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BREVE PROFILO STORICO DI PISTOIA DALLA METÀ DEL

SECOLO ALLA METÀ DEL XII.

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Il X secolo si lascia alle spalle il dissesto del Sacro Romano Impero caratterizzato da strutture politico-amministrative affidate ai vari signori locali legati all’imperatore da vincoli di vassallaggio, resi potenti dalle concessioni di beni fondiari dati in beneficio in cambio di servigi politici basati sul criterio di fedeltà; col tempo tale situazione favorirà l’aristocrazia locale laica ed ecclesiastica intenzionata a conquistarsi un’autonomia sempre maggiore come avverrà anche a Pistoia e nei dintorni per opera di alcuni potentati locali come i conti Guidi ed i conti Cadolingi da un lato e del vescovo dall’altro, ma aventi in comune la gestione politica ed economica nonché un cospicuo patrimonio fondiario derivato dalle donazioni regie. Ovviamente il ruolo svolto da Pistoia sul piano politico e religioso non è indifferente perché le due casate principali faranno parlare di sé ben al di là di questa cittadina della Tosacana e ciò in virtù del loro potere signorile conseguito e per l’impegno profuso nei confronti della Chiesa pistoiese durante la Riforma che vedrà in prima linea soprattutto i conti Guidi fedelissimi vassalli di Matilde di Canossa: in definitiva Pistoia appare nel “suo piccolo” un riflesso di ciò che avviene in Toscana e nel territorio italico e, la cronostoria dei principali protagonisti ossia i Cadolingi, i Guidi e le istituzioni ecclesiastiche con le relative territorialità, non è dissimile da quella di altrettanti uomini o casati “venuti alla ribalta” grazie allo studio documentario che ha fatto luce sulla vita e sulle vicissitudini degli stessi.

SECONDA METÀ DEL X SECOLO133

- Coesistenza poco pacifica di due poteri, quello dei Cadolingi e quello del vescovo che si risolverà a favore dell’alto ecclesiastico che continua a connotarsi come «l’unico elemento di continuità e l’unico autentico rappresentante della «civitas»134

perché eletto secondo le consuetudini longobarde dagli stessi cittadini.

- Oltre ai Cadolingi residenti fuori dalle mura, nel castello di Ripalta ma con giurisdizione sulla Valdinievole da Pescia fino a Fucecchio e nella media valle

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Rauty, «Storia di Pistoia I», pp. 203-331; AA.VV., «Società, istituzioni, politica nel primo secolo

dell’autonomia comunale» di N.Rauty, in Storia di Pistoia II, a cura di G. Cherubini, Firenze, Le Monnier,

1998, pp. 14-20.

133 Rauty, «Storia di Pistoia I», pp. 205-238; 263-268. 134

73 dell’Arno (fine X secolo), emerge la famiglia dei Guidi con giurisdizione su Pistoia ma col proprio centro di interesse nel Casentino, nel castello di Strumi dove fonderà il monastero di famiglia di San Fedele di Strumi, l’area casentinese permetterà loro di avere influenza e di diramarsi verso la Romagna (primi decenni del secolo XI).

- Dagli agli anni Quaranta del X secolo si assiste alla scissione dei beni della chiesa pistoiese: la mensa episcopalis è divisa dalla mensa canonicorum; la chiesa è caratterizzata da decadenza morale, da un patrimonio fondiario in espansione e dal possesso di beni personali; i canonici assicurano le funzioni liturgiche della cattedrale ma senza un impegno che limiti il godimento dei beni personali o che imponga loro di abitare nel chiostro.

- Dalla seconda metà del X secolo il potere della canonica è in progressivo aumento oltre che per le donazioni dei cittadini anche per l’immunità concessa da Ottone II tra il 973-983. Il contrasto che porta alla separazione del patrimonio ha un riflesso a livello istituzionale e sociale: il vescovo pur connotandosi ancora come autorità religiosa vede la sua funzione di guida spirituale e istituzionale offuscata in quanto la cura d’anime è delegata ai sacerdoti della canonica. La preminenza vescovile si rafforzerà con la dinastia degli Ottoni che favorirà i vescovi e gli abati rispetto ai signori laici per evitare l’ereditarietà del patrimonio; il diploma del 998 rilasciato da Ottone III al vescovo Antonio o Antonino è l’emblema del potere vescovile sulla città, accettato, consolidato e legittimato: Pistoia si connota città vescovile. - L’autorità vescovile è indiscussa ma compaiono i primi “barlumi” di autonomia

cittadina per il bene della comunità urbana, come ad esempio le prime organizzazioni formate dagli stessi cittadini per provvedere a necessità comuni: i cittadini prendono coscienza poco alla volta dell’unione per garantire il godimento ed una migliore gestione dei beni comuni.

