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Koda, fratello orso (2003)

Il film è considerato il 44° classico Disney, ed è la storia di maturazione di un giovane Inuit, Kenai, dalla giovinezza all’età adulta, «la storia di un ragazzo che è diventato uomo, trasformandosi in orso». Il giovane Kenai è giunto a un momento importante della sua vita: è il momento di ricevere da Tanana, la sciamana del villaggio, il suo totem, un simbolo che indica il valore a cui ispirarsi nel percorso da seguire per diventare uomo. Kenai riceve l’orso dell’amore, e sul momento ne è profondamente deluso. Ma accade qualcosa d’imprevisto. Sitka, il maggiore dei due fratelli di Kenai, rimane ucciso nello scontro con un orso. Kenai, in completa inottemperanza al suo totem, gli dà la caccia e lo uccide. Lo spirito di suo fratello Sitka si risolve a punirlo perciò in maniera esemplare, e lo tramuta in orso. Kenai inizia così un’esistenza sotto forma animale, e finisce a condividere il destino del piccolo Koda, il

cucciolo che lui stesso ha reso orfano. Kenai conosce l’esistenza degli orsi, e si compenetra con quegli animali che aveva prima costantemente disprezzato, comprendendo finalmente il rispetto per la vita e per il ruolo delle diverse creature nell’equilibrio naturale.

Intanto però l’altro fratello, Denai, gli sta dando la caccia, credendo quello strano orso responsabile della morte di entrambi i suoi fratelli. Quando i due arrivano allo scontro e Denai sta per ucciderlo, interviene nuovamente lo spirito di Sitka, riportando Kenai alla sua forma umana. Egli ora può scegliere: tornare alla sua vita umana o restare orso. Kenai, in accordo con il suo totem, decide di restare accanto al suo fratellino Koda, che ha ancora bisogno di lui. Anche se in forma animale, Kenai ha raggiunto il suo obiettivo, vivere secondo il totem dell’amore: come gli aveva predetto Tanana, «un amore che congiunge e unisce tutte le forme viventi».

Il film offre importanti spunti di riflessione: quello dell’amore è un concetto francescano, primordiale, lo stesso invocato da Pocahontas nell’invitare John Smith a guardare la natura con occhi diversi. Amore come rispetto per la vita, ma anche come capacità di comprensione, d’immedesimazione nell’altro, anche verso chi non si comprende. A conferire un’aura di misticismo e sacralità a questi dettami contribuiscono le musiche e le immagini simboliche che accompagnano i momenti di maggiore tensione narrativa. Quando avvengono le trasformazioni, nell’aurora boreale che si forma sulla montagna «dove le luci toccano la terra» la luce assume tonalità cangianti, e dalla luce

diffusa si vedono emergere insieme gli spiriti di uomini, alci, orsi, e ogni sorta di creatura, come a significare che siamo tutti in egual maniera figli di Madre Natura, e gli spiriti dei defunti tornano a una sorta di armonia originaria.

Lo stratagemma della trasformazione permette agli sceneggiatori di mettere in luce il fatto che, come tuttora accade quando pensiamo agli animali cosiddetti “feroci” (basti pensare ai lupi, ai leoni, ma anche agli squali), siamo portati a considerare animali dalle potenzialità distruttive come spontaneamente aggressivi, mentre in realtà non è mai così. Come sappiamo, nessun animale per quanto feroce aggredisce l’uomo a meno di non sentirsi gravemente minacciato. Per la maggior parte di queste specie la difesa è sempre e comunque la fuga, a meno che non si tratti, come nel

caso di Kenai, di una madre che si vede costretta a difendere i suoi cuccioli. E così Tanana suggerisce al neo orso: «tu acquisirai una nuova prospettiva delle cose».

Due sono i momenti in cui Koda apre gli occhi al suo fratello maggiore. «Questi mostri fanno una paura matta, soprattutto quando hanno quei bastoni, » commenta il cucciolo davanti a una pittura rupestre che raffigura una scena di caccia. Ma è nel momento stesso in cui Kenai sente raccontare la storia della sua caccia all’orso dal punto di vista del piccolo Koda, della disperata difesa di sua madre per difenderlo e allontanare i cacciatori, che realizza la sua cecità e diventa pronto, finalmente, ad amare.

Whitley tuttavia denota come questo lavoro, nonostante la nomina all’oscar come miglior film di animazione nel 2004, si presenti per molti aspetti superficiale, sprecando molte possibilità di approfondimento. In primo luogo, non si denota particolare cura nella resa naturalistica di animali e paesaggi: pur presentando alcuni splendidi scorci della foresta boreale, i sui fiumi, cascate e immense valli, non vi è particolare attenzione al realismo degli elementi naturali né tantomeno in quella della rappresentazione degli animali, le loro movenze, i loro istinti e comportamenti.

Vengono esaltate per lo più le potenzialità comiche di alcuni personaggi, come le due alci Rocco e Fiocco, sottolineandone gli aspetti comici e caricaturali a scapito di una resa più fedele degli animali che rappresentano. Anche gli orsi stessi restano talmente antropomorfizzati nella loro psicologia, nel loro aspetto e nella loro gestualità da lasciare la potenzialità

dell’“immedesimazione nell’altro” a un livello molto superficiale, poiché la differenza fra la natura dell’uomo e quella dell’orso, le loro esistenze diverse pur se interconnesse, è poco più che accennato (Whitley, 2008). Anche la colonna sonora, in questo lungometraggio, si presenta meno curata di altre nei suoi testi, non permettendo di fornire ulteriori elementi di approfondimento.

Tuttavia, la scelta finale di Kenai, quella di una natura “animale”, ha un significato importante: la possibilità di anteporre la nostra natura umana a quella animale, perché, finalmente, hanno valore l’una esattamente quanto l’altra.

Figura 2.2.3 – Kenai e Koda al raduno del salmone.

2.3 Ambienti tropicali

Dopo Il libro della giungla, la Disney non tornerà più a raffigurare ambienti tropicali, fino al 1994, con Il re leone, ambientato nella savana africana. Come abbiamo detto, Disney prediligeva i contesti americani, ma è la formazione cosmopolita di Eisner, insieme alla internalizzazione culturale degli anni Novanta, a preparare il terreno per questo salto che, lungi dal costituire un azzardo artistico, accrescerà la fascinazione suscitata da questi prodotti, che mostrano creature esotiche estranee al mondo dell’animazione, e incredibili paesaggi.

A questo segue Tarzan, nel 1999, il cui setting è quello delle foreste equatoriali africane. L’ultimo film che Whitley inserisce in questa categoria è Alla ricerca di Nemo (2003), collocato nel contesto marino tropicale della barriera del Gran Reef australiano. Mentre di Il re leone e Alla ricerca di

Nemo si parlerà nei ispettivi capitoli dedicati, mi sono permessa di aggiungere alla categoria Bianca e Bernie nella terra dei canguri (1990), l’unico caso di rappresentazione delle grandi distese

desertiche dell’interno dell’Australia, e ottimo esempio per affrontare il tema del bracconaggio, dopo Bambi.