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Bianca e Bernie nella terra dei canguri (1990)

Bianca e Bernie nella terra dei canguri è il 29º classico Disney,

il primo sequel appartenente a questa categoria: è infatti la prosecuzione di Le avventure di Bianca e Bernie (1977), tratto dalle storie di Margery Sharp.

Cody, un bambino che vive nell’entroterra australiano con sua madre, e ha nelle creature della foresta dei fedeli amici, salva una grande aquila dorata, Marahute, dalla trappola di un bracconiere.

Tornando verso casa, però, finisce lui stesso in una trappola costruita da Percival Mc Leach, lo stesso bracconiere che sta dando la caccia all’aquila, dopo aver ucciso anche il suo compagno. Quando, infatti, Mc Leach nota sullo zaino di Cody la piuma dorata regalatole dall’aquila, lo rapisce con l’obiettivo di farsi condurre al nido dell’aquila. Non riuscendo a farsi rivelare il luogo da Cody, però, il bracconiere decide di tendergli un tranello: libera il bambino facendogli credere che l’aquila è stata uccisa, lasciandolo libero. Cody raggiunge

il nido di Marahute per prendersi cura delle uova, e Mc Leath lo segue. Appena Marahute appare, Mc Leath cattura entrambi. A questo punto però Bianca, Bernie, richiamati dagli Stati Uniti per la missione di salvataggio, intervengono con il supporto di Jake, un topo-canguro australiano. Insieme, i tre riescono a salvare Marahute e Cody, mente Mc Leath rimane ucciso cadendo da una cascata. Il film regala, indubbiamente, uno straordinario scorcio della biodiversità australiana: la produzione richiese una squadra di 415 artisti e tecnici, cinque dei quali dovettero recarsi in Australia per osservare, disegnare e scattare fotografie di paesaggi e animali che dovevano essere catturati nel film. Tornarono con centinaia di fotografie di Ayers Rock, Katherine Gorge, e del Kakadu National Park, oltre che con innumerevoli album ricolmi di schizzi.

Il film si apre con uno scorcio di foresta in primissimo piano, dove si vedono, tra le foglie, insetti dalle più strane forme e colori; la telecamera si sposta lentamente fuori dalla foresta, per mostrare un’arida distesa fatta di enormi rocce, alberi radi e piante erbacee fiorite a perdita d’occhio.

Utilizzando come espediente il volo di una coccinella, la telecamera cambia ritmo e inizia a scorrere sulle praterie ad altissima velocità, rendendo magistralmente l’immensità degli spazio australiani, fino a raggiungere la casetta isolata di Cody e sua madre, dove la telecamera torna al ritmo consueto e si sofferma sugli interni della casetta.

Sebbene sia un aspetto non messo in luce nella promozione del film, è la prima volta che, per rendere questo rapido movimento di

paesaggio, viene utilizzata la grafica computerizzata al posto del disegno manuale e della xerografia. L’animazione dei personaggi, invece, rimane realizzata a mano.

La sequenza del volo dell’aquila, che dopo il salvataggio da parte di Cody porta trionfante il suo piccolo eroe a sorvolare foreste, praterie,

fiumi e cascate, offre un ottimo espediente per fornire dei meravigliosi scorci panoramici del paesaggio australiano. Lungo tutto l’arco del film vengono sapientemente alternati gli ambienti di

Figura 2.3.3 – Marahute regala a Cody una sua piuma. Figura 2.3.2 – Cody vola in groppa a Marahute.

foresta, prateria e deserto, con una enorme varietà di creature, dagli insetti, ai rettili, agli uccelli, fino ai celebri mammiferi, come il koala e il canguro.

Si tratta di animali parlanti, che hanno una psicologia e un comportamento che corrispondono a tipi caratteriali umani, ma è evidente un certo sforzo nel rappresentarli con realismo.

Il motivo di maggiore interesse del film, però, è la tematica della caccia, mai più ripresa come tema centrale, dopo Bambi. Il bracconiere Mc Leath viene dipinto come un uomo avido e spietato, senza alcun rispetto per la vita. Una figura completamente negativa, ricercata dai rangers del posto – come mostra un manifesto con la dicitura “wanted” in una delle prime scene del film, - e che fa una fine esemplare. Non è più il temuto nemico muto e invisibile di Bambi, ma una figura grottesca e a tratti comica. Il cacciatore di frodo si ritiene superiore e più intelligente degli animali che domina, cattura o affronta, ma rimane spesso con un palmo di naso, come quando si fa rubare le uova dalla sua salamadra, o crede di aver cacciato via i coccodrilli, accorgendosi subito dopo che è stato risparmiato solo per la prossimità alla cascata dalla quale cadrà di lì a poco.

