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DISCUSSIONI STORIOGRAFICHE SUL MOVIMENTO VALLOMBROSANO

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1) LA STORIOGRAFIA ED I VALLOMBROSANI

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La ricerca storica sui monaci vallombrosani è rimasta per molto tempo confinata nell’ambito della congregazione, solo dal 1900 ed in particolare dalla seconda metà è nata una storiografia critica in quanto aperta a confrontarsi con altri movimenti e congregazioni. Se nel passato è stata prodotta una storiografia poco documentata poiché non è stata altro che “un riportare” notizie scritte in precedenza, (basti pensare alla pluralità dei testi agiografici che pur nella loro diversità di stile e di “approccio” dovuta agli agiografi avevano in comune il carattere edificante del fondatore dell’Ordine), lo scorrere del tempo fino a giungere all’età contemporanea, ha fatto sì che la storiografia adottasse un metodo diverso di approccio perché basato sullo studio documentario volto a ratificare, approfondire, oppure ad invogliare la ricerca futura prendendo in considerazione sia il movimento e l’Ordine vallombrosano in generale senza nulla togliere alla figura del fondatore, sia nel dettaglio la storia locale che tanto ha contribuito ma che necessita ancora di molta buona volontà e della voglia della scoperta, della curiosità per portare alla luce documenti ancora inediti. Quanto la ricerca e la comparazione storiografica facciano “da padrone” nell’epoca contemporanea, lo dimostra la divulgazione scritta ma soprattutto orale come è emerso nei recenti convegni tenutisi negli anni Novanta a Vallombrosa, incentrati non solo sulla storia a “tutto tondo” dell’Ordine vallombrosano durante i secoli centrali del Medioevo, ma anche sulla figura del fondatore a distanza di mille anni dalla sua nascita quale portatore di un unico e fondamentale messaggio universale: amare il prossimo come Cristo ha amato ogni uomo.

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Ardenna, «La storiografia vallombrosana nel dopoguerra», in II Colloquio vallombrosano "L’ordo

vallisumbrosae tra XII e XIII", Vallombrosa, 25-28 agosto 1996, a cura di G. M. Compagnoni, Edizioni

Vallombrosa, 1999, pp. 7-30. Tomea, «Agiografia vallombtosana medioevale. Stato delle ricerche e

prospettive di indagine», secolo", in II Colloquio vallombrosano "L’ordo vallisumbrosae tra XII e XIII",

Vallombrosa, 25-28 agosto 1996, a cura di G. M. Compagnoni, Edizioni Vallombrosa, 1999, pp. 419-446. Degl’Innocenti, «L’agiografia su Giovanni Gualberto fino al secolo XV (da Andrea di Strumi a Sante da

Perugia)», in I Colloquio vallombrosano "I Vallombrosani nella società italiana dei secoli XI e XII»,

Vallombrosa, 3-4 settembre 1993, a cura di G. M. Compagnoni, Edizioni Vallombrosa, 1995, pp. 133-157. Cremascoli, «Vitae latine di Giovanni Gualberto: analisi dell’ars scribendi», in I Colloquio vallombrosano "I Vallombrosani nella società italiana dei secoli XI e XII», Vallombrosa, 3-4 settembre 1993, a cura di G. M. Compagnoni, Edizioni Vallombrosa, 1995, pp. 159-????. Salvestrini, «La tradizione storiografica», in

128 1.1) L’EVOLUZIONE DELLA STORIOGRAFIA

Le prime produzioni storico-narrative prettamente agiografiche/biografiche sono i molteplici testi relativi alla Vita di Giovanni Gualberto che nella storiografia fanno la “parte da leone” perché condizioneranno o serviranno da fonti alle produzioni successive; è per tale motivo che nella presente trattazione ne verrà effettuata un’ampia carrellata. Nell’ordine cronologico gli agiografi che si sono cimentati come rileva Antonella Degl’Innocenti sono rispettivamente Andrea di Strumi, Attone di Pistoia quasi contemporaneo nella produzione agiografica al Discepolo Anonimo, Gregorio da Passignano, l’Anonimo della Laurenziana, Andrea da Genova, Antonino Pierozzi, Sante Valori da Perugia e Girolamo da Raggiolo altrimenti segnalato da Giuseppe Cremascoli. Di Andrea di Strumi ne è già stato argomentato in precedenza poiché è ritenuto il primo e più importante biografo; autore della Vita di Arialdo prima, agiografo di Giovanni Gualberto dopo, il cui scritto risale a circa una ventina di anni dopo la morte del Santo; il testo pur essendo lacunoso in più punti per la carenza di alcuni documenti dell’unico codice che lo tramanda, risulta comunque comprensibile al lettore che ne può enucleare i punti fondamentali:

