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Lo scudo di Dioniso: tra Omero e Arato

Veniamo adesso alla descrizione dello scudo di Dioniso, che Rea-Cibele manda, tramite Attis, al dio affinché egli possa continuare la sua guerra contro gli Indiani426. Si

tratta di una lunga sezione ecfrastica (vv. 380-562) di cui esamineremo soltanto i vv. 390-412, che sono tratti dalla parte più propriamente astronomica e nei quali l'attenzione di Nonno si appunta sulla rappresentazione della volta celeste:

αἰθέριον δέ 390 χρυσῷ μὲν φλογέων ἐποχημένον ἄντυγι δίφρων Ἠέλιον ποίκιλλεν, ἀπ᾽ ἀργυρέου δὲ μετάλλου λευκαίνων τροχόεσσαν ὅλην κύκλωσε Σελήνην· ἐν δέ τε τείρεα πάντα, τά περ πολυφεγγέι κόσμῳ μιτρώσας στεφανηδὸν ἕλιξ ποικίλλεται αἰθήρ 395 ἑπτὰ περὶ ζώνῃσι, καὶ ἀξονίῳ παρὰ κύκλῳ ἄβροχον οὐρανίης διδυμάονα ῥυθμὸν Ἁμάξης· ἄμφω γὰρ παρὰ νύσσαν ὑπέρτερον Ὠκεανοῖο ἀλλήλων στιχόωσιν ἐπ᾽ ἰξύι, καἰ τόσον αἰεί νειόθι δυομένης κεφαλὴ κατακάμπτεται Ἄρκτου, 400 ὅσσον ἀνερχομένης ἑτέρης ἀνατείνεται αὐχήν· διχθαδίης δὲ Δράκοντα μέσον ποίκιλλεν Ἁμάξης, ὃς σχεδὸν ἀμφοτέρων μεμερισμένα γυῖα συνάπτων γαστέρος οὐρανίης ἑλικώδεϊ κάμπτεται ὁλκῷ, ἄψ ἀνασειράζων δέμας αἰόλον, οἷά τε λοξοῦ 405 Μαιάνδρου κελάδοντος ἕλιξ ῥόος, ὅς διὰ γαίης δοχμώσας ἐπίκυρτον ὕδωρ σπειρηδὸν ὁδεύει, εἰς κεφαλὴν δ᾽ Ἑλίκης ἀντώπιον ὄμμα τιταίνων ἀστραίαις φολίδεσσι δέμας μιτρούμενος Ἄρκτων τείρεσιν ἀμφίζωστος· ἐπὶ γλώσσῃ δέ οἱ ἄκρῃ 410 426 Sullo scudo di Dioniso come “talismano” si veda il recente contributo di Spanoudakis 2014, pp. 333- 371, il quale propone una lettura in chiave escatologica delle quattro scene che vi sono rappresentate (le quali alluderebbero, rispettivamente, alla creazione del mondo, alla collocazione dell'uomo in paradiso, alla sua caduta e al suo salvataggio e alla prospettiva della resurrezione finale).

φέγγος ἀποπτύων προτενὴς ἀμαρύσσεται ἀστήρ, πέμπων πουλυόδοντα μέσην φλόγα χείλεσι γείτων.

E nel cielo, 390 sull'aureo cerchio dei fiammanti carri trasportato,

Elio modellava, mentre dal metallo d'argento,

facendola bianca, diede forma circolare a una rotonda, intera Selene, e vi sono rappresentate tutte le stelle nel risplendente cosmo,

è modellato il ricurvo cielo, che le ha avvolte a corona 395 intorno alle sette zone, e, presso il cerchio dell'asse,

il gemello percorso che non si bagna del celeste Carro: entrambi, lungo un percorso sopra Oceano,

procedono (i Carri) in fila ai lombi l'uno dell'altro e sempre tanto

la testa dell'Orsa che tramonta in basso si piega 400 quanto dell'altra che sorge si tende il collo;

in mezzo al duplice Carro il Dragone modellava,

il quale, quasi di entrambe (le Orse) le divise membra collegando, sulla sinuosa spira del ventre celeste si piega,

ritraendo il corpo screziato – come 405 la ricurva corrente dell'obliquo Meandro risonante, che, attraverso la terra,

volta di traverso l'arcuata acqua, in spire scorre – verso la testa di Elice in avanti lo sguardo tendendo, di astrali squame il corpo delle Orse fasciando,

e di stelle cinto a sua volta: sulla punta della lingua 410 luce sputando, teso in avanti scintilla un astro,

mandando una fiamma centrale dai molti denti vicino alle labbra.

