fronteggiare il nemico in virtù di qualche loro specifico attributo, tratto in genere dall'opera di Arato e sempre opportunamente rielaborato/variato. Tutto ciò è senz'altro da ricondurre a uno dei temi su cui Nonno ritorna ossessivamente nel corso del poema, ovvero il rapporto tra l'originale (inteso sempre come una forma reale, mai come un modello trascendente) e la copia, il vero e il falso, l'autentico e il contraffatto4, che si

connette allo sfondo filosofico neoplatonico delle Dionisiache e ci aiuterà a definire anche un altro punto che svilupperemo alla fine. Ad Arato il Panopolitano guarda altresì come a un “serbatoio” dal quale attingere nozioni di astrotesia (relative cioè alla posizione delle costellazioni, l'una rispetto all'altra o nel più ampio ambito della volta celeste)5 oltre che, come dicevamo, determinate caratteristiche delle costellazioni6,

confermate dall'impiego di singoli termini tecnici o intere iuncturae uguali o simili, ricavate spesso da sezioni dei Fenomeni diverse, ma inerenti allo stesso argomento7. Il

criterio di scelta di queste caratteristiche risponde naturalmente a esigenze di funzionalità rispetto alla narrazione: a questo proposito si rileva che Nonno predilige spesso dettagli che possano essere facilmente visualizzati dal lettore/ascoltatore,