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La raccolta di gessi di Mengs tra Roma e Madrid

UN CASO ESEMPLARE: LA GIPSOTECA DI ANTON RAPHAEL MENGS

III. 1 La raccolta di gessi di Mengs tra Roma e Madrid

Gli artisti già dal Cinquecento raccolgono le copie nei loro ateliers, ma è nel Settecento che pittori e scultori iniziano ad avere collezioni più organiche di calchi dei principali capolavori dell’antichità, indispensabili per i loro studi e per quelli dei giovani artisti.

Tra le collezioni più famose a Roma, Goethe102 ricorda quella di Bartolomeo Cavaceppi, descritta anche da Canova che indica lo studio di via del Babuino come un museo per la gran quantità di sculture antiche e di modelli in creta e in gesso103.

Questi oggetti diventano comuni e usuali nella pratica artistica. Pompeo Batoni, uno dei più noti pittori della seconda metà del ‘700 aveva una ricca collezione di copie utili al suo metodo. Nella sua prassi pittorica, l’artista lucchese, eseguiva uno schizzo della fisionomia del committente, completando in un secondo momento il ritratto aggiungendovi elementi, come busti antichi o sculture che ricordavano il soggiorno italiano, che Batoni copiava dai calchi in suo possesso. Ottenere copie di buona qualità era complicato a causa delle restrizioni che le istituzioni e i collezionisti imponevano, spesso quindi per ovviare a queste difficoltà gli artisti si scambiavano i gessi o oggetti delle loro raccolte personali. Il pittore lucchese per esempio dipinge il Ritratto del duca Braunsweig accanto ad un vaso appartenente alla collezione di antichità di Anton R. Mengs104, al quale

102

J. W. Goethe, Viaggio in Italia, Milano 1993, p. 589. L’autore descrive le copie in gesso delle teste dei Dioscuri del Quirinale.

103

A. Canova, I quaderni di viaggio 1779-1780, a cura di Elena Bassi, Venezia 1959, p.33. L’inventario della collezione di antichità e copie di Cavaceppi viene redatto alla sua morte da Vincenzo Pacetti. Le antichità poi entrano nella collezione Torlonia e Gorga. C. Gasparri-G. Ghiandoni, Lo studio Cavaceppi e le collezioni Torlonia, in «Rivista dell’istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte», III serie, anno XVI, Roma 1993; M. G. Barberini, L’incredibile

caso Gorgacontinua, in «Bollettino dei curatore dell’alma città di Roma», 93, XIX,maggio 1991. 104

S. Roettgen, Zum Antikenbesitz del Anton Raphael Mengs und zur Geschichte und Wirkung

seiner Abguss-und Formensammlung, in Antikensammlungen im 18. Jahrhundert, hrsg. Von H.

49 Batoni spesso chiede in prestito alcuni modelli antichi, che non possedeva per poterli riportare nei suoi quadri o per utilizzarli negli studi.

Questo scambio era sicuramente dovuto al fatto che l’artista boemo, come è noto, aveva una delle collezioni più ricche di Roma, che poteva essere considerata un repertorio infinito di modelli.

Il pittore aveva il suo atelier nel “Casino di villa Barberini” presso san Pietro, in prossimità dello studio dove raccoglieva la collezione dei gessi situato nelle vicinanze del Palazzo dei Cavalieri Sannesi105. Mengs non solo era riuscito ad ottenere un gran numero di copie, ma si era assicurato molte repliche “fresche” di qualità eccellente, cioè tratte direttamente dal marmo, in modo che fosse garantita una resa migliore e una perfetta aderenza all’originale.

Non sono molte le fonti che descrivono questa raccolta, che era costata al pittore somme maggiori alle sue reali disponibilità finanziarie106.

John Northcote in una lettera del 11 novembre del 1778 ricorda sia la collezione del tedesco che di Batoni, meno generoso nel consentire la visione della sua collezione: “(…) but Mengs is much more liberal and magnificent (as Batoni). He keeps two grand hauses in Rom, in one of them he has a gallery with the finest collection of casts from the antique that I have ever seen, where everybody has full liberty to draw at all hours who are only just introduced to him”107. La fonte testimonia la grande disponibilità con cui il pittore offriva la sua collezione ai giovani, che potevano disegnare come era consueto dai gessi. Pratica diffusa nelle accademie private e descritta anche nelle lettere del pittore di Postdam, J. Gottlieb Puhlmann, allievo a Roma del pittore lucchese108.

