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LA PRESENZA VALLOMBROSANA SUL TERRITORIO PISTOIESE

al clima di riforma dell’XI secolo che vede Pistoia passare da una politica religiosa filoimperiale a filopapale, per cui si spiega anche il sostegno che i Pistoiesi, le famiglie comitali ed alcuni vescovi avevano dato ai confratelli di Giovanni Gualberto e alla fondazione delle due badie di San Michele in Forcole e di San Salvatore di Fontana Taona per le quali anche per il periodo successivo alla fondazione, la loro supremazia non sarà scalfita né da altri Ordini riformati, né dagli Ordini mendicanti sorti nel secolo XII con le chiese entro le mura urbane.

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Salvestrini, «La presenza monastica alla fine del Medioevo. Specificità vallombrosana della diocesi

pistoiese dalle visite canoniche ai cenobi dell’Ordine (seconda metà del secolo XIV)», in "Il territorio pistoiese dall’Alto Medioevo allo stato territoriale fiorentino", pp. 83-112. Moretti, «Architettura romanica vallombrosana nella diocesi medievale di Pistoia», in «Bullettino Storico Pistoiese», XCII, 1990, terza serie,

82 Saggi, monografie, regesti di fonti e altro ancora attestano la presenza di fondazioni vallombrosane nell’area pistoiese: «Già sul finire del secolo XI vi sorgevano infatti sei case dell’Ordine; e la diocesi era seconda solo a quella fiesolana che nello stesso periodo ne contava sette»149; proseguendo nel corso del tempo, nel periodo compreso tra gli anni Settanta del secolo XIII e gli inizi del successivo le sei comunità vallombrosane equivalevano ad un terzo delle comunità regolari non specificatamente vallombrosane. Le sei case dell’Ordine erano San Michele in Forcole, San Salvatore di Fontana Taona, San Salvatore di Vaiano citati nella bolla di Urbano II del 1090; Santa Maria di Montepiano, Santa Maria di Pacciana e Santa Maria di Grignano tutte menzionate nella bolla di Pasquale II del 1115; il priorato pratese di San Fabiano divenuto vallombrosano solo nel XIII secolo e dalla fine del successivo dipendente dalla diocesi di Volterra: se dall’elenco dei cenobi escludiamo Fontana Taona, Vaiano e San Fabiano in quanto fondazioni cluniacensi e dunque anteriori alla riforma di Giovanni Gualberto, le altre case erano fondazioni vallombrosane effettive che fin dalle origini erano entrate a far parte della congregazione.

I motivi di una penetrazione veloce e tutt’altro che tardiva sono molteplici: l’impegno e la lotta alla simonia durante la Riforma gregoriana, l’appoggio dei potentati locali come i Guidi, Matilde di Canossa ed i papi riformatori, nonché dei Pistoiesi e di alcuni vescovi al momento che Pistoia si fa sostenitrice della politica papale; il mantenimento del loro ruolo caritativo/assistenziale verso i viandanti ed i pellegrini nonostante l’influsso spirituale fin dagli inizi del 1200 degli Ordini Mendicanti; il permanere della loro funzione viaria e di riferimento anche per la popolazione del contado. Se l’espansione dei Vallombrosani nella diocesi di Pistoia avviene tra gli anni Settanta del secolo XI ed il primo ventennio circa del successivo, il periodo compreso tra la seconda metà del 1200 circa fino al 1400 con l’apice negli ultimi due secoli del suddetto arco cronologico, è caratterizzato da una vera e propria crisi causata da diversi fattori: disciplina claustrale allentata, necessità di rispondere maggiormente ai bisogni sociali nonché ad un fervente bisogno di rinnovamento religioso e spirituale derivato da un nuovo senso della carità cristiana, impulso alla conversione in singole esperienze individuali e in piccoli gruppi di persone votate alla penitenza e alla solitudine orante e contemplativa come fanno notare Elena Vannucchi150, W. Kurze151 e

149 Salvestrini, ivi, pp. 83-84.

150 Vannucchi, «L’influenza degli Ordini mendicanti sulla vita religiosa dei laici a Pistoia tra XIII e XV

secolo », in Gli Ordini mendicanti a Pistoia (secoli XIII-XV), Atti del Convegno di Studi, Pistoia, 12-13

