• Non ci sono risultati.

La piu recente storiografia sul movimento vallombrosano con particolare riguardo a Pistoia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La piu recente storiografia sul movimento vallombrosano con particolare riguardo a Pistoia"

Copied!
161
0
0

Testo completo

(1)

1

Anno Accademico 2014/2015

Università degli Studi di Pisa

Corso di Laurea in Storia

LA PIÙ RECENTE STORIOGRAFIA SUL

MOVIMENTO VALLOMBROSANO

CON PARTICOLARE RIGUARDO A PISTOIA

RELATORE

Prof. Mauro Ronzani

CANDIDATO

(2)

2 PREMESSA

Sono trascorsi poco meno di 1000 anni dalla morte di San Giovanni Gualberto e ancora oggi la sua figura forte e poliedrica ed i suoi insegnamenti risultano attuali più che mai sotto molti profili, nell’odierno contesto storico-sociale in continua evoluzione che vede sia una semplificazione ed un appiattimento degli ideali nei paesi sviluppati e con un alto livello di globalizzazione, sia sul venire sulla scena mondiale realtà di popoli finora quasi ignorati portatori di problematiche socio-economiche ed esistenziali con un processo di assestamento/adattamento prima impensabili.

Perché ancora oggi la figura e le ideologie di San Giovanni Gualberto sono così attuali? Perché l’attuale pontefice, Papa Francesco si adopera per sensibilizzare e dare dei segnali di “carità” verso “gli ultimi” facendoci ricordare seguendone il lontano esempio, l’amore caritatevole disinteressato del Santo verso i bisognosi?

Nella società odierna che sembra smarrirsi nella complessità e nella complicazione delle sue articolazioni strutturali e appare purtroppo con troppa frequenza degenerare nella violenza, nella superficialità e nel materialismo, San Giovanni Gualberto oggi come allora ci richiama ai valori più autentici della verità e della fede, della giustizia sociale con un’attenzione costante verso le categorie degli emarginati e degli svantaggiati come ben dimostravano gli atti di carità del lontano Medioevo e le missioni dei monaci in Brasile ed in India in età contemporanea; ci invita a non pensare al puro soddisfacimento egoistico in una corsa sfrenata al carrierismo, alla competizione e al “dio denaro” per non incorrere nella crisi morale-istituzionale ma a considerare il bene dei nostri simili, soprattutto degli indigenti in quanto aiutare il prossimo non in senso pietistico ma pienamente costruttivo è una necessità e non un dovere; ci esorta infine a ricercare e a riflettere sul senso più profondo dell’esistenza di ogni uomo affinché essa non si esaurisca nel soddisfacimento personale e nella continua ricerca della propria libertà, rischiando di calpestare i diritti degli altri.

Il messaggio di San Giovanni Gualberto nonostante i quasi mille anni trascorsi ha indubbiamente una valenza universale, ma è rivolto in particolar modo ai giovani che dovrebbero riflettere sul suo esempio di vita, una vita vissuta secondo gli insegnamenti di Cristo tanto da godere dell’appellativo di “UOMO di DIO”.

(3)

3

(4)

4

INDICE

I) CARATTERI GENERALI DELL’ORDINE VALLOMBROSANO

1) La figura di Giovanni Gualberto 1.1) Biografia.

1.2) Fondazione di Vallombrosa. 1.3) Il testamento spirituale.

1.4) Struttura interna, regole, organizzazione. Dalle origini alla metà del XIII secolo. .

2) L’espansione geografica 2.1) In Toscana.

2.2) Nell’Italia centro-settentrionale e nelle isole. 2.3) In Lombardia.

3) La gestione patrimoniale

3.1) I contratti agrari per la gestione dei beni fondiari. 3.2) I prestiti su pegno fondiario.

3.3) I fratelli conversi all’interno dell’Ordine. Una “categoria” in evoluzione.

4) La cultura vallombrosana

4.1) Attività dello scriptorium di Vallombrosa per la copiatura dei testi liturgici e di cultura.

4.2) L’architettura. 4.3) L’iconografia.

5) I Vallombrosani mediatori della Riforma

(5)

5 II) I VALLOMBROSANI A PISTOIA

1) Breve profilo storico di Pistoia. Dalla metà del secolo X alla metà del secolo XII.

1.1) Il secolo X: la diocesi di Pistoia e il Diploma ottoniano del 998. 1.2) Il secolo X: Pistoia città vescovile.

1.3) Il secolo XI: l’adesione della Canonica pistoiese al movimento di Riforma e ripristino della “vita comune”.

1.4) Il secolo XI: Matilde, i conti Guidi ed i Vallombrosani. Pistoia filopapale?

2) La presenza vallombrosana sul territorio

2.1) Ubicazione dei monasteri nella diocesi pistoiese e loro importanza viaria e caritativa.

2.2) I monasteri pistoiesi di San Michele Arcangelo in Forcole e di San Salvatore di Fontana Taona: consistenza e gestione patrimoniale.

2.3)Uno sguardo da vicino alla Badia a Taona. Luci e ombre. 2.4) Quale “eredità vallombrosana”?

2.5) I vescovi durante l’età della Riforma. 2.6) Atto, da abate generale a Santo pistoiese.

III) LE DISCUSSIONI STORIOGRAFICHE SUL MOVIMENTO VALLOMBROSANO.

1) La storiografia ed i Vallombrosani. 1.1) Evoluzione della storiografia.

1.2) La storiografia vallombrosana dal secondo dopoguerra ad oggi. 1.3) I Vallombrosani visti dalla storiografia laica e religiosa.

1.4) I Vallombrosani oggi. Studi recenti sull’Ordine vallombrosano. 1.5) I Vallombrosani nell’età contemporanea.

(6)

6

CARATTERI GENERALI

(7)

7

1) LA FIGURA DI SAN GIOVANNI GUALBERTO

1

San Giovanni Gualberto nella sua duplice veste di fondatore di Vallombrosa e di riformatore religioso, è una delle figure più affascinanti della storia del monachesimo dell’età precomunale ed una delle personalità più significative del secolo XI. A tale fascino hanno contribuito più fattori: il mistero che avvolge tale personaggio, le modalità con cui è presentato dai primi biografi, le agiografie che risultano elaborazioni soggettive arricchite di concezioni personali ispirate ad una idealizzazione nostalgica per la Chiesa delle origini. Giovanni Gualberto è un figura storica tutt’oggi controversa: fondatore di un nuovo monastero o di un nuovo Ordine monastico? Istitutore di una nuova congregazione o sostenitore dalla riforma della Chiesa e precursore dell’Età gregoriana? Per descrivere San Giovanni Gualberto agiografia e biografia si fondono; tuttavia occorre tener presente che nella Vita scritta alla fine del secolo XI da Andrea di Strumi, primo e più importante biografo del Gualberto non conosciuto personalmente perché deceduto, alcuni episodi narrati sembrano dubbi. Egli fa emergere un personaggio carismatico il cui insegnamento può riassumersi in tre punti fondamentali: seguire gli insegnamenti di Cristo; applicare integralmente la Regola di San Benedetto; combattere l’ipocrisia, il degrado morale, spirituale e religioso della Chiesa del suo tempo. Nella narrazione il Santo fondatore è esaltato fin quasi alla “trasfigurazione”: povertà, carità, discernimento dello spirito, decisionalità, autorevolezza, severità, audacia, spregiudicatezza, amore per la fede e per la verità, sono le virtù che lo caratterizzano.

Da ex patarino Andrea di Strumi esalta la figura del Gualberto, mentre i documenti lo descrivono come un uomo di carattere, ma più equilibrato. Dopo Andrea di Strumi altri biografi-agiografi come ad esempio il Discepolo Anonimo ed Atto di Pistoia, hanno arricchito e manipolato la figura di Giovanni Gualberto secondo le proprie concezioni, senza riuscire però a ricostruire l’autentica figura di quest’uomo di Dio in cui l’aspirazione ad una vita religiosa, autentica e conforme agli insegnamenti delle Scritture e la volontà di riformare la Chiesa, sono andate “a braccetto” fin dall’inizio. La denuncia del giovane monaco dell’abate di San Miniato al Monte e del vescovo di Firenze Attone perché simoniaci, rivela non solo il disagio di trovarsi di fronte ad una parte del clero intento a soddisfare il proprio egoismo lontano dall’esempio evangelico, ma anche la volontà di

1

Spinelli, Rossi, «Alle origini di Vallombrosa. Giovanni Gualberto nella società dell’XI secolo», Novara, Europìa, 1991, pp. 29-146.