Questo giovane artista in un breve saggio precisa i criteri applicati nell’accademia di Francia e proposti da quelli che egli definisce “i ripristinatori” della pittura: Batoni e Mengs. Si sedimenta nel corso del Settecento l’idea che gli studi, per una reale crescita artistica dovessero essere strutturati secondo uno schema preciso. Sono previsti nelle accademie livelli progressivi con corsi propedeutici per apprendere i diversi aspetti dell’arte. Puhlmann, in questo scritto riporta questo

105

S. Roettgen, Zum Antikenbesitz del Anton Raphael Mengs, pp. 134-135.

106

A. R. Mengs, Opere, p. 41

107

Ivi.

108

J. G. Pulmann, Ein postdamer Maler in Rom: Briefe des Batoni Schülers J. Gottlieb Puhmann

50 metodo graduale, che prevedeva una prima fase del disegno, definita più meccanica, nel quale l’allievo si doveva concentrare sulla divisione delle figure per assimilare l’anatomia, e per esercitarsi in questo aspetto era utile e consigliato disegnare dalle figure antiche, riprodotte anche in frammenti nei modelli in gesso109.

Nell’interessantissimo brano viene riportato una particolare tecnica dell’uso del gesso del pittore toscano. Batoni costruiva dei plastici con l’ausilio di figurine di cera o gesso, vestite con stoffe per poter studiare il disegno e i panneggi dal vero, prima di accingersi alla pittura su tela, per poter rendere con maggiore accuratezza la composizione, costruendo anche gli altri elementi del quadro con ovatta, sabbia e filo di ferro. Questo metodo rappresenta la cultura del pittore che si ispira a Paolo Veronese e ai pittori di soffitti, che avevano utilizzato nella loro carriera questi modelli tridimensionali per poter studiare gli effetti luministici. Batoni si ingegna inoltre nella realizzazione di particolari lampade, per migliorare lo studio e diminuire la fatica, costituite da due file di lampade inserite in scatole coperta da una cupola di metallo, utile ad assorbire il fumo e illuminare il foglio110.

Lo studio della luce, come è noto, è parte essenziale nell’elaborazione artistica e punto centrale della ricerca dei pittori e scultori. Non ci sono fonti che descrivono un analogo metodo dell’uso dei modelli nella pittura di Mengs, per il quale lo studio della natura doveva essere filtrato attraverso l’antico. Nell’elaborazione di un programma per l’accademia di Spagna ritorna più volte nei suoi scritti all’insegnamento del chiaroscuro e delle luci111. Dagli scritti sull’accademia madrilena, ad esempio, emergono i punti del programma auspicato per un corretto e fruttuoso insegnamento: prospettiva (lineare e aerea), anatomia, colorito, chiaroscuro e composizione. Si specifica l’importanza del modello dall’antico per l’assimilazione delle proporzioni del corpo umano e della simmetria. I gessi per la loro mobilità si offrivano come oggetti privilegiati nella quotidianità, potendo essere spostati agevolmente, per essere esposti a diversi gradi di illuminazione e punti di vista. Il pittore boemo inizia a raccogliere copie poco dopo il suo arrivo a Roma, nel 1753 aveva già organizzato un’aula per l’esercizio sulle repliche come 109 Ibidem, pp. 117-122. 110 Ibidem, p. 120. 111

51 descrive Lorent Pecheux nel suo diario: “(…) Cependant j’osay luy domander sur la fin de l’anée la permission de dessiner un plâtre du Gladiateur combattant, qu’il avoit dans une grand salle dont la lumière venoit par une grand fenetre au milieu de la voute, comme seroit celle de la Rotonde (…)˝ 112 . La luce dall’alto offriva la possibilità di una visione chiara che potesse garantire un’analisi empirica della natura e dell’illuminazione nella ricerca di imitazione della realtà113, ispirandosi al tipo di luce diffusa che un’aula esemplata sulle architetture del Pantheon offriva. L’attività disegnativa dall’antico, come specifica anche Puhlmann, necessita di lunghe ore di applicazione ed è indispensabile non solo come esercizio meccanico ma di perfezionamento per lo sviluppo e la formazione del gusto. La costanza con cui un artista deve dedicarsi al disegno sui gessi è ribadita al punto 17 del