Pur non mostrando scene violente, il film si sofferma sugli animali in cattività; in un dialogo fra loro, essi di mostrano di conoscere il destino che li attende: chi diventerà un portafogli, chi una borsa, chi una cintura. Anche se collocata nel contesto di una scena comica, questa dimostrazione di consapevolezza potrebbe essere forse una polemica nei confronti della società civile: se è vero che Mc Leath è un malvagio, chi compra questi oggetti dovrebbe essere ben consapevole di come e attraverso quali crudeltà questi prodotti arrivano nei nostri negozi.

Tarzan (1999)

Tarzan è il 37° classico Disney, ed è tratto dal romanzo Tarzan delle Scimmie (1914) di Edgar Rice Burroughs, ed è uno fra i più riusciti film del decennio d’oro Disney (1989 – 1999).

Il film, che ha molti aspetti in comune con la vicenda di Il libro

della giungla, narra la storia di Tarzan, un bambino adottato da una

gorilla, Kala, dopo che un leopardo aveva ucciso i suoi genitori. Tarzan viene cresciuto nel branco dei gorilla, ma la sua diversità lo mette costantemente in difficoltà e non gli permette di essere accettato da Kerchak, il maschio dominante alla guida del branco. Tarzan è determinato a farsi accettare nel branco e, fra innumerevoli disastri, riesce a infine a sopperire con la sua intelligenza alle mancanze del suo corpo di uomo: impara a muovermi velocemente fra le liane, a cacciare con la lancia e, infine, riesce a sconfiggere e uccidere il leopardo Sabor, salvando la vita a Kerchak e guadagnandosi l’ammirazione del branco.

Accade però un fatto insolito: una spedizione di uomini approda dal mare. Mentre Kerchak fa prudentemente allontanare il suo branco, Tarzan è istintivamente attratto da questi esseri e incuriosito gli si avvicina. In questo modo incontra Jane, la giovane figlia del professor Porter, giunto in Africa per studiare i gorilla. Tarzan si accorge finalmente che esistono degli esseri simili a lui e lascia che questi lo istruiscano. Per convincere Jane, di cui è innamorato, a non ripartire, Tarzan si risolve infine a portare il professore e Jane in mezzo al suo branco, nonostante il divieto di Kerchak. Ma Clayton, la loro guida, approfitta della situazione e, dopo aver rinchiuso Tarzan, Poter e Jane, fa una spedizione per catturare i gorilla allo scopo di rivenderli in patria.

Tarzan però riesce a liberarsi, torna nella foresta e riesce a sconfiggere Clayton. Kerchak, morente dopo lo scontro, gli affida la guida del branco, mentre Jane e il Porter scelgono di rimanere a vivere nella giungla.

Tarzan è ricchissimo di spunti, sia iconografici che tematici. La vicenda, come in Il libro della giungla, è collocata in un ambiente non geograficamente identificato, corrispondente alle foreste

equatoriali dell’Africa Occidentale. Rispetto al precedente, però, questo film raggiunge un grado di realismo magistrale, passando da una rappresentazione assimilabile a quella pittorica a una rappresentazione, seppur nella sua caricatura animata, quasi fotografica. Non solo l’intricato mischiarsi di alberi, liane, radure e specchi d’acqua, ma anche gli animali, gli uccelli, gli elefanti, il

leopardi ma i gorilla e babbuini in particolar modo, nelle loro movenze tipiche sono rese con un’attenzione ai particolari che ha precedenti solo in Bambi. Non a caso, come riporta Whitley, le animazioni si basarono su centinaia di fotografie e filmati girati in un viaggio in Uganda, dove si poterono osservare i gorilla nel loro ambiente naturale. Doug Ball, il supervisore artistico per la scenografia, dichiara, nell’intervista contenuta nel DVD Disney, come la fotografia dovesse fornigli

quante più informazioni dettagliate su «muschi, rampicanti, diversi tipi di alberi, la corteccia degli alberi, dai più piccoli dettagli agli scorci più lontani» (Disney DVD, 2000).

Kerchak, il maschio dominante, ne è il più riuscito esempio: la sua mole massiccia che lo distingue nettamente da tutte le femmine, è fedele al dimorfismo sessuale (la forte differenza fisica fra i due sessi, nella mole e in alcuni caratteri tipici, presente in molti mammiferi poligamici, specie in cui pochi maschi controllano e difendono da soli o in piccoli gruppi un harem di femmine) tipico della specie, così come il verso tipico e il modo di muoversi, l’atteggiamento aggressivo e protettivo.