83 Lucia Gai152 nella loro produzione storiografica relativa all’avvento dei Mendicanti a Pistoia, in quanto i cittadini si sentivano più vicino idealmente a costoro che agli Ordini benedettini che apparivano agli occhi dei possidenti meritevoli di elargizioni e per i meno facoltosi se non addirittura per i semplici una “casta nobile” chiusa in se stessa e arroccata ai propri privilegi che non sempre riusciva a soddisfare le esigenze della popolazione urbana. Oltre a ciò anche la scarsità se non l’esiguità del numero degli interni nei monasteri era sintomo di crisi come dimostrano i cenobi pistoiesi che durante gli anni Settanta del secolo XIV risultano poco popolati: «crisi delle vocazioni, epidemie e insicurezze delle campagne avevano decimato gli antichi cenobi benedettini»153, tuttavia il fatto che i vertici della congregazione fosse ancora interessato a rilevare la “vita” di quegli “sparuti cenobi”, significava che avevano ancora una qualche funzione e importanza per l’intero Ordine in quanto aziende e nuclei di prosperità; ciò è confermato dal fatto che i monasteri pistoiesi finché vi sarebbe stata la possibilità, avrebbero goduto delle sovvenzioni della Curia Pontificia che ritenendoli sempre abbastanza prosperi, si sarebbe fatta carico dei loro debiti.

Infine per delineare il quadro della situazione delle badie pistoiesi eccetto San Fabiano sono significativi i verbali redatti dall’abate Simone durante le sue visite avvenute dal 21 al 27 gennaio 1373 che permettono di conoscere la situazione disciplinare, istituzionale, economica e amministrativa dei monasteri gualbertini permettendo anche delle comparazioni e dai quali emerge una situazione articolata, complessa ma soprattutto caratterizzata da un clima di decadenza e di tristezza. Pur essendo ancora poco chiaro a quale modello canonico Simone si sia rivolto per redigere il questionario da sottoporre ai monaci dei cenobi pistoiesi e non, visitati, Francesco Salvestrini ipotizza che il programma di inchiesta seguito dagli abati generali dal 1300 e dunque anche da Simone prendesse spunto dal modello delineato fin dai primi del 1200 al quale i monaci visitatori inviati dai Capitoli generali dell’Ordine, permanenti dal 1258, si attenevano in occasione delle loro visite periodiche. Difatti il Capitolo generale di Vallombrosa del 1216 presieduto da Benigno attesta l’esistenza dei monaci visitatori con tanto di manuale elaborato dal Capitolo stesso utilizzato per redigere gli atti, ma con con la differenza che gli stessi derivavano dalla verbalizzazione di situazioni esperienziali non condotte dal padre

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Kurze, «La presenza monastica in Toscana prima dei Mendicanti con particolare riguardo alla situazione

di Pistoia», in Gli Ordini mendicanti a Pistoia (secoli XIII-XV), pp.31-53.

152 Gai, «Insediamento e prima diffusione degli Ordini mendicanti a Pistoia», ivi, pp. 106-107.

153 Salvestrini, «La presenza monastica alla fine del Medioevo. Specificità vallombrosana della diocesi

84 generale e non elaborati in base al percorso domande/risposte154, procedura invece utilizzata da Simone da cui emerge relativamente per le sei badie pistoiesi un quadro molto specifico: rilassatezza dei costumi, meno vocazioni, espropri da parte dei laici, una amministrazione non sempre oculata che comunque non aveva danneggiato eccessivamente il patrimonio monastico, perdita di ogni autorità da parte di alcuni cenobi che si vedono costretti ad “escogitare” nuove strategie insediative per non decadere del tutto, come ad esempio gli abati ed i monaci di Grignano, Forcole, Fontana Taona e Montepiano che si trasferiti a Pistoia, Prato, Bologna in quanto nel nuovo contesto cittadino si rivelano nuove opportunità socio-economiche e spirituali. Col tempo alcuni monasteri vallombrosani cadranno in una situazione di totale abbandono: Montepiano e Fontana Taona vedranno accolti i loro patrimoni ed i religiosi in altre case vallombrosane, mentre quei monasteri ancora solidi pur essendo soggetti «alla collocazione dei benefici e alla nomina degli abati da parte dei pontefici»155 riusciranno a mantenere una certa autonomia ed a non incorrere nella commenda laica.

2.1) UBICAZIONE DEI MONASTERI NELLA DIOCESI PISTOIESE E LORO IMPORTANZA VIARIA E CARITATIVA156

La storiografia contemporanea fornisce notizie esatte sulle badie vallombrosane indicandone la località in cui sorgevano oltre alla loro cronostoria, per evidenziarne la vita interna ed esterna in relazione agli avvenimenti politici, economici, sociali. Infatti è già stato evidenziato quanto i monasteri fossero situati nei pressi di assi viari strategici per molteplici motivi che risultavano vantaggiosi sia per la comunità monastica sia per l’area di insediamento, rurali compresi; inoltre è stato anche sottolineato come i cenobi inizialmente fossero edificati in zone piuttosto isolate ma quanto al contempo i monaci non

154 Salvestrini, ivi, pp. 91-94. 155

Salvestrini, ivi, pag. 111.