Ragionamento sull’Accademia di Spagna in cui ribadisce che il tempo riservato

dalle istituzioni per questa parte della formazione non è sufficiente, dovendo al contrario “impiegare nello studio le migliori ore del dì”. L’unione dell’aspetto pratico dell’esercizio accademico, per Mengs doveva essere sempre in accordo con l’aspetto intellettuale che doveva guidare un’applicazione continua: “in questo senso deve intendersi l’oracolo di Michelangelo, il quale soleva dire, che tutta l’arte consiste nell’ubbidienza della mano all’intendimento. Comprendeva bene quel grand’uomo, che dovevano essere impresse nell’intendimento le immagini, e le nozioni di quello, che la mano deve eseguire; onde è necessario operar sempre, ma col conoscere il perché, e il come”114. L’attività di copiatura era passaggio obbligatorio per apprendere profondamente e far sedimentare i molti aspetti della complessa pratica artistica e far sviluppare la sensibilità e il gusto per poter esprimere “la diversità di modi”115.

La dicotomia che nella letteratura artistica aveva spesso opposto Batoni, come un artista meno colto, a Mengs come l’artista teorico, dichiarata per esempio da Onofrio Boni che scrive nel 1787 “il primo fece più il pittore che il filosofo, il secondo più filosofo che pittore” è restrittiva per entrambi gli artisti. Questa

112

L. Pecheux, Lorenzo Pecheux mestro di pittura nella Reale Accademia di Torino, a cura di C. Bollea, Torino 1942, p. 366.

113

Un metodo simile era stato utilizzato da Caravaggio, che come riportano le fonti aveva praticato un foro nel soffitto della sua bottega per poter studiare gli effetti luministici sugli oggetti. F. Bassani-F. Bellini, Caravaggio assassino, Roma 1994, p. 54.

114

A. R. Mengs, Ragionamento su l’accademia delle belle arti di Madrid, Roma 1787, p. 282.

115

52 lettura è superata dagli studi recenti che riconoscono la cultura del lucchese, ma è indicativa della percezione che si aveva di Mengs, cui si riconosceva un aspetto maggiormente speculativo, dovuto probabilmente ai suoi scritti. Le sue teorie artistiche si fondano, per questo aspetto, sulle riflessioni delle elaborazioni artistiche cinquecentesche che vedevano il disegno come l’elemento comune a tutte le arti che “trattano di figure e forme”116, basato non su una mera riproduzione meccanica, ma sull’essenza del disegno come produzione mentale, indicata dal pittore come “intelligenza”117, fondante per avere artisti “illuminati”118 e i gessi diventano uno strumento essenziale per il miglioramento gusto e dell’occhio.

I pensieri raccolti nelle Opere di Mengs, risentono ovviamente delle riflessioni e dei principi di J. Joackim Winckelmann, di cui sono conosciuti i contatti nel cenacolo di villa Albani, che nelle sue opere aveva indicato la via dell’imitazione per come la sola per divenire grandi e capaci di creare opere originali. Come l’erudito anche il pittore traccia la differenza tra la mera copia e l’imitazione, mettendo in evidenza la differenza tra un semplice copista e un imitatore che guarda le opere antiche con il sincero desiderio di capire le logiche profonde che le hanno create, penetrando nello studio delle antichità. La pratica della copia dal modello in gesso si inseriva come un momento fondamentale e costante nella vita artistica, in virtù di una reale comprensione delle forme del passato, non solo per l’educazione dei giovani, ma anche nella continua ricerca di un artista già formato. Nel tentativo costante di studio del passato Mengs, raccoglie una enorme raccolta di calchi, tanto ingente che Jacques Luis David la indica come “museo” in un disegno rappresentante il gruppo del Pasquino eseguito da una copia di proprietà dell’artista boemo119.

L’organizzazione della sua accademia a Roma probabilmente seguiva i punti esposti nel programma elaborato per la scuola spagnola. Mengs più volte ripete l’importanza della divisione delle classi secondo i diversi livelli di preparazione degli allievi, e ripropone questo metodo anche nella sua bottega vicino san Pietro, 116 Ibidem, p. 283. 117 Ibidem, p. 282. 118 Ivi. 119

Il pittore realizza due schizzi rappresentanti due diversi punti di vista del gruppo, secondo la ricostruzione di A. R. Mengs. S. Roettgen, Anton Raphael Mengs, München 2003, pp. 364 e segg.