(8)

8 trovare “un’isola felice” dove gli uomini votati a Dio potessero vivere seguendo gli insegnamenti di Cristo.

1.1) LA BIOGRAFIA2

Giovanni Gualberto nasce a Petroio in Val di Pesa presso Firenze alla fine del X secolo, la famiglia di origine di stirpe nobile pare ignota; la Vita scritta da Gregorio abate di Passignano in occasione della canonizzazione del Santo della quale sono giunti alcuni frammenti introduce la notizia dell’appartenenza alla stirpe dei Visdomini, notizia purtroppo non di certezza assoluta poiché, nonostante la memoria sulla provenienza del fondatore possa essere piuttosto precisa vista la vicinanza tra le due località, ci giungono solo alcune citazioni del Soldani3. La mancanza di documenti certi dunque, ad eccezione delle prime agiografie non permette di conoscere i primi anni di vita e la giovinezza di Giovanni; le uniche notizie relative alla sua gioventù riguardano l’incontro con l’assassino di un suo congiunto un Venerdì Santo e il perdono accordatogli (ponendo fine alla faida tra le famiglie) perché mosso a compassione dall’atteggiamento del reo penitente, con le braccia e le mani distese a forma di croce e dalla sua richiesta di pietà: è con tale atto di misericordia che inizia la vita esemplare del Gualberto nell’agiografia di Andrea di Strumi. Giovanni decide di farsi monaco in giovane età rispondendo ad una vocazione innata data la sua indole pia e fervorosa, le obiezioni del padre non riusciranno a distoglierlo dal suo proposito tanto che entra nel monastero benedettino di San Miniato al Monte a Firenze, retto all’epoca dall’abate Oberto eletto con procedura simoniaca. In realtà le fonti documentarie affermano che l’abate manterrà il suo ufficio per oltre trent’anni godendo della stima di papa Niccolò II ed Alessandro II; certamente nel monastero di San Miniato doveva essere accaduto “qualcosa di grave” tra il 1035-1037 per giustificare la fuga e la ricerca di un monastero più isolato.

2

Spinelli, Rossi, ivi. Elm, «Giovanni Gualberto e la vita vere christiana», in I Colloquio vallombrosano, "I

Vallombrosani nella società italiana dei secoli XI e XII", Vallombrosa, 3-4 settembre 1993, a cura di G. M.

Compagnoni, Edizioni Vallombrosa, 1995, pp. 23-30. Vasaturo, « Profilo biografico di San Giovanni Gualberto», in Iconografia di San Giovanni Gualberto, Ospedaletto (PI), Pacini Editore, 2002, pp. 9-13. Salvestrini, «Nascita ed

espansione del monachesimo vallombrosano: i “caratteri originali”», in I Vallombrosani in Liguria, Viella, 2010,

pp. 13-21.

3 Degl’Innocenti, «L’agiografia su Giovanni Gualberto fino al secolo XV. », in I Colloquio vallombrosano,

pag. 147. Gregorio da Passignano « La Vita Iohannis Gualberti», a cura di Padre Pierdamiano Spotorno, Edizioni Vallombrosa, pp. 9-10-14. Moretti, «Architettura romanica vallombrosana nella diocesi medievale

di Pistoia», in Estratto da «Bullettino Storico Pistoiese», anno XCII, terza serie – XXV, Pistoia, Società

(9)

9 Nelle biografie si narra che Giovanni essendo venuto a conoscenza dell’irregolare elezione dell’abate e del vescovo non esita a denunciarli (1034 circa) di fronte alla folla sulla piazza del mercato e che, lui ed il suo compagno fuggiti dal monastero fiorentino rischiano di essere linciati dalla folla se alcuni parenti del giovane quanto ardito monaco, non li avessero salvati. La storicità di questo episodio è dubbia, ma è certo che Giovanni lascia il monastero di San Miniato per aver scoperto la simonia di Oberto e per non essere riuscito nella riconversione dell’abate; dovranno passare circa trent’anni prima che Giovanni Gualberto si ponga in prima linea contro il clero simoniaco.

Figura particolarmente incisiva nella vita del Gualberto è l’eremita Teuzzo, poiché non solo risveglia nel giovane monaco la tempra latente del “lottatore” contro la simonia e la corruzione del clero, ma anche perché lo sprona a trovare un luogo isolato dove fondare un nuovo monastero rispondente alla sua vocazione ed alle sue esigenze religiose e spirituali. Dopo un lungo peregrinare e la visita all’eremo di Camaldoli, Giovanni matura la decisione di edificare nel 1037 un proprio monastero: il luogo scelto è Valle Imbrosa (piovosa), nella diocesi di Fiesole, una località montana e boschiva a circa 50 km da Firenze, dove su un terreno ceduto in beneficio dalla badessa Itta di Sant’Ilario costruisce un semplice oratorio in legno e incontra due monaci, Paolo e Guntelmo provenienti dal monastero di Settimo con i quali comincia a praticare uno stile di vita austero e rispondente al suo ideale: veglie, preghiere, esercizi ascetici di estremo rigore, rinuncia a vestiti superflui e digiuni che gli debiliteranno il fisico fino a contrarre una sincope che lo farà soffrire fino alla morte.

Altre persone intanto si uniscono a Giovanni ampliando la comunità per vivere secondo la Regola di San Benedetto recuperata nella sua integralità, lo stile di vita sarà approvato da papa Vittore II nel 1055; altri monasteri decidono di aderire tanto che la biografia dello Strumense ci informa che fonda dei nuovi monasteri, quello di Moscheta, Razzuolo, San Salvi e Montescalari e ne accetta altri già esistenti da riformare, quello di Passignano, Marradi e Settimo4.

Dal 1043 come attestano i documenti Giovanni da semplice monaco diviene priore.

Il suo alto senso di moralità lo pone punto di riferimento ed esempio da seguire, essendo l’XI secolo caratterizzato da un clero moralmente decaduto: ecclesiastici simoniaci, corrotti, affaristi e concubinari. L’episodio che aveva portato Giovanni a polemizzare contro Oberto è solamente il primo atto della sua lotta contro i simoniaci che lo indurrà ad

4

(10)

10 aderire al movimento della pataria e ad aiutare il popolo milanese tramite l’invio di alcuni suoi monaci per somministrare i sacramenti in sostituzione degli ecclesiastici locali sospettati di ordinazione irregolare.

Tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta del secolo XI Giovanni modifica l’iniziale progetto di totale solitudine per i suoi monaci, si schiera a favore del movimento patarinico; dal 1061 denuncia pubblicamente per procedura simoniaca il vescovo di Firenze Pietro Mezzabarba proveniente da Pavia; difatti come narra il Discepolo Anonimo quel «sempliciotto»5 del padre di Pietro, Teuzo Mezzabarba, di fronte alle domande insistenti e astute dei Fiorentini, ammette di aver sborsato «3000 libbre»6 per acquistare la sede vescovile per il figlio. La reazione del vescovo accusato di simonia è immediata: invia uomini armati al monastero vallombrosano di San Salvi per ucciderlo come narra Andrea di Strumi, o comunque per dargli una lezione, ma Giovanni scampa alla «strage»7 perché la sera prima aveva lasciato il monastero. Giovanni ed i suoi confratelli prima avversati dagli stessi Fiorentini sono ora osannati tanto che il popolo ed il clero fiorentino con la complicità dei Vallombrosani, chiedono la «prova del fuoco»8 a papa Alessandro II come giudizio divino verso il vescovo contestato, prova svoltasi il 13 febbraio 1068 presso il monastero di San Salvatore a Settimo, ordalia che come ben evidenzia Francesco Salvestrini è da intendersi come prova biblica richiesta da Dio, che si concluderà con la conferma della colpevolezza del vescovo.

