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3.1. Il santuario italico di San Pietro di Cantoni di Sepino

3.1.5. I bolli laterizi

Concorre a restituire momenti e passaggi dell’attività edilizia occorsa all’interno del santuario il rinvenimento, in contesti di tarda rovina, di un contato numero di tegole che riportano la menzione di magistrati eponimi.

In particolare a San Pietro risulta attestato il bollo sinistrorso a lettere incavate m(eddiss).

t(ùvtiks). l(ùvkis). klì(ppiis). l(ùvkeìs). in almeno 7 esemplari fra interi e frammentari.

Trattasi di rinvenimenti che sembrano ribaltare, se il dato quantitativo e il dato statistico possono significare qualcosa a livello di piccoli numeri e di una letteratura in costante incremento, lo schema distributivo noto del bollo. Questo a tutt’oggi risulta attestato da soli 7 altri esemplari, così frazionati: 3 a Campochiaro, 1 a Colle d’Anchise, 2 a Castello del Matese, 2 a Saepinum.

Saepinum, dunque, con le sue 2 attestazioni, e, più in particolare, San Pietro, con le sue 7, sembrano documentare, se non altro, una forte concentrazione di interessi e una fervida attività pubblica statale ad opera o in concomitanza con la magistratura di lùvkis klìppiis, magistratura che si fa normalmente risalire nell’arco pieno della metà e seconda metà del II secolo a.C., fra il 160 e il 100.

Dallo stesso contesto di rinvenimento proviene anche il bollo destrorso a lettere incavate

m(eddiss). t(ùvtiks). ni(umsis). pù[mpùniis. tit(eìs)]. Per quanto il bollo risulti

frammentario, la lettura della parte residua appare del tutto sicura. Sembra, anzi, di riconoscere lo stesso punzone impiegato per l’esemplare su tegola noto da Campochiaro. L’importanza del rinvenimento sta anche nella menzione di una gens che nell’arco del I secolo d.C. esprime proprio a Saepinum, e unicamente a Saepinum, attraverso 2 distinti testi epigrafici, un personaggio di rango senatorio, Cn. Pomponius Cn. f. Saturninus. Quest’ultimo, non altrimenti noto, non sembrava neppure potersi ricondurre ad una qualche famiglia locale. Il bollo di San Pietro di Cantoni, a suo modo, sembra fare dunque giustizia di tutto ciò restituendo al personaggio una corretta e degna linea di discendenza forse in ambito strettamente sepinate. Tralasciando tuttavia le implicazioni prosopografiche del

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testo, basti qui ricordare che la magistratura di niumsis pùmpùniis pare operante intorno alla metà del II secolo a.C.

Va da sé che la somma dei dati testé enunciati documenta un forte impegno costruttivo all’interno dell’area del santuario a partire dalla metà del II secolo a.C. Ma appare questa una datazione troppo bassa per buona parte dei materiali di dichiarata pertinenza cultuale restituiti dallo scavo.

Fig. 25: bollo laterizio (mef.saì).

È ovvio e più verosimile che si tratti allora di una ripresa, di uno sforzo di adeguamento e di aggiornamento edilizio, di un riassetto urbanistico e architettonico che coinvolge, che integra e che dilata volumi già esistenti. La descrizione precedente della situazione fino ad oggi rimessa in luce dallo scavo sembra fornire indizi sufficienti, anche sotto il profilo diacronico, per argomentare e proporre l’ipotesi di rivedere proprio in ciò che si è in precedenza menzionato l’attuazione dei programmi di intervento sottesi dalla generalità dei bolli rinvenuti.

Accanto ai bolli con menzione dei magistrati eponimi lo scavo, come si sa, ha, però restituito in più esemplari, 5 ad oggi, un bollo su tegola, a lettere rilevate entro cartiglio rettangolare:

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saì sembra esprimere dichiaratamente l’etnico. E’ del resto conosciuto, da due esemplari, a

rilievo entro cartiglio quadrato, rinvenuti nel corso degli scavi del Cianfarani, il bollo saì che indica la presenza a Saepinum di una figlina pubblica a livello comunitario e cantonale. Figlina per la quale è documentata una continuità produttiva ancora in età romana, già nel I secolo a.C. e ancora successivamente, attraverso il bollo, attestato da più esemplari, saepin.

mef sembra documentare una produzione specifica, uno specifico approvvigionamento, una

partita di laterizi confezionata dalla figlina locale per un’univoca progettualità e destinazione, quella appunto del santuario. A maggior ragione ovviamente non risultando il bollo attestato altrove. E, dunque, quale specifica più corretta e quale indicazione più vincolante e trasparente del nome della divinità, la principale, la centrale, fra quelle venerate nel santuario? L’ipotesi di integrazione mefitis avanzata anni fa permane forte e convincente.

È chiaro, se si è nel giusto, che la divinità appare ed è, di fatto, in questa formulazione, ormai associata alla comunità, sembra essere espressione stessa della comunità. È divinità che sembra aver acquisito dimensione e ruolo politico. E possibili paralleli possono porsi con situazioni altrimenti ben conosciute e ben documentate, già a suo tempo richiamate (Atena Metapontina, Venere Ericina, ma anche forse con la stessa Mefite utiana di Rossano di Vaglio).

Ecco, anche questi ultimi bolli mi pare possano ricollegarsi alla fase d’intervento documentata in precedenza attraverso i bolli con menzione di magistrati eponimi. Del resto la provenienza degli uni e degli altri da identici contesti di riuso e di rovina generalizzata non consente ad oggi più puntuali scansioni di sicura attendibilità e affidabilità.

Tuttavia, in conseguenza di quanto detto, sembra acquistare un più sicuro significato un po’ tutto il repertorio, amplissimo e variegato, degli oggetti riconducibili al culto, all’offerta devozionale quanto allo strumentario del rituale, all’interno del santuario. In primo luogo certo la statuetta in bronzo di divinità con dedica di trebis dekkiis. Che ormai, con documentata sicurezza, può a buon diritto affermarsi rappresenti l’iconografia della dea, forse localmente rielaborata. E l’uccello acquatico, l’anas clypeata, che la dea stringe delicatamente nella mano sinistra (Figg. 31-32) sembra certo valere come attributo probativo dell’identificazione. L’alta datazione della stipe votiva dalla quale proviene la statuetta, composta di materiali che non sembrano oltrepassare la fine del III secolo a.C., non sembra, però, oggettivamente consentire possibilità di relazione con le strutture rinvenute e restituite dallo scavo se non verosimilmente con l’edificio minore.

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