Ma dal punto di vista dell’animazione, è la figura di Tarzan a essere l’elemento di maggiore interesse: egli mette insieme un corpo di uomo con posture, movimenti, versi, gestualità, modalità comunicative e di approccio totalmente da primate non umano.

Secondo la critica di Whitley, egli sembrerebbe rappresentare il capovolgimento del mito del “figlio della natura” tanto caro all’immaginario occidentale: la sua contraddizione risiede nel rovesciare la normale relazione fra cultura e istintualità, nell’uomo. Mentre per noi la cultura è ciò che ci contraddistingue come uomini, mentre i nostri istinti

tendono a rivelare la nostra natura animale, Tarzan nella sua cultura è totalmente plasmato dalla sua maturazione nel branco dei gorilla, mentre le sue pulsioni istintuali lo richiamano verso modalità umane. Risulta significativo, in questo frangente, il fascino che la cultura umana in generale esercita su Tarzan, ma soprattutto l’avidità con cui osserva

gestualità e usanze della società umana attraverso il proiettore dell’accampamento, imitandone le pose e cercando di riprodurne le azioni; così, nel vedere un uomo e una donna che danzano, egli

Figura 2.3.6 – Kerchak, disegno di Brain Mainolfi.

Figura 2.3.7 - Il branco dei gorilla acclamano Tarzan dopo l’uccisione di Sabor.

istintivamente prende le mani Jane e cerca goffamente di farla ballare, così come impara a usare la biciletta, o prende spunto dalle immagini per corteggiare Jane, offrendole, come riprodotto nel disegno, un mazzo di fiori. Per non parlare dell’imitazione continua delle parole e della mimica di Jane e di Clayton, che regalano l’espediente per degli exploit comici.

L’imitazione, del resto, è un punto chiave del film, e caratterizza Tarzan anche prima dell’incontro con Jane. Postura, movimenti e comportamento di Tarzan sono il risultato di una lunga imitazione, ma egli, fin da piccolo, si diverte a scimmiottare anche specie diverse da quelle della sua madre adottiva: lo vediamo intento a riprodurre dapprima il verso di un elefante, e poi suoni e movimenti di un leopardo, in maniera estremamente realistica. Mentre l’imitazione di Mowgli è una goffa pantomima di movenze che spesso sono, a loro volta, parodie di gestualità umane riprodotte dagli animali, qui gli animatori si sono letteralmente divertiti a riprodurre in forma umana gestualità ferine. Come sostiene Whitley, «il corpo di Tarzan è fatto per andare oltre a quanto sarebbe naturalmente possibile per un essere umano e l’effetto è di rinforzare uno strano senso di estraneità della gestualità animale». Ciò non fa altro che aumentare l’effetto di rendere Tarzan un tutt’uno con la sua natura animale.

Il contrasto fra l’approccio fisico di Tarzan e quelle convenzionalmente umano di Jane è evidente nella scena comica in cui il giovane, dopo averla salvata, cerca di conoscerla attraverso una modalità per lei sconcertante: confronta le loro parti del corpo, la annusa, le sbircia sotto la gonna e sente il battito del suo cuore, senza

rispettare, come dichiara Jane, “l’altrui fisicità”. Secondo Whitley, questa sequenza sottolinea come solo i rituali umani tendano a basarsi sull’aspetto esclusivamente visuale e verbale, mettendo potenzialmente in crisi le convenzioni del nostro comportamento sociale. In un mondo dove, del resto, si sta riscoprendo da relativamente poco tempo l’importanza di comunicazioni come quella attraverso i feromoni, che si credeva inesistenti nell’uomo, questo apre la strada a nuovi modi di concepire la comunicazione non verbale.

L’aspetto che però distingue ulteriormente questa rappresentazione dalle precedenti, dalla giungla di Mowgli così come dall’intimità lirica della foresta di Bambi, è il tempo: Tarzan è, di fatto, un film d’azione, dove nelle scene più rapide gli scenari si susseguono freneticamente. Per rendere questi effetti il film fa largo uso della tecnica del deep canvas, inventata dall’artista e ingegnere Eric