Gli ultimi anni della sua vita Giovanni li vive nel cenobio di Passignano per lui “speciale”; ormai stanco e provato lì attende il grande giorno, quello della morte, che giungerà il 12 luglio 1073. Prima di morire l’abate detta ai suoi confratelli Rustico e Leto di Passignano la Lettera sulla carità,9 ossia il suo testamento spirituale e nomina Rodolfo suo successore; la salma resterà insepolta per tre giorni consecutivi per permettere alla moltitudine dei chierici e dei monaci di celebrare le solenni esequie.

Se durante la sua vita terrena Giovanni era considerato un uomo di Dio, è dopo la morte che è considerato un Santo e la santità è attestata dai miracoli avvenuti presso la sua tomba o in virtù delle invocazioni come ben ci racconta Andrea di Strumi nella Vita, (Poco cibo

per molte persone; L’abate Teuzzo; Fra Gerardo….)10

.

5

Spinelli, Rossi, «L’acquisto simoniaco del vescovado di Firenze», ivi, pag. 138.

6

Ivi.

7

Spinelli, «Reazione del vescovo: strage di San Salvi», ivi, pag. 105.

8

Spinelli, «La prova del fuoco», ivi, pag. 58.

9 Spinelli, «Lettera sulla Carità», ivi, pp. 117-119. 10

(11)

11 Il Discepolo Anonimo invece dopo una breve carrellata biografica presenta Giovanni per le sue virtù: pazienza, misericordia, prudenza, sincerità, discernimento degli spiriti, carità, umiltà, obbedienza raccomandate ai suoi discepoli, dedito al prossimo secondo il principio evangelico, caritatevole verso gli afflitti e gli indigenti ma al contempo autorevole e fermo nelle sue decisioni. Se nei testi agiografici emerge la venerazione per Giovanni Gualberto, in quelli legislativi e liturgici della congregazione si evidenzia il rispetto ed il recupero delle indicazioni organizzative date dal fondatore seppur non ancora sancite giuridicamente.

Riguardo invece al processo di canonizzazione, Gregorio di Passignano stilata la relazione per i monaci del cenobio di cui ne era abate, nel luglio 1193 si reca a Roma dove il pontefice lo riceverà il 28 settembre, in quell’occasione presenta la Vita di Giovanni da lui redatta un decennio prima su richiesta di Ugo di Passignano, il papa mostrandosi interessato alla richiesta di canonizzazione delega nell’esamina il vescovo di Ostia e Velletri, Ottaviano. Il I ottobre dello stesso anno Celestino III convoca in Laterano il Concistoro durante il quale canonizza il fondatore di Vallombrosa. Alla cerimonia sono presenti ventitré cardinali, tra cui Lotario di Segni futuro papa Innocenzo III e Cencio Savelli futuro Onorio III; l’arcivescovo di Amalfi, di Nola, di Pozzuoli, l’abate di Fulda, l’ambasciatore di Alessio Angelo III imperatore di Costantinopoli, l’ambasciatore di Riccardo Cuordileone re d’Inghilterra, ma nessun abate vallombrosano eccetto Gregorio che aveva postulato la causa11. Il 6 ottobre il pontefice comunicava la canonizzazione ai vescovi della Lombardia, della Toscana ed ai monaci di Passignano; con la bolla “Gloriosus Deus in sanctis” emanata lo stesso giorno il pontefice annunciava all’abate Martino l’avvenuta canonizzazione e si decretava la festa liturgica il I ottobre in Toscana ed il 12 luglio in Lombardia. Avvenuta la canonizzazione il percorso riguardante l’uomo di Dio non è ancora concluso poiché anche per la cerimonia di elevazione delle spoglie si verificano delle difficoltà: il 23 maggio 1194 con la bolla “Saluti nostrae plurimum” il papa chiede ai vescovi di Arezzo, Siena e Pistoia di effettuare l’elevazione dei resti di Giovanni Gualberto, ma i presuli non possono eseguire il mandato pontificio per l’opposizione dei vescovi di Firenze e di Fiesole per delle vertenze con Passignano che ne conteneva le spoglie.

Finalmente il 27 marzo 1210 con la bolla “In litteris bonae memoriae” il papa Innocenzo III ordinava ai vescovi Giovanni di Firenze e Ranieri di Fiesole, di procedere

11

(12)

12 all’elevazione del corpo del Gualberto; seguiva poi la traslazione avvenuta il 10 ottobre dello stesso anno, alla presenza dell’abate Benigno e di altri abati: dalla cripta dove era stato deposto il 15 luglio 1073, il corpo veniva trasferito sotto l’altare della cappella già preparata da Gregorio.12 Nella successiva ricognizione del 1580 le ossa verranno deposte sotto la statua del Caccini, ove sono tutt’oggi.

Tomba di San Giovanni Gualberto, Badia di Sant’Arcangelo di Passignano, Fiesole (FI)

12

(13)

13 1.2) LA FONDAZIONE DI VALLOMBROSA13

Incontaminazione dalla simonia, ricerca della perfezione, bisogno di solitudine, riscoperta degli influssi patristici di natura eremitica di matrice orientale, volontà di ritornare all’osservanza integrale della Regola benedettina: sono questi i motivi che conducono Giovanni Gualberto a fondare il monastero di Vallombrosa, località montana nella diocesi di Fiesole.

Le Vite scritte da Andrea di Strumi (1092) e dal Discepolo Anonimo (1130 circa) rilevano quanto Giovanni Gualberto si fosse impegnato fin dall’inizio nel fondare un piccolo oratorio nel quale i monaci prima in quantità esigua poi sempre più numerosi, accorrono per vivere in semplicità ed in conformità della Regola benedettina, in virtù della loro autentica vocazione.

Non sappiamo esattamente quanto tempo Giovanni rimanga nel monastero di San Miniato, forse due anni secondo il Discepolo Anonimo, forse dieci (1025-1035) secondo l’opinione più accreditata. Ciò che appare importante è che le fonti biografiche attestano l’elezione simoniaca di Oberto.

Tra il 1035-1037 accade sicuramente qualcosa, tanto da indurre il giovane monaco assieme ad altri a fuggire da lì per ritirarsi a condurre «una vita più perfetta,…una vita santa in un luogo solitario»14. Infatti presso l’Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico di

Vallombrosa ci sono due documenti che dimostrano la fondazione del primitivo monastero,

il primo datato 27 gennaio 1037 attesta la donazione di un appezzamento di terreno da parte del notaio chierico fiorentino Alberto ai monaci stanziati a Vallombrosa in località Acquabella, il secondo del 3 luglio 1039 ci informa che la badessa Itta cede in beneficio alla piccola comunità una porzione di terreno in aggiunta a quello già occupato consentendo l’uso del suolo per la creazione del cimitero, per edificare alcuni fabbricati, per coltivare un orto ed una vigna, il tutto circondato da prati e bosco. La badessa nell’atto precisava che lei diveniva una sorta di protettrice della comunità, che si riservava il diritto di eleggere o deporre il priore o l’abate succeduto a Giovanni, che egli ogni anno doveva portare in segno di sudditanza un cero simbolico all’altare di Sant’Ilario ed una libbra d’olio per la luminaria in occasione della festa del santo.15

Nell’esperienza di questo piccolo oratorio a “misura di Giovanni Gualberto” eremitismo e cenobitismo si fondono.

13 Spinelli, Rossi, «Giovanni Gualberto e la riforma della Chiesa in Toscana», ivi, pp. 29-61. 14 Ivi, pag. 31.

15

(14)

14 L’iniziale scelta eremitica deriva dall’influsso che Camaldoli aveva esercitato sul Gualberto il quale, non trovando l’eremo adatto alle sue esigenze e, su sollecitazione di Teuzzo e col sostegno di Guarino abate di San Salvatore a Settimo, riparte per giungere a Vallombrosa a cui seguiranno altri monasteri che chiederanno di aderire alla comunità gualbertina e di praticarne la stessa osservanza sotto il medesimo abate poiché egli è riconosciuto padre comune. Se allo stadio embrionale secondo i biografi l’eremitismo vallombrosano è «semplicemente ritiratezza dal mondo»16 e ben presto Vallombrosa diviene sinonimo di purezza tanto da essere luogo contemplativo, di integrale applicazione della Regola benedettina ed una rarità nel monachesimo, nella realtà si connota invece come solitudine monastica praticata dalle comunità sorte tra i secoli XI e XII.