Dopo una breve introduzione in cui precisa che al centro dello scudo figurano la terra, il cielo, gli astri e il mare (vv. 387-390), il poeta si sofferma prima sul Sole e sulla Luna (vv. 390-393), poi su alcune stelle (394-412). La sequenza terra-cielo-mare-sole- luna-stelle è modellata chiaramente sul celeberrimo passo omerico in cui si descrive lo scudo di Achille (Iliade 18, 483-485), sebbene si presenti leggermente ampliata rispetto

a quella della fonte, che è invece una semplice enumerazione degli elementi naturali rappresentati sullo scudo: “Nonno (…) si diffonde, in maniera antifrastica rispetto al modello, su ciò che Omero elenca rapidamente, per esempio sulla raffigurazione del cielo, del sole e della luna, mentre riassume in maniera più generale e veloce ciò che era particolareggiato in Omero, permettendosi anche una sorta di diffrazione dell'illustre precedente”427. Nella descrizione degli astri, invece, si possono rintracciare vari rimandi

ad Arato. Alla luce di tali constatazioni si comprende quanto questo passo nonniano possa essere importante per definire in che modo e per quali motivi il poeta di Panopoli combini due autori così diversi l'uno dall'altro come Omero e il poeta dei Fenomeni; perciò riteniamo utile riportare di seguito il passo dell'Iliade dedicato alla descrizione del cosmo raffigurato sullo scudo di Achille (18, 483-489):

ἐν μὲν γαῖαν ἔτευξ᾽, ἐν δ᾽ οὐρανόν, ἐν δὲ θάλασσαν428, ἠέλιόν τ᾽ ἀκάμαντα σελήνην τε πλήθουσαν, ἐν δὲ τὰ τείρεα πάντα, τά τ᾽ οὐρανὸς ἐστεφάνωται, 485 Πληϊάδας θ᾽ Ὑάδας τε τό τε σθένος Ὠρίωνος Ἄρκτόν θ᾽, ἣν καὶ Ἄμαξαν ἐπίκλησιν καλέουσιν, ἥ τ᾽ αὐτοῦ στρέφεται καί τ᾽ Ὠρίωνα δοκεύει, οἴη δ᾽ ἄμμορός ἐστι λοετρῶν Ὠκεανοῖο. Vi fece la terra, il cielo e il mare,

l'infaticabile sole e la luna piena,

e tutti quanti i segni che incoronano il cielo, 485 le Pleiadi, l'Iadi e la forza d'Orione,

e l'Orsa, che chiamano col nome di Carro: ella gira sopra se stessa e guarda Orione, e sola non ha parte dei lavacri d'Oceano429.

427 Agnosini 2010, p. 335. Il modello omerico è diffratto in quanto Orione, il Bovaro e l'Oceano sono citati non nella descrizione dello scudo, ma nel discorso con cui Attis lo consegna a Dioniso, ai vv. 355-360; le Pleiadi e le Iadi, invece, sono scartate da Nonno. Sul rapporto tra Nonno e Omero in questo e in altri passi si vedano Vian 1991, pp. 5-18 (su questo passo 10-12, in cui si fa notare che Nonno, dopo aver ampliato il modello omerico nella parte sulla volta celeste, lo abbandona completamente per dedicarsi a temi dionisiaci) e Hopkinson 1994b, pp. 9-41 (su questo passo 22-24). 428 Il testo riprodotto è quello dell'edizione di West 2000.