53 come riporta il pittore Thomas Jones, in visita per l’esposizione del Perseo e

Andromeda (1778). Si descrive la cerimonia della presentazione del quadro e i

numerosi allievi distribuiti in classi intenti nel disegno dalle opere antiche120. Sono pochissime purtroppo le fonti dalle quali si possono avere notizie sulla disposizione precisa della galleria di gessi, ma alcuni documenti espongono chiaramente la rilevanza che questi oggetti avevano per pittore, che acquista i calchi anche dalle raccolte di altri artisti come prova l’inventario post mortem Adrien Manglar redatto a Roma nel 1761 di, in cui si legge che l’insieme di copie presenti nell’atelier era stato acquistato da “Monsù Menzel pittore”121 .

L’artista raccoglie instancabilmente anche durante i suoi spostamenti copie dall’antico, assicurandosi costantemente un nucleo di calchi nei suoi soggiorni spagnoli. Nel 1763 in qualità di direttore onorario dell’accademia di san Fernando gli viene affidata la riorganizzazione e tra i primi accorgimenti che intraprende si può citare l’acquisto di calchi con l’aiuto dello scultore Felipe de Castro. La manovra di rinnovamento della scuola passa attraverso precise indicazioni che puntano alla nobilitazione intellettuale dell’artista, e il disegno, anche questo diviso in fasi propedeutiche, come proponeva la tradizione, inizia dallo studio delle diverse parti del corpo, rappresentate nelle sezioni delle sculture antiche. Il pittore tra il 1763 e il 1769 si interessa attivamente alla raccolta di una buona collezione di gessi non solo per l’accademia ma anche per la sua bottega. Mengs infatti probabilmente aveva organizzato il suo atelier in Spagna in modo analogo allo studio romano. Non a caso nel 1773 la giunta dell’accademia propone di acquistare proprio dalla collezione esposta nella sua bottega una notevole quantità di calchi, ammirati per la qualità con cui erano stati eseguiti, in quanto Mengs aveva diretto personalmente i formatori, per garantirne l’esattezza.

Le informazioni sul suo studio spagnolo si ricavano da alcuni documenti in cui l’artista dice espressamente di possedere molti modelli utili per la sua personale attività e in alcune richieste nelle quali Mengs, in qualità di pittore di Camera del re, domanda il permesso di far entrare senza tasse alcune casse contenenti i

120

Cit. in M. Kiederlen, Die Sammlung der Gipsaabgüsse von Anton Raphael Mengs in Dresden, Dresden 2006, p. 17.

121

54 modelli in gesso, provenienti dal suo studio di Roma122. Alcune notizie sul rapporto che Mengs ha con i gessi si rilevano dal nucleo di lettere inviate dalla Spagna al suo allievo Raimondo Ghelli e ad Anton Maron, nelle quali emerge la continua ricerca di copie e molte tematiche correlate all’importanza che questi oggetti ricoprono in questo periodo123. In una lettera del 3 febbraio 1766 chiede di tenerlo informato di tutti gessi di buona qualità che si trovano in circolazione a Roma, e di redigere una nota con i prezzi relativi e i soggetti rappresentati124. Il pittore richiede di acquistare qualunque raccolta di copie, che si trovi in vendita presso qualche pittore o scultore e di inviargli “tutte le cose duplicate” che sono nel suo studio125. Mengs si preoccupa inoltre di dare precise indicazioni sull’imballaggio affinché le copie non vengano danneggiate126. Raimondo Ghelli doveva essere stato delegato dal pittore per continuare ad arricchire la collezione di Roma, durante la sua assenza, in modo tale che la gipsoteca continuasse a crescere, raccogliendo i nuovi pezzi che si copiavano dai musei e le nuove opere che venivano rinvenute durante i numerosi scavi archeologici. Nella lettera il pittore infatti chiede di inviare una lista di tutte le opere acquistate ma che non ha potuto vedere, aggiungendo di cercare una forma del Torso e dell’Ercole127.

Mengs cerca costantemente di assicurarsi gessi di buona fattura e per questo nelle lettere scrive di rivolgersi a determinati formatori, che in questo periodo acquistano una nuova importanza e di cui l’artista riconosce il valore, nell’ottenere copie fedeli agli originali. Nella lettera del 28 novembre del 1768 chiede di domandare le forme ad un certo Alessandro, non meglio identificato, ma a cui si riconosce una lunga esperienza oppure a Bartolomeo Matarelli, considerato il migliore, ma forse ancora giovane perché il pittore chiede esplicitamente se questo se ha imparato a formare le sculture direttamente dal

122

A. Negrete Plano, La colecciòn de vaciados de Mengs, in «Academia», 2001, 92/93, pp. 9-31; A. Ubeda de los Cobos, Un élément de pédagogie artistique: la collection de statues de platres de

l’Académia de San Fernando à Madrid, in L’Anticomanie. La collection d’antiquités aux XVIII et XIX siècle, Paris, pp. 327-337.