1.3) IL TESTAMENTO SPIRITUALE17

Giovanni nel 1073 ormai vecchio, stanco, ammalato e prossimo alla morte si trova nel cenobio di Passignano. Qui convoca i superiori da lui designati a capo delle comunità per dare loro l’ultimo saluto e la benedizione. Dopo averli sollecitati a fare ritorno nei rispettivi cenobi, con lui restano solamente Rustico e Leto abate del cenobio in cui Giovanni si trova oramai morente. Nella settimana stessa del decesso, essi chiedono a Giovanni «di lasciare ai confratelli una esortazione sull’unità nella carità e sulla concordia nella pace»18 poiché ancora prima della sua morte, tra i cenobi che avevano aderito alla riforma trapelava un clima di dissenso che, nel tempo avrebbe potuto minare l’opera compiuta dal Gualberto; infatti l’abate del monastero di San Salvatore a Settimo che a quanto pare aveva aderito alla riforma gualbertina negli anni Quaranta del secolo XI solamente per una “rigenerazione morale” del suo monastero, sarà il primo ad abbandonare l’unione vallombrosana tanto che il cenobio tornerà a connotarsi come monastero feudale appartenente alla famiglia dei conti Cadolingi.

L’eco del fallimento, della delusione e della mortificazione personale di Giovanni per aver perduto il suddetto monastero, compare nella lettera in modo metaforico e con la consapevolezza che quell’episodio non sarebbe stato il solo: «L’amore di molti si

16 Spinelli, Rossi, «Giovanni Gualberto e la riforma della Chiesa in Toscana», ivi, pp. 36-37.

17 Spinelli, Rossi, «Alle origini di Vallombrosa. Giovanni Gualberto nella società dell’XI secolo», pp. 117-121.

Salvestrini, «Vinculum caritatis», in Disciplina caritatis, Roma, Viella, 2008, pp. 186-195. Compagnoni, «Il

testamento di Giovanni Gualberto», in II Colloquio vallombrosano "L’ordo vallisumbrosae tra XII e XIII secolo", Vallombrosa, 25-28 agosto 1996, a cura di G. M. Compagnoni, Edizioni Vallombrosa, 1999, pp.

41-67.

18

(15)

15 raffredderà…..sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi»19.

In realtà l’epistola dalla quale si coglie la volontà di voler lasciare in eredità ai posteri (abati a lui successori e confratelli) il proprio bagaglio spirituale, morale, disciplinare e organizzativo, rappresenta il testamento spirituale di Giovanni da cui emerge un richiamo accorato ma risoluto per mantenere i valori sui quali aveva fondato la sua esistenza ed il “patrimonio Vallombrosa”.

Nella lettera dopo l’iniziale saluto Giovanni si richiama al «vinculum caritatis»20

o meglio alla carità, da intendersi come legame nato e consolidato tra lui ed i vari discepoli/monasteri; tra i monaci, tra i cenobi stessi che pur nella propria autonomia di gestione formavano un “corpo unico”.

Comportarsi secondo la carità significa essere benevoli, condividere tutto ciò che appartiene al monaco, essere sinceri, aiutarsi reciprocamente in qualunque situazione di bisogno non solo materiale, amarsi senza risparmiarsi perché l’esempio più alto e da imitare è Cristo. Il comportamento del monaco deve nascere dalla carità e ritornare alla carità perché «Se sono molti i rami delle opere buone, una sola è la radice: la carità»21, virtù propriamente cristiana praticata verso chiunque, laico o ecclesiastico.

É l’amore di Dio dunque che guida ogni momento del “cammino” di Giovanni: a Giovanni ancora laico, per aver perdonato l’assassino di un suo stretto congiunto ponendo così fine al susseguirsi della faida familiare come fa notare Francesco Salvestrini, si inchina in esplicito assenso Gesù crocifisso nella chiesa di San Miniato come raccontano i biografi; Giovanni prossimo alla morte, si appella al Salvatore emblema della carità per “salvare” e conservare l’unione dei confratelli e dei vari monasteri. In tale situazione il richiamo all’Evangelo quale conforto del padre morente è d’obbligo: la lettera dettata ai confratelli pare improvvisata, ma in realtà per spiegare la carità Giovanni ricorre ad un’accurata erudizione derivata dai passi della Scrittura e dai Padri (Gv, Gc, Mt, Pt, Fil, Col, Gregorio, Agostino) rivelandosi un uomo di notevole cultura nonostante Andrea di Strumi nella narrazione lo qualifichi «inscius litterarum et quasi idiota»22. Le angosce e le preoccupazioni che attanagliano Giovanni trapelano anche nella parte conclusiva

19 Spinelli, Rossi, «Giovanni Gualberto e la riforma della Chiesa in Toscana», ivi, pag. 45; «Lettera sulla

carità», ivi, pp. 117-119.

20 Compagnoni, « Lo sviluppo delle strutture costituzionali vallombrosane dalle origini alla fine del '200», in

II Colloquio vallombrosano, pp. 41-72. Salvestrini, «La strutturazione dell’Ordine dalle Origini al

Capitulum generale del 1216», in Disciplina caritatis, pp. 186-192.

21 Spinelli, «Lettera sulla carità», ivi, pag. 118.

22 Compagnoni, «Lo sviluppo delle strutture costituzionali vallombrosane dalle origini alla fine del '200», in

(16)

16 dell’epistola poiché suggerisce l’indicazione pratica di dover obbedire al successore da lui designato, Rodolfo, a cui i discepoli dovranno prestagli ubbidienza come avevano fatto con lui ancora in vita per proseguire la gestione della sua opera: è l’ultimo desiderio del Santo vicino alla morte. Le volontà di Giovanni riecheggiando nella mente del nuovo abate (1073-1076) gli permettono di attuare la prosecuzione del volere del Santo convocando a San Salvatore a Settimo gli abati dei monasteri vallombrosani e molti confratelli. Il Discepolo Anonimo nella Vita riferisce lo svolgimento di quello che può essere chiamato il primo Capitolo generale vallombrosano, caratterizzato non dalle norme giuridiche in quanto inesistenti ma da un aspetto ascetico, pratico, di commemorazione verso il padre spirituale e di ricordo verso l’antico cenobitismo di origine orientale: tale aspetto continuerà a permanere ancora per tutto il secolo XI: la «memoria primi patris».

1.4) STRUTTURA INTERNA, REGOLE, ORGANIZZAZIONE: DALLE ORIGINI ALLA METÁ DEL XIII SECOLO23

Prima di affrontare l’argomento è da chiedersi se sia lecito parlare di struttura interna, regole e organizzazione dei cenobi vallombrosani dal momento che il fondatore non aveva provveduto alla codificazione di norme scritte regolatrici in quanto non aveva forse mai pensato e ipotizzato una futura congregazione.

Andrea di Strumi nella sua narrazione descrive:

1) l’osservanza della prima comunità vallombrosana. Grazie alle notizie fornite possiamo avere un quadro sufficientemente esaustivo del progetto monastico del fondatore: tipologia dell’abito, povertà, ascesi, vita ritirata (clausura), preghiera, lavori manuali nei limiti tali da non ostacolare la preghiera costituiscono il retaggio ideologico, spirituale e disciplinare di Giovanni Gualberto. Tali aspetti erano da lui inculcati e pretesi in quanto egli era esempio e non si risparmiava in nulla; era severo, risoluto ma benevolo, agli occhi dei suoi discepoli era il padre, venerato e obbedito per autorità morale e per il suo magistero, era a capo di una entità unitaria soggetta ad una medesima osservanza e ad una stessa disciplina; le disposizioni

23 Salvestrini, «La struttura dell’Ordine dalle origini al Capitulum generale del 1216», in Disciplina

caritatis, pp. 181-244; Compagnoni, ivi, pp. 33-181; Vasaturo, «Acta Capitulorum generalium Congregationis Vallis Umbrosae I », Roma, Edizioni di Storia e di Letteratura, 1985, pp. XXVII-XXXIII.

