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3.1 – Breve panoramica sulla situazione “sofferenze bancarie”

Come già brevemente introdotto, il presente lavoro si prefigge di andare a verificare la presenza di una relazione tra l’entità dei crediti deteriorati nel sistema bancario italiano e il grado di concorrenza presente nel settore creditizio: per quanto riguarda questo elemento in particolare, con lo scopo fornire completezza all’analisi proposta, esso verrà esplicitato attraverso considerazione e misurazione di differenti indicatori riconducibili a tale concetto (nel corso della trattazione, si comprenderà maggiormente a quale tipologia di indicatori si fa riferimento e l’intenzione che si cela dietro una diversa specificazione della variabile). Si procederà, inoltre, all’inclusione nei vari modelli di una delle principali variabili macroeconomiche, individuata tra quelle riferite alle condizioni generali del sistema economico-finanziario di un determinato paese (e qua la scelta è ricaduta, banalmente, sul reddito pro capite, cioè sulla quantità di Prodotto Interno Lordo ipoteticamente posseduta, in un certo periodo di tempo da un gruppo di persone, misurato a livello delle singole province italiane, il quale è generalmente riconosciuto come indicatore affidabile del benessere di un paese). È bene precisare che studi di questo tipo, effettuati sia a livello econometrico che non, sono già stati proposti dai lavori di diversi studiosi del settore, sebbene diversamente esplicitati e con finalità differenti, ma sempre a livello molto generale, e hanno prodotto risultati piuttosto variegati, spesso contrastanti tra loro. Seppur con brevi riferimenti, verranno analizzate le principali conclusioni raggiunte in questo ambito.

Per meglio riuscire a restringere il campo alla specifica analisi, è opportuno andare a delineare che cosa si intenda con il termine “sofferenze bancarie”: entrando nella tematica, si parla di “crediti deteriorati” (in inglese, non-performing loans - NPL) quando si fa riferimento ad esposizioni mantenute dagli istituti creditizi nei confronti di soggetti che, a causa di un peggioramento delle proprie condizioni economico- finanziarie, non sono più ritenuti in grado di adempiere, in tutto o in parte, alle proprie obbligazioni contrattuali. La situazione dei crediti deteriorati (e il monitoraggio della

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stessa) ha goduto di un’attenzione e di una visibilità sempre crescente a partire dallo scoppio della recente crisi finanziaria (momento in cui è divenuta una problematica a tutti gli effetti), causata dal collasso dei mutui subprime statunitensi e dall’esplosione della bolla speculativa riguardante i diversi prodotti di finanza strutturata su di essi costruiti. L’Italia, pur avendo inizialmente reagito in maniera comunque positiva alla recessione mondiale e mostrato una certa solidità, ha accusato il colpo definitivo nella seconda metà del 2011, con la crisi del debito sovrano e la nuova recessione, che ha fatto schizzare alle stelle il tasso di formazione di nuovi crediti deteriorati e il loro impatto all’interno dei singoli bilanci bancari. A causa del successivo degrado generalizzato delle condizioni economiche della clientela, ancora oggi, 7 anni dopo, la crisi non può dirsi completamente superata. Un articolo del Sole 24 Ore, datato 3 febbraio 2017, mostra la classifica completa dei principali paesi europei in relazione alla quantità (in miliardi di euro) di sofferenze bancarie presenti nei bilanci delle banche nazionali, stilata dall’EBA sulla base dei rischi e delle vulnerabilità di ciascun sistema bancario. Come si può notare, se si parla di valori assoluti, l’Italia non solo occupa il primo posto con i suoi 276 miliardi di crediti totali, ma mantiene anche un certo distacco dalla seconda classificata, in questo caso la Francia, le cui banche possiedono nel complesso una quantità di non-performing loans pari a 148,4 miliardi (si parla di poco più della metà rispetto al sistema bancario italiano); seguono Spagna e Grecia (anche loro tra i paesi più colpiti dalla crisi finanziaria) con i loro rispettivi 141,2 miliardi e 115,1 miliardi. In questa speciale classifica, tra i paesi più virtuosi, figurano sicuramente i paesi scandinavi (Svezia, Norvegia, Finlandia) e dell’est europeo (Ungheria, Romania, Slovenia).