- Compaiono i «Deum timentes»135, uomini senza una particolare qualifica professionale ma con un attributo specificatamente religioso, essere timorati di Dio; erano scelti dal vescovo per le loro caratteristiche personali e per tutelare gli inte- ressi patrimoniali della chiesa facendo probabilmente parte del «consilium»136 del presule.

135 Rauty, « La città di Pistoia nel secolo X », ivi, pp. 263-268; « La nuova società urbana », ivi, pp. 288-

293.

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74 SECOLO XI137

- Muoiono il marchese Ugo di Tuscia il 21 dicembre 1001 e l’imperatore Ottone III il 23 gennaio 1002: per Pistoia termina il periodo di stabilità dovuto alla politica ottoniana e alla ferrea quanto mai “devota” adesione del marchese alla politica imperiale; tornano in auge i contrasti tra vescovo e conte per gestire l’area interna alle mura.

- I Cadolingi riaffermano il loro potere nella pianura pistoiese con i possessi nella Valdinievole, nel medio Valdarno tra Firenze e Fucecchio ed a Pescia, mentre i Guidi esercitaranno una sorta di egemonia feudale sul territorio pistoiese e limitrofo: valle del Vincio, Groppoli, Montemurlo, Valle dell’Ombrone, Val di Lima, della Bure a Saturnana e Cireglio.

- Permangono la decadenza della chiesa pistoiese ed il contrasto con la canonica sulla quale si innestano anche questioni di politica imperiale che, pur di contrastare l’egemonia vescovile favorirà i canonici, il conte ed i primi albori di autonomia cittadina.

- L’imperatore cerca alleati (conti, canonici, cittadini) per limitare lo strapotere del vescovo che essendo in attrito con la canonica creerà un periodo di instabilità istituzionale, dal 1050 al 1070 circa, tanto da degenerare nell’assenza del proposto la cui ultima attestazione (il proposto Ugo) risale all’ottobre 1046 e nella contemporanea vacanza del vescovo nel decennio 1057/1067.

- Avvio del movimento di Riforma della Chiesa in virtù delle sollecitazioni derivate dagli Ordini monastici dei Vallombrosani e dei Cluniacens) e per l’azione del papa riformatore Niccolò II. Pistoia risentirà dalle predicazioni vallombrosane e delle loro “conseguenze benefiche” apportate, quali ad esempio il ripristino della regola della vita comune per i canonici attestata per Pistoia nel 1061 per adempiere alle prime formulazioni del Sinodo Lateranense del 1059 ed il risveglio della coscienza religiosa e cittadina che coinvolge attivamente i Pistoiesi che prendono inconsciamente atto del ruolo da essi svolto nell’ambito della vita politica pistoiese per contrastare il potere vescovile, scomodo anche per quello imperiale.

- 1085: il vallombrosano Pietro abate di Fucecchio già conosciuto per aver sollecitato il suo predecessore Leone nel fondare il monastero vallombrosano di San Michele

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75 in Forcole, è eletto vescovo della cittadina. Prosegue la politica riformatrice attuata da Matilde di Canossa tramite i conti Guidi in qualità di fedelissimi vassalli ed i monaci vallombrosani; con la sua elezione si chiudono i contrasti tra vescovo, canonica e città e si concludono le vertenze di carattere patrimoniale tra le due istituzioni religiose cittadine; si riconosce una maggiore autonomia cittadina, un ruolo più attivo e collaborativo con la comunità urbana nella quale i fedeli laici del consiglio episcopale ne sono la massima espressione. In proposito è significativo l’atto di donazione di Matilde al monastero di Fontana Toana rogato a fine secolo (6 settembre 1099) presenziato dal vescovo Pietro, dall’arciprete Bonuto per la canonica e da Bonetto advocatus de Pistoria.