(17)

17 date erano ben presenti e seguite implicitamente in virtù della personalità carismatica del fondatore.24

2) Le funzioni dell’abate, mantenute nel tempo anche quando l’Ordine ricorrerà a strutture normative. Giovanni nominava i superiori delle case e gli abati, trasferiva i monaci da una comunità all’altra, visitava i vari cenobi «a fini di controllo, di conforto e di insegnamento»25 per verificare che la Regola ed il regime di povertà fossero osservate in maniera scrupolosa, accettava i probandi, rimproverava e puniva i trasgressori.26

3) L’elezione abbaziale27. Prassi elettiva confermata da Urbano II nella bolla pontificia ratificando che l’abate venisse eletto a vita dal Capitolo generale per unire il governo del monastero di Vallombrosa a quello della congregazione, soluzione che permetteva di mantenere la coesione di un movimento utile alla Riforma tanto da essere riconfermata da Pasquale II nel 1115.28

Per l’unione vallombrosana il 1073 è un anno cruciale: si chiude «la fase eroica e carismatica»29 e muore Giovanni Gualberto. I Vallombrosani avvertono la necessità di perpetuare l’osservanza della disciplina istituita dal fondatore, ciò giustifica la riunione informale degli abati tenuta a San Salvatore a Settimo per volontà dell’abate Rodolfo per «confermare i vincoli di fraternità nel ricordo del padre comune».30 Nei decenni successivi i Vallombrosani impostano la loro unione secondo strutture caratterizzate da indicazioni di alto significato morale e religioso: il vinculum caritatis, insieme di norme ascetico-giuridiche che il pater aveva attinto dalle Sacre Scritture, dai testi patristici e di tradizione monastica, poi tradotto concretamente in tre punti fondamentali: il vinculum principio puramente concettuale e astratto, la fraterna unitas espressione fisica e concreta del

vinculum stesso, la custodia come protezione ed eredità da tramandare da un successore

all’altro dell’unità tra confratelli. Questa struttura e al contempo modalità di aggregazione derivava dalla posizione antisimoniaca di Giovanni, in quanto solo la carità poteva opporsi all’ambizione e alla brama di ricchezza che alimentava il commercio delle dignità ecclesiastiche.

24 Spinelli, Rossi, ivi, pp. 73-77.

25 Salvestrini, «La struttura dell’Ordine dalle origini al Capitulum generale del 1216», ivi, pag. 184. 26 Spinelli, Rossi, ivi, pp. 74, 76, 80.

27

Spinelli, Rossi, ivi, pag. 76.

28 Compagnoni, «L’abate maggiore», in II Colloquio vallombrosano, pp. 130-157.

29 Compagnoni, « Lo sviluppo delle strutture costituzionali vallombrosane dalle origini alla fine del '200»,

ivi, pag. 67.

30

(18)

18 A circa venti anni dalla morte di Giovanni il movimento vallombrosano non ha ancora una vera e propria struttura giuridica e normativa ben definita, ma ad assicurarne l’unità era il

conventus abbatum che oltre a evocare la memoria del pater era intento fin dall’XI secolo

ad esprimere la nuova idea di congregazione intesa come una federazione di monasteri vallombrosani sparsi nelle varie diocesi esenti dal controllo del vescovo. Si ipotizza che tra i secoli XI e XII l’assemblea avesse solo un potere legislativo e non esecutivo in quanto l’attuazione delle decisioni prese in comune spettava alla volontà dei superiori locali e, in virtù dell’esenzione, alla Santa Sede era riservato il potere esecutivo inviando vescovi o cardinali, potere trasmesso dagli alti ecclesiastici sia all’assemblea che all’abate di Vallombrosa.31 Dalla seconda metà del 1200 il Capitolo generale si amplia quasi “modernizzandosi” con l’introduzione a fine secolo dei conversi e dei definitori, questi ultimi in base alle disposizioni del 1258.32 Riguardo invece la periodicità delle convocazioni forse fin dalle origini ne era stata stabilita l’annualità, ma nella realtà ciò non sarà possibile come ben dimostra la carenza documentaria a causa di incendi, devastazioni e incuria umana; inoltre si ipotizza che i decreti prodotti dall’assemblea, avendo un carattere contingente non fossero conservati nei monasteri ma venissero volta volta sostituiti dai più recenti33.

Dalla fine del secolo XI emerge un dato nuovo: i documenti attestano la nuova dizione di Congregazione di Vallombrosa. Il più antico atto in cui compare tale attestazione risale al 1084: è il documento di fondazione del monastero di Forcole nella diocesi di Pistoia. L’atto è poco chiaro nel suo contenuto, ma è importante perché il termine «congregatio»34

vi compare nella doppia forma di singolare/plurale, dunque con un doppio significato: al singolare sembra indicare ciascuna casa, al plurale designa invece l’insieme delle comunità.

Solamente con la bolla di Urbano II del 6 aprile 1090 si riconosce ufficialmente l’esistenza giuridica e istituzionale della congregazione vallombrosana, nonostante tale espressione sia ancora incerta e con più significati. Con essa il papa tenta di chiarire la situazione giuridica, istituzionale del movimento vallombrosano e di disciplinarlo a causa della sua

31 Vasaturo, «Acta Capitulorum generalium Congregationis Vallis Umbrosae I », Roma, Edizioni di Storia e

di Letteratura, 1985, pp. X XX-XXXI.

32 Compagnoni, «Il capitolo generale», ivi, pp. 200. 33 Vasaturo, ivi, pp. XXVII-XXXIII.

34 Compagnoni, «Lo sviluppo delle strutture costituzionali vallombrosane dalle origini alla fine del '200»,

(19)

19 «natura eversiva»35, definisce il ruolo di Vallombrosa cenobio principale e «caput»36 perché legato al fondatore, stabilisce che l’abate di Vallombrosa eletto da tutti gli abati dei monasteri sia considerato il «superiore»37 dell’intera congregazione precludendone qualunque influsso e “manipolazione” esterna del laicato; nella stessa enumera i monasteri dipendenti da Vallombrosa (ben 15 escluso San Salvatore a Settimo ritornato ai fondatori Cadolingi).

Ma il cammino per chiarire il significato del termine congregazione è ancora lungo e artificioso, neppure il privilegio del 1115 concesso da Pasquale II lo chiarisce esattamente. Dal 1130 i papi susseguitisi sul soglio pontificio ad iniziare da Innocenzo II, nonostante la cura nel differenziare la posizione di Vallombrosa rispetto agli altri monasteri dell’unione e pur specificando le modalità di relazione fra gli stessi in termini di «proprietà e dipendenza»38, quali forme di «emanazione della casa madre stessa»39, lasciano imprecisato il significato del termine; soltanto nel 1188 papa Clemente III connota il termine congregazione in modo inequivocabile: insieme delle fondazioni vallombrosane come entità giuridica autonoma.

I privilegi emanati dai pontefici a partire da quello di Urbano II avevano concesso ai monasteri immunità, protezione, esenzioni, privilegi, in cambio della verticalizzazione per togliere al movimento quel carattere eversivo che aveva avuto inizialmente. La visione gerarchica proposta ma soprattutto imposta dalla Santa Sede emerge però solamente nei privilegi da essa concessi: infatti l’espressione caput non viene recepita negli atti dei Capitoli generali ma solo nel Capitulum Viterbiense del 125840, documento altamente significativo perché segna un momento fondamentale nel cammino contraddittorio e travagliato dei Vallombrosani.

Se dagli inizi del XII secolo i Vallombrosani codificano le loro tradizioni liturgiche ed il loro modus vivendi elaborando le Consuetudini e le Costituzioni per non perdere il patrimonio spirituale, morale, normativo e disciplinare istituito dal fondatore e uniformare l’istituzione caratterizzandola tra il 1090 ed il 1110 da un pragmatismo comunitario espresso dalla caritas, dall’obedientia e dal contemptus mundi41, alcuni monaci si

35 Salvestrini, «La struttura dell’Ordine dalle origini al Capitulum generale del 1216», in Disciplina

caritatis, pag. 198.