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Un quadro più completo della situazione si raggiunge considerando anche i valori della percentuale dei crediti deteriorati sul totale dei crediti concessi, calcolata per ciascuno dei paesi monitorati: in quest’altra classifica troneggiano gli Stati in cui la crisi ha prodotto effetti veramente devastanti, tra cui Cipro (47,4%) e Grecia (46,9%), rispettivamente primo e secondo, ma l’Italia non è che migliori più di tanto la sua situazione, mantenendosi comunque al quinto posto con una percentuale del 16,4%. Nonostante la consistente incidenza domestica (che si può ben evincere dalla tabella presentata sopra), nel corso degli anni, l’autorità di vigilanza del sistema bancario italiano, Banca d’Italia, si è sempre mantenuta fiduciosa definendo il problema dei crediti deteriorati “serio ma gestibile”, non ritendendo corretto riferirsi al problema in questione parlando di “emergenza per l’intero sistema bancario”.

Le definizioni di crediti deteriorati adottate da Banca d’Italia rispecchiano esattamente quelle armonizzate a livello europeo e validate dal Single Supervisory Mechanism (SSM), meccanismo unico di vigilanza affidato alla Banca Centrale Europea, il cui recepimento non ha determinato sostanziali discontinuità con quanto previsto dall’ordinamento interno (come stabilito dal Rapporto sulla stabilità finanziaria n. 2 del 2014), che, però, ha preferito mantenere la previgente distinzione in 3 sottocategorie, per preservare un maggiore dettaglio nonché la continuità delle serie storiche precedenti:

• Le “sofferenze” rappresentano tutte quelle esposizioni verso soggetti in stato di insolvenza o situazioni sostanzialmente equivalenti;

• Le “inadempienze probabili” sono le esposizioni (diverse dalle sofferenze) che la banca classifica come di improbabile adempimento, senza l’utilizzo di azioni quali l’escussione di garanzie;

• Le “esposizioni scadute e/o sconfinanti” sono esposizioni, che si presentano di entità superiore ad una certa soglia di rilevanza, scadute o eccedenti il limite di affidamento da oltre 90 giorni.

Una classificazione di questo genere permette di evidenziare quel sottoinsieme del totale dei crediti deteriorati, ossia le sofferenze bancarie, che contiene esposizioni

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derivanti da situazioni di maggiore gravità e in relazione al quale le banche sono tenute ad adottare misure di monitoraggio e contenimento; ciò giustifica la decisione di focalizzare l’analisi successiva sull’entità delle sofferenze bancarie e la raccolta di dati relativi unicamente a quest’ultime.

3.1.1 – L’evoluzione italiana

In conferma di quanto già introdotto precedentemente, il problema dei crediti deteriorati che gli intermediari creditizi italiani si trovano a dover affrontare è, in larga parte, il risultato dell’eccezionale fase recessiva che ha colpito l’economia italiana negli ultimi anni e delle sempre più lunghe tempistiche relative alle procedure di recupero crediti. Gli strascichi delle due fasi dell’importante crisi finanziaria che ha colpito l’Italia tra il 2008 e il 2014 hanno, infatti, colpito pesantemente la solidità delle banche domestiche e dei loro bilanci e la qualità complessiva del loro portafoglio prestiti. In particolare, la prima recessione, datata 2008-2009, dovuta principalmente al crollo delle quotazioni di tutti quei prodotti di finanza strutturata che rappresentavano il risultato di operazioni di cartolarizzazione di mutui subprime statunitensi, non ha inciso in maniera diretta sul grado di solvibilità delle banche italiane e sulla stabilità del sistema (data la non eccessiva esposizione delle stesse verso queste tipologie di prodotti rispetto ad altri intermediari europei). L’impatto sull’economia mondiale ha bensì causato un repentino peggioramento della situazione economico-finanziaria di famiglie e imprese, portando i tassi di formazione di nuovi crediti deteriorati a valori molto più elevati del normale; la seconda fase della crisi (che si può far coincidere con la crisi del debito sovrano italiano del 2011 e, dunque, puramente domestica) ha rilevato, invece, un’ulteriore caduta della capacità della clientela di procedere all’adempimento delle proprie obbligazioni creditizie e, conseguentemente, un rialzo dei tassi di formazione e della consistenza aziendale dei crediti deteriorati.

