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Il periodo compreso tra la fine del X secolo e la prima metà del secolo XI è caratterizzato da eventi significativi che condizionano l’operato delle due grandi istituzioni del Medioevo, l’Impero e il Papato ed il loro rapporto reciproco che, se all’inizio è determinato dalla collaborazione senza nulla togliere alle rispettive sfere di competenza, con l’avanzare del tempo e con l’avvicinarsi alla metà del secolo XI i rapporti sembrano incrinarsi sempre più per giungere alla definitiva volontà di autoaffermazione, di indipendenza, di riconquista della così detta libertà della chiesa che, proprio per la continua ingerenza se non intromissione del potere laico era progressivamente venuta meno.

Gli avvenimenti accaduti tra la fine del X secolo ed i primi settant’anni del successivo sono significativi per comprendere il comportamento dei Vallombrosani schierati in prima linea “pro Riforma” dalle cui conseguenze talune immediate, talaltre a lungo termine scaturiranno alcuni cambiamenti da parte delle stesse istituzioni religiose: ciò è il cuore ed il significato della Riforma intesa in senso lato quale riassetto del sistema che ha visto la partecipazione attiva del popolo locale, dei monaci, di alcuni esponenti della riforma (Pier Damiani, Umberto di Silvacandida, Ildebrando di Soana); dei pontefici riformatori e delle famiglie marchionali come i Canossa che si erano progressivamente imposte e distinte nel contesto politico italiano.

Nel 1049 Leone IX sale al soglio pontificio per volontà di Enrico III, al contrario dei pontefici che lo avevano preceduto non accetta la situazione vigente e consuetudinaria di elezione pontificia tanto che la storia lo annovera come primo papa riformatore e la moderna storiografia lo connota come un uomo di alta levatura per il coraggio e l’intraprendenza mostrati sia come uomo che come pontefice, avendo incrinato mettendole in discussione le regole accettate e condivise per opportunismo oltre che per abitudine dalle istituzioni ecclesiastiche/monastiche e politiche secolari, moralmente inaccettabili ma necessarie al funzionamento del sistema in corso; non ammetteva azioni radicali o atteggiamenti al limite del fanatismo da coloro che sostenevano la Riforma. Difatti è lui il primo pontefice con cui i Vallombrosani “entrano in contatto” nel 1050, quando Giovanni Gualberto si trovava a Passignano come viene narrato dallo Strumense nella Vita e da W. Kurze nella sua produzione storiografica relativa alla diffusione dei Vallombrosani il quale, pone l’accento sulla “richiesta” del papa di attivare atteggiamenti più responsabili e

69 morigerati, sicuramente meno eclatanti ma duraturi nel tempo e maggiormente incisivi nella “mentalità” della popolazione civile.

Che i Vallombrosani abbiano contribuito nell’affermazione della Riforma ecclesiastica con modalità un po’ troppo “originali e fuori dagli schemi”, con atteggiamenti o comportamenti “contro corrente” talora invisi da pontefici accomodanti o comunque decisi a scendere a compromessi col potere locale come Alessandro II; talaltra sostenuti da papi di forte personalità e intransigenti promotori nonché sostenitori della Riforma come Gregorio VII, emerge dalla produzione storiografica laica e religiosa; a Firenze avevano “sfidato” la mentalità popolare, i signori locali e lo stesso pontefice Alessandro II, come dimostrano le accuse di simonia all’abate di San Miniato al Monte e ai vescovi di Firenze; avevano sostenuto la pataria milanese, avevano partecipato con una delegazione al Concilio di Roma nel 1067, Pietro Igneo aveva sfidato il fuoco.

Essere mediatori della Riforma per loro significava oltre che lottare contro la simonia conseguenza del sistema politico, sociale ed economico derivato dalla disgregazione dell’Impero carolingio prima e degli Ottoni dopo che aveva visto l’infeudazione di ecclesiastici e abati nonché la fondazione di istituzioni ecclesiastiche e monastiche private, voleva dire anche affermare la loro verità antisimoniaca giungendo fino a forme estreme come l’ordalia di Settimo del 1068, inquadrabile nel desiderio del martirio da un lato e, nella dimostrazione tangibile per il popolo e non solo, del “segno” della volontà divina rivelata, dall’altro.

Gregorio VII non aveva conosciuto il fondatore di Vallombrosa ma nonostante ciò, a distanza di breve tempo dalla morte avvenuta il 12 luglio 1073 inviava una lettera ai discepoli di Giovanni nella quale si sanciva l’alleanza tra i monaci e lo stesso pontefice, nella quale li esortava a «estirpare la zizzania»127, a non far cadere nel vuoto gli insegnamenti morali, sociali e dottrinali lasciati dal Gualberto; a meditare sulla Sacra Scrittura per loro fonte principale di insegnamento e di cultura per istruire anche le persone ad essi vicine “col cuore e col pensiero” tramite le esortazioni e la predicazione circa la loro salvezza; la lotta antisimoniaca acquisiva tuttavia una doppia valenza inscindibile: il riscatto sociale da parte dei religiosi e degli individui coinvolti e, la prospettiva della salvezza degli uomini e della Chiesa.

127 D’Acunto, «Tensioni e convergenze fra monachesimo vallombrosano, papato e vescovi nel secolo XI», in

70 5.1) DIALETTICA FRA I VALLOMBROSANI E LA PATARIA MILANESE E FIORENTINA128

Innanzi tutto sarebbe più opportuno parlare di movimenti patarinici (seconda metà del secolo XI) come ha sottolineato Golinelli piuttosto che di pataria milanese e fiorentina per evidenziare il clima di protesta e di ribellione della popolazione laica guidata da monaci vallombrosani per Firenze e chierici contro vescovi accusati di simonia anche in altre aree del nord Italia come Cremona, Piacenza, Brescia ed Asti, anche se per queste due ultime città vi sono solamente degli accenni a differenza dei due casi eclatanti di Milano e Firenze che se comparati, rivelano aspetti abbastanza comuni.

Dalle ricerche è ormai palese la relazione creatasi tra i movimenti patarinici milanesi ed i monaci vallombrosanianche, tuttavia la storiografia prodotta ad esempio dal Miccoli, dalla Boesch Gajano e da Violante; dallo Spinelli e dal Golinelli ha rilevato problemi cronologici riguardo l’impegno vallombrosano a Milano o più precisamente la richiesta d’invio di sacerdoti legati ai Vallombrosani se anteriore o successiva alla pataria fiorentina. Gli studiosi sopracitati hanno risposto al quesito con opinioni discordanti secondo cui il primo gruppo sulla base della biografia dello Strumense sostiene la richiesta posteriore alla vicenda fiorentina, il Golinelli e lo Spinelli la richiesta la pongono in relazione alla prima predica di Arialdo e dunque agli inizi del movimento (1060-1061)129; non di meno il Salvestrini130 sottolinea il ruolo avuto da Andrea di Strumi nell’intera vicenda concordando relativamente ai contatti, con la seconda ipotesi basandosi anch’egli sia sulla prima biografia che sui contributi apportati dai due studiosi sovra menzionati131.

128 Golinelli, «I Vallombrosani e i movimenti patarinici», in I Colloquio vallombrosano, pp. 35-56.

Salvestrini, «I rapporti di Giovanni Gualberto con la pataria milanese», in I Vallombrosani in Lombardia, pp. 7-14.

129 Golinelli, ivi, pp. 40-44. 130 Salvestrini, ivi, pp.7-12. 131

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