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Come già accennato nei paragrafi precedenti, alcune specifiche analisi, econometriche e non, proposte da vari studiosi, hanno mostrato la significatività dell’impatto sull’evoluzione dell’ammontare dei crediti anomali e, in particolare, delle sofferenze bancarie di variabili indicatrici della struttura del particolare sistema bancario a cui si

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sta facendo riferimento. In questo ambito, particolare attenzione è stata dedicata al fattore della concorrenza sistemica, da sempre oggetto di discussione trasversale nelle materie economiche per quanto riguarda, soprattutto, la sua capacità (o incapacità) di fornire stabilità sia ai singoli settori che all’intero complesso economico-finanziario. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) sostiene fortemente che la concorrenza nel settore creditizio, intesa non solo come il libero ingresso sul mercato di ulteriori intermediari, ma anche come l’ampliamento della gamma di servizi offerti da ciascun istituto già presente, apporti cospicui benefici al sistema economico nel suo insieme, sia in termini di efficienza tecnica sia in termini di efficienza allocativa: un elevato grado di competition, difatti, provoca un rafforzamento della stabilità degli intermediari e dell’intero settore bancario con conseguenti vantaggi per l’attività produttiva e l’economia reale. Con l’adozione di criteri di vigilanza sempre più di carattere prudenziale a partire dagli anni ’80 e a seguito delle innovazioni normative degli anni ’90, la definizione dello scheletro del mercato unico europeo dei servizi finanziari, la rimozione dei vincoli amministrativi all’operatività e il conseguente incoraggiamento alla despecializzazione, nonché l’espansione territoriale delle banche (frutto del processo di consolidamento del sistema bancario), da una parte, hanno dato un fortissimo impulso alla concorrenza interna, dall’altra, l’ammodernamento del sistema finanziario ed il passaggio ad un mercato internazionale hanno conferito un’importanza ancora più pesante alla concorrenza tra banche domestiche e banche estere, tanto che, nel Testo Unico Bancario del 1993, la competitività del sistema è espressamente richiamata come uno degli obiettivi primari dell’attività di vigilanza. Convinzione alla base dell’attività dell’AGCM, dunque, è quella che competition sia sinonimo di efficiency, qualità che dal settore bancario, come auspicabile, si concretizza in considerevoli vantaggi per il sistema economico nella sua completezza; in un regime fortemente concorrenziale, gli intermediari procedono a selezionare i progetti di investimento e a fornire agli imprenditori le risorse per realizzarli e la riduzione dei costi viene traslata alla clientela, dunque a famiglie ed imprese. La concorrenza è definita “un processo di distruzione creativa”, condizione dalla quale non si può prescindere per assicurare la capacità di innovare e il dispiegarsi del dinamismo, che

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rappresentano i principali fattori su cui far leva per utilizzare appieno le risorse di cui un paese dispone e garantire così una crescita sostenuta dell’economia e dell’occupazione.

È stato soltanto alla fine del 2005, più precisamente il 28 dicembre, data in cui il Parlamento italiano approvava la legge sulla tutela del risparmio, che all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato fu finalmente riconosciuta la specifica competenza anche sul sistema bancario, scelta che, come generalmente riconosciuto, eliminava quella che era considerata un’anomalia all’interno del complesso panorama europeo, probabilmente basata sulla ferma convinzione che stabilità e concorrenza fossero valori inevitabilmente antitetici (in netto contrasto con le considerazioni precedentemente proposte). Questo per rilevare che, in tutta la letteratura economica, in realtà, non è mai esistita, in merito alla questione, un’univocità di vedute, ma, anzi, i cultori della materia sono sempre apparsi equamente divisi tra due precisi filoni di pensiero, i quali individuano due teorie prevalenti:

• La competition-fragility afferma che un maggior grado di concorrenza nel settore creditizio produrrebbe un’erosione del potere di mercato ed un conseguente crollo dei margini di profitto delle banche, le quali risulterebbero legittimate a spostare il proprio interesse verso una composizione di portafoglio caratterizzata da una crescita dell’incidenza di attività rischiose, così da compensare i minori ricavi derivanti dalla riduzione dei tassi di interesse, tipica di un assetto del mercato più competitivo, con susseguenti effetti negativi sulla stabilità;

• La competition-stability, al contrario, supporta la tesi in base alla quale, a tassi inferiori, corrisponderebbe una maggiore solvibilità dei debitori con impatto positivo sull’intera tenuta del sistema, mentre, un maggior potere di mercato indurrebbe, tra le altre cose, un forte incremento della rischiosità bancaria, in quanto tassi di interesse maggiori innalzerebbero il grado di difficoltà della clientela nel rimborsare il credito.