156 Rauty, «Il territorio pistoiese agli inizi del secolo XII», in Storia di Pistoia I, pp. 366-370; «Alle origini

della Badia a Taona.», in "L’insediamento medievale nella riserva naturale biogenetica dell’Acquerino ",

Sambuca Pistoiese, Atti della Giornata di Studio, 8 luglio 2005, pp.21-29. Moretti, «Architettura romanica

vallombrosana nella diocesi medievale di Pistoia», ivi, pp. 3-30. Capecchi, «Tracce di viabilità antica nel

territorio pistoiese.», in Estratto da «Bullettino Storico Pistoiese», anno XCVII, terza serie - XXX, Pistoia,

Società Pistoiese di Storia Patria, 1995, pp. 117-130; «L’antica viabilità transappenninica nelle valli delle

Limentre», in L’insediamento medievale nella Riserva Naturale Biogenetica dell’acquerino, Sambuca

Pistoiese, Atti della Giornata di Studio, 8 luglio 2005, pp. 31-36. Romiti, «Il monastero di Santa Maria a

Pacciana», in Estratto da «Bullettino Storico Pistoiese», anno CV, terza serie - XXXVIII, Pistoia,Società

Pistoiese di Storia Patria, 2003, pp.145-146. Rigoli, «Il monastero di San Salvatore di Vaiano», in Monasteri d’Appennino, Atti della Giornata di Studio, Capugnano 11 settembre 2004, Gruppo di Studi alta Valle del Reno, Pottetta Terme, Società Pistoiese di Storia Patria, 2006, pp. 59-60.

85 avessero mai escluso qualunque tipologia di rapporto con la popolazione circostante sia delle campagne che delle città, tramite modalità indirette avvalendosi dei conversi in origine) e l’insediamento vero e proprio nei centri cittadini, in epoche postume. Le notizie relative all’ubicazione dei monasteri dell’Ordine vogliono attirare l’attenzione sulla relazione creatasi tra i siti, le strade e le relazioni sociali incluso il ruolo caritativo- assistenziale e di centri di sosta, quale posto di tappa nelle lunghe percorrenze.

Il progresso conseguito dall’agricoltura ed in generale dalle attività economiche convergenti verso il mercato cittadino, l’esigenza di garantire e usufruire di strade percorribili e sicure avevano favorito la nascita di pievi quali centri di controllo e di manutenzione di strade e ponti come dimostra l’insorgere delle stesse lungo itinerari sui quali la chiesa col suono della torre campanaria fungeva da segnavia e da stazione di tappa. Questo sistema ben organizzato si era mostrato sufficiente per le strade che collegavano la campagna pistoiese con l’area cittadina ma, per i lunghi tragitti interregionali percorsi da mercanti, da pellegrini ed eserciti occorreva un sistema che garantisse la sicurezza e la viabilità anche in zone poco popolate se non disabitate come ad esempio quelle di montagna: sono i nuovi monasteri e ospizi sorti col sostegno di conti e marchesi, centri di

caritas e di potere politico assieme ad assolvere a tali funzioni come ben dimostrano i due

monasteri di San Salvatore di Fontana Taona e di Santa Maria di Montepiano edificati sul crinale appenninico che ben presto si connotano come valide strutture nei tratti più alpestri e solitari tra le vie che dalla pianura dell’Ombrone-Bisenzio risalivano verso Bologna.

BADIA di SAN SALVATORE di FONTANA TAONA: lo storico Natale Rauty nel mese di luglio 2005 nella Giornata di Studio dedicata agli insediamenti nella Riserva Naturale dell’Acquerino nell’alto Medioevo, affronta la questione ancora in via di sviluppo sulle origini della Badia a Taona che secondo i vecchi storici pistoiesi pare di origine longobarde anche se in merito mancano delle conferme documentarie; tuttavia gli studi di Vanna Torelli Vignali effettuati sulle pergamene del Diplomatico del monastero, ritengono essere stata fondata all’inizio del secolo XI quando i marchesi di Tuscia fondavano monasteri privati lungo le più importanti vie di comunicazione, ipotesi confermata dalle donazioni di Bonifacio II poi confermate ed accresciute da Enrico II nel 1014 e da Corrado II nel 1027.157 In via ipotetica per giustificarne l’antica fondazione Rauty in base a studi di onomastica longobarda, fa risalire la presenza di una cella del monaco-eremita Tao nella

157

86 vallata della Limentra Orientale, più precisamente lungo la Via Baiana (o della Val di Bure) subito dopo il passaggio del crinale appenninico e nei pressi di una sorgente con le funzioni di rudimentale stazione di tappa affidata si suppone al monaco-eremita Tao, giustificandone così il nome sempre secondo l’onomastica longobarda, ma non sulla base di documenti scritti certi158.