1) la scelta monastica o meglio l’ideale monastico di Giovanni Gualberto; 2) la denuncia della simonia segno della corruzione ecclesiastica;

3) l’impegno di Giovanni Gualberto per la Riforma della Chiesa.

Le biografie successive saranno sicuramente condizionate dalla medesima, seppur gli agiografi contribuiranno a dare alle produzioni un “tocco personale”.

La seconda biografia è quella di Attone abate di Vallombrosa, prima della sua nomina a vescovo di Pistoia. La da lui scritta risente molto dell’influenza dello Strumense tanto da sembrare una sintesi che tuttavia differisce per alcuni interventi volti a sottolineare alcuni aspetti tipicamente agiografici:

1) aumento dei tratti edificanti ed omissione di alcuni episodi lesivi alla memoria di Giovanni Gualberto;

2) immagine agiografica incentrata sul binomio monachesimo-lotta per la Riforma. Totalmente differente dalle precedenti è la Vita scritta attorno agli anni Trenta del XII secolo dal Discepolo Anonimo che, al contrario dei due agiografi precedenti aveva conosciuto il Santo fin da bambino prima di diventare, si ipotizza, un monaco del cenobio di San Salvatore a Settimo.

129 1) parzialmente biografico perché nella seconda parte si descrive il comportamento virtuoso del Santo;

2) piuttosto sintetico ma con elementi di novità quali l’omissione dei miracoli e della lotta contro la simonia, l’introduzione dell’abate di Settimo, Guarino, precursore del Gualberto nella denuncia di un clero corrotto;

3) prevale la dimensione quotidiana della santità di Giovanni Gualberto rispetto a quella miracolistica.

In linea con le produzioni precedenti il Discepolo Anonimo evidenzia l’impegno per la Riforma e l’ideale monastico benedettino contrapposto al monachesimo contemporaneo. Altro testo lacunoso addirittura frammentario definita da G. Cremascoli con più «ombre che certezze»241 è la Vita scritta da Gregorio di Passignano prima della canonizzazione del Santo avvenuta nel 1193; purtroppo i frammenti non aiutano nella caratterizzazione del testo ma, introducono alcuni elementi nuovi come ad esempio l’appartenenza di Giovanni alla famiglia dei Visdomini e le modalità con cui egli scopre la simonia dell’abate di San Miniato.

Giunti oramai alle soglie del tardo Medioevo, ci si imbatte nella Vita dell’Anonimo della Laurenziana scritta intorno ai primi decenni del 1300 quale parte di un leggendario abbreviato che si pensa prodotto da un unico autore, forse un monaco vallombrosano di origine fiorentina o comunque un predicatore di Firenze.

La biografia si connota per la brevità, soprattutto nella parte inerente i miracoli, il testo preso come riferimento è la Vita di Attone estremamente sintetizzata ma con qualche particolarità:

1) introduzione di nuovi dati quali il luogo di nascita, dei particolari edificanti, delle Precisazioni onomastiche;

2) ampliamento di alcuni episodi narrati da Attone;

3) rilievo alla dimensione contemplativa tipica del monachesimo vallombrosano; 4) maggiore importanza alla dimensione letteraria arricchendo la narrazione.