36 Salvestrini, ivi, pag. 212; Compagnoni, ivi, pag. 93.

37 Spinelli, Rossi, «Giovanni Gualberto e la riforma della Chiesa in Toscana», ivi, pag. 47. 38

Compagnoni, ivi, pp.102,105.

39 Salvestrini, ivi, pag. 211. 40 Salvestrini, ivi, pp.181-219.

41 Salvestrini, «Nascita ed espansione del monachesimo vallombrosano: i “caratteri originali”», in I Vallombrosani

(20)

20 contraddistinguono per la poca serietà morale e disciplinare: obbedienza, carità, povertà, astinenza, ospitalità, stabilità sembrano essere osservati sempre meno come avevano segnalato il Capitolo del 1226 nel Canone XII (In singulis regnis) del IV Concilio Lateranense tenutosi dieci anni prima, i verbali dei Capitoli generali ed i pontefici che sin degli anni Ottanta del secolo XII avevano sollecitato gli interventi dell’abate maggiore. Ne seguirà una riforma correttiva per procedere al risanamento dell’Ordine vallombrosano attuata da papa Alessandro IV, emanando il 21 maggio 1258 una serie di decreti in una «littera»42 nota con l’appellativo di Capitulum Viterbiense il cui intento era quello di non abrogare la legislazione prodotta quarant’anni prima e di istituire alcune figure coadiuvanti l’abate maggiore nell'esplicamento delle sue funzioni: i visitatori affiancati dal procuratore generale e dai definitori; di non voler scardinare l’originaria fisionomia vallombrosana basata sulla caritas e sulla fraternitas in quanto nelle intenzioni del papa c’era la “buona fede”; di attuare una riforma morale e disciplinare dell’Ordine adeguandolo ai tempi, alla situazione storica e politica in evoluzione.

In realtà il documento non aveva suscitato l’effetto sperato dal pontefice perché l’atto legislativo era stato percepito dall’Ordine come un inaccettabile «atto di imperio»43

tanto che nel 1282 avverrà una parziale abrogazione delle norme contenute, per giungere poi nel XIV secolo alla sostituzione totale. La crisi vallombrosana iniziata nel XIII secolo era infatti il sintomo dell’inadeguatezza di quella esperienza a rispondere alle esigenze spirituali emergenti soprattutto nei ceti popolari. Essi che nel frattempo stavano acquistando un peso crescente nei nuovi centri di potere politico dei Comuni, si sentivano spiritualmente più vicini alle nuove forme di vita religiosa sorte nel secolo XIII (gli Ordini Mendicanti) che non ai monaci di un Ordine come quello vallombrosano, che appariva incanalato quasi per “inerzia” in strutture tradizionalmente feudali.44

42 Compagnoni, ivi, pag. 179. 43 Compagnoni, ivi, pag. 184. 44

(21)

21

2) L’ESPANSIONE GEOGRAFICA

45

Lo sviluppo dei monasteri vallombrosani si verifica dalla seconda metà dell’XI secolo e per tutto il XII, le tappe sono rintracciabili nelle bolle pontificie. Il primo documento papale che sicuramente contiene un elenco del genere è la bolla di Vittore II del 1055-1056 che purtroppo è andata perduta; il successivo è la bolla di Urbano II del 1090 che indirizzata ai «dilectissimis filiis universae Vallis Umbrosanae congregationis»46, enumera quindici monasteri oltre a Vallombrosa. A seguire troviamo i privilegi papali di Pasquale II del 1115 che elenca ventisette monasteri, di Anastasio IV del 1153 che ne conteggia cinquantuno, di Alessandro III del 1176 che ne elenca cinquantaquattro, per giungere a ben sessantuno monasteri nel 1199 con la bolla emessa da Innocenzo III.

Esaminando le bolle pontificie con le relative quantificazioni dei cenobi, emerge uno sviluppo progressivo e rapido fino alla metà del secolo XII ed un rallentamento nel periodo compreso tra la seconda metà del secolo XII e gli inizi del XIII. Questo processo “involutivo” può essere imputato a diverse cause: forse la presenza di altri Ordini monastici sorti nel clima di rinnovamento della Chiesa e una “forza propulsiva” più contenuta che fa astenere i Vallombrosani da «azioni fanatiche e radicali»47, tanto da renderli più disciplinati in virtù delle bolle pontificie e del processo di istituzionalizzazione; un minor rigore disciplinare e morale nel XIII secolo che non passa inosservato agli occhi di chi, sensibile alla “sana spiritualità e alla fiorente propaganda” promossa dagli altri Ordini religiosi, si sente meno soddisfatto spiritualmente e forse meno invogliato nelle donazioni “pro remedio animae”; una cattiva gestione del patrimonio fondiario da parte di alcuni abati che “aveva corroso” la prospera economia quale base del mantenimento e dell’espansione della comunità; infine gli onerosi tributi che esigeva la Curia apostolica.

Comunque nonostante i momenti di stasi o di “regressione” si quantifica circa «200 fra abbazie, monasteri, priorie, semplici spedali, fondati, riformati o temporaneamente

45 I Colloquio vallombrosano, pp. 179-238; 259-263. II Colloquio vallombrosano, pp. 595-901. Kurze,

«Scritti di storia toscana», a cura di M. Marrocchi, Pistoia, Società Pistoiese di Storia Patria, 2008, pp. 267-286. Moretti, «Architettura romanica vallombrosana nella diocesi medievale di Pistoia», in Estratto da «Bullettino Storico Pistoiese», anno XCII, terza serie - XXV, Pistoia, Società Pistoiese di Storia Patria, 1990, pp. 4-6. Salvestrini, «I Vallombrosani in Liguria», pp.7-35; 61-68; 103-107; «I Vallombrosani in

Lombardia», ERSAF, 2011, pp.14-29; «I Vallombrosani nel Piemonte medievale e moderno», Viella, 2014,

pp.12-18. Vasaturo, «L’espansione della Congregazione Vallombrosana fino alla metà del secolo XII», in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», XVI, 1962, pp. 463-471.

46 Moretti, «L’architettura vallombrosana delle origini», in I Colloquio vallombrosano, pag. 243.

47 Kurze, «La diffusione dei Vallombrosani. Problematica e linee di tendenza», in Scritti di storia toscana,

(22)

22 occupati dalla congregazione»48 vallombrosana secondo I. Moretti oppure come attesta G. Spinelli «circa 80 monasteri autonomi con le relative case dipendenti, duecento priorati e 30 ospizi»49; ma al di là delle cifre che non coincidono, l’elevata quantità di insediamenti era conseguenza della “catena” prodotta dalla irradiazione dei cenobi ossia dal metodo di aggregazione che comportava una «subiectio»50 immediata o mediata a Vallombrosa. L’estensione con l’eccezione di alcuni cenobi in Corsica ed in Francia (monastero di Chésal-Benoît nella diocesi di Bourges con gli annessi priorati, chiese o cappelle da questo dipendenti), rimane circoscritta al territorio italiano seppur in modo diversificato: l’alta quantità di fondazioni nel centro-nord decresce man mano che lo sguardo volge all’Italia meridionale ed insulare, tanto che le fondazioni vallombrosane erano piuttosto numerose in Toscana (quasi la metà del totale) e nell’Italia settentrionale (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia, Romagna, Liguria); ridotte in Sardegna, in Corsica, in Umbria ed esigue nel Lazio. La notevole diffusione nell’area padana era stata conseguenza di più fattori: il ruolo svolto da Matilde di Canossa nel panorama politico e della riforma ecclesiastica poiché per fronteggiare il potere imperiale nei suoi domini toscani aveva occupato luoghi strategici imperiali come ad esempio il castello di San Miniato al Tedesco in Valdarno e aveva promosso strumenti di potere marchionale compresi i monasteri in Toscana, in Emilia, nell’area lombarda e nel Piemonte; il connotarsi dei monaci riformati come esponenti in prima linea del movimento riformatore legati fin dai tempi del Gualberto alla pataria milanese, tanto da inviare monaci e chierici regolarmente ordinati nell’area padana affinché somministrassero “validi” sacramenti alla popolazione; il ruolo svolto da Bernardo degli Uberti superiore generale dell’Ordine, cardinale legato apostolico in Lombardia, primo organizzatore della rete monastica vallombrosana, consigliere personale di Matilde e vescovo di Parma dal 1106 e da Atto che tramite la rete di relazioni da lui tessuta, favorisce l’espansione in Sardegna, in Toscana e nell’area lombarda.51

A livello storiografico l’espansione dell’Ordine vallombrosano nelle diverse aree geografi-che è stato oggetto di interesse e di studio sia da parte della storiografia tradizionale, sia della memorialistica dell’Ordine che degli studi locali nonché accademici; molti testi hanno esaminato lo sviluppo delle fondazioni in Toscana e nel nord Italia; mentre un

48 Moretti, «Architettura romanica vallombrosana nella diocesi medievale di Pistoia», in Estratto da

« Bullettino Storico Pistoiese », anno XCII, terza serie - XXV, Pistoia, Società Pistoiese di Storia Patria, 1990, pag. 5.