41 fonte: Banca d’Italia

Il grafico di sinistra mostra l’andamento del tasso di formazione di crediti deteriorati (indicato dalla linea blu) e, entrando nello specifico, anche del tasso di formazione relativo alla sola componente dell’insieme dei crediti deteriorati rappresentata dalle sofferenze bancarie (indicato dalla linea rossa): entrambi i saggi sono calcolati considerando flussi trimestrali di prestiti deteriorati rettificati e di sofferenze rettificate in rapporto alla consistenza dei prestiti al netto di crediti deteriorati rettificati e sofferenze rettificate individuata alla fine del trimestre precedente. Confrontando questi ultimi con il percorso del tasso di crescita del PIL reale rilevato a cadenza trimestrale, come indice dello stato di salute dell’economia (linea nera), il quale contiene un insieme di osservazioni riferite al decennio 2006-2016, risulta piuttosto lampante come i livelli percentuali sia dei crediti deteriorati, in generale, che delle sofferenze, in particolare, abbiano subito impennate proprio nei periodi di rallentamento del tasso di crescita del PIL (2008-2009 e 2011-2012) e, dunque, nei periodi di massima recessione, anche se c’è da dire che il tasso di ingresso in sofferenza mostra nel complesso un trend quasi costantemente crescente a partire dall’anno 2007.

Nel grafico di destra, invece, è possibile osservare le quote percentuali, sul totale dei prestiti concessi, di sofferenze e crediti deteriorati di diversa natura, considerandone sia l’entità lorda che l’entità netta, rilevate nello stesso decennio (2006-2016) in cui sono state rilevate le informazioni relative ai tassi trimestrali corrispondenti. La conclusione più logica legata a questo spaccato è quella di rilevare il trend pressoché positivo (nonostante la leggera flessione del 2016) registrato dalle quote dei crediti deteriorati sia lordi che netti e la crescita costante della consistenza percentuale delle sofferenze

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bancarie. Tutto ciò conferma quanto detto precedentemente, e cioè che la grande recessione ha provocato, in Italia, in media, un aumento dell’incidenza nei portafogli prestiti delle banche italiane dei non-performing loans e, in particolare, delle sofferenze bancarie (vero fulcro della successiva analisi). È interessante anche notare, come emerge da una recente analisi, pubblicata sempre da Banca d’Italia, che l’offerta di finanziamenti alle imprese italiane, tra il 2008 e il 2015, non è stata determinata dal livello elevato di crediti deteriorati: la relazione negativa tra l’entità dei prestiti deteriorati e la crescita del credito è principalmente dovuta a variazioni nella situazione economico-finanziario-patrimoniale delle imprese e alla conseguente contrazione della loro domanda di credito.

I grafici sopra riportati risultano molto utili per comprendere l’impatto complessivo che la recente crisi finanziaria ha avuto sulla composizione dei bilanci delle banche italiane (impatto che, in sostanza, si concretizza in una triplicazione del tasso di incidenza dei crediti in sofferenza sugli impieghi bancari, nel periodo che va dal 2007 al 2015). Tuttavia, affinché possa essere garantita la completezza del quadro d’insieme, è opportuno presentare e analizzare anche informazioni in valori assoluti relative all’evoluzione della mole di crediti deteriorati: in questo senso, un importante ruolo ausiliario è giocato dalle Considerazioni Finali che il Governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha presentato in data 31 maggio 2017, in occasione della Relazione Annuale dell’attività svolta dall’autorità di vigilanza nel corso del 2016. Dall’intervento del Governatore Visco emergono interessanti elementi riguardanti non solo l’ammontare complessivo di non-performing loans detenuti dalle banche italiane, ma anche il modo in cui si distribuiscono all’interno dei loro bilanci: al termine del 2016, i crediti deteriorati delle banche italiane, iscritti in bilancio al netto delle rettifiche di valore (le quali tengono conto delle perdite già contabilizzate, così da rendere i valori contabili indicativi dell’effettivo rischio sostenuto), erano pari a 173 miliardi di euro (corrispondente al 9,4% del totale dei prestiti); di questi 173 miliardi di euro, 81 miliardi, che rappresentano circa il 4,4% dei prestiti complessivi, riguardano crediti in sofferenza, a fronte dei quali gli istituti creditizi detengono garanzie reali per più di 90 miliardi e personali per quasi 40; da rilevare, inoltre, la presenza di altri 92 miliardi di

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esposizioni deteriorate, che, però, sono state ritenute riscuotibili con un ragionevole grado di probabilità, in relazione ai tempi e alla forza della ripresa.