PRIMA METÀ DEL SECOLO XII138

- Dal 1104 il vescovo Pietro forse gravemente malato è sostituito con funzioni vicarie dal primicerio Ildibrando; la spinta per l’autonomia cittadina fino a quel momento contenuta dalla collaborazione col vescovo, approfitta di tale debolezza e forse dell’accordo con i canonici trovando nuovi spazi in virtù dei buoni rapporti instaurati con la canonica tanto da assumere le funzioni di rappresentanza cittadina; la confluenza dei due avvenimenti permetterà l’elezione di Ildibrando e, sempre col consenso instauratosi fra i canonici e i cittadini si proclamerà la prima magistratura. - 1105: Ildibrando è eletto vescovo (non consacrato) di Pistoia assieme elezione ai

primi cinque consoli secondo la notizia ricavata da un «breve postpositionis»139 redatto ad agosto a favore della canonica di San Zeno. L’evoluzione dell’autonomia cittadina ed il progressivo sorgere del Comune avverranno dal momento in cui la città toscana riesce a liberarsi dall’effettivo potere vescovile e da quello imperiale considerando che sia i Canossa che i conti Guidi non avevano mai inciso in modo netto sul piano egemonico. Il consenso iniziale alla formazione della magistratura dato dal vescovo e dai canonici non aveva preso in considerazione l’eventuale cambiamento politico di gestione cittadina e i nuovi bisogni socio-economici oltre che politici emergenti dalle nuove classi sociale che stavano subentrando nel secolo XII, espressione anche di un nuovo assetto mentale. Uno degli obiettivi prioritari

138 Rauty, ivi, pp. 327-331; AA.VV., «Società, istituzioni, politica nel primo secolo dell’autonomia

comunale» di N.Rauty, in Storia di Pistoia II, pp. 14-20.

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76 dalla nascente istituzione sarà la protezione dei beni della chiesa pistoiese, la tutela delle fasce sociali più deboli, la subordinazione del clero alla legge civile e al contempo l’ espansione territoriale.

- 1133/1153: elezione a vescovo di Pistoia e successore di Ildibrando del vallombrosano Atto, i cui meriti sono sicuramente riconoscibili nell’aver ottenuto la reliquia di San Giacomo di Compostella con il conseguente rafforzamento del suo potere sul piano spirituale; di aver reso Pistoia meta di pellegrinaggio essendo posta relativamente vicino alla Via Francigena e avamposto di Compostella; di aver riequilibrato, ridimensionandolo, l’atteggiamento del potere laico verso la stessa chiesa pistoiese e di aver ampliato la “rosa” delle fondazioni cenobitiche e spedaliere vallombrosane.

1.1) IL SECOLO X: LA DIOCESI DI PISTOIA E IL DIPLOMA OTTONIANO DEL 998140

Nell’autunno 997 Ottone III di Sassonia scende in Italia per dirigersi verso Roma da cui giungevano notizie preoccupanti circa la successione alla tiara papale. Varcate le Alpi l’imperatore si ferma a Trento, a Pavia, a Cremona ed a Ravenna per reclutare uomini da aggregare all’esercito per ricevere dall’aristocrazia laica e dall’alto clero l’omaggio, per poi proseguire verso Roma: è probabile che Antonino, vescovo di Pistoia, quale alto ecclesiastico presente in questa circostanza, abbia sollecitato il sovrano secondo la consuetudine, a rilasciargli un documento che sancisse senza equivoci i diritti del vescovato; ciò avverrà pochi giorni dopo la sosta di Ottone III a Roma dove sottoscrive un diploma datato 25 febbraio 998; dopo di che, risalendo la penisola in seguito agli opportuni provvedimenti da lui presi riguardo la situazione romana, si fermerà a Pistoia nel mese di luglio sempre dello stesso anno.

Questo diploma come quelli analoghi rilasciati dai sovrani agli alti dignitari laici ed ai religiosi (vescovi ed abati) erano atti nei quali si sancivano i diritti che ad essi spettavano per legge, il valore era temporaneo perché limitato alla durata della vita dell’imperatore o del vassallo; questi documenti erano rilasciati dai sovrani per far chiarezza e per riaffermare quei diritti di possesso di cui i vassalli si erano “impadroniti” approfittando

140 Rauty, «Il Diploma di Ottone III», in Storia di Pistoia I, , pp. 231-238; «La diocesi pistoiese dalle origini

all’età ottoniana», in "Il territorio pistoiese dall’Alto Medioevo allo stato territoriale fiorentino", Atti del

Convegno di Studi, Pistoia, 11-12 maggio 2002, a cura di F. Salvestrini, Pistoia, Società Pistoiese di Storia Patria, 2004, pp.1-17.