Prima di concentrarci sulla sezione relativa agli astri, ci pare doverosa un'osservazione circa Elio: il verbo che indica l'azione con cui il fabbro lo modella sullo scudo è ποίκιλλεν, il quale viene attribuito da Arato proprio al sole in Prognostici 822- 823, dove si parla dei segni a esso legati (μή οἱ ποικίλλοιτο, νέον βάλλοντος ἀρούρας, / κύκλος). Certamente diverso è il significato che il termine assume nei due poeti: mentre in Arato ha il valore di “macchiarsi”, in Nonno è da intendere nel senso di “modellare”430. Si noti che quest'ultimo significato deriva verosimilmente da Omero, il

quale lo attribuisce al verbo in Iliade 18, 590, anche se in riferimento a un altro particolare rappresentato sullo scudo di Achille (la danza di giovani fanciulle e fanciulli di Cnosso in onore di Arianna): ἐν δὲ χορὸν ποίκιλλε περικλυτὸς ἀμφιγυήεις. È indiscutibile che Nonno è partito dal modello omerico, ma si può ipotizzare che sulla scelta di attribuire il verbo al sole e non a un altro degli elementi figuranti sullo scudo abbia influito Arato.

Passiamo adesso agli astri. Dobbiamo innanzitutto osservare che Omero si limita a elencare, nell'ordine, le Pleiadi, le Iadi – che Nonno non considera – e Orione – che Nonno ha menzionato nel discorso di Attis, al v. 357 – per poi descrivere brevemente soltanto l'Orsa Maggiore, alla quale Nonno sostituisce le Orse. Proprio queste ultime nel passo delle Dionisiache sono citate per prime e sono designate mediante la perifrasi “il percorso gemello che non si bagna del Carro celeste” (v. 397): notiamo che ritorna l'aggettivo ἄβροχον, il quale, come abbiamo visto, occorre anche al v. 137, oltre che in

Dionisiache 23, 295, sempre in riferimento alla traiettoria dell'Orsa (o meglio – in

questo caso – delle Orse). Per questo motivo si può ragionevolmente supporre che il modello a cui Nonno s'ispira sia anche qui il nesso ὑψόθεν ὠκεανοῖο al v. 26 dei

Fenomeni, tanto più che al verso successivo (398) l'espressione ὑπέρτερον Ὠκεανοῖο

appare come un'allusione ancora più esplicita al suddetto nesso431: sembra quasi che in

questa duplicazione il poeta voglia finalmente rivelare la sua fonte, dopo aver sfidato più volte nel corso dell'opera il lettore/ascoltatore a individuarla mediante il ricorso a espressioni da essa più distanti. È vero, tuttavia, che anche Omero fa riferimento a questa peculiare caratteristica dell'Orsa (Iliade 18, 489 οἴη δ᾽ ἄμμορός ἐστι λοετρῶν 430 Nella scelta del verbo, che ritorna al v. 402 (in relazione al Dragone), è evidente l'intenzione di

rimandare alla poetica della ποικιλία, come osserva anche Agnosini 2010, p. 336. 431 Vian 1990, p. 261, a proposito dell'espressione nonniana, parla di “parafrasi” di Arato.

Ὠκεανοῖο): potrebbe trattarsi di un'ambiguità voluta, attraverso la quale il poeta intende dar prova della sua conoscenza delle due principali fonti riguardanti questo tratto distintivo della costellazione432. In secondo luogo osserviamo la doppia denominazione

delle Orse, su cui giocano sia Omero (pur – ricordiamo – in riferimento alla sola Orsa Maggiore) sia Arato433, ma che Nonno sfrutta molto di più rispetto a entrambi i

modelli434, descrivendo le costellazioni ora come Carri ora come Orse senza addurre

alcuna spiegazione preliminare, con un forte effetto di duplicità, che si annulla soltanto nel momento in cui affiorino alla memoria del lettore/ascoltatore sia il passo omerico sia quello arateo. Per quanto riguarda la prima caratterizzazione, il v. 399 parafrasa l'arateo ἅμα τροχόωσι al v. 27 dei Fenomeni, come fa notare anche Vian435. Ma si può

aggiungere un'osservazione. Mi pare che Nonno “tagli” parole e nessi da versi differenti del poema arateo per ricucirli in un'unica espressione: nella fattispecie, in ἀλλήλων στιχόωσιν ἐπ᾽ ἰξύι, se il verbo στιχόωσιν è una variazione di τροχόωσι al v. 27 dei

Fenomeni (pur risultando più preciso di questo, in quanto introduce un'informazione

aggiuntiva, ossia l'allineamento delle Orse, che comunque è reperibile in Fenomeni 30436), ἀλλήλων... ἐπ᾽ ἰξύι ricorda invece l'espressione ai vv. 28-29 dei Fenomeni,