Con quest’ultimo autore si chiude il repertorio tipicamente medievale per avvicinarsi (alle soglie del Rinascimento forse in parte annunciato già dall’Anonimo della Laurenziana nella cui produzione emerge a differenza delle altre, una notevole “cura” per lo stile narrativo nonché prettamente letterario secondo quanto è attestato nel prologo dell’intera

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Cremascoli, «Vitae latine di Giovanni Gualberto: analisi dell’ars scribendi», in I Colloquio vallombrosano "I Vallombrosani nella società italiana dei secoli XI e XII», Vallombrosa, 3-4 settembre 1993, a cura di G. M. Compagnoni, Edizioni Vallombrosa, 1995, pag. 159.

130 opera: «in esso l’autore dichiara di aver riscritto le vite di alcuni santi (in particolare santi venerati a Firenze e a Fiesole) omettendo il superfluo, eliminando gli errori e aggiungendo alcuni tratti “ ad ornatum”, senza tuttavia alterare la sostanza del racconto»242

.

Al di là delle diversificazioni personali che tendono a dare a Giovanni Gualberto una connotazione soggettiva nell’oggettività della narrazione agiografica, i testi prodotti nel Medioevo hanno sicuramente in comune la fonte da cui attingono, come sottolinea G. Cremascoli: «primo posto, spetta alla Bibbia, spesso inserita nella struttura stessa del discorso più che direttamente citata. I testi della Scrittura vengono, perciò, accomodati a concrete situazioni, talora in contesti in cui il linguaggio risente delle trasformazioni semantiche tipiche della latinità medievale»243; è sempre la Bibbia che oltre a fornire aspetti contenutistici, offre la rassegna di alcuni personaggi come la «maledicta Zezabel»244 con cui l’abate Guarino identifica la moglie del vescovo di Firenze; rarissimo invece è l’apporto degli autori profani: qualche cenno è nel prologo del Discepolo Anonimo dove cita Platone e Orazio; infine altro supporto comune alle agiografie medievali sono le reminescenze della Regola benedettina, anch’esse assorbite nella struttura del discorso.

La Vita scritta nel 1419 da Andrea da Genova su commissione dell’abate del monastero vallombrosano di San Bartolomeo del Fossato, apre le porte all’Età umanistica; l’opera ha dei tratti distintivi specifici:

1) emerge la sensibilità dello storico che lo porta ad attingere dagli archivi della congregazione;

2) è una compilazione erudita i cui riferimenti sono Attone da Pistoia, lo Strumense, il Discepolo Anonimo, Gregorio di Passignano come vuole la tradizione, con l’intercalare di un passo di Lucrezio tratto dal De Rerum Natura;

3) l’amalgama delle antiche biografie è arricchita da precisazioni cronologiche (data di nascita del Santo presumibile al 985) e da citazioni bibliche/patristiche e da commenti personali;

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Degl’Innocenti, «L’agiografia su Giovanni Gualberto fino al secolo XV (da Andrea di Strumi a

Sante da Perugia)», in I Colloquio vallombrosano "I Vallombrosani nella società italiana dei secoli XI e

XII», Vallombrosa, 3-4 settembre 1993, a cura di G. M. Compagnoni, Edizioni Vallombrosa, 1995, pag. 149 (vedi nota 60)

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Cremascoli, «Vitae latine di Giovanni Gualberto: analisi dell’ars scribendi», in I Colloquio vallombrosano "I Vallombrosani nella società italiana dei secoli XI e XII», Vallombrosa, 3-4 settembre 1993, a cura di G. M. Compagnoni, Edizioni Vallombrosa, 1995, pag. 163.

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Cremascoli, «Vitae latine di Giovanni Gualberto: analisi dell’ars scribendi», in I Colloquio

vallombrosano "I Vallombrosani nella società italiana dei secoli XI e XII», Vallombrosa, 3-4 settembre 1993, a cura di G. M. Compagnoni, Edizioni Vallombrosa, 1995, pag. 163.

131 4) si spiegano e si giustificano i comportamenti di Giovanni Gualberto;

5) lo straordinario impegno stilistico fa sì che la retorica prevalga sull’aspetto spirituale; 6) la narrazione è enfatizzata e carica di pathos;

7) preannuncia le biografie del 1500/1600.