Alla fine del 2011 (periodo di massima tensione per quanto riguarda la crisi del debito pubblico italiano), l’ammontare delle sofferenze nette era pari al 2,9% del totale dei prestiti e l’aumento di quest’ultimo, registrato a fronte dei livelli degli anni precedenti, non risultava concentrato in specifici settori dell’economia. Entrambi questi elementi, in aggiunta alle previsioni ottimistiche formulate nel corso del 2012 (poi smentite) e all’acuirsi delle tensioni sul mercato dei debiti sovrani, non giustificavano, a detta del Governatore, un intervento “di sistema” sulla mole degli NPL, ritenuto incompatibile con le condizioni di finanza pubblica a cui lo Stato si trovava a far fronte. Tuttavia, la situazione è rapidamente peggiorata nel corso degli anni immediatamente successivi: la crescita sia della durata che dell’incidenza della crisi economica (ancora una volta al di là delle previsioni) e il conseguente aumento dei fallimenti di imprese e della disoccupazione hanno portato la quota percentuale delle sofferenze nette a raggiungere un livello di circa il 5% nel 2015. Le tendenze promettenti del 2016 (rispetto all’escalation degli anni passati), che hanno visto una riduzione non solo dei flussi di crediti deteriorati, ma anche una flessione della loro incidenza sul totale dei prestiti, e, dunque, l’incertezza strutturale hanno, tuttavia, rallentato la definizione dello scheletro di un piano di intervento pubblico mediante costituzione di una società di gestione degli attivi deteriorati, ipotesi fortemente sostenuta da Visco, che, però, auspica un’adesione volontaria da parte degli intermediari e una definizione preventiva dei piani di ristrutturazione.

Un buon grado di fiducia nei confronti del futuro è stato presentato da Ignazio Angeloni, membro del consiglio di vigilanza della BCE, e del Ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan (nel suo punto sul sistema bancario fatto nel corso del convegno organizzato dalla Luiss Business School, dal titolo “Il rilancio del sistema bancario italiano in Europa”, del settembre 2017), entrambi convinti che la strada che le banche italiane ed europee stanno percorrendo sia quella giusta, ma che il cammino resti ancora molto lungo. In particolare, secondo Angeloni, il miglioramento in termini di solidità patrimoniale, dal lato dell’attivo, del passivo e dei crediti deteriorati, è palpabile e la

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flessione della quota percentuale dei non-performing loans registrata nel primo semestre del 2017 risulta notevole, nonostante la media europea risulti ancora lontana. Come sostenuto da Visco stesso, gli interventi legislativi degli anni scorsi (tra cui, consolidamento del sistema bancario tramite riforma delle banche popolari, riduzione dei tempi di recupero dei crediti e implementazione del pacchetto “finanza per la crescita”) hanno mosso nella giusta direzione, ma un ruolo attivo all’interno di un simile panorama lo giocano anche i singoli intermediari, i quali dovrebbero garantire uno scambio di informazioni adeguate e tempestive e formulare strategie e piani operativi specificamente volti a rendere meno onerosa e più efficiente la gestione delle sofferenze, prevenendo eventuali crisi reddituali e di liquidità.

3.1.2 – Le variabili che incidono sui crediti deteriorati

Anche sulla base di quanto già affrontato, si può dunque sostenere che la grande crescita media dei crediti deteriorati, soprattutto per quanto riguarda l’Italia, ha rappresentato nient’altro che il risultato della grande crisi dell’economia mondiale scoppiata nel 2007. Tuttavia, diversi studi hanno dimostrato come esistano anche altre variabili in grado di influenzare la qualità degli attivi bancari, tra cui figurano le particolari caratteristiche del sistema economico-finanziario (come il sovra-indebitamento e la sottocapitalizzazione delle imprese, l’elevata leva finanziaria e l’assenza o la scarsa presenza di canali finanziari alternativi al credito bancario), la struttura del sistema creditizio e le decisioni economiche delle banche (nello specifico, relative all’erogazione del credito). In effetti, risulta quantomeno semplicistico rilevare la causa della repentina impennata dell’entità delle sofferenze bancarie e della loro incidenza nei bilanci bancari italiani unicamente nella recessione economica (anche se, ed è per questo che nella successiva analisi econometrica si provvederanno ad inserire nel modello di regressione variabili macroeconomiche, è comunque da ritenere causa primaria) senza minimamente considerare la peculiare struttura del circuito creditizio italiano e le variabili microeconomiche associate alle singole banche.