Delle vallate della Limentra fino all’alto Medioevo non vi è più alcuna notizia fino alla scoperta di tre documenti che attestano degli insediamenti a Glozano: le prime due pergamene sono donazioni rogate a Glozano, datate 5 aprile 1103 in favore del monastero di San Salvatore edificato presso Fontana Taona, anche la terza è una donazione rogata dallo stesso notaio, stipulata il 2 giugno 1113 a favore del modesimo monastero edificato in località Glozano159. La coincidenza dei fatti e dei toponimi riportati nella documentazione qui menzionata “ha solleticato” la curiosità degli storici locali e degli archeologi tanto da spingere Vanna Torelli Vignali e non solo, ad andare oltre fino ad ipotizzare che Glozano fosse l’antica denominazione del luogo dove poi sorgerà agli inizi del secolo XI il cenobio di Fontana Taona160, toponimo riferito forse ad un territorio più ampio su cui prevale l’uso comune di riferimento alla badia che nel tempo acquisisce un’importanza sempre maggiore, facendo dimenticare l’antica denominazione161

. L’ipotesi che il notaio indicasse con toponimi differenti le due sedi della stessa istituzione monastica all’inizio non ha avuto molto credito, fino a quando gli scavi archeologici iniziati nell’autunno 2002 e ultimati nel 2004 hanno riportato alla luce le strutture di un antico complesso comprendente anche l’abside di una chiesa orientata a levante. Se i primi dati archeologici sembrano confermare che in epoca longobarda a Glozano fosse stato fondato un piccolo monastero poi sostituito nel secolo XI da uno più importante sul crinale dotato in seguito da Bonifacio II di appezzamenti terrieri, si può pensare che egli non avesse fondato un nuovo monastero secondo la consuetudine del tempo ma che avesse riformato e trasferito in Alpe una comunità già esistente che per circa un secolo vedrà la sede principale a Fontana Taona e la dipendenza a Glozano, quest’ultima a metà strada tra i due posti di tappa di Fontana Taona a ovest e la Cascina di Spedaletto a est162.

I continui scavi archeologici, le indagini stratografiche e la pulitura della pavimentazione, delle mura perimetrali e dei vani svolti nell’area dell’Acquerino, hanno successivamente

158 Rauty, ivi, pp. 21, 23-24. 159

Rauty, ivi, pp. 24-25.

160 Rauty, ivi, pag. 25.

161 Torelli Vignali, «Monastero di San Salvatore a Fontana Taona secoli XI e XII», in Regesta chartarum

pistoriensium, a cura di V. Torelli Vignali, Pistoia, Società Pistoiese di Storia Patria, 1999, pp. 21-22.

162

87 confermato la vicinanza tra il sito esaminato di oltre 1600 mq e Fontana Taona, l’edificazione di una chiesa e dei restanti ambienti in una unica fase costruttiva che escludono l’ipotesi di un insediamento prettamente abitativo. Se i dati storici relativi alla badia informano l’appartenenza della stessa prima ai Cluniacensi e poi ai Vallombrosani durante l’abbaziato di Rodolfo (1073-1076) e che tra i secoli XI e XII il vescovo di Pistoia Pietro favorisce l’espansione dell’Ordine nel territorio della diocesi pistoiese con nuove strutture monastiche in aggiunta a quelle già esistenti di Fontana Taona e di San Michele in Forcole, quelli archeologici testimoniano che il complesso situato nell’Acquerino viene abbandonato agli inizi del secolo XII secondo Andrea Magno tanto da far ipotizzare la volontà di un progetto di riorganizzazione dell’area in riferimento alla viabilità transappenninica ed al nuovo ruolo assunto dalla badia nella gestione economico-sociale del territorio, in quanto egli sostiene che le strutture volte all’accoglienza nell’area dell’Acquerino in quel periodo risultassero poco adeguate tanto da essere abbandonate dovendo fronteggiare l’aumento dei commerci e l’ampliamento delle capacità di assistenza ai viandanti e ai pellegrini comportando di conseguenza la costruzione di Badia a Taona sul crinale in direzione di Torri e Treppio.163 Michele Pisaneschi ipotizza invece che Glozano fosse legato alla badia tanto da essere definito come il luogo in cui erano stati edificati la chiesa ed il monastero di San Salvatore avanzando l’ipotesi sulla base di elementi indiziari che l’insediamento monastico originario risalisse all’alto Medioevo ma con legami differenti rispetto a quelli del monastero nell’XI secolo, il quale mutate le condizioni politiche ed economiche aveva dovuto affrontare nuove strategie insediative. Forse è in tale contesto che è sopraggiunta la fondazione della badia a Taona e che l’insediamento di Glozano forse abbandonato ma anche rifondato secondo il Pisaneschi abbia continuato a mantenere una sua funzione pratica di locali di servizio non per la vita spirituale dei monaci ma per la vita produttiva del monastero. Ma indipendentemente dalle varie ipotesi, i documenti attestano l’abbandono definitivo del sito dell’Acquerino entro la prima metà del XII secolo164 e la spiccata vocazione all’ospitalità; difatti è menzionata la presenza dello spedalingo e la cessione al monastero di una prima istituzione ospitaliera nel 1082, a cui fanno l’ospitale di San Michele in Corte di Reno che permette alla badia di