77 della debolezza regia durante il Regno d’Italia, ovviamente si riconfermavano le situazioni di fatto per non turbare l’equilibrio che legavano i territori lontani all’imperatore sassone. Il diploma che Ottone III concede al vescovo di Pistoia è un documento con molteplici significati:

- consentiva all’imperatore di affermare il diritto di investitura;

- confermava ad Antonino il possesso di beni fondiari e di immunità valide contro la pretesa dei signori laici;

- al vescovo veniva riconosciuto il possesso di 20 curtes, la giurisdizione su 19 pievi e la piazza del mercato cittadino che gli permetteva di inserirsi a pieno diritto nella vita economica e politica di Pistoia;

- stabiliva in maniera chiara i confini della diocesi pistoiese che nel corso dei secoli per vari motivi erano stati molto incerti e discussi: a nord la diocesi era limitata dal crinale dell’Appennino; a est dal fiume Bisenzio; a sud dall’Arno, ad ovest da una linea irregolare che superava il crinale del Montalbano e incorporava tre aree

discontinue di territorio geograficamente appartenenti alla Valdinievole, le prime a nord e a sud del Passo di Serravalle, l’altra era situata nei pressi di Fucecchio,

l’enclave di Massa Piscatoria nella diocesi lucchese.

Le 19 pievi elencate dal diploma sono fondamentali perché permettono di ricostruire i limiti della diocesi e, assieme alle curtes elencate di cui una in territorio senese, rendono l’idea della potenza e dei rapporti di fedeltà intercorsi tra Antonino e Ottone III essendo i vari possessi fondiari, in origine antichi possessi del demanio imperiale che dopo la pace del 313 erano serviti per costruire le pievi e per arricchire la Chiesa pistoiese di un cospicuo patrimonio fondiario. Questi nel X secolo e nello specifico della politica ottoniana, erano beni assegnati al presule pistoiese da concepire non come una interferenza dell’imperatore nella giurisdizione ecclesiastica di Antonino ma come un atto formale legislativo che, oltre a sancire il ruolo di Ottone III si inquadrava nel suo disegno politico di tutela e di rinnovamento della Chiesa risollevandola dalla decadenza morale. In conclusione il giovane sovrano avendo rafforzato il proprio potere se ne voleva “servire” per riscattare l’istituzione ecclesiastica traendo da questa la legittimazione della “sua opera”.

78 1.2) IL SECOLO X: PISTOIA CITTÀ VESCOVILE141

L’astio che aveva portato alla separazione del patrimonio vescovile da quello canonicale ha delle ripercussioni sul piano socio-istituzionale tanto da comportare una netta divisione delle competenze con le relative conseguenze nell’esercizio delle funzioni delle due istituzioni religiose, nonché una sorta di disagio nella cittadinanza: il vescovo pur vedendosi ancora riconosciuta la propria autorità e la giurisdizione spirituale su tutto il territorio diocesano, aveva delegato la cura d’anime ai canonici o meglio all’arciprete essendo colui che curava le varie funzioni religiose; pur mantenendosi l’elemento carismatico di guida istituzionale e pastorale della Chiesa locale, il vescovo medesimo si “percepiva” con un diverso ruolo di cui lui stesso forse inconsapevolmente ne era stata la conseguenza dovuta ad un differente sentire dei cittadini pistoiesi nei suoi confronti: è già stato sottolineato infatti precedentemente quanto i Pistoiesi gli riconoscessero il solo ruolo politico di guida e di rappresentanza della città per motivi già detti e quanto gli stessi vedessero nei canonici i fautori delle funzioni liturgiche; merita infine sottolineare che il potere del vescovo si era ulteriormente consolidato con la politica degli imperatori sassoni il cui diploma del 998 era l’emblema che connotava Pistoia come vera e propria città vescovile, nella quale comunque “conviveva” seppur marginalmente il conte, che in teoria suppliva il potere centrale mancante ma che in pratica, era stato relegato fuori dalla cinta muraria col suo castello da dove esercitava le funzioni a lui spettanti (capo militare e iudex per le cause civili).

Se i conti avevano attuato la scelta di avere la loro residenza fuori dalle mura era sicuramente un modo per agire indisturbati nella gestione della cittadina, era forse anche l’accettazione “tacita e obbligata” verso la politica ottoniana che vedeva nei signori laici coloro che nel tempo avrebbero minato la gestione dei beni fondiari ottenuti in beneficio dall’imperatore rendendoli ereditari, in cambio di fedeltà, di servigi politici e militari frantumando progressivamente l’intero demanio statale che a sua volta così frammentato avrebbe sminuito il potere centrale: è possibile che i conti avessero ben intuito e ben chiaro il gioco politico imperiale e dunque, per non scontrarsi né col vescovo favorito dagli Ottoni, né tanto meno con l’imperatore, avevano preferito fare o accettare la suddetta scelta politica (gestire l’area circostante a Pistoia) per non veder sminuito il loro ruolo di

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79 rappresentanza imperiale e per poter proseguire nella cura dei loro interessi politici ed economici che non andavano a intaccare quelli cittadini nelle mani del vescovo.

