• Non ci sono risultati.

La bottega di Vincenzo Barzotti, formatore lucchese tra Roma e Firenze

IL RUOLO DEL FORMATORE

IV.2 La bottega di Vincenzo Barzotti, formatore lucchese tra Roma e Firenze

Le notizie sui formatori sono scarse e la loro ascesa, dovuta probabilmente all’incremento della richiesta dei gessi, porta alla definizione di questo mestiere, che era molto vicino agli artisti per via dei molteplici utilizzi dei calchi, sia in ambito tecnico che teorico.

Gli studi sulla cultura antiquaria hanno riconosciuto l’uso dei calchi come patrimonio nello studio della storia dell’arte. Le personalità dei formatori che lavorano a strettissimo contatto con gli artisti più noti, rispondendo alle diverse necessità non sono ancora definite pienamente. Il reperimento di un gruppo di documenti riguardanti l’attività di Vincenzo Barzotti, celebre formatore, che affianca Anton Raphael Mensg e altri artisti, insieme a noti eruditi nella loro attività appare particolarmente significativo.

Le carte conservate presso gli eredi della famiglia Barzotti a Lucca offrono la possibilità di tracciare una storia, se pur con numerose lacune, dell’ascesa e delle vicende di uno dei più celebri formatori di Roma, chiarendo maggiormente il loro ruolo nella storia del gusto, ricerca antiquaria e nella promozione delle arti. Il nucleo più interessante per la ricostruzione delle vicende della vita e dell’attività di Vincenzo si compone di circa 30 lettere e altri documenti di varia natura, che coprono un arco temporale dal 1763 al 1782277.

Come ricordava G. Tambroni i formatori lucchesi sembrano avere l’egemonia di questa professione, meritata e dovuta alla continua pratica278. Esercizio rafforzata dalla lunga tradizione dei figurinai che coinvolgeva la zona intorno a Lucca. Province decentrate come Coreglia Antelminelli e Tereglio sono note fin dal Cinquecento per la fiorente produzione di statuine in gesso279. L’ascesa di queste botteghe, probabilmente coincide con la coeva decadenza della realizzazione delle terrecotte invetriate della città vicina di Barga, e forse può essere messa in relazione con l’inizio delle grandi imprese di formatura di opere dell’antico, di cui l’impresa del Primaticcio è il primo emblematico esempio.

277

I documenti sono stati riordinati, su richiesta degli eredi Barzotti, dall’Archivio di Stato di Lucca e una prima ricognizione è stata eseguita da Bianca Riccio. B. Riccio, Vincenzo Barzotti

formatore di Mengs, in Il primato della scultura cit, pp. 107-115. 278

G. Tambroni, Op. cit. , 80.

279

104 Il contesto di origine di Vincenzo Barzotti è rappresentato da una realtà di piccoli artigiani, ma ben qualificati, legati da vincoli familiari che viaggiavano per l’Italia e l’Europa, venendo incontro alle richieste con un prodotto dal costo vantaggioso comprendendo i reali vantaggi commerciali di questa attività,. I figurinai della Val di Lima e di Tereglio, restano comunque legati, fino all’inizio del nostro secolo, ad un commercio itinerante creando spesso laboratori provvisori.

Questi artigiani cha hanno il merito con il loro flusso migratorio di aver contribuito alla crescita economica, soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento, della provincia di Lucca, mancano certamente dell’erudizione che invece veniva richiesta dagli artisti e dai collezionisti ad un abile formatore. Rimanevano personaggi tipici di una cultura locale, se pur esportata, appariscenti ed espressione di una classe sociale povera e semplice. Giovanni Pascoli, infatti, cantore delle “piccole e umili cose” era entrato in contatto con questi artefici, descrivendone l’esistenza errante e disagiata:

«[…] Un zampettino da vangare, un nido Da riposare: riposare, e ancora

Gettare in sogno quel lontano grido:

will you buy…per Chicago e Baltimora, buy imagines…per Troy, Menphis, Atlanta,

con una voce che te stesso accora:

Cheap! Nella notte, solo in mezzo a tanta

gente; cheap! cheap! tra un urlerio che opprime;

cheap!

[…] Vanno serrando i denti e le mascelle, serrando dentro il cuore una minaccia ribelle, e un pianto forse ribelle.

Offrono cheap, la roba, cheap, le braccia, indifferenti al tacito diniego;

e cheap la vita e tutto cheap […]»280.