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Carmelo Barbagallo, capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria di Banca d’Italia, nel corso del Primo Congresso Nazionale FIRST CISL, tenutosi a Roma, il 6 giugno 2017, ha dichiarato che “per affrontare il fenomeno dei crediti deteriorati occorre comprenderne le cause”, che egli riconosce sicuramente nella crisi finanziaria e nelle tempistiche sempre più dilatate delle procedure di recupero crediti (la cui lentezza tende ad accentuarsi in periodi di recessione), ma occorre rilevare anche che, in questo rapporto di causalità, un ruolo fondamentale è ricoperto da elementi interni alla struttura della banca, tra cui politiche creditizie imprudenti, tolleranza eccessiva nei confronti dei debitori inadempienti, erogazioni di credito effettuate in conflitto di interessi, le quali sono definite “altrettante aggravanti che spiegano la differenza tra le banche più virtuose e quelle meno virtuose”. L’incidenza del ciclo economico è chiaramente desumibile dalle informazioni, riferite ad un periodo di tempo assai ampio (dal 1992 ai giorni nostri), contenute nel grafico seguente, che evidenzia la netta correlazione negativa tra l’andamento del rapporto crediti in sofferenza su totale dei prestiti (calcolati entrambi al netto delle rettifiche di valore) e la variazione dell’ammontare del Prodotto Interno Lordo.

fonte: elaborazione su dati ISTAT e segnalazioni di vigilanza

Al di là dei dati resi noti dal grafico, che riguardano la complessità delle banche italiane, si rivela molto interessante distinguere le osservazioni che riguardano i complessi bancari più solidi (cioè che presentano un rapporto tra NPL lordi e totale degli impieghi inferiore alla media), da una parte, e i complessi meno solidi (ossia con rapporto

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superiore alla media): mentre i primi, all’inizio della crisi, erano contraddistinti da valori del 2-3% di tale rapporto, per poi giungere al 15-17% a cavallo tra il 2014 e il 2015, per i secondi è stata registrata una variazione dal 7% al 35% degli anni 2015- 2016. Questi numeri confermano che la congiuntura economica, seppur decisiva, non può rappresentare l’unico motivo dello scoppio del caso “sofferenze bancarie”. Altri motivi vanno ricercati, come detto, nelle carenze relative alle politiche creditizie e alle prassi gestionali, che spiegano ampiamente i peggiori dati relativi alle banche più deboli, ma anche nella riduzione della capacità di raccolta sui mercati generata dalla crisi di fiducia che ha connotato tali intermediari e, dunque, degli indici microeconomici di redditività delle banche (come il ROE, rendimento del capitale, o il ROA, rendimenti degli impieghi). A ciò si aggiungono gli effetti legati alla lentezza delle procedure di recupero crediti, a tal proposito Barbagallo sostiene che “in Italia, i tempi per chiudere un fallimento sono doppi rispetto alla media degli altri principali paesi europei (…) se i tempi della giustizia fossero stati nel nostro paese pari a quelli medi europei, le banche meno deboli avrebbero evidenziato un rapporto tra crediti anomali e impieghi tra il 7 e l’8%, non lontano da quello medio delle banche del resto d’Europa, pur di fronte ad una recessione che ha colpito più duramente il nostro paese”. Inoltre, c’è da ammettere che la crescita delle sofferenze bancarie è stata favorita anche dal comportamento organizzativo e gestionale degli intermediari, che hanno minimizzato la complessità di un processo di recupero crediti, soprattutto a livello domestico (si rientra qui in un filone di pensiero analogo a quello del Governatore Ignazio Visco: si tratta di un campo di intervento pienamente alla portata delle singole banche, le quali devono lavorare profondamente su sé stesse).