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L'epillio di Fetonte: primi segni di un'astronomia “dionisiaca”

Possiamo ora spostarci a un'altra sezione del poema nonniano, quella cioè dedicata alla vicenda di Fetonte, figlio di Elio, postosi in maniera prepotente e inesperta alla guida del carro del padre. Tale vicenda, che occupa una parte consistente del trentottesimo canto, viene narrata da Hermes a Dioniso subito dopo l'esposizione della profezia riguardante la vittoria di quest'ultimo sugli Indiani, profezia alla quale l'episodio mitico si collega in quanto Dioniso che prevarrà sugli Indiani è paragonato al Sole che, dopo tanto tempo (dal tempo dello sconvolgimento provocato da Fetonte, appunto), avrà la meglio sulle tenebre. Notazioni astronomiche si possono rintracciare all'interno del discorso rivolto da Elio al figlio al fine di ragguagliarlo circa il suo percorso, oltre che – soprattutto – nella descrizione del disordine cosmico determinato dalla maldestra guida di Fetonte.

Partiamo dai vv. 245-252502, tratti dal discorso astronomico di Elio:

οἷς ἔνι λευκαίνουσα πόλον κερόεσσα Σελήνη 245 κύκλον ὅλον πλήσασα σοφῷ πυρὶ μῆνα λοχεύει, μεσσοφανής, ἐπίκυρτος, ὅλῳ πλήθουσα προσώπῳ· Μήνῃ δ᾽ ἀντικέλευθος ἐγὼ σφαιρηδὸν ἑλίσσων μαρμαρυγὴν θρέπτειραν ἀμαλλοτόκου τοκετοῖο503 Ζῳδιακὴν περὶ νύσσαν ἀτέρμονα κύκλον ὁδεύω, 250 τίκτων μέτρα χρόνοιο καὶ οἴκοθεν οἶκον ἀμείβων· καὶ τελέσας ἕνα κύκλον ὅλον λυκάβαντα κομίζω.

Tra questi imbiancando il polo la cornuta Selene, 245 il cerchio intero avendo riempito, con saggio fuoco un mese produce,

visibile a metà, ricurva, in tutto il volto piena; ma alla Luna opposto, io, in cerchio avvolgendo il bagliore che nutre il parto generatore di covoni,

sul percorso dello Zodiaco un infinito cerchio percorro, 250 502 L'edizione di riferimento per il canto 38 è quella di Simon 1999.

503 Agosti 2003, p. 22 ritiene che la correzione, proposta da Keydell, di ἀμαλλοτόκου in ἀμαλλοφόρου sia necessaria: sulla questione vd. infra.

generando i limiti del tempo e di casa in casa spostandomi; e, compiuto un cerchio intero, un anno porto.

I temi del passo sono due: le fasi lunari (vv. 245-247) e la traiettoria annuale del Sole (vv. 248-252).

Nello sviluppo del primo tema si possono cogliere alcuni richiami verbali ad Arato, sebbene l'impianto sia sostanzialmente nonniano: sembra quasi che il poeta intenda descrivere quanto attiene alla Luna alla sua maniera, senza mancare però di apporre al testo il “sigillo” dell'autore dei Fenomeni come garanzia di autorevolezza. Dobbiamo notare che, secondo un modus operandi già riscontrato più volte, Nonno attinge a sezioni differenti del poema arateo. L'espressione al v. 245, κερόεσσα Σελήνη, mi pare un'allusione a Fenomeni 733 κεράεσσι σελήνη504: il Panopolitano fa di un dativo di

unione un epiteto che peraltro è ricorrente all'interno delle Dionisiache in relazione alla Luna505. Su un'espressione appartenente alla stessa sezione del poema arateo (quella cioè

in cui vengono descritte le fasi lunari), ossia παντὶ προσώπῳ al v. 737 dei Fenomeni, è modellata poi la iunctura ὅλῳ πλήθουσα προσώπῳ al v. 247506. Ma σφαιρηδὸν ἑλίσσων

al verso successivo, che ha per soggetto Elio, riecheggia Fenomeni 531 περὶ σφαιρηδὸν ἑλίσσων507: qui ci troviamo in un'altra parte del poema arateo, quella nella quale si

descrivono i vari cerchi della volta celeste – e proprio del movimento rotatorio di questi cerchi Nonno sta parlando in questo punto del passo. A mio avviso il fatto che qualche verso dopo (rispetto a quello citato sopra) Arato si concentri sullo Zodiaco per arrivare a descrivere l'anno come il passaggio del Sole in ciascuno dei suoi dodici segni – altro argomento trattato da Elio nel suo discorso – è un'ulteriore prova della scelta nonniana del poeta ellenistico come fonte per questo passo.