Daniels: una tecnica che consentiva agli artisti di produrre sfondi in computer grafica che avevano lo stesso aspetto del normale disegno. Questa tecnica permette agli animatori di creare un effetto di tridimensionalità che riassesta prospettiva, luce e contorni sulla base del movimento ideale della telecamera. La telecamera sembra seguire Tarzan nel suo scivolare fra tronchi e liane, a una velocità mozzafiato. L’effetto creato, come sottolinea Whitley, sembra in certi momenti quello di un luna park. Nella scena del salvataggio, in cui Tarzan è inseguito da un’orda di babbuini inferociti contro Jane, il movimento vorticoso dei due fra gli alberi è reso con un effetto ottico che riproduce quello di una corsa sulle montagne russe. Così come, nel suo scivolare lungo i tronchi, il movimento di Tarzan attraverso la foresta più che quello di una scimmia ricorda il modo di muoversi di una skater. Un richiamo probabilmente non casuale, all’accattivante modernità della cultura giovanile urbana. Altrettanto innaturale e quanto mai moderno è il tempo della narrazione, la cui frenesia di alcune scene ricorda più la caoticità di un traffico cittadino che la ciclicità dei ritmi naturali.

Un altro aspetto responsabile di una critica verso la modernità, messo in luce da Whitley, riguarda la scena in cui gli amici di Tarzan giungono all’accampamento: nel vedere in successione i simboli del tempo ordinato (un orologio meccanico), la scienza (un distillatore), la carta stampata (una macchina da scrivere) e i rituali del colonialismo britannico (una teiera), l’esclamazione dell’elefante è «Che orrore! » a cui segue il commento del gorilla Terk «Quali bestie primitive sono responsabili di questo macello?».

Il contesto geografico indefinito della storia non permette però un approfondimento del tema: non vi è spazio, come in Pocahontas, per un confronto con la cultura e le vicende storiche subite dalle popolazioni africane in seguito al colonialismo. Il setting, al contrario, sembra quello di un paradiso incontaminato, mai interessato dalla presenza umana.

Frequenti e diffusi sono invece i riferimenti alla teoria darwiniana. «Si muove come una scimmia, ma sembra un uomo. Potrebbe essere l’anello mancante,» dichiara entusiasta il professor Porter: la ricerca del cosiddetto “anello mancante” fra uomo e scimmia rappresenta uno dei motivi più ricorrenti fra naturalisti e scienziati dell’epoca Vittoriana (1937–1901) in cui presumibilmente il film va a collocarsi. Risale al 1849 la scoperta del primo gorilla da parte di un missionario di ritorno da un viaggio in Africa, e al 1855 la triste vicenda che vede il primo esemplare catturato e trasportato in Inghilterra, per divenire un’attrazione pubblica e levare un aspro dibattito fra gli scienziati sulla relazione fra l’uomo e la scimmia. Scienziati autorevoli come Richard Owen (1804- 1892) o Thomas Huxley (1825–1895) si prodigano talora per ribadire, talora per mettere in

discussione, le differenze fra uomo e scimmia, mentre Charles Darwin (1809–1882) attenderà per pronunciarsi fino al 1871, con il suo L’origine dell’uomo e la scelta in rapporto al sesso.

Del resto, la crudele cattura degli animali a scopo di lucro fatta da Clayton potrebbe forse ricordare il mito di King Kong, oggetto di ben cinque film dal 1993 al 2005.

Atipico per l’epoca è invece l’atteggiamento dei due studiosi, il professor Porter e Jane: mentre, come ricorda Whitley, i naturalisti dell’Ottocento, lo stesso Darwin compreso, erano più dei collezionisti che dei veri amanti della natura, che raccoglievano esemplari di ogni genere eradicandoli per sempre dal loro ambiente o uccidendoli, l’atteggiamento dei due studiosi è quello tipicamente moderno di osservatori, innocui e rispettosi. La figura di Jane, nel suo ricercare un’intimità e comunicazione con i gorilla, cercando di imitarne i versi, così come il suo progressivo inselvatichirsi, nell’abbigliamento, nella capigliatura e nelle abitudini verso quelle di Tarzan, sembra ricordare una Jane Goodal moderna, di cui, mi

permetto di osservare, ricorda vagamente i lineamenti giovanili. La scelta finale di Jane e suo padre, pur se dettata nella trama dall’amore, assume in questo senso un connotato non indifferente: in questo continuo venirsi incontro e intrecciarsi di natura umana e

ferina, non solo viene messo in risalto quanto vi sia di condiviso, più che di diverso, fra noi e questi nostri parenti primati, e come si tratti di due mondi paralleli, non gerarchicamente classificati. Questa famiglia allargata richiama anche un nuovo senso di equità, di rispetto e di diritti, fra forme di vita umane e non umane, portato avanti dalla gran parte degli odierni movimenti ambientalisti.

Figura 2.3.9 - Tarzan e Jane appesi ad una liana.