La condizione della famiglia Barzotti comunque come appare dalle carte è nettamente differente rispetto a quella dei figurinai del primo Novecento, quando

280

105 la separazione tra umili fabbricanti di piccole figure e abili e preparati formatori, capaci di eseguire copie a grandezza naturale è ormai avvenuta da lungo tempo, affondando le sue radici nel Settecento, quando questo mestiere raccoglie importanti riconoscimenti e meriti.

La famiglia Barzotti già nel 1775 doveva aver raggiunto soddisfacenti condizioni economiche, tanto che Frediano, padre del più noto Vincenzo, può acquistare una casa a Tereglio, grazie ai saltuari lavori commissionati da Anton Raphael Mengs281.

La famiglia sembra ottenere una crescita economica e un’emancipazione professionale rispetto alla comune pratica di figurinai, esercitata comunque ancora nel 1763, quando Frediano scrive al figlio sedicenne, Vincenzo, di andare a Foligno per vendere le figurine, per anticipare il suo concorrente Battista Fontana282. Le peregrinazioni di Frediano, di suo fratello Lorenzo e di Vincenzo nell’Italia centrale continuano, non diversificandosi la loro attività da quella comune dei fabbricanti di figurine.

La svolta dovrebbe essere stata attuata intorno agli anni sessanta del Settecento, come si evince dalla lettura di due lettere. La prima datata 25 maggio 1765, inviata da Vincenza Barzotti, religiosa a Perugia, a Lorenzo maestro di figure in gesso nella quale scrive di aver salutato Vincenzo, prima della sua partenza per un soggiorno di due anni in Spagna con il desiderio di voler stare presso lo zio una volta fatto ritorno. La sorella commenta inoltre come un “grande sproposito” l’idea riferitale dal nipote della volontà di Lorenzo di voler intraprendere un nuovo viaggio verso la penisola iberica283. Anche Frediano deve aver viaggiato incrementando le sue fortune, come si legge nella seconda lettera, inviata nel 1765, da uno sconosciuto signor Micheli a Lorenzo, residente in quel momento a Tereglio, dove racconta di aver avuto notizia da Battista Fontana (il rivale della famiglia Barzotti, citato nel 1763), di ritorno anche lui dalla Spagna di aver incontrato suo fratello a Barcellona284.

281

E. Pellegrini, Ricordo di Vincenzo Barzotti di Tereglio, formatore del XVIII secolo, Borgo a Mozzano MDCCCXVIII, p. 4.

282

Ibidem, p. 5.

283

Lucca, Archivio Marchi, carte Pellegrini-Barzotti, c. 429, 437.

284

106 Frediano e suo figlio Vincenzo, stabilitisi a Madrid ritornano in patria, dopo un soggiorno di 3 anni nell’agosto del 1768. Si può effettivamente supporre che la loro ascesa sociale sia iniziata in questi anni, probabilmente grazie all’incontro con il pittore Anton Raphael Mengs, che tra il 1761 e il 1769 si trovava nella capitale spagnola al servizio dei sovrani285, collaborazione di cui il pittore si avvale anche una volta tornato in Italia.

Lo svincolamento dalla ripetitiva e itinerante professione tipica delle terre lucchesi si deve a Lorenzo che grazie alle sostanze accumulate in Spagna nel 1775 attua l’ambizioso progetto di “fermarsi a Roma e impiantarvi uno studio di accademie classiche, formate, se fosse possibile, sugli originali, come è tradizione che avvenisse per la Venere Medici”286 . Stabilendosi a Roma Lorenzo inserisce la sua bottega all’interno di quella rete di relazioni che la città offre, svincolandosi dal contesto di origine. Vincenzo segue lo zio e si mette in luce per le particolari abilità, tanto che già nel novembre del 1776 è già definito il formatore personale di Mengs, come si legge in una lettera inviata dallo scultore Alexander Trippel a Dresda, probabilmente al conte Camillo Marcolini, cercando di trovare sostenitori per una grande impresa:

“Mi perdonerete il mio fervore patriottico per l'arte, che io vengo con la terza richiesta, se non fosse di grande significato e per la fama più grande dell'elettore più glorioso e protettore delle arti, non mi sottoporrei, è il formatore di Mengs Barsotti vuole intraprendere la formatura delle statue di Monte Cavallo senza i cavalli, poiché sono di qualità molto cattiva (perchè molto restaurati). Per questi ha già due committenti, due angeli gli manca solo il terzo, perché le spese sono molto grandi per assicurarsi le più grandi spese, non può intraprenderlo a costo zero poiché sono figure che non nessuno può comprare. Le sue (figure) sono alte 28 palmi, la spiegazione della loro bellezza sarebbe inutile da menzionare qui, dato che se ne tratta in tutti i libri d'arte, solo per dire brevemente , sono davvero una vera scuola d'arte e del più sublime stile e proporzione. Queste figure non sono mai state formate, ci vogliono per Castore e Polluce per entrambe le figure 300 scudi per i primi modelli e niente in anticipo”287. La difficoltà che rendeva