163 Magno, «Ricerche archeologiche nella riserva naturale biogenetica dell’Acquerino», in L’insediamento

medievale nella Riserva Naturale Biogenetica dell’acquerino, Sambuca Pistoiese, Atti della Giornata di

Studio, 8 luglio 2005, pp. 39, 49-51.

164 Pisaneschi, «L’abbazia di Fontana Taona: analisi archeologica degli elevati e note per una ricostruzione

della viabilità appenninica», in «Bullettino Storico Pistoiese», anno CXI, terza serie, XLIV, Pistoia, Società

88 acquisire possessi attorno a Bombiana, Savignano, nelle valli del Reno, del Marano e nell’Aneva; di sant’Ilario di Badi e quello suburbano di Memoreto165

.

Oltre alle indicazioni fornite da Vanna Torelli Vignali, Natale Rauty166 e Michele Pisaneschi,167 Ferruccio Capecchi168 va oltre fornendo informazioni dettagliate correlate anche da carte topografiche sia sull’ubicazione della badia, sia sulla viabilità transappenninica: situata sulla schiena dell’Appennino lungo l’itinerario che dalla Valle della Bure risale verso nord per ricongiungersi alla più antica via della Collina; a N-O dal Poggio dell’Acquifreddula all’altezza di circa 1091 metri s.l.m. tra le sorgenti della Limentra tributaria del Reno e della Bure che scende nell’Ombrone Pistoiese, il vasto complesso patrimoniale includeva parti del territorio bolognese con molteplici percorsi che conducevano al monastero, tutti piuttosto frequentati perché alla fine si congiungevano con la Via Francigena, quali:

- la via di San Quirico si diramava dalla Via Cassia-Clodia probabilmente all’altezza del ponte sulla Bure in località Sei Arcore e risaliva il crinale fra la Bure di Santomoro e l’Agna, per raggiungere poi la pieve di San Quirico. Passava poi da Poggio Castellare, Poggio al Bagno (M. Stietta e M. Pozzo) lungo il crinale Agna-Bure, dall’ Acquifreddula per giungere al valico della badia a Taona;

- la via Baiana usciva da Pistoia da Porta San Pietro a est della cittadina, oltrepassate di poco le mura passava davanti ai monasteri di San Bartolomeo e di San Michele in Forcole; proseguiva poi verso Candeglia e, risalendo la valle della Bure di Baggio raggiungeva l’omonimo borgo e da qui lo spartiacque nelle vicinanze del valico per raggiungere la badia; itinerario in parte coincidente con la via di Valdibure fino a Candeglia;

- la via di Valdibure comprendeva tre tratti: il primo iniziava a Pistoia fino a Candeglia, qui attraversava la Bure di Baggio, arrivava a Valdibure passando per i borghi di Caloria e Chiuso; il secondo iniziava dalla Pieve di Valdibure fino al valico di Croce a Chiappore situato tra la Bure di Baggio e la Bure di Santomoro, il valico si raggiungeva con due strade: una più breve sul crinale conosciuta ancora oggi come la strada della collina, l’altra più lunga ed a mezza costa che attraversava Staggiano e la Corte; l’ultimo tratto iniziava da Croce a Chiappore per terminare a badia a Taona: attraversava la località di Cesti, superava

165 Torelli Vignali, ivi, pp. 1-20. Zagnoni, «Presenze vallombrosane nella montagna fra Pistoia e Bologna

nel secolo XIII», in II Colloquio vallombrosano, pp. 782-789.

166 Rauty, «Il territorio pistoiese agli inizi del secolo XII», in Storia di Pistoia I, pp. 366-368.

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