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La specializzazione della professione del formatore

IL RUOLO DEL FORMATORE

IV. 1 La specializzazione della professione del formatore

I calchi, sia come modelli per lo studio sia come riferimento per l’esecuzione di originali, o come pezzi da collezione per evocare contesti lontani, sono oggetti di uso comune per gli artisti e per i collezionisti. La professione del formatore circa a metà dell’Ottocento è un mestiere definito e scisso, se pur legato alla pratica dell’attività dello scultore. Sulla scia della grande richiesta e dell’aumento del mercato nella seconda metà dell’Ottocento artigiani come Oronzio Lelli264, formatore di fiducia della Direzione delle Gallerie degli Uffizi è un riconosciuto fornitore di calchi dalle opere rinascimentali, anche per i numerosi stranieri che visitavano Firenze, i quali potevano scegliere i pezzi sui cataloghi della bottega. Un vero e proprio intento commerciale è quello perseguito da Domenico Brucciani, divenuto collaboratore ufficiale del British Museum, dopo essersi trasferito in Inghilterra da Lucca. A Londra nel 1864 apriva una galleria di gessi lunga 30 metri, grazie al grande prestigio conseguito e ad una solida posizione economica, come riferisce Dupré che si serve della collaborazione di Brucciani per la fusione dell’Abele265.

Nella seconda metà dell’Ottocento, cioè quando la gerarchia dei valori tradizionali, dell’antico e della storia subisce una frattura, i calchi si svuotano del loro valore, servendo per lo più da modelli per l’esercizio del disegno. Tra gli altri attestati usi dei calchi si può ricordare anche quello di repertorio visivo per la realizzazione di falsi, utilizzati dal fiorente mercato del falso. Falsari come Alceo Dossena, Icinio Ioni e Fulvio Corsini, che sulla scia dell’interesse e degli studi sul Medioevo e sul primo Rinascimento creano opere ispirate alla maniera antica o eseguono copie, con intento doloso, utilizzando le matrici e i calchi che circolavano numerosi266 eseguiti dai formatori che lavoravano nei musei. Nel Novecento poi, si concretizza a pieno il processo che aveva svuotato i gessi del loro legame con il passato, relegandoli, per un nuovo culto dell’originale e per la

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A. Caputo Colloud, Cultura, didattica, mercato del gesso, in Donatello e il primo Rinascimento

nei calchi della gipsoteca,Firenze 1985, pp. XXIV-XXIV. 265

G. Duprè, Pensieri sull’arte e ricordi autobiografici, Firenze 1882, pp.281-282.

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Falsi d’autore. Icinio Federico Joni e la cultura del falso tra Otto e Novecento, a cura di Gianni Mazzoni, catalogo della mostra (Siena 18 giugno-3 ottobre 2004), Siena 2004.

99 cultura antistoricistica, al solo ruolo subalterno di una didattica spesso considerata poco attuale.

La fortunata stagione dei gessi a cavallo tra il Sette e l’Ottocento, cioè quando oltre che essere vettori delle forme antiche, trasportano con loro lo meraviglia dell’antico, è ben dimostrata nel 1814 da Giuseppe Tambroni nel paragrafo

Dell’Arte del formare in Gesso «[…] l’artista straniero, che non può fare il viaggio a Roma, è obbligato a quest’arte se può anche da lontano studiare e meditare l’antico. L’è ugualmente obbligato il ricco dilettante, che orna coi gessi le sue gallerie e i suoi palagi. Il moltiplicare le copie di un Capo d’Opera nella statuaria è un vantaggio sensibile per le arti. I lucchesi sembrano avere, direi quasi, l’esclusiva di questa professione in Europa. Ma in Roma, sotto gli occhi di tanti valenti artefici, non basta saper formare, bisogna formare bene e avere cognizioni esatte, il sentimento della statuaria. L’occasione continua di fare rende quei formatori assai esperti, ed è per loro una sorgente di guadagno[…] »267 . L’autore mette in evidenza alcune delle principali motivazioni che decretarono l’incremento dell’uso dei gessi e la fortuna dell’arte bianca.

Ovviamente tra le ragioni principali si riconosce la riflessione sull’antico, che i calchi consentono con grande efficacia, anche a chi non può intraprendere un viaggio a Roma.

Conseguenza dell’indiscussa supremazia dell’antico è la diffusione delle copie tra i collezionisti, per arredare le dimore. Casi esemplari sono le residenze soprattutto inglesi, come Holkham Hall a Norfolk o la già citata dimora di Syon Hause, nella quale si alternano copie delle principali sculture dell’antico, ospitate in grandi nicchie, realizzate in gesso, bianco e colorato e nel più prezioso bronzo268.

Anche in Italia, dove il confronto con l’antico era diretto e le grandi collezioni di antichità nel Settecento si aprivano con più facilità al pubblico, non mancano esempi di questa tendenza. Alla seconda metà del XVIII la galleria di Palazzo

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G. Tanbroni,, Cenno intorno allo stato delle Belle Arti in Roma, in S. Rudolph, Giuseppe

Tambroni e lo stato delle Belle Arti in Roma nel 1814, Roma 1982, p. 79-80. 268

F. Haskell-N. Penny, L’antico nella storia del gusto, Milano 1984, p. 104-segg.; O. Rossi Pinelli, Gli apostoli del buon gusto: fortuna e diffusione dei calchi, in La colonna traiana e gli

100 Sacchetti di via Giulia viene arricchito di una collezione di calchi269, così come il salone di palazzo Borghese a Firenze viene arredato con numerose copie delle più note sculture fiorentine270.