Passiamo ora ai vv. 250-252, nei quali Elio sintetizza le conseguenze del suo percorso sul tempo. Questi versi sembrano improntati a Fenomeni 550-552508:

504 Per il passo arateo completo vd. p. 104. Non mi risulta che l'allusione sia stata colta. 505 Vd., e. g., D. 5, 72; 11, 186; 23, 309.

506 La stessa clausola in D. 4, 281 (di cui il nostro verso costituisce una variazione lessicale, ma non concettuale, dal momento che le fasi lunari descritte sono le medesime: cfr. p. 103).

507 Cfr. Simon 1999, p. 208, che si limita a segnalare il parallelo verbale senza formulare considerazioni sul contesto del poema arateo da cui è estrapolata l'espressione alla quale Nonno allude.

508 Così pensano anche Simon 1999, p. 209 e Agosti 20102, p. 803, che però si limitano a citare il

ἐν τοῖς ἠέλιος φέρεται δυοκαίδεκα πᾶσιν 550 πάντ᾽ ἐνιαυτὸν ἄγων, καί οἱ περὶ τοῦτον ἰόντι

κύκλον ἀέξονται πᾶσαι ἐπικάρπιοι ὧραι.

In tutti questi dodici (segni) il sole si trasferisce 550 un intero anno portando e, grazie al suo procedere intorno a questo

cerchio, si sviluppano tutte le fruttifere stagioni.

Come si può notare, Nonno compendia quanto nel modello si presenta già come un riassunto: le informazioni trasmesse sono molto più generiche rispetto ai dati forniti dal passo arateo, visto che ci si limita a segnalare che il Sole, passando nelle “case” dello Zodiaco, genera un anno, laddove Arato aggiunge il particolare delle stagioni in cui l'anno si suddivide. D'altronde bisogna osservare che Nonno comunque amplia il concetto qui sommariamente espresso, nei versi precedenti e successivi al passo che abbiamo preso in considerazione. In ogni caso è interessante notare che Arato definisce le stagioni ἐπικάρπιοι, “fruttifere”, e che Nonno in questo passo (v. 249) fa riferimento a quella proprietà del Sole che consiste nel favorire la crescita del grano509: ciò potrebbe

non essere casuale, anzi costituire un ulteriore indizio del legame di questi versi nonniani con il testo di Arato. Ma si può dire di più: il poeta ellenistico può offrire, a mio modo di vedere, un valido supporto al mantenimento della lezione ἀμαλλοτόκου al v. 249, che ha suscitato perplessità in vari studiosi. Come accennato, Agosti, sulla scia di Keydell, sostiene la necessità di una correzione della stessa in ἀμαλλοφόρου (sulla base di Dionisiache 26, 244 ἀμαλλοφόρου τοκετοῖο), in quanto considera astrusa l'immagine che ne risulta (quella cioè del prodotto che produce), e propone d'intendere il sostantivo τοκετός nel senso di “frutto”, “ciò che è generato”. Tuttavia l'espressione appare molto meno macchinosa se si tiene presente il passo arateo riportato sopra, che definisce le stagioni ἐπικάρπιοι: esse, generate dal Sole, generano a loro volta i frutti (che per Nonno sono i covoni di grano); insomma, mi sembra che le stagioni possano qui rivelarsi l'anello intermedio, il trait d'union inespresso ma indispensabile tra Elio, il suo splendore e il grano510. Ecco dunque un altro caso in cui il confronto con il modello

509 Si ricorda che in D. 16, 202 alla costellazione del Cane viene attribuita la proprietà di far maturare i grappoli d'uva: cfr. pp. 106 sgg.

risulta utile in quanto apre nuove prospettive esegetiche, chiarendo nodi testuali particolarmente critici. D'altronde quella dell'arte allusiva – come abbiamo già avuto occasione di verificare più volte – è una strategia molto complessa e raffinata, basata su un intricato gioco chiaroscurale di detti e sottintesi.