49 Spinelli, Rossi, «Schede storiche», ivi, pag. 159.

50 Compagnoni, «Lo sviluppo delle strutture costituzionali vallombrosane dalle origini alla fine del '200», in

II Colloquio vallombrosano, pp. 105-130.

51

(23)

23 numero crescente di studi ha posto l’attenzione verso le altre fondazioni sorte in Umbria, in Sardegna e nel Lazio.

Gli studi vallombrosani fino allo stato attuale hanno ben evidenziato che il prolificare delle fondazioni era il modo più sicuro ed efficace per rafforzare l’Ordine dal punto di vista istituzionale, per accrescerne il prestigio e forse anche per tentare di porre un freno al dilagante fenomeno della simonia e alla immoralità del clero, conferendo alla casa madre di Vallombrosa e all’abate generale un maggior potere.

Tuttavia finché il numero delle fondazioni risultava limitato e concentrato in poche diocesi, per la casa madre era difficoltoso imporsi nonostante l’appoggio della santa Sede suprattutto verso monasteri famosi quali San Salvi e Passignano ma, con l’espansione nell’Italia padana e settentrionale le fondazioni mediate ed immediate progressivamente acquisite, guardavano a Vallombrosa per avere una struttura gerarchica autonoma ed un coordinamento svolto dal centro per meglio “fronteggiare” gli altri Ordini che stavano nascendo come ad esempio i Cistercensi.

Se gli storiografi vallombrosani del XVII secolo attivi nelle sedi lombarde danno importanza alle fondazioni periferiche, è nel 1800 che in virtù dello sviluppo storiografico conseguito alle ricerche di alcuni abati e monaci dell’Ordine come ad esempio Emiliano Lucchesi, che la storiografia si amplia arricchendosi di monografie correlate da studi di repertorio relative alle varie fondazioni, di studi locali attuati da sacerdoti e laici e dai primi del Novecento, contribuiscono studi di storia dell’arte e di architettura. Di recente invece la ricerca si è orientata su più versanti: sul rapporto tra movimento gualbertino e patarinico, su alcune “colonne portanti” come ad esempio Bernardo degli Uberti e Atto di Pistoia; sui cenobi ed i rapporti stabiliti con l’aristocrazia locale o tra confratelli; sulla presenza di centri di assistenza dipendenti dai cenobi che oltre ad assolvere alle funzioni per le quali erano nati verso pellegrini e viandanti, erano anche “veicoli di trasmissione” della vocazione religiosa verso il laicato come ben dimostra la categoria dei conversi, i quali dovevano anche soddisfare bisogni familiari contingenti e pratici.

Negli ultimi tempi le conoscenze acquisite e le prospettive di indagine sono caratterizzate dalla integrazione/comparazione dei vari studi, dalla produzione di tomi storiografici collettivi promossi dall’Ordine stesso quali gli Atti dei Colloqui vallombrosani che hanno contribuito in maniera differente e specifica alla trattazione di svariate tematiche ma che purtroppo hanno dovuto scontrarsi/confrontarsi con la carenza o mancanza di documenti non ancora editi o lacunosi nelle informazioni nonostante trattassero zone geografiche ricche di significative e precoci fondazioni. Gli studiosi vi hanno contribuito portando

(24)

24 l’attenzione sia su alcune aree geografiche diversamente estese: Giovanni Spinelli52

sull’alta Italia, Monzio Compagnoni53

sulla diocesi di Milano, Dorino Tuniz54 su Novara, Casagrande e Czortek su Città di Castello e Todi55, sia su zone piuttosto vaste quali il Piemonte, l’Emilia e la Romagna, la Sardegna delineando il percorso o la storia dei monasteri fondati o acquisiti dall’Ordine; attualmente contributi di rilievo sono stati apportati dalle opere prodotte da Francesco Salvestrini delle quali è stato fatto ampio uso. Altro aspetto trattato dalla storiografia sull’espansione riguarda i fondatori dei cenobi privati e la successiva acquisizione o rifondazione da parte di Giovanni Gualberto: essi appartengono ad uno status sociale elevato, ceto dirigente cittadino, aristocrazia rurale e comitale impegnata a limitare il potere vescovile/imperiale, categorie diverse per il ruolo da esse svolto nella società dell’XI-XII secolo ma accomunate da fervore e pietà religiosa nate già dal tempo della Riforma, da interessi familiari e politici, dall’ideologia del risanamento morale della Chiesa, dal desiderio di serenità nella vita ultraterrena in quanto tramite le donazioni e la promozione di opere misericordiose l’incontro con Cristo ed il vivere la “vera vita”, quella eterna in Paradiso, sembravano concretizzarsi anziché essere un lontano miraggio. Infine nella storiografia connessa all’espansione rilevante è l’esamina delle strategie insediative e la scelta del «sito degli insediamenti monastici»56 trattati ampiamente da Italo Moretti nella sua produzione secondo cui solo motivi, scelte ed esigenze ben ponderate potevano incidere su una diversa ubicazione territoriale: il rapporto con le principali vie di comunicazione stradali e fluviali; la necessità di opere assistenziali verso i bisognosi, i pellegrini ed i viandanti; il modificarsi delle relazioni tra i religiosi e la popolazione circostante in seguito ai cambiamenti politici, sociali ed economici che avevano portato ad una maggiore diversificazione di classi in concomitanza allo sviluppo dell’economia monetaria e al sorgere del Comune cittadino.

2.1) L’ESPANSIONE GEOGRAFICA IN TOSCANA

L’esordio dell’espansione vallombrosana (circa quaranta monasteri) avviene dall’XI al XII secolo in Toscana soprattutto nelle diocesi di Fiesole e Firenze ed in Romagna nelle

52 Spinelli, «Note sull’espansione vallombrosana in alta Italia», in I Colloquio vallombrosano, pp. 179-201. 53 Compagnoni, «Fondazioni vallombrosane in diocesi di Milano. Prime ricerche», in I Colloquio

vallombrosano, pp. 203-238.

54 Tuniz, «Testimonianze vallombrosane a Novara», in I Colloquio vallombrosano, pp. 259-265.

55 Casagrande, «I Vallombrosani in Umbria: i monasteri di Città di Castello», in I Colloquio vallombrosano,

pp. 841-883.