Sempre al Rinascimento risale l’opera di Girolamo da Raggiolo entrato in monastero a 6 anni e mezzo, scritta per commemorare i miracoli di Giovanni Gualberto avvenuti dopo il decesso; è dedicata a Lorenzo il Magnifico. Tra gli autori della classicità latina risaltano Virgilio e Sallustio, ma la particolarità sta nel descrivere:

1) le rinunce ed i sacrifici accettati con gioia e compiacimento che la vita monastica comporta;

2) una umanità angosciata e suggestionata dalla potenza e dalle suggestioni del maligno (ne sono una spia i prodigi compiuti dal Santo);

3) una umanità affaticata e dolente in cui «egli proietta l’angoscia dei primi anni di vita ed il ricordo di creature amate, in preda agli assalti del maligno»245.

Nell’opera sembra prevalere una visione pessimistica del genere umano che rimpiange non tanto la grandezza dei tempi antichi ma la perfezione e l’immutabilità della vita consacrata a Dio.

Altro autore rinascimentale è l’arcivescovo di Firenze Antonino Pierozzi la cui Vita di Giovanni Gualberto appartiene al Chronicon, prodotto tra il 1439 ed il 1459; la Vita è ritenuta da G. Cremascoli uno scritto «curato nella forma e di elegante sobrietà»246; pare non discostarsi molto dai classici testi agiografici in quanto:

1) sintetizza la Vita di Attone;

2) dà giusto rilievo agli episodi compresi i miracoli disposti per argomento; 3) emerge una lettura attenta delle fonti permeate da considerazioni personali.

L’ultimo agiografo esaminato da A. Degl’Innocenti è Sante Valori da Perugia, abate del monastero vallombrosano di Santa Reparata di Marradi; scrive la biografia per soddisfare alle richieste di Niccolò Valori suo padre e di Tommaso Salvetti suo amico che lo prega di

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Cremascoli, «Vitae latine di Giovanni Gualberto: analisi dell’ars scribendi», in I Colloquio

vallombrosano "I Vallombrosani nella società italiana dei secoli XI e XII», Vallombrosa, 3-4 settembre 1993, a cura di G. M. Compagnoni, Edizioni Vallombrosa, 1995, pag. 171.

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Cremascoli, «Vitae latine di Giovanni Gualberto: analisi dell’ars scribendi», in I Colloquio vallombrosano "I Vallombrosani nella società italiana dei secoli XI e XII», Vallombrosa, 3-4 settembre 1993, a cura di G. M. Compagnoni, Edizioni Vallombrosa, 1995, pag. 174.

132 «scrivere una biografia in bello stile, come non erano riusciti a fare gli autori precedenti»247.

Nonostante la richiesta, l’autore resta fedele ad alcuni “cardini” biografici: 1) il testo di riferimento è la Vita di Attone;

2) l’immagine del Santo resta inalterata nonostante la produzione sia arricchita di particolari e gli episodi narrati dagli agiografi antichi siano ampliati.

Se durante il Rinascimento gli agiografi avvertono il bisogno di una agiografia erudita, nel corso del 1500/1600 tale aspetto si accentua maggiormente poiché i primi eruditi sono intenti a tracciare la storia dei Vallombrosani come di altri Ordini monastici con l’intento di magnificare le personalità eminenti tramite la cronotassi di santi e di abati generali e, sempre dal XVI secolo le biografie in lingua volgare sembrano prendere il sopravvento su quelle in latino verso cui comunque, gli agiografi coevi manterranno un certo legame: è un connubio tra modernità e tradizione, tra erudizione laica e religiosa forse per soddisfare un “pubblico” esigente, o forse per ritrovare delle sicurezze, dei punti di riferimento carenti nel panorama religioso cinquecentesco che minano il terreno della spiritualità e della vera vita consacrata a Dio a causa dei quali, istituzioni ecclesiastiche e fedeli si sentono “allo sbando e allo sbaraglio” per i continui attacchi provenienti da aree geografiche d’oltralpe. È il XVIII secolo che produce grandi opere quasi a carattere enciclopedico come gli Acta