123

A. R. Mengs, Briefe an Raimondo Ghelli und Anton Maron, hrsg. Von H. von Heinem, Göttingen 1973. 124 Ibidem, p. 39. 125 Ivi. 126

Madrid 18 marzo 1766. Ibidem, p. 39-40.

127

55 marmo, metodo che assicurava le copie di miglior pregio128. La determinazione con cui l’artista cerca di raccogliere i calchi per supplire alle mancanze dell’accademia, arriva alla ricerca di scorciatoie che aggirino il sistema delle concessioni che si dovevano ottenere, chiedendo al suo allievo di trovare anche gessi “presi furtivamente”, per esempio delle sculture del Belvedere o dalla collezione Borghese e Ludovisi129. Il pittore ricerca in questi anni quasi in maniera insistente questi oggetti, rivolgendosi ai principali collezionisti ed eruditi, come Thomas Jenckins, che possedeva una ricca collezione di antichità, o Giovan Battista Visconti, che per i suoi incarichi istituzionali poteva agevolare le richieste per far modellare i gessi.

Appena tornato in Italia nel 1769, inizia una campagna di formatura per trarre i calchi delle principali opere delle collezioni medicee. Il direttore della Reale Galleria di Firenze ricorda che il granduca Pietro Leopoldo aveva riconosciuto la licenza al boemo per formare le sculture antiche con libertà maggiore rispetto anche all’abate Filippo Farsetti. Di questa impresa rimangono le richieste presentate agli Uffizi in cui il pittore tra il 1769 e il 1771 domanda la consueta licenza per copiare i marmi130.

In questi anni riesce a far eseguire i negativi di quasi quaranta famose statue antiche e moderne, facendo richiesta dei rilievi di Ghiberti e Gianbologna, e delle tombe medicee di san Lorenzo, supplicando di poter copiare inoltre i cammei, le pitture e i disegni. Probabilmente Mengs accresceva il numero della sua raccolta del Casino dei cavalieri Sannesi, con l’intento di duplicare le opere e poter completare la collezione dell’accademia di Madrid. A questo proposito la contessa von Baden in viaggio a Roma, mentre l’impresa fiorentina di formatura era in atto, scrive in una lettera del 5 febbraio 1771: “Mengs va faire tirer les moules de ce qu’il juge être le plus precieux tant enstatues qu’en reliev (…) Menx amenera ses moules avec lui en Espagne”131.

Nel 1774 infatti l’artista è di nuovo in Spagna e il 10 settembre 1776 scrive a Miguel Munzquiz una lettera in cui spiega la sua intenzione di donare la sua 128 Ibidem, p. 54. 129 Ibidem, p. 55. 130

P. Bocci Pacini, Notizie d’archivio, in La scultura italiana dal XV al XX secolo nei calchi della

gipsoteca, Firenze 1989, pp. 337-416. 131

56 collezione di gessi all’accademia. Tra i gessi che intende replicare e donare si elencano quelli che erano conservati nel suo studio di Madrid, fatti venire in Italia per suo uso personale e per i giovani studenti, impegnandosi ad inviare le copie di tutte le sculture ritenute meritevoli, tratte dai suoi modelli delle sue collezioni divise tra Roma, dove si trova la più ingente, e Firenze, allegando al documento citato una lista di numerose sculture dell’antichità e moderne. Mengs per questa iniziativa, possibile sul piano tecnico, probabilmente si avvale del suo fidato formatore, Vincenzo Barzotti, purtroppo il progetto non è completamente portato a termine a causa della morte del pittore alla metà del 1779. Nella collezione dell’accademia di San Fernando sono conservati moltissimi calchi provenienti dai modelli del pittore, duplicati dallo studio di Roma. La raccolta dell’atelier di Borgo Nuovo rimane il nucleo più ricco delle raccolte che il pittore costituisce e venne acquistata, per la sua ricchezza per la risonanza del nome del proprietario dall’accademia di Dresda, dove la gipsoteca venne allestita nel 1794, diventando parte del programma di rinnovamento artistico voluto dal Federico Augusto, principe di Sassonia e di Camillo Marcolini, direttore dell’accademia e curatore delle ricche collezioni reali. Le vicende della collezione di gessi del pittore è un