1.3) IL SECOLO XI: ADESIONE DELLA CANONICA PISTOIESE AL MOVIMENTO DI RIFORMA E RIPRISTINO DELLA “VITA COMUNE”142

La canonica non meno del vescovato risente della crisi della seconda metà del secolo XI caratterizzato da spinte riformistiche che coinvolgono anche la città di Pistoia. I Vallombrosani con le loro predicazioni, con le “dimostrazioni plateali” a Firenze e non ultimo con le fondazioni o con l’aver riformato monasteri preesistenti in Toscana grazie all’appoggio materiale dato dai Guidi e dai Canossa, riescono a “far presa” anche sulla cittadina toscana tanto da coinvolgerla verso la Riforma; a Pistoia iniziano dunque a delinearsi degli atteggiamenti nuovi rispetto ad alcuni decenni precedenti, prova ne è il comportamento dei canonici. Se essi nel 1038 dovevano essere alleati dell’imperatore Corrado II per contrastare il vescovo quale signore feudale, dalla seconda metà del secolo sotto la spinta dei cittadini pistoiesi, si pensa di quelli più aperti mentalmente, aderiscono anche se non all’unanimità alle idee riformiste in osservanza del canone 4 del Concilio del Laterano del 1059: «gli ecclesiastici che hanno osservato la castità dovranno avere un refettorio ed un dormitorio comune vicini alle chiese per le quali sono stati ordinati; e si (chiedeva) loro con insistenza di vivere una vita veramente apostolica, cioè in comune»143. In virtù di tale applicazione una parte dei canonici si fanno pieni sostenitori del movimento riformista e interpreti del sentimento dei cittadini che dal clero si aspettavano un esempio di vita all’insegna della moralità. Il “cambio di rotta” dei religiosi è anche attestato dalle

cartulae offertionis postume al 1061 a favore della canonica di San Zeno nelle quali i

Pistoiesi incoraggiavano i canonici nel perseverare nella loro scelta, donazioni caratterizzate dal vincolo secondo cui i beni erano donati «in proprietà di quei preti, diaconi o chierici che secondo l’ordine canonico condurranno vita comune»144

: la clausola non era uno stato di fatto poiché non tutti i canonici rinunciavano alla propria vita familiare, ma era uno stimolo, un’esortazione per risanare la moralità della chiesa recuperando l’immagine del sacerdote secondo i principi di carità, vita comunitaria e adempimento dei servizi liturgici; era un modo per incoraggiare una scelta comunque

142 Rauty, «La Chiesa di Pistoia fino all’età della Riforma gregoriana», in Storia di Pistoia I, pp. 308- 316. 143 Ivi, pag. 309.

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80 difficile in quanto gli stessi canonici dovevano rinunciare ad uno stile di vita piuttosto agiato, era un modo per rafforzare il legame tra la stessa istituzione cittadina ed i Pistoiesi come dimostrano le numerose donazioni che a questa pervengono per tutto il secolo XI aumentandone il già cospicuo patrimonio. Ovviamente la vita in comune non era da tutti i canonici condivisa e praticata, l’arcidiacono Atto ed il primicerio Guido ne erano un esempio e, se all’inizio dei cambiamenti in atto la situazione sembrava transitoria proprio per la presenza dei canonici più o meno rispettosi della vita comunitaria, la leggerezza nell’applicarla diviene quasi una regola tanto che una parte dei canonici sarà ancora legato al mondo esterno da vincoli familiari e da interessi temporali come dimostrano ad esempio gli atti del 1072 e del 1111 attestanti le proprietà immobiliari del proposto Ugo e dell’arciprete Bonuto che erano rimasti “fedeli” ai canoni 115 e 122 della Regola di Aquisgrana nei quali si faceva un chiaro riferimento alle proprietà personali dei canonici.145 Il permanere di tali situazioni può giustificare negli atti di donazione la rigorosità della clausola di condurre vita comune per entrare in possesso dei beni donati dai Pistoiesi e l’emanazione del decreto del vescovo Leone146 nel 1085 in cui si stabiliva che con la morte dei chierici non abitanti nella canonica, i beni loro spettanti sarebbero stati ereditati dai canonici di San Zeno che praticavano vita comune; ugualmente una parte delle oblazioni provenienti delle pievi della diocesi sarebbero state ereditate dai canonici che

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