Il discorso di Elio continua e arriva a descrivere nel dettaglio le quattro stagioni che da lui strettamente dipendono (vv. 268-286). In questa descrizione si possono ravvisare alcune riprese aratee.

Prima di procedere ad analizzarle, però, vorrei soffermarmi su un punto precedente questi versi. Simon511 ritiene che al v. 257 mediante l'espressione μηδὲ τανυπλέκτων

ἑλίκων πολυκαμπέι δεσμῷ Nonno alluda a quanto riportato da Arato in Fenomeni 525- 528 riguardo ai cerchi celesti:

τοὺς μὲν παρβολάδην ὀρθοὺς περιβάλλεται ἄξων 525 μεσσόθι πάντας ἔχων, ὁ δὲ τέτρατος ἐσφήκωται

λοξὸς ἐν ἀμφοτέροις, οἵ μίν ῥ᾽ ἑκάτερθεν ἔχουσιν ἀντιπέρην τροπικοί, μέσσος δέ ἑ μεσσόθι τέμνει.

Dai (tre cerchi) dritti, l'uno parallelo all'altro, è circondato l'asse 525 e nel mezzo tutti li tiene; il quarto è ben fissato,

obliquo, in entrambi i Tropici, che da entrambi i lati lo tengono dalla parte opposta, mentre quello centrale a metà lo taglia.

Se si eccettua l'idea dell'intreccio dei cerchi (veicolata nel passo nonniano dall'aggettivo τανυπλέκτων, attribuito ai cerchi paralleli, designati dal sostantivo ἑλίκων), soltanto deducibile dal passo arateo sopra riportato (non è infatti in esso esplicitamente espressa), non mi pare che si possano rintracciare paralleli stringenti tra i due poeti di tipo linguistico, ma neppure di tipo contenutistico: infatti in primo luogo l'espressione nonniana destinata, secondo la stessa Simon, a designare l'eclittica (πολυκαμπέι δεσμῷ) pone in rilievo il fatto che è ricurva (πολυκαμπέι), mentre Arato ἀμαλλοτόκοιο τεκούσης, che è però iunctura più limpida in quanto include il verbo, come nota anche Agosti 2003, p. 22.

sottolinea due caratteristiche differenti di quest'orbita, vale a dire la sua fissità (v. 526 ἐσφήκωται) e il suo essere obliqua (v. 527 λοξός); in secondo luogo al verso successivo (258) Nonno parla di cinque cerchi (in quanto, come spiega Simon, si riferisce ai tre cerchi paralleli e ai circoli polari), non di quattro come il passo arateo in questione (che fa riferimento ai due Tropici, all'Equatore e all'eclittica).

La studiosa propone poi, questa volta a mio avviso a ragione, un confronto con Arato per la descrizione dell'itinerario del Sole dal Tropico del Capricorno al Tropico del Cancro, che determina il passaggio dall'inverno all'estate512 (vv. 276-286):

καὶ δρόμον εἰνοσίφυλλον ἄγω φθινοπωρίδος Ὥρης· φέγγεϊ μειοτέρῳ χθαμαλὴν ἐπὶ νύσσαν ἐλαύνων φυλλοχόῳ ἐνὶ μηνί· καὶ ἀνδράσι χεῖμα κομίζω ὄμβριον ἰχθυόεντος ὑπὲρ ῥάχιν Αἰγοκερῆος, ἀγρονόμοις ἵνα γαῖα φερέσβια δῶρα λοχεύσῃ, 280 νυμφίον ὄμβρον ἔχουσα καὶ εἰλείθυιαν ἐέρσην. καὶ θέρος ἐντύνω σταχυηκόμον ἄγγελον ὄμπνης, θερμοτέραις ἀκτῖσι πυρώδεα γαῖαν ἱμάσσων, ὑψιτενῆ παρὰ νύσσαν ὅτ᾽ εἰς δρόμον ἡνιοχεύω Kαρκίνον, ἀντικέλευθον ἀθαλπέος Αἰγοκερῆος, 285 ἀμφοτέρους καὶ Νεῖλον ὁμοῦ καὶ βότρυν ἀέξων.