κεφαλὰς μὲν ἐπ᾽ ἰξύας αἰὲν ἔχουσιν / ἀλλήλων, destinata a definire la posizione reciproca delle due Orse. Numerosi sono poi i richiami stilistici e linguistici ad Arato nel prosieguo del passo (vv. 400-401)437, a cominciare dalla correlazione τόσον... ὅσσον

– che occorre, per esempio, in Fenomeni 537 e, soprattutto, 539-540, dove è associata all'opposizione ἀντέλλων/δύνων – passando per il nesso νειόθι δύνει – che si rintraccia in Fenomeni 534 – fino ai verbi impiegati438 – ἀνέρχομαι nei Fenomeni di frequente sta

a indicare la levata di una costellazione, per esempio al v. 538439, così come τείνω ne

432 Ricordiamo che nello scolio al v. 26 di Arato viene citato il passo omerico: cfr. p. 90, n. 297.

433 Entrambi i poeti – diversamente da Nonno – riportano espressamente questa doppia denominazione:

Il. 18, 487 Ἄρκτόν θ᾽, ἣν καὶ Ἄμαξαν ἐπίκλησιν καλέουσιν cfr. Arat. 27 Ἄρκτοι ἅμα τροχόωσι· τὸ δὴ

καλέονται Ἅμαξαι. Sulle riprese linguistiche di Omero da parte di Arato si vedano Ronconi 1937, pp. 167-202 e 237-259, il quale mette in evidenza che spesso Arato, nel riprendere Omero, fornisce importanti contributi all'esegesi di alcuni suoi passi (esattamente come fa Nonno nel riprendere Arato), e Traina 1956, pp. 39-48.

434 Cfr. Agnosini 2010, p. 339. 435 Cfr. Vian 1990, p. 261.

436 Per l'interpretazione di questo verso vd. p. 23.

437 Detti richiami sono semplicemente elencati da Stegemann 1930, p. 67 e da Vian 1990, p. 261, a eccezione del verbo τείνω.

438 Si potrebbe aggiungere la clausola Ἄρκτου, molto amata da Arato (vd. vv. 51, 93, 140, 182, 227, 723).

indica l'estensione nello spazio, anche se è accompagnato da preverbi differenti da quello cui ricorre Nonno440. Si noti, tra l'altro, che tali elementi si riscontrano, tutti

insieme, all'interno della stessa sezione del poema arateo, quella che comincia al v. 534 e termina al v. 544, nella quale si descrive il ritmo con cui i vari cerchi della volta celeste sorgono e tramontano (vv. 534-536), per poi focalizzarsi in particolare sullo Zodiaco (vv. 537-544): ciò non sembra casuale. Ma non si deve trascurare neppure il contenuto dei vv. 400-401, i quali, sempre sulla scia di Arato e precisamente di

Fenomeni 30441, sottolineano il fatto che le due costellazioni puntano in due direzioni

opposte: si ha l'impressione che Nonno, specificando che mentre un'Orsa tramonta piegando il capo l'altra sorge sollevandolo, abbia intenzione da un lato di spiegare il modello, consentendo la visualizzazione di un elemento che dalla lettura di quest'ultimo non risulta immediata (ovvero il modo in cui le Orse “procedono” connesse l'una all'altra), dall'altro di caratterizzare le due creature astrali come animali veri e propri.

I versi successivi (402-412) sono interamente dedicati a una dettagliata descrizione del Dragone, per la quale Arato continua a essere seguito da vicino442, sia a livello

contenutistico sia a livello stilistico, e a essere spiegato443. Innanzitutto la costellazione è

paragonata a un fiume (vv. 405-407: οἷά τε λοξοῦ / Μαιάνδρου κελάδοντος ἕλιξ ῥόος, ὅς διὰ γαίης / δοχμώσας ἐπίκυρτον ὕδωρ σπειρηδὸν ὁδεύει), esattamente come in