56

(25)

25 diocesi di Faenza e Bologna, aree relativamente circoscritte rispetto a quella padano-lombarda ma poste sulla stessa dorsale appenninica in stretto contatto con Vallombrosa. Se Andrea di Strumi nella sua agiografia su Giovanni Gualberto fornisce informazioni preziose (con un’ottica soggettiva) sulla diffusione dei cenobi in Toscana, W. Kurze57

tratta l’espansione vallombrosana con modalità oggettive, critiche e rigorose, facendo notare che Giovanni Gualberto successivamente alla fondazione di Vallombrosa e fino al 1073, istituisce e riforma altri otto monasteri con un totale di nove cenobi durante i suoi trentacinque anni di vita con la media di un monastero ogni quattro anni. Ciò fa pensare ad una forza spirituale poco intensa, alla necessità di un periodo di avviamento/socializzazione/diffusione delle idee gualbertine nonché di diffusione di quella personalità fuori dal comune nonostante la sua accresciuta notorietà. Ciò che colpisce leggendo il testo dello storico tedesco è il “rapporto inversamente proporzionale” creatosi tra il crescere della notorietà del religioso fiorentino ed il numero decrescente delle fondazioni in Toscana dalla seconda metà del secolo XI, i dati matematici sono di per sé esplicativi: sei fondazioni/rifondazioni esclusa Vallombrosa entro la prima metà dell’XI secolo: Settimo, Moscheta, Razzuolo, Montescalari, San Salvi e Passignano, contro le due sole acquisizioni Marradi e Fucecchio durante gli ultimi venti anni della sua vita. Lo storico addita il 1050 come anno cruciale, capace di fornire delle spiegazioni: un anno prima sale al soglio pontificio Leone IX, un papa che auspicava dei miglioramenti riformistici facendo leva sulla comprensione del fenomeno e sulla mitezza dei riformatori, aborriva dunque qualsiasi atteggiamento estremo. Nel Concilio convocato a Roma nel 1050 chiede il sostegno per i suoi intenti riformatori ai monaci vallombrosani, sarà Leto di Passignano uomo altamente stimato da Giovanni Gualberto a parteciparvi e ad appoggiarlo in considerazione che interessava ad ambo le parti creare dei rapporti costruttivi e collaborativi, come dimostrerà l’incontro avvenuto nello stesso anno a Passignano tra Giovanni ed il pontefice di passaggio a Firenze. Le fonti tacciono sul contenuto dell’incontro ma si pensa che Leone IX abbia confermato Giovanni nelle attività, nell’organizzazione di Vallombrosa e nell’organizzazione delle istituzioni da lui create o riformate e che sia avvenuta la denominazione quale capo di Vallombrosa da «prepositus ad abbas»58 connotata dalla ricerca intorno al 1050, in cambio di un comportamento morigerato, concezione acquisita e mutata nel tempo da parte del monaco riformatore forse

57 Kurze, «Scritti di storia toscana», pp. 139-155; 174-187;189-200; 267-313.

58 Kurze, «La diffusione dei Vallombrosani. Problematiche e linee di tendenza», in II Colloquio

(26)

26 per “comodità”, forse per l’avanzare dell’età oppure perché lo stesso pontefice avversava “atteggiamenti turbolenti”, che riemergeranno da parte dei Vallombrosani negli anni Sessanta del secolo XI nella protesta contro il vescovo di Firenze Pietro Mezzabarba, accusato dai monaci di simonia. Ma al di là delle ipotesi che si possono formulare circa i cambiamenti tra i due periodi che vedono il 1050 come spartiacque, ci soccorrono ancora una volta i dati scientifici e oggettivi perché documentati, fornendoci le dovute spiegazioni: dei monasteri divenuti vallombrosani entro il 1050, cinque erano nuove fondazioni sorte su proprietà terriere donate per tale proposito (Vallombrosa, Moscheta, Razzuolo, San Salvi e Montescalari); Settimo era un monastero riformato appartenente alla famiglia dei Cadolingi; Passignano era un monastero di famiglia edificato nel IX secolo anticipando “l’uso” della fondazione dei monasteri nobiliari tipica del secolo successivo. Era un monastero florido economicamente, sorgeva sulla strada che collegava Firenze con Siena conducendo alla Via Francigena, per Giovanni era “il prediletto”: lì vivrà la maggior parte degli ultimi anni della sua vita, vi accoglierà papa Leone IX, si farà seppellire, lì vi sarà l’elevazione delle spoglie. Nel fondo diplomatico di Passignano non esiste sempre secondo lo storico sopracitato una fonte che attesti il passaggio dell’abbazia al fondatore vallombrosano o all’Ordine, ma dallo studio dei documenti prodotti e studiati attestanti la vita anche economica del monastero e dal rilascio di una lettera di protezione da parte dell’imperatore Corrado II nel 1038, appare chiaro che l’abbazia non era in un periodo di decadenza come solitamente piace affermare agli storici vallombrosani.

L’esclusività il Kurze la spiega ricorrendo a vecchie relazioni di parentela con i patroni del cenobio; alle modalità relazionali/comportamentali avute da Giovanni verso alcuni monaci dell’abbazia, in particolare con Leto, uomo di grande capacità, di fiducia e consigliere di Giovanni che può averlo indotto con valide proposte e motivazioni ad attuare dei cambiamenti nella politica di aggregazione dei monasteri; alla vicinanza del monastero, 5 Km dal castello di Petroio, luogo di nascita e della giovinezza di Giovanni, elementi che avevano creato una situazione favorevole per il trasferimento del monastero all’Ordine vallombrosano e più che sufficienti a spiegarne l’attaccamento di Giovanni, tanto da preferirlo perfino in punto di morte a Vallombrosa come luogo di sepoltura.

Il rapporto creatosi con questo monastero ed il mutamento di concezione avvenuto nel corso del tempo, portano Giovanni a ritenere più congruo impossessarsi e riformare abbazie già esistenti con una notevole quantità di beni e favorevolmente inserite nell’ambiente in cui erano sorte, piuttosto che fondare nuove comunità oltremodo impegnative perché necessitavano di un lungo processo di avviamento per giungere al

(27)

27 soddisfacimento dei suoi propositi; ciò spiega l’attenzione ed il comportamento di Giovanni negli ultimi venti anni circa della sua esistenza verso quei monasteri efficienti economicamente, Santa Reparata di Marradi fondato dalla famiglia comitale dei Guidi e San Salvatore di Fucecchio fondato dai Cadolingi.

Rodolfo succeduto a Giovanni, nei tre anni del suo abbaziato annette alla congregazione dei monasteri già esistenti, riformandoli: Santa Maria di Conèo, San Salvatore di Vaiano e San Salvatore di Fontana Taona.

Il successore Rustico abate per ventidue anni amplia la congregazione aggiungendovi altri monasteri, alcuni in Romagna, con la perdita tuttavia di Settimo separatosi dalla stessa per ritornare ai Cadolingi, primitivi fondatori.

Il periodo successivo compreso tra la fine del secolo XI e l’inizio del XII è un periodo di decadenza sia per la casa madre che per la congregazione, è caratterizzato dall’abbaziato di Bernardo degli Uberti considerato dalla storiografia il secondo padre fondatore per la sua volontà di rinnovamento nell’ambito congregazionale volta ad una più rigida organizzazione centralistica e per una notevole espansione dell’Ordine verso l’Italia settentrionale che secondo Kurze non darà i frutti sperati nell’immediatezza ma successivamente, forse perché i tempi erano ancora poco maturi.

Se lo storico tedesco prosegue la sua trattazione storiografica avvalendosi della scienza statistica con gli annessi grafici e di un metodo comparativo accennando brevemente anche all’espansione camaldolese, Francesco Salvestrini59

guarda oltre poiché pur riprendendo alcune affermazioni del Kurze, le esamina con modalità più ampie e dettagliate, la sua modalità rigorosa ma al contempo chiara ed estremamente lineare prende le mosse dalla tendenza dei Vallombrosani a diffondersi nel territorio limitrofo alla stessa Vallombrosa (Firenze e Fiesole) per trattare subito dopo le due modalità di aggregazione dei monasteri durante gli abbaziati di Giovanni, Rodolfo e Rustico sottolineando al pari del Kurze quanto la modalità di acquisizione concretizzata nell’accogliere monasteri preesistenti da riformare, nel tempo avesse soppiantato quella primitiva di fondare chiostri su terre concesse dai potentati signorili, primo fra tutti Vallombrosa ed a seguire San Pietro di Moscheta (diocesi di Firenze) e San Paolo di Razzuolo (diocesi di Firenze) che con altri monasteri costituiscono la nascita dell’Ordine “allo stato embrionale”. Numericamente maggiori, sulla scia della praticità organizzativa di Giovanni Gualberto sono i monasteri acquisiti con preesistenti comunità di regolari affidati dai rispettivi patroni: San Salvatore

59

(28)

28 di Settimo (diocesi di Firenze), San Salvatore di Fucecchio (diocesi di Lucca), Santa Reparata di Marradi (diocesi di Faenza), San Salvi (diocesi di Firenze), San Cassiano di Montescalari (diocesi di Fiesole) ed infine San Michele di