Santorum dei padri Bollandisti che fanno luce sul Medioevo rivelandolo come un’epoca

storica culturalmente fiorente in virtù della conservazione/trasmissione del sapere operata negli scriptoria monastici, altrimenti connotato come «un’epoca di oscurantismo clericale»248; e ancora gli Annali Benedettini di Angelo Maria Querini o gli Annali

Camaldolesi di Mittarelli e Costadoni nei quali si descrive rispettivamente la storia

dell’Ordine benedettino e degli eremiti camaldolesi, opere enciclopediche che non sono prodotte dai confratelli del Gualberto poiché gli Annali Vallombrosani commissionati nel 1732 allo storico dell’Ordine Fedele Soldani dai suoi superiori, non vengono pubblicati. Nonostante il 1700 si connoti come l’epoca in cui imperversano la ragione e la scienza, una produzione storiografica basata sul confronto e sulla critica storica, nei Vallombrosani pare conservarsi la tendenza ad una “storiografia statica”, erudita ma volta a mantenere l’edificazione e la descrizione di momenti e personaggi rispetto ad una critica costruttiva verso l’alterità ed il valore insito della storia passata; l’immutabilità letteraria sarà

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Degl’Innocenti, «L’agiografia su Giovanni Gualberto fino al secolo XV (da Andrea di Strumi a

Sante da Perugia)», in I Colloquio vallombrosano "I Vallombrosani nella società italiana dei secoli XI e

XII», Vallombrosa, 3-4 settembre 1993, a cura di G. M. Compagnoni, Edizioni Vallombrosa, 1995, pag. 156.

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133 mantenuta ancora per molti secoli; bisognerà giungere al 1900 per avere una svolta nella storiografia vallombrosana in virtù dell’interesse mostrato da storici esterni all’Ordine, nonché contatti, nuovi spunti e riflessioni, relativi a temi tradizionali o innovativi; sarà un processo decisamente interessante ma molto lento.

1.2) LA STORIOGRAFIA VALLOMBROSANA DAL SECONDO DOPO GUERRA AD OGGI249

Nel 1943 E. Lucchesi e B. Quilici esordiscono col testo I monaci benedettini

vallombrosani nella diocesi di Pistoia e Prato dove si delinea la storia delle badie facenti

parte della diocesi pistoiese e pratese e si pone l’attenzione sull’eremitismo quale origine dell’esperienza vallombrosana, caratteristica quest’ultima rivista dalla storiografia successiva che ha posto l’accento sul cenobitismo e sull’escatologia della comunità apostolica. Se l’opera si connota tra le migliori erudizioni degli anni Quaranta del 1900, gli anni successivi databili intorno al 1950/1960 vedono da un lato il ritorno del testo apologetico tradizionale, Citeaux, Vallombreuse et Étienne Harding di Roger Duvernay quale risultato della comparazione di fonti italo-francesi utilizzate in modo acritico come rilevano Giancarlo Ardenna e Francesco Salvestrini, dall’altro il volume del 1954 scritto da Arsenio Frugoni su Arnaldo da Brescia secondo cui le fonti vengono considerate tenendo conto dell’ambiente e del tempo che le ha prodotte; sempre databili attorno alla stessa decade sono i saggi derivati da discussioni condotte presso l’Istituto Storico Italiano per il Medioevo come quelli scritti da Giovanni Miccoli nel 1958 sulla pataria milanese.

La fine degli anni Sessanta è caratterizzata dalla prima Settimana di studio tenuta alla Mendola nel settembre 1959 in cui si analizzano le istituzioni religiose o meglio della

societas christiana dei secoli XI e XII praticanti una vita cenobitica; ovviamente il

monachesimo vallombrosano non poteva che essere tra gli argomenti proposti e dibattuti e, spunto per la presentazione del lavoro svolto dalla Boesch riguardo ai punti di vista differenti apportati dallo Strumense e da Attone di Pistoia in relazione all’argomento esaminato in sede di convegno ma soprattutto circa l’epistola scritta da Giovanni Gualberto ad Ermanno, vescovo di Volterra dedito a ripristinare la vita comune dei canonici nella sua cattedrale. Al di là delle differenze contenutistiche delle due biografie, ciò che è da