Fenomeni 45-46: οἵη ποταμοῖο ἀπορρώξ / εἰλεῖται. Come si vede, il paragone, in cui si

possono ravvisare richiami lessicali piuttosto precisi ai versi aratei (Dionisiache 405 οἷά cfr. Fenomeni 45 οἵη; Dionisiache 406 ἕλιξ cfr. Fenomeni 46 εἰλεῖται), si presenta notevolmente ampliato e più particolareggiato in Nonno, il quale, a differenza del modello, non solo fa riferimento a un fiume ben preciso (il Meandro), ma anche indugia sulla descrizione della corrente di questo fiume e del suo percorso sulla terra mediante la solita accumulazione di aggettivi (λοξοῦ, κελάδοντος, ἐπίκυρτον). Da notare che in questa descrizione il poeta ha l'accortezza di scegliere soprattutto termini adatti a un drago/serpente (λοξοῦ, ἕλιξ, ἐπίκυρτον, σπειρηδόν)444, rendendo il paragone

particolarmente efficace.

440 Due esempi sono il preverbo ἐπι- (v. 49) e – più frequente – ἀπο- (vv. 184, 195, 242, 541), anche se la preferenza è accordata al verbo semplice (vv. 185, 280, 361, 706, 989, 1032, 1084).

441 Per il testo vd. p. 23.

442 Ricordiamo che il Dragone non compare in Omero. 443 Cfr. Vian 1990, pp. 261-262.

Alcune espressioni relative al Dragone, inoltre, ricordano la descrizione aratea della costellazione: al v. 405 ἄψ ἀνασειράζων δέμας αἰόλον445 riprende il concetto espresso in

Fenomeni 54 ἐκ δ᾽ αὖτις παλίνορσος ἀνατρέχει446, cioè quello del corpo del Dragone

che si ritrae nel senso che torna indietro perché ha una struttura circolare, essendo costituito da spire. A mio parere Nonno sceglie quest'espressione proprio per l'idea della circolarità, a lui molto cara (come già messo in evidenza più volte), cui rimanda. Proseguendo, διχθαδίης in apertura del v. 402 sembra parafrasare δι᾽ ἀμφοτέρας al v. 45 dei Fenomeni, che definisce la collocazione della costellazione in mezzo alle due Orse. Tuttavia, come giustamente sottolinea anche Agnosini447, bisogna osservare che Nonno

attribuisce al Dragone la funzione di congiungere le Orse (vd. v. 403 συνάπτων)448,

all'opposto di quanto fa Arato, il quale gli attribuisce una funzione separativa nei loro confronti (vd. Fenomeni 50 περιτέμνεται; in generale in Fenomeni 49-50 le due Orse sono presentate come nettamente separate dal Dragone che sta in mezzo a loro449):

anche in questo caso si può dunque parlare di ripresa antifrastica del modello. Al v. 408, poi, il Dragone viene rappresentato nell'atto di guardare la testa di Elice, l'Orsa Maggiore. Dai Fenomeni, nei quali si chiarisce con precisione la reciproca posizione delle due costellazioni e che Nonno ha verosimilmente presenti in quanto il nesso εἰς κεφαλὴν δ᾽ Ἑλίκης in apertura del v. 408 sembra riecheggiare πὰρ κεφαλὴν Ἑλίκης al v. 51 del poema450, apprendiamo che il capo del Dragone è rivolto non verso la testa, ma

verso la coda di Elice (vv. 58-59)451: λοξὸν δ᾽ ἐστὶ κάρη, νεύοντι δὲ πάμπαν ἔοικεν /

ἄκρην εἰς Ἑλίκης οὐρήν. A mio avviso la variazione si potrebbe spiegare con la volontà nonniana di continuare il ribaltamento della fonte, a meno che Nonno non abbia sotto 445 Nei Fenomeni l'aggettivo occorre solo una volta, al v. 275, dove è attribuito all'Uccello. Sul significato di αἰόλος equivalente a quello di ποικίλος in Arato si veda Ronconi 1937, pp. 249-251, il quale precisa che il poeta ellenistico lo impiega alludendo al fatto che l'Uccello è nell'insieme scuro ma ha le ali formate da stelle luminose; lo studioso dimostra che già in Omero l'aggettivo assume talvolta questo valore (quando è applicato alle armi, in quanto veicola un'idea di lucentezza).

446 Questo parallelo, come il successivo, è segnalato ma non approfondito da Vian 1990, p. 261. 447 Cfr. Agnosini 2010, p. 340.

448 In D. 1, 251-252, invece, come fa notare anche Stegemann 1930, p. 67, si pone l'accento sull'aspetto della separazione: cfr. pp. 58-59.

449 Per il testo vd. p. 58.

450 L'eco è stata notata anche da Vian 1990, p. 262. Agnosini 2010, p. 340 avanza, a mio avviso a ragione, l'ipotesi che Nonno, nel comporre il v. 408, abbia in mente anche il v. 488 del passo iliadico riportato supra – anche se rivolge lo sguardo a costellazioni diverse (Orsa e Dragone, non Orsa e Orione).

451 Vian 1990, p. 262 si limita ad accostare il v. 408 ad Arat. 58-59, giustificando l'accostamento con il commento “pour l'idée” e senza spiegare l'importante differenza tra i due passi.

gli occhi una rappresentazione delle due costellazioni diversa da quella che emerge dal poema di Arato452. Per quanto riguarda il verso successivo (409), è opportuno segnalare

che il parallelo proposto da Vian tra μιτρούμενος e l'arateo εἰλεῖται al v. 46 dei

Fenomeni non appare calzante, dal momento che il verbo impiegato da Nonno indica

un'azione compiuta dal Dragone (avendo valore attivo), mentre quello cui ricorre Arato segnala un'azione subita da questo (avendo valore passivo): in altre parole, mentre nel primo caso il Dragone avvolge le Orse, nel secondo viene avvolto. Quest'ultimo concetto è semmai espresso al verso successivo del passo nonniano, mediante un'altra

iunctura (v. 410 τείρεσιν ἀμφίζωστος); l'espressione del v. 409 sembra invece ispirata ad

Apollonio Rodio (1, 221 χρυσείαις φολίδεσσι), come d'altronde rileva lo stesso Vian453.

Concordo poi con lo studioso nel ritenere che i vv. 410-412, nei quali si descrive la stella collocata sulla punta della lingua del Dragone, parafrasino Fenomeni 56-57 εἷς δ᾽ ὑπένερθεν / ἐσχατιὴν ἐπέχει γένυος δεινοῖο πελώρου e completino il modello menzionando la lingua (ἐπὶ γλώσσῃ δέ οἱ ἄκρῃ), i denti (πουλυόδοντα454 μέσην φλόγα) e

le labbra (χείλεσι γείτων) della costellazione, sebbene questi elementi non figurino nella volta celeste455. Risulta pertanto chiara anche qui l'intenzione di ampliare la fonte e di

superarla in precisione. Nonno, delle cinque stelle che Arato individua sulla testa del Dragone (due sulle tempie, due sugli occhi456 e una sul muso), sceglie quella sul muso

per motivi funzionali alla narrazione, ovvero perché il bagliore da essa emesso ricorda il veleno “sputato” (ed è proprio questo – ἀποπτύω – il verbo impiegato dal poeta) da un drago/serpente reale457. A questo punto sorge spontanea una domanda: a quale scopo

Nonno vuole descrivere le costellazioni da lui scelte come veri animali – abbiamo infatti notato la stessa tendenza nella descrizione delle Orse – o meglio, a quale scopo egli sceglie costellazioni zoomorfe proprio per poterle descrivere come veri animali? La domanda è certamente decisiva per comprendere il senso dell'intero passo, che, a mio avviso, va interpretato in chiave metaletteraria, come già messo in luce da Agnosini458: il

452 Così pensa Stegemann 1930, p. 67. 453 Cfr. Vian 1990, p. 262.

454 Come chiarito ibidem, l'aggettivo grammaticalmente si riferisce a φλόγα, ma, per il senso, qualifica il Dragone o la sua bocca.

455 Cfr. Vian 1990, p. 262.

456 Cfr. vv. 54-56: οὐ μὲν ἐκείνῳ / οἰόθεν οὐδ᾽ οἶος κεφαλῇ ἐπιλάμπεται ἀστήρ, / ἀλλὰ δύο κροτάφοις, δύο δ᾽ ὄμμασιν.

457 Cfr. Agosti 20102, p. 119, dove si precisa che l'espressione “sputare la luce” rimanda al linguaggio

cosmogonico egiziano.

Panopolitano si accinge, in questo intermezzo ecfrastico, a dimostrare la superiorità della poesia sulle arti figurative in virtù della sua considerevole capacità mimetica459; ed

è proprio in vista di tale scopo che egli s'impegna a descrivere le costellazioni come due vere orse e un vero drago, esplorando e cercando di sfruttare al massimo le potenzialità della mimesi. Questa inclinazione s'intravvede senza dubbio già in Arato, ma in Nonno risulta palesemente esasperata, giungendo a trasformarsi in uno studio approfondito. Se il poeta didascalico sembra proporre lo spunto per la riflessione sull'ἔκφρασις, Omero, oltre a essere l'antecedente imprescindibile per la descrizione dello scudo dell'eroe, contribuisce all'effetto mimetico nella misura in cui viene seguito nella prevalenza dei “nessi dinamici” (quelli che esprimono l'intervento del fabbro) sui “nessi statici” (le espressioni di tipo esclusivamente “visivo”), prevalenza finalizzata a enfatizzare il momento narrativo della realizzazione dell'artefatto. In sostanza “Nonno amplifica il modello omerico introducendo un secondo livello di referenza tramite l'allusività del nome della costellazione (...). Si instaura così un gioco sul livello di mimeticità non solo della rappresentazione figurativa rispetto alla costellazione ma anche della costellazione stessa rispetto al proprio referente naturale”460. Si può dunque affermare che entrambi i

modelli vengono “piegati” da Nonno alla medesima esigenza, la quale è contemporaneamente narrativa e metaletteraria. Si può aggiungere un'altra considerazione. Il concetto di mimesi non può non richiamare un confronto con la Tifonia, o meglio con i passi della Tifonia da noi analizzati. Ricordiamo che la prima fase dell'attacco di Tifeo alla volta celeste consiste, oltre che nel blocco di alcune costellazioni, nell'imitazione da parte dei serpenti del Gigante di quelle a loro più simili. Ragionando in termini metaletterari, in questi passi vediamo il poeta Nonno intento ad “animare” le costellazioni al fine di rendere lo sconvolgimento attuato da Tifeo il più possibile credibile (oltre che di effettuare – al di fuori dell'ottica propriamente narrativa – un rovesciamento dell'ordine arateo); proprio a tale scopo egli le rappresenta come riferimenti alla poetica della ποικιλία rintracciabili all'interno del passo, primo fra tutti la scelta del drago/serpente, che, in virtù della sua pelle screziata (vd. αἰόλον), di tale poetica può essere considerato un emblema.

459 Hopkinson 1994b, p. 23 scrive: “they (sc. stars and constellations) provide, too, by virtue of their zoomorphic form and so nearly but never quite successful pursuits, a tension between fixity and movement evocative of those scenes on the shield of Achilles where narrative or divine skill transcends the limits of artistic representation” e parla, in maniera particolarmente calzante, di “paradoxical movement within stillness”.

creature reali (terrestri o marine), approfittando anche qui, come nella descrizione dello scudo, delle possibilità offerte dalla mimesi. Per portare due esempi pertinenti al nostro caso, in Dionisiache 1, 166-167 l'Orsa Maggiore viene afferrata per la nuca, in 1, 189 uno dei serpenti di Tifeo salta sulla spina dorsale del Dragone: questi due dettagli indicano che le due costellazioni sono considerate animali reali. L'unica differenza è che in questi passi “mimetici” della Tifonia manca il confronto con le arti figurative, cioè quella dimensione dialettica connaturata invece all'ἔκφρασις. Sembra quasi che nella sua opera Nonno prima (nello sconvolgimento cosmico di Tifeo) sperimenti le potenzialità della poesia e poi (nella descrizione dello scudo) le affermi con maggior sicurezza assegnando il primato a questa forma d'arte. Inoltre è soprattutto in questi passi che si può cogliere la sfida ingaggiata dal poeta di Panopoli non solo con Omero461, ma anche, a mio parere, con Arato: lo scudo certamente può essere

considerato il simbolo dell'epica nonniana che si confronta con quella omerica, ma la sperimentazione sulla poesia ecfrastica, con l'ampliamento della parte cosmologica nella descrizione dell'arma, nasconde una gara anche con l'autore ellenistico (d'altronde quello dell'ἔκφρασις è un genere che si sviluppa particolarmente anche in età ellenistica).