Nel corso degli anni, le diverse analisi effettuate sulle specifiche variabili non hanno portato al raggiungimento di conclusioni che potessero essere considerate totalmente a

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favore di un unico filone di pensiero. Infatti, non solo la letteratura economica esclude categoricamente la possibilità che maggiore intensità competitiva e maggior potere di mercato (elementi necessariamente non compresenti) scatenino effetti diametralmente opposti sulla stabilità del sistema bancario, ma la stessa evidenza empirica non si presenta in grado di stabilire l’esistenza di una relazione univoca tra concorrenza e stabilità. Effettivamente, quest’ultima risulta influenzata, innanzitutto, dalla fonte dei dati raccolti e, dunque, modifica la sua conformazione a seconda del paese al cui particolare settore bancario si fa riferimento, ma, soprattutto, risulta influenzata dal periodo di tempo da cui sono estratte le singole informazioni. In una situazione di questo tipo, il dibattito si è a lungo arenato su posizioni che si possono definire conservatrici, per cui una forte competitività assumeva connotazioni spesso molto negative, venendo associata ad un incremento dell’assunzione di rischi da parte degli istituti creditizi e, perciò, al concetto di minaccia per la stabilità. Tuttavia, in un secondo momento (specialmente a partire dai primi anni 2000), nuove evidenze a disposizione hanno mostrato come una tesi del genere non possa essere elevata a fondamento teorico, poiché non è attinente alla realtà indicare la concorrenza sistemica come principale responsabile dell’instabilità del sistema bancario. A tal proposito, uno dei più completi studi empirici proposti in materia, relativi al territorio italiano, risale al 2006 ed è stato condotto dagli economisti Marcello Bofondi, Emilia Bonaccorsi di Patti e Giorgio Gobbi, i quali hanno analizzato l’impatto che l’entrata di nuovi intermediari all’interno dei mercati locali italiani potesse causare sulla quantità e sulla rischiosità dei prestiti concessi alle imprese e sul livello dei tassi di interesse, utilizzando informazioni relative al periodo temporale che va dal 1990 al 2002. Il processo di stima presentato si è articolato in due distinti momenti: la definizione delle relazioni di equilibrio tra struttura dei mercati locali e, rispettivamente, prezzi, tassi e mole di credito e l’inclusione delle “variabili di entrata” all’interno del modello così costruito, in modo da poter individuare la presenza di un eventuale legame tra queste e volume dei prestiti, tassi di interesse e rischiosità media. I risultati conseguiti non portano, però, come a lungo preannunciato, a conclusioni, per così dire, a senso unico, difatti, mentre il primo blocco di stime spinge verso la tesi per cui a maggior concentrazione corrispondono minor quantità di prestiti, maggiori tassi di interesse e maggiore rischiosità, il secondo blocco mostra che

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l’ingresso di nuove banche potrebbe causare una minor crescita del credito alle imprese e un incremento della rischiosità.

In tutto ciò, negli ultimi 10 anni, alla luce dei profondi segni che la grande recessione ha lasciato sull’economia italiana (con il PIL al 9% in meno rispetto al periodo pre- crisi) e le elevatissime perdite sui crediti erogati subite dagli intermediari bancari (si parla di un valore pari a 200 miliardi di euro da 2008 al 2015, secondo stime di Banca d’Italia), il tema del trade-off concorrenza-stabilità sembrerebbe aver perso di consistenza. In questo senso si presentano in controtendenza le parole del Governatore Ignazio Visco, il quale, nelle Considerazioni finali del 2015, dichiara che “la maggiore concorrenza comprime i margini di redditività delle banche, ma al contempo rappresenta uno stimolo per un aumento dell’efficienza, un contenimento dei costi, un ampliamento delle fonti di ricavo”.