285

S. Roettgen, Anton Rahphael Mengs cit., pp. 217-260.

286

E. Pellegrini, Op. cit., p. 6.

287

107 l’impresa eccezionale era dovuta alla grandezza delle figure, che come scriveva Goethe nel suo diario “né l’occhio né la mente bastano ad abbracciarli per intero”288. L’altezza dei colossi aumentava le difficoltà di estrarre calchi precisi, perché si sarebbero inevitabilmente dovute realizzare molti tasselli, pertanto era necessario un esecutore che avesse una profonda esperienza.

Dal 1776 fino al 1779, anno della morte di Megs, il pittore è il committente più accertato del formatore. Questa collaborazione prosegue mentre Vincenzo è impegnato nei lavori all’interno del nascente museo Pio-Clementino289, dove lavora almeno fino al 1780 circa, quando Giuseppe Torrenti si afferma come esclusivo formatore del Vaticano.

Della fitta attività per Mengs rimane traccia nel carteggio di Lucca, dove si hanno notizie dal 1778 al 1782. Risale al 21 novembre del 1778 una lettera che Vincenzo scrive a Frediano, nella quale si riporta della commissione avuta dal Mengs per formare sette putti “del fiammingo” dall’altare maggiore di san Pietro290. Si crede che i putti citati siano oggi conservati nell’Accademia di Belle Arti di Dresda, dove si trovano almeno nove putti copiati dal Baldacchino progettato da Bernini, con la collaborazione di molti artisti tra cui Françios Duquesnoy.

La riscoperta dei gessi e la loro considerazione negli studi è storia relativamente recente, in quanto a causa del deperimento e dell’incuria per questi oggetti la loro conservazione è stata ritardata, ciò dovuto al fatto di essere ritenuti manufatti di secondo piano, associati dal pensiero puro visibilista alla cultura accademica,. Pertanto seguire la storia di un patrimonio così ricco, ma spesso dimenticato, risulta spesso difficoltoso. L’analisi delle carte Barzotti appare tanto significativo e rende possibile seguire in maniera puntuale le vicende di alcuni degli oggetti provenienti dalla gipsoteca di uno dei più noti artisti del XVIII secolo e il particolare rapporto con il suo formatore, inserendo nuove tessere nel mosaico della vita artistica della Roma dell’epoca. Seguendo l’ordine cronologico delle

288

J. W. Goethe, Viaggio in Italia, Roma 1983, p. 139

289

C. Piva, Restaurare l’antichità: il laboratorio di restauro della scultura antica del museo Pio-

Clementino, Roma 2007, pp. 185-188. 290

“[…] lunedì mi tocca andare a San Pietro a formare sette putti per colonna dell’altare maggiore che sono del Fiammingo e sono quindi 3 palmi e mezzo l’uno e questi sono per Mengs […]”. Lucca, Archivio Marchi, carte Pellegrini-Barzotti, c. 420.

108 lettere conservate è possibile seguire l’attività di questo personaggio che già nel 1778, pochi anni dopo essersi stabilito nella capitale, poteva fregiarsi del titolo di “formatore di Sua Maestà Cristianissima”291.

Vincenzo probabilmente deve a Mengs, il suo inserimento nella fitta rete di relazioni tra gli artisti che vivevano a Roma, permettendogli di ottenere nuove commissioni. Alcune lettere dello scultore Antonio Perez de Castro, risalenti al 1778 e al 1780, testimoniano ancora, nonostante il ritorno in Italia i suoi legami con la Spagna e informano che il formatore lucchese riceveva commissioni da Francesco Preciado, allora direttore dell’Accademia di Spagna, il quale sollecitava la consegna di una lista di modelli di alcune opere provenienti da Firenze292. La considerazione e l’importanza raggiunta da Vincenzo è ancora ribadita, nel 1780 quando Perez de Castro scrive a Vincenzo, in quel momento residente a Tereglio (perché si era sposato con Anna Maria Giannini) di essere stato costretto, a causa del suo mancato ritorno a Roma, a far formare alcune sculture a un tale Tomas 293

. Il risultato non doveva aver soddisfatto il committente Camaron, perché lo zio, residente nella capitale pontificia avrebbe voluto intervenire nel correggere il gesso.