Nel corso dell’affinamento critico del Settecento, aumentano le discussioni sulla differenza tra copie e originali, e anche se la scultura in gesso, che portava con sé palesemente la sua sostanza di riproduzione, viene comunque toccata dalla ricerca filologica. Si era consapevoli fin dal secolo precedente che una scultura in gesso era più fedele all’originale di una copia eseguita in bronzo o in marmo, e tale fedeltà, nella ricerca e nello studio del passato tocca la sfera dei formatori. La circolazione di calchi, per il problema che ponevano gli originali, pone nel corso della seconda metà del XVIII secolo la questione della “bontà” e della qualità delle forme e delle matrici e quindi l’abilità nell’esecuzione dei calchi.

A questa capacità doveva far riferimento Tambroni, intendendo che non è sufficiente il solo processo meccanico di riproduzione ma è necessaria una conoscenza profonda dell’animo della scultura, che toccasse le corde non solo della pratica ma nella quale fosse coinvolto anche un agire guidato dalla consapevolezza dell’essenza dell’arte.

La tendenza e l’interesse per tutti gli aspetti della conoscenza, che sono alla base dell’ottimismo della cultura illuminista insieme all’impegno filologico e teorico dei grandi eruditi che hanno Roma e l’antico come campo di indagine, tra la fine del XVIII secolo e del XIX, sono forse alcune delle ragioni per cui si definiscono maggiormente le competenze, e di conseguenza le figure professionali che ruotano intorno al “fare artistico”.

Esemplare a questo proposito Bartolomeo Cavaceppi che rivendica l’abilità del restauratore che deve avere una competenza differente rispetto allo scultore con una particolare sensibilità nel percepire lo stile differente di ogni scultura da integrare, sono indicative della specificità delle figure professionali che si definiscono, seguendo i dettami teorici degli eruditi e intellettuali271. A questa sensibilità nel percepire le differenze, e le peculiarità di ogni scultura, nonostante

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L. Salerno-L. Spezzaferro, Via Giulia: una utopia urbanistica del ‘500, Roma 1975, p. 304, tav. XIV, fig. 215.

270

F. Haskell-N. Penny, Op. cit. p. 106.

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O. Rossi Pinelli, Artisti, falsari o filologi?Da Cavaceppi a Canova, il restauro della scultura

101 la distanza, può essere assimilabile al “sentimento” richiesto affinché un formatore sia veramente abile. Non inteso come “moto dell’anima” di derivazione romantica, legato all’affetto e alla passione, ma nella più antica definizione, probabilmente usata ancora tra Sette e Ottocento, di capacità di ammirare e capire qualcosa profondamente272.

La professione del formatore partecipa all’emancipazione dei mestieri, caratterizzandosi sempre di più, affiancandosi agli artisti più noti di questo periodo. Brancadoro, cita nelle Notizie del 1834 alcuni nomi di botteghe di famiglie di formatori come i Malpieri, Ceci e i Torrenti273 presso i quali era possibile acquistare calchi per riempire le accademie, gli studi degli artisti e arredare gallerie e palazzi274. Dall’elenco citato nella guida, le botteghe che provvedevano ad eseguire i calchi si trovavano vicino alle botteghe dei più noti artisti del periodo, come Thorvaldsen che si serve probabilmente della collaborazione di Antonio Ceci nel noto restauro dei marmi di Egina, nel quale i calchi in gesso hanno un ruolo fondamentale nell’esecuzione delle integrazioni e di Canova, il quale ricorderà Vincenzo Malpieri nel suo testamento nel 1815 come “mio formatore” beneficiandolo di 100 scudi275, per il fondamentale aiuto nella realizzazione delle sue opere.

Il riconoscimento della definizione del mestiere dei formatori è confermato da Gottfried Schadow, che si forma a Roma presso la bottega di Alexander Trippel. Nel suoi scritti, editi nel 1802, accenna al formatore come un operatore che si è innalzato dalla semplice condizione di artigiano. Questo mestiere è appena un gradino sotto gli scultori, riconoscendogli perciò una rilevante ruolo nella vita artistica del periodo anche se non può essere affiancato alla professione dello

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Nella voce dell’Encyclopédie redatta dal cavaliere de Jancourt, Sentiment è la capacità di giudicare e consigliare e di avere opinioni, collegato alla sincerità e alla conformità di ciò che si crede interiormente. D. Diderot, Encyclopédie cit, vol 13, p. 57.

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Camillo Torrenti nel 1821 compare come richiedente per formare alcune statue dalla chiesa di santa Agnese fuori le mura e dai rilievi della colonna Traiana, per arricchire e rinnovare le opere offerte nella bottega della sua famiglia, citata anche nella guida di G. Brancadoro. ASR, Camerlengato , TitoloIV, antichità e belle arti , busta 40, c. 1 r. ; b. 42, fasc. 221 (46), cc. 1 r., 2 r.

274

G. Brancadoro, Notizie riguardanti le Accademie di Belle Arti e di archeologia presenti in

Roma, con l’accurato elenco dei pittori, scultori, architetti, miniatori, incisori in gemme ed in rame, scultori di metallo, mosaicisti, scalpellini, pietrami, perlari, ed altri artefici, Roma 1834, p.

XXII.

275

A. Villari, Dall’antico e dal moderno:la gipsoteca dell’Accademia di San Luca (1804-1853), in

Scuole mute e scuole parlant. Studi e documenti sull’Accademia di San Luca nell’Ottocento, a cura

102 scultore, in quando un artista deve seguire una lunga preparazione basata su una complessa cultura formata sulla conoscenza della matematica e delle difficili leggi dello scalpello, i formatori sono comunque276.

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