249 Ardenna, «La storiografia vallombrosana nel dopoguerra», in II Colloquio vallombrosano "L’ordo

vallisumbrosae tra XII e XIII", Vallombrosa, 25-28 agosto 1996, a cura di G. M. Compagnoni, Edizioni

134 sottolineare è l’omissione in Attone della lettera scritta dal Gualberto non perché priva d’importanza, ma per il fatto che oramai la scelta del vivere in comune ai tempi del vescovo pistoiese era già attuata da tempo nelle pievi e nelle cattedrali e per il fatto che egli in qualità di abate generale, svolgeva la sua azione in sintonia con gli alti prelati e con i pontefici. In conclusione partendo dallo stesso punto, le due Vite miravano ad un obiettivo diverso come sottolineerà Antonella Degl’Innocenti nel 1984: la prima all’importanza assunta dal cenobitismo per contrastare la simonia ed il concubinato, la seconda all’esaltazione della vita del fondatore a scapito dei comportamenti adottati (conseguentemente ad uno dei principi cardini dell’Ordine) dalla comunità vallombrosana originaria, non perché privi d’importanza ma come conseguenza dei tempi e della gestione giuridica modificati.

Giungiamo al 1960. Giovanni Miccoli prima ricordato per i suoi studi sulla pataria milanese esordisce con la pubblicazione del volume dedicato al monaco vallombrosano Pietro Igneo, poi abate di Fucecchio per volere del Gualberto e infine cardinale di Albano per decisione di papa Alessandro II a sua volta consigliato da Ildebrando di Soana. Il testo pur trattando la vita e le vicissitudini del protagonista, ha come scopo quello di far chiarezza seppur a livello personale su un periodo complesso, denso di diatribe teologiche e dogmatiche: l’età gregoriana, come dimostra il sottotitolo dell’opera Studi sull’età

gregoriana, senza perdere di vista tuttavia il ruolo svolto dai monaci nella società per

“forgiare” la stessa, sotto la loro «guida politico-spirituale»250

uscendo dal chiostro per predicare contro i mali della Chiesa. Comunque, andando oltre le vicende di Pietro Igneo, della spettacolarità operata dai Vallombrosani con le prediche e con la prova del fuoco, preme far risaltare due aspetti apportati dal Miccoli: i rapporti tra i monaci e la società laica, il formarsi e l’evolversi della congregazione in virtù anche dei numerosi lasciti e monasteri da riformare. Se sulla prima questione la Sinodo del 1067 può forse considerarsi l’apice, riguardo al secondo problema è illuminante quello che è considerato il testamento spirituale di Giovanni Gualberto, senza dimenticare tuttavia che a sancire la nascita della congregazione era stata la bolla di Urbano II del 1090 che non contempla il monastero di Settimo ritornato ai Cadolingi quale monastero privato, bisognoso di una “semplice” riforma monastica.

250 Ardenna, «La storiografia vallombrosana nel dopoguerra», in II Colloquio vallombrosano "L’ordo

vallisumbrosae tra XII e XIII", Vallombrosa, 25-28 agosto 1996, a cura di G. M. Compagnoni, Edizioni

135 Tale clima fa da sfondo e permette la prosecuzione della ricerca a Sofia Boesch Gajano i cui lavori sono dedicati al fondatore dell’Ordine ed al suo rapporto con la vita comune del clero (1962) e alle origini ed alle tradizioni di Vallombrosa (1964) analizzando i testi agiografici di Andrea di Strumi, di Attone e del Discepolo Anonimo: è proprio da questa ultima datazione che la studiosa analizza nel dettaglio e ricostruisce il pensiero ed il comportamento dei monaci vallombrosani tenendo ben presente i rapporti con i pontefici, con i vescovi e con la nobiltà fino al 1153, anno in cui muore il vescovo Attone di Pistoia. La Boesch esaminando “in primis” la figura di Arialdo da Brescia capo e martire della pataria milanese, scopre ed evidenzia i limiti dei confratelli del Gualberto, ossia l’estremismo verso i vescovi accusati di simonia come dimostra il caso di Daiberto vescovo di Pisa ed il loro “forzato” contenimento seppur di isolati atti di estremismo

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