Evidentemente mentre Lorenzo restava a Roma per condurre la bottega situata a “borgo nuovo”, vicino san Pietro, nei pressi dello studio che Mengs294, il nipote invece sempre per commissione del pittore si muoveva verso Firenze per trarre le forme delle sculture fiorentine per arricchire la sua raccolta di calchi. Nel 1779 Vincenzo scrive dalla toscana, forse allo zio Lorenzo, di riferire a don Bernardino Duccini e Mengs che molti dei modelli richiesti sono stati incassati per essere spediti, tra cui le porte di eseguite da Ghiberti, i bassorilievi presenti nel duomo, Amore e Psiche, l’Apollino e il Fauno con le nacchere295. Per soddisfare a pieno le richieste del pittore, Vincenzo si avvale dell’aiuto dell’incisore Santi Pacini296,

291

Lucca, Archivio Marchi, carte Pellegrini-Barzotti, c. 420.

292

Lucca, Archivio Marchi, carte Pellegrini-Barzotti, c. 451.

293

Lucca, Archivio Marchi, carte Pellegrini-Barzotti, c. 450.

294

S. Röttgen,

295

Lucca, Archivio Marchi, carte Pellegrini-Barzotti, c. 422.

296

S. Meloni Trkulja, Santi Pacini, voce in Dizionario biografico degli artisti,in La pittura in

Italia. Il Settecento, Milano 1991, vol. II, p. 815. la formazione di questo artista non è

documentata, è registrato come novizio nell’accademia del disegno di Firenze nel 1761. Nel 1784 farà parte del corpo insegnanti della scuole. E’ nota la sua attività di pittore negli anni Settanta, periodo in cui dipingeSanta Margherita veste l’abito del terz’ordine (1775), in santa Margherita da

109 il quale operando a Firenze si impegna attivamente nel procurare i permessi per trarre le copie e imballare i gessi, lavorando “come un disperato, che non si da un momento di riposo”297. Pacini, come si evince da altre lettere doveva essere il tramite di Barzotti, tra Roma e Firenze e anche successivamente, quando non si hanno notizie dei rapporti con Barzotti, tra le carte dell’archivio dell’Accademia di Belle Arti di Firenze compare come richiedente per moltissime copie in gesso tra il 1799 e il 1804298. Pacini, noto incisore, esegue alcuni disegni per alcune importanti raccolte di disegni finanziati dal famoso collezionista Ignazio Enrico Hugfor299 e realizza inoltre, nella politica di tutela operata dal granduca Leopoldo, una copia della Pietà di Luco di Andrea del Sarto per sostituire l’originale nella chiesa300. Una delle sue imprese più note rimane il restauro della Cappella del

Carmine nel 1771, successivamente in virtù di questo incarico viene eletto

professore di disegno all’accademia (1772). La conoscenza tra l’incisore e Mengs doveva risalire al soggiorno fiorentino del boemo all’inizio degli anni settanta del secolo, quando Mengs fa incidere a Pacini nel 1770 un disegno, della sua Cortona. Affresca alcune pareti nella chiesa del monastero di Camaldoli e esegue dei quadri per il convento dei cappuccini di Arezzo. A Firenze rimangonotre tele nella chiesa di santa Maria dell’Ospedale degli Innocenti. Maggiormente più documentata è la sua attività di copista che si svolge soprattutto sui quadri acquistati dal Granduca da alcune chiese toscane per la Galleria, come il san Giovanni Battista,creduto di Prugino, la Madonna col bambino creduta di Leonardo di san Michele a Castello e la celebre Pietà di Andrea de Sarto da san Pietro di Luco. Eseguì inoltre numerosi disegni per l’Opificio delle Pietre dure. Sono noti i suoi restauri per la cappella de Carmine (1771), della pala d’altare dei Pretoni (1774), degli affreschi del Bigello (1777), della

Madonna di Cennini dell’Osedale di Bonifazio (di cui esegue un distacco mal riuscito, della

cappella del Giudizio universale nella santissima Annunziata

297

Lucca, Archivio Marchi, carte Pellegrini-Barzotti, c. 422.

298

A. Caputo Calloud, Notizie relative a gessi e a formatori tratte dalle filze dell’archivio

dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, in La scultura italiana dal XV al XX secolo nei calchi della gipsoteca, Firenze 1989, pp.409-420.

299

Nel 1769 per Hugford incide il ritratto di Pontormo per la raccolta Serie di uomini illustri in

pittura, scultura e architettura. Partecipa all’impresa finanziata dal noto collezionista inglese

esguendo alcune incisioni confluite in Cento Pensieri diversi di Anton Domenico Gabbiani: il frontespizio del pittore davanti ad un rudere e le seguenti tavole: XXXX Romiti in paese deserto; XXXXIII Riposo d’Egitto con san Giuseppe; LVIII san Luigi re, san Francesco di Paola, sant’Elisabetta di Portogallo; LXVI scherzo di putti; Assunzione nella chiesa di santa Maria di Camaldoli;LXXVII Paese con Romito; LXXVIII Paese tono; LXXXII carro con Bovi; LXXXVII riposo in Egitto proveniente dall’appartamento del gran duca di Toscana; LXXXXI Distribuzione dei pani; LXXXXII Assunzione dalla cattedrale di Pescia; LXXXXV Atalenta e Melpomene. Molte sue opere grafiche sono pubblicate a Firenze per mano dello stesso autore nel volume

Raccolte di diversi disegni intagliati in rame a forma dei loro originali. F. Borroni Savadori, Per un approccio a Santi Pacini incisore, in «Antichità viva», 24, 1985, 5/6, pp. 50-57.

300

Il granduca Leopoldo per salvaguardare il patrimonio artistico dello stato fa eseguire delle copie di alcune pale d’altare che vengono esposte in sostituzione delle originali che vengono raccolte a Firenze.D. Capecchi-M. Seroni, Il restauro della “Pietà di Luco” di Santi Pacini nella

110 collezione attribuito a Raffaello, rappresentante la Deposizione di Cristo, confluito nel volume Scelta di disegni originali (1789)301.

I documenti di Lucca mettono in luce l’impegno di questo artista nel procurare i modelli per diversi committenti, probabilmente la sua bottega doveva essere un centro di raccolta e di diffusione di copie dall’antico e di opere moderne. Il suo ruolo di tramite nella Firenze dell’epoca è un esempio di come gli artisti fossero impegnati non solo nella loro professione ma anche a professioni a questa correlate, diventando piccoli centri per la circolazione delle idee. I gessi che rappresentavano un “precedente” della fotografia, conservando tra l’atro la tridimensionalità della statua, erano richiesti sollecitatamene per poter possedere un esemplare delle opere antiche in sostituzione del marmo originale. L’attività e la collaborazione tra Pacini e Barzotti, si intensifica nel momento in cui il pittore boemo invia a Firenze il formatore lucchese per poter formare le opere più famose di Firenze, con gessi di prima qualità formati dal vero, cioè direttamente dagli originali. Queste carte offrono la rara possibilità di poter ricostruire la vita di una bottega di formatori a Roma. Infatti come si deduce dalla lettura mentre Lorenzo, rimaneva a Roma Vincenzo, evidentemente ritenuto il più abile, era inviato a Firenze per ricavare le forme dalle opere fiorentine. I tempi erano cambiati rispetto agli inizi e ai spostamenti che la famiglia compiva per vendere figurine o ottenere commissioni, i Barzotti ora avevano un fiorente studio a Borgo Nuovo, vicino il Vaticano, mentre il più giovane viaggiava per commissione di uno dei pittori più apprezzati della seconda metà del Settecento. Il 4 maggio 1779 Vincenzo scrive da Firenze allo zio a Roma alcune notizie sull’incarico ricevuto da Mengs e sulla bottega di Pacini, che lo accoglie:

“con un amore molto maggiore del mio merito, e mi diede in tutto il comodo a me necessario con una bona stanza e letto il quale li sono molto dovuto ma questo devo anche ringraziare la sua bona volontà, che a avuto sempre di favorirmi, e il medesimo sig. Santi imediatamente (…) mi condusse nella stanza dove erano le

301

F. Borroni Salvadori, In Galleria gli artisti e i viaggiatori del Settecento contribuiscono a

diffondere il mito di Raffaello, in «Rassegna storica toscana», XXX, 1, 1984, pp. 37. Sante Pacini

scrive sull’incisione “All’Ill. Sig. re Cavaliere Ant.o Raffaello Mengs Pittor Primario di S. M. Cattolica possessore dell’originale del sublime Raffaello d’Urbino in sincera stima D.D.D. il suo U. mo servo Sante Pacini inc. in Fir. E l’anno 1770”. S. Roettgen, Anton Raphael Mengs cit., p. 101.

111 forme che mi tutto il comodo necessario da lavorarci che possa bisognare per servizio di formatore e mi consegna tutte le forme le quali le trovai la maggior parte note senza gessi dentro che se non fosse che mancano alcuni pezzi per compimento dei gessi richiesti dal sign. Cav(aliere) […] non mancava niente e non fa perdere un momento di tempo, che io rimasi attonito quando viddi robba si son distribuita tanto nella robba del Cav(alier) come nella sua che si il