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La restituzione virtuale della porticus (Fig. 73), stante una situazione di scavo non ancora portata a compimento, pone certo alcuni problemi. Per quanto la destinazione del complesso appaia sicura, sfuggono tuttora l’originaria sua dimensione, la sua stessa sicura configurazione planimetrica e, come è forse più normale in un contesto di archeologia, incerti permangono tuttora molti aspetti applicativi e caratterizzanti del dettaglio edificatorio. È certo una struttura di margine, funzionale all’accoglienza e al servizio dei frequentatori del santuario, uno snodo protetto delle percorrenze quanto delle soste. Ma questo ruolo gregario, di struttura di complemento della tempistica liturgica e festiva nel santuario, non rende giustizia al complesso. Quest’ultimo ha di per sé un rilevante autonomo ruolo architettonico ed urbanistico. Costituisce, assecondando, almeno per largo tratto per quanto è dato vedere, la continua e cieca definizione perimetrale del recinto, la cornice ordinata e cadenzata che prospetta l’area sacra, che rende fruibile alla vista la complessità e la vitalità organizzate delle strutture di culto. Che detta orientamenti, che consente scelte, che offre riposo, insomma uno spazio autonomo, profondo, rassicurante.

Le soluzioni strutturali adottate sono semplici, addirittura elementari. Gli elementi portanti verosimilmente in pietra, ma non necessariamente, a più rocchi poggiano su basi troncoconiche a vista, almeno in parte, alla quota di calpestio, resa da un modesto battuto pavimentale di spessore non uniforme, sostanzialmente tenue. Tutto nella logica di modi tradizionali di edificare. Non a caso altrove, nel paragrafo 3.1.3, si sono richiamati a riguardo confronti di alta cronologia. Per marcare continuità. Qui però l’applicazione sembra essere documentatamente recenziore. Qui è il contesto, le solidali relazioni con lo stipite orientale dell’accesso al santuario da Nord e con il percorso lastricato che porta alla fronte del tempio, a dettare una temporalità più tarda, coerente al progetto di trasformazione che investe in forme magniloquenti l’assetto complessivo del santuario nel corso del II secolo a.C. Né sembra proponibile l’ipotesi di rivedere la porticus come struttura preesistente, solo recuperata e ricucita nella nuova dimensione santuariale. Non si hanno a riguardo dati. E del resto lo sviluppo allungato e la soluzione planimetrica lineare rimessa in luce ad oggi dallo scavo suggeriscono dimensioni estremamente ragguardevoli e rapportabili solo ad una unitaria e articolata progettualità di complesso santuariale di cronologia avanzata.

Lo scavo ancora incompiuto e lo stesso piano di campagna all’intorno, sfruttato per colture fino a qualche generazione fa, dunque piatto o solo lievissimamente pendente, non valgono a suggerire soluzioni planimetriche della porticus più ardite o più complesse. Lo sviluppo

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lineare sembra creare una discreta, continua e dialogante prospettiva a distanza con i compenetrati volumi delle strutture templari ricavati nella profondità invece appena rimontante di quota dell’area sacra. Una configurazione segmentata, ad angolo o a più angoli, della porticus avrebbe, del resto, intercettato visivamente e sbarrato anche tattilmente i tradizionali percorsi di avvicinamento al luogo di culto da Est. Ne sarebbe sortita anche una gratuita e inutile contrazione della dimensione di superficie dell'area santuariale, da sempre invece ricercatamente ariosa ed estesa per la sua stessa naturale pacata connotazione topografica.

Fig. 73: porticus, modello ricostruttivo.

La porticus si dispone, dunque, sul fianco orientale dell’accesso da Nord al santuario e della via lastricata che conduce alla fronte del tempio maggiore. Non si hanno elementi sicuri per definirne la sua piena autonomia costruttiva. Nel senso che pare più probabile che la muratura di fondo possa essere restituita dal paramento interno del recinto. Anche solo per evitare inutili reduplicazioni, peraltro ravvicinatissime, di diaframmi murari posti pressoché in parallelo. E forse anche per garantire la massima stabilità possibile alla struttura progettata a falda unica. Entro lo spessore del muro di recinzione, quasi in sommità, dovevano dunque intestarsi i falsi puntoni con una pendenza non particolarmente accentuata anche per favorire la massima profondità possibile della porticus. Volta a creare una superficie protetta, particolarmente significativa ed estesa. Anche, ovviamente, in previsione di frequentazioni massive del santuario nella ricorrenza di contingenze festive (e anche questo, se si vuole, costituisce un parametro oggettivo della fortuna arrembante del culto a San Pietro di Cantoni). La profondità dell’orditura è commisurata al disporsi a terra in sequenza ordinata

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delle grandi lastre della crepidine. Un modestissimo euripo, compreso fra ciglio della crepidine e lastre irregolari della definizione pavimentale di margine dell’area antistante, sembra dettare, nel suo ruolo di raccolta e di smaltimento dell’espluvio di falda, la dimensione esatta della superficie coperta della porticus sulla fronte. Ricorrono nella orditura travicelli che corrono in parallelo alla linea di gronda e che supportano, con o senza l’ausilio di tavolati lignei, la cadenzata e alternata sequenza di coppi e tegole piane del manto del tetto. Che lo scavo ha restituito in quantità rilevantissime per quanto in condizioni di estrema frammentarietà. Innestati alla parete di fondo, sulla verticale dei falsi puntoni e in appoggio forse a travi perpendicolari di collegamento direttamente impostate (per non aver ritrovato in fase di scavo capitelli di dimensioni coerenti) sui piani di attesa praticati in sommoscapo delle singole colonne, erano travi di adeguate dimensioni e lunghezza volti a restituire all’assieme dell’ordito della copertura della porticus una sicura ed equilibrata statica. A maggior ragione per la singolarità di una distribuzione delle basi non cadenzata secondo misure modulari e per una loro collocazione che non è azzardato definire come molto arretrata rispetto alla fronte ed alla definizione di ciglio della crepidine antistante. L’altezza del complesso, per una sua piena e ariosa fruibilità, requisiti certamente ricercati in fase di progettualità e di realizzazione, si è dunque ricostruita, in mancanza di probante oggettiva documentazione, in un accettabile rapporto di proporzione con le altre dimensioni note e acclarate dallo scavo per il comparto e per le stesse residue componenti costruttive di sicura pertinenza (basi, colonne, elementi di copertura).