E la corsa che agita le foglie dell'autunnale Stagione conduco, con luce minore alla bassa meta spingendomi

nel mese che fa cadere le foglie: e agli uomini porto l'inverno piovoso, sopra il dorso del Capricorno simile a un pesce513,

affinché agli agricoltori la terra vitali doni partorisca, 280 con la pioggia come sposo e la rugiada come levatrice.

E l'estate che coltiva le spighe distendo, nunzio di cibo, con più caldi raggi l'infuocata terra sferzando,

quando presso l'elevata meta alla corsa guido il carro,

512 Cfr. Simon 1999, p. 211, che riporta – senza tuttavia fornire molte spiegazioni – i due riferimenti ad Arato qui esaminati.

il Cancro, opposto al Capricorno privo di calore, 285 entrambi, il Nilo e insieme il grappolo, facendo crescere.

Le due “chiavi” del passo, i due punti di riferimento dello spostamento del Sole, su cui ci soffermeremo, sono le espressioni χθαμαλὴν ἐπὶ νύσσαν al v. 277 e ὑψιτενῆ παρὰ νύσσαν al v. 284. Grazie all'ausilio di Arato possiamo capire che con il termine νύσσαι Nonno designa qui i “nodi” dei solstizi in corrispondenza dei quali il Sole giunge a toccare i Tropici: da Fenomeni 286 κέκλιται Aἰγόκερως, ἵνα τε τρέπετ᾽ ἠελίου ἴς, infatti, apprendiamo che il Capricorno è collocato lungo la “pista” del Sole, in quanto l'emistichio ἵνα τε τρέπετ᾽ ἠελίου ἴς indica il punto in cui l'eclittica incontra il Tropico del Capricorno514. In Fenomeni 507-509, inoltre, si spiega precisamente in quale

direzione si muove il Sole:

τὸν πύματον καθαροῖο παρερχόμενος βορέαο ἐς νότον ἠέλιος φέρεται, τρέπεταί γε μὲν αὐτοῦ χειμέριος κτλ.

Che (sc. il Tropico del Capricorno) per ultimo, dal limpido Borea andando verso Noto, il sole porta con sé e si volge poi là

quando è in inverno.

Il sole dunque scende (in quanto procede verso Noto, cioè verso sud) dal Tropico del Cancro al Tropico del Capricorno e torna indietro.

Ne consegue che nel passo nonniano preso in considerazione Elio descrive, dopo il suo “viaggio” verso il Tropico del Capricorno (vv. 276-278, in cui si parla dell'autunno), il suo arrivo in quest'ultimo (vv. 278-281, in cui si parla dell'inverno) e il suo passaggio da questo al Tropico del Cancro e il suo arrivo in quest'ultimo (vv. 282-286, in cui si parla dell'estate).

Il caso appena analizzato dimostra, ancora una volta, quanto è importante studiare le fonti ai fini di una comprensione profonda del testo nonniano: Arato qui viene non solo 514 Cfr. Kidd 1997, p. 290 e Martin 1998, p. 275, il quale opportunamente aggiunge: “ainsi sont préparées peu à peu l'apparition de la notion de zodiaque et la conversion des constellations zodiacales en signes (…), qui sera réalisée en 545-552”.

presupposto, ma anche reinterpretato da Nonno mediante termini (νύσσα) che non ci si aspetterebbe nel contesto del passo, ma che, grazie al confronto con il modello (il quale si configura, in un certo senso, come il “tassello mancante” per completare il quadro, o meglio il mosaico), assumono un nuovo significato e una notevole pregnanza515.

Prima di passare all'altra sezione del canto vorrei far notare che, a mio modo di vedere, anche il v. 268 κέντρον ὅλου κόσμοιο, μεσόμφαλον ἄστρον Ὀλύμπου, il quale definisce l'Ariete nel contesto dell'allusione all'equinozio di primavera, potrebbe essere un'allusione ad Arato, più precisamente a Fenomeni 231 μεσσόθι δὲ τρίβει μέγαν οὐρανόν (il soggetto sottinteso è l'Ariete). Tra l'altro ricordiamo che la chiusa μεσόμφαλον ἄστρον Ὀλύμπου occorre anche in Dionisiache 1, 181, dove l'Ariete è una delle creature astrali colpite da Tifeo516 al fine d'impedire l'arrivo della primavera; qui

tale chiusa è preceduta da una iunctura che ne rappresenta una variazione, ribadendo la peculiare collocazione della costellazione al centro della volta celeste (κέντρον ὅλου κόσμοιο). La ripresa risulterebbe interessante in quanto porrebbe in evidenza che allo stesso modello Nonno allude per scopi opposti, ovvero per uno sconvolgimento (in

Dionisiache 1, 181) e per un'esposizione “scientifica” (nel passo in questione) allo

stesso tempo. Il punto di partenza è sempre il fatto che il Sole quando arriva nell'Ariete dà inizio alla primavera, ma, se nel primo caso un evento esterno (l'attacco di Tifeo) viola questa legge, nel secondo questa legge viene ribadita con forza: si noti tuttavia che in entrambi i casi ci si appella all'autorevolezza di Arato, anche se per ottenere effetti tra loro contrari (conferire maggiore impatto allo sconvolgimento del Gigante e maggiore efficacia didattica alla spiegazione di Elio517).

Concludo avanzando l'ipotesi che Arato possa aver influito anche sulla scelta nonniana di menzionare, ai vv. 262-265, l'Ariete, il Toro e lo Scorpione: le tre costellazioni infatti, pur non essendo descritte come vicine nella prima parte del poema arateo, sono citate insieme in Fenomeni 515-517 (Ariete e Toro) e 520-521 (Chele dello Scorpione – anche Nonno cita le Chele invece dello Scorpione, al v. 274), all'interno della stessa sezione, cioè quella dedicata alla descrizione dell'Equatore (del quale 515 Sui diversi valori metaforici del termine νύσσα nelle Dionisiache vd. Gigli Piccardi 1985, pp. 180-

181. 516 Cfr. p. 28.

517 Tuttavia anche l'articolata spiegazione di Elio mi sembra in qualche modo finalizzata a porre maggiormente in risalto lo sconvolgimento che Fetonte realizzerà qualche verso più avanti, in piena sintonia con il gusto nonniano per la descrizione degli opposti.

Nonno qui parla), in cui, tra l'altro, si dice che in corrispondenza di questo cerchio “i giorni si eguagliano alle notti”518 (concetto espresso da Nonno al v. 271: νύκτα

ταλαντεύουσαν ἰσόρροπον ἠριγενείῃ, “pesando una notte equivalente al giorno” – il participio ταλαντεύουσαν è riferito all'Equatore).

Anche nella descrizione delle costellazioni direttamente coinvolte nello sconvolgimento che l'ἀδίδακτος Fetonte inevitabilmente provoca messosi alla guida del carro del padre si possono rintracciare alcuni sparsi richiami al poeta di Soli; è Fosforo a rivolgersi al giovane tentando di fornirgli istruzioni e di dissuaderlo dal comportarsi in maniera tracotante (vv. 336-343): μὴ θρασὺς Ὠρίων σε κατακτείνειε μαχαίρῃ, μὴ ῥοπάλῳ πυρόεντι γέρων πλήξειε Βοώτης. πλαγκτῆς δ᾽ ἱπποσύνης ἔτι φείδεο, μηδέ σε μακρῇ γαστέρι τυμβεύσειεν ἐν αἰθέρι Κῆτος Ὀλύμπου· μηδέ σε δαιτρεύσειε Λέων, ἢ Ταῦρος Ὀλύμπου 340 αὐχένα κυρτώσας φλογερῇ πλήξειε κεραίῃ· ἅζεο Τοξευτῆρα, τιταινομένης ἀπὸ νευρῆς μή σε πυριγλώχινι κατακτείνειεν ὀιστῷ. Che l'ardito Orione non ti uccida con la spada,

che con la mazza infuocata il vecchio Boote non ti colpisca! Il vagante carro ancora risparmia, che nel grande

ventre non ti seppellisca nel cielo la Balena d'Olimpo,

che non ti sbrani il Leone, o il Toro d'Olimpo, 340 piegato il collo, con il fiammante corno non ti colpisca;

temi il Sagittario, che dal teso arco

non ti uccida con una freccia dalla punta di fuoco.

Si può formulare qualche breve osservazione sulla caratterizzazione di alcune costellazioni, che non sono nominate sulla base di un ordine ben riconoscibile (per 518 Vd. v. 513 ἐν δέ οἱ (l'Equatore) ἤματα νυξὶν ἰσαίεται κτλ.

esempio quello di Arato), ma sono selezionate chiaramente soltanto per le loro sembianze minacciose o mostruose, in quanto l'intento di Fosforo è quello di spaventare Fetonte per indurlo a moderarsi.

Innanzitutto Orione viene rappresentato con la spada (v. 336): si tratta di un dettaglio che deriva da Fenomeni 588 ὤμοις Ὠρίων, ξίφεός γε μὲν ἶφι πεποιθώς519 e che,

come abbiamo già visto, non è irrilevante, ma al contrario probante dell'intenzione nonniana di alludere ad Arato520. Tra l'altro la costellazione viene definita θρασύς

esattamente come viene definito il Cane che rappresenta il catasterismo del cane di Orione in Fenomeni 755, dove il nesso θρασὺν Ὠρίωνος sembra il modello del nonniano θρασὺς Ὠρίων521: forse Nonno decide di attribuire l'epiteto a Orione perché

ispirato dall'accostamento del vocabolo al nome della costellazione nel testo arateo (sebbene in quest'ultimo grammaticalmente e concettualmente l'aggettivo si riferisca al Cane e non a Orione), in modo da riecheggiare l'illustre iunctura.

A Boote, definito γέρων come in Dionisiache 2, 184, viene attribuita una mazza (v. 337 ῥοπάλῳ). Se nei Fenomeni la costellazione non tiene nulla in mano, in uno scolio ad Arato troviamo invece proprio il particolare della mazza, designata per di più dal medesimo sostantivo522: tale particolare è associato a quell'identificazione di Boote con

un conduttore di carro che in un certo senso ci porta al poema arateo, il quale chiamando il Bovaro Ἀρκτοφύλαξ lo collega all'Orsa, ma altresì al carro, dal momento che – come ormai sappiamo bene – l'Orsa è da lui denominata anche Carro523.

Della Balena viene sottolineata una caratteristica posta in evidenza da Arato, cioè la grandezza524. Si confrontino i vv. 338-339 μακρῇ / γαστέρι con Fenomeni 354 μέγα

Kῆτος: in Nonno la categoria della grandezza è applicata non alla Balena nel suo complesso (come in Arato), ma specificamente al suo ventre (e viene espressa con un 519 Cfr. Agosti 20102, p. 815. Orione è rappresentato con la spada anche in D. 1, 235 (cfr. pp. 42 sgg.) e

3, 2 (cfr. pp. 98 sgg.). 520 Cfr. p. 45.

521 Il parallelo verbale, a quanto mi risulta, non è stato notato. Simon, nel commento ad loc., scrive: “il (sc. Orion) est qualifié de θρασύς (336 et 398), étant prêt à se défendre”. Ma a me pare che qui l'epiteto voglia essere semplicemente un rimando erudito ad Arato – si noti anche la collocazione dell'espressione in sede enfatica in entrambi i poeti (in Arato in chiusura, in Nonno in apertura del verso).

522 Cfr. Sch. in Arat. 92 (Martin 1974, p. 119): Βοώτην δὲ οἱονεὶ ἁμαξηλάτην, ἔχοντα ἐν τῇ δεξιᾷ ῥόπαλον. Maass non riporta questo scolio. In altri passi delle Dionisiache (1, 255 e 461), come abbiamo visto (cfr. rispettivamente pp. 59 e 76-77), Nonno attribuisce a Boote il καλαῦροψ, cioè il bastone tipico del bovaro.

523 Per una trattazione più dettagliata della questione rimandiamo alle pp. 76-77. 524 Eratostene (Cat. 36) non accenna a questa caratteristica della costellazione.

termine differente da quello cui ricorre la fonte). Questa caratteristica della costellazione, che può sembrare banale, è in realtà rilevante, come sappiamo per esempio da Igino, il quale attesta che il mostro fu catasterizzato anche a causa di questa sua peculiarità525.

Si osservi poi che del Toro viene descritta la parte anteriore, in particolare ci si focalizza sul collo che la costellazione potrebbe piegare per colpire Fetonte con il corno (v. 341): anche in questo Nonno sembra seguire Arato, il quale parla della “frattura del Toro” (Fenomeni 322)526, per cui la parte inferiore della costellazione non è visibile nel

cielo.

Da rilevare l'elemento del fuoco che accomuna alcune delle costellazioni citate (nella fattispecie Boote – v. 337 ῥοπάλῳ πυρόεντι, il Toro – v. 341 φλογερῇ... κεραίῃ e il Sagittario – v. 343 πυριγλώχινι... ὀιστῷ) e che costituisce un Leitmotiv all'interno dell'episodio in riferimento a Fetonte e in contrapposizione all'acqua, legata invece a Zeus che interviene per ripristinare l'ordine527.

Come nota anche Agosti528, è chiara qui l'intenzione nonniana di superare Arato nel

dipingere le costellazioni come creature reali e non semplicemente somiglianti a creature reali529: questa intenzione, altrettanto evidente in altre parti da noi già prese in

esame, emergerà altresì – e con una forza ancora superiore – nella successiva sezione che affronteremo, cioè quella in cui si descrivono le effettive ripercussioni sulla volta celeste del caos scatenato da Fetonte. Possiamo quindi ormai affermare che si tratta di una tendenza ben definita all'interno delle Dionisiache, suggerita dal modello ma portata alle estreme conseguenze: mentre Arato può soltanto donare, a fini didattici, una parvenza di vita alle costellazioni e non può spingersi oltre in quanto le leggi divine – in particolare l'immobilità delle stelle – di cui si fa portavoce non glielo permettono, 525 Cfr. Astr. 2, 31: propter inmanitatem corporis (…) inter sidera conlocatus.

526 La ripresa è segnalata anche da Simon 1999, p. 215. Nonno segue Arato per la descrizione del Toro anche in D. 1, 357: cfr. pp. 64-66.

527 Vd. vv. 416-420.

528 Cfr. Agosti 20102, p. 814.

529 Arato nella sua opera impiega otto volte in totale il nesso ἐοικώς + participio presente in relazione alle costellazioni, per sottolineare, a scopi evidentemente didattici, l'ὁμοίωσις tra queste e le creature reali; “Arato è certo ben consapevole che l'iconografia celeste, oggetto della sua descrizione, non rappresenta il reale aspetto del cielo, anche se è fondata sulla distesa di punti luminosi che costituiscono la volta stellata, punti che sono stati uniti insieme a formare gli schemi su cui si costruiscono i disegni delle figure. Alla base di tutta questa operazione, largamente arbitraria, come è ovvio, vi è però un criterio, ancorché quanto mai rozzo e approssimativo, di somiglianza” (Caldini Montanari 1993, pp. 186-187).

Nonno riporta del tutto in vita le creature astrali infrangendo quelle stesse leggi per esigenze prevalentemente narrative, oltre che di ἐνάργεια.

Prima di passare ad analizzare un altro gruppo di versi tratti dall'epillio di Fetonte, vorrei osservare che nella breve ma efficace ricapitolazione530 che Nonno fornisce del

caos scatenato dal figlio di Elio (vv. 349-351) s'insiste sulla fissità che caratterizza il cosmo e che viene completamente sovvertita:

καὶ κλόνος αἰθέρος ἦεν, ἀκινήτοιο δὲ κόσμου

ἁρμονίην ἐτίναξεν· ἐδοχμώθη δὲ καὶ αὐτός 350 αἰθέρι δινήεντι μέσος τετορημένος ἄξων.

E confusione nel cielo era, dell'immobile cosmo

l'armonia scosse: fu curvato anche lui, 350 l'asse intagliato al centro del cielo rotondo.

Per meglio dire, l'intera ricapitolazione è giocata su questo concetto: si vedano l'aggettivo ἀκινήτοιο attribuito a κόσμου al v. 349, cui fa da contrappeso il verbo ἐτίναξεν al v. 350, e il participio τετορημένος al v. 351, che si potrebbe tradurre “intagliato” nel senso di “fissato”531, contrapposto a ἐδοχμώθη al v. 350 (che,

significando “fu curvato”, veicola un'idea di flessibilità che si scontra con quella di fissità). Mi sembra che questo possa essere considerato un richiamo ad Arato, il quale, come abbiamo già avuto modo di far notare, sottolinea più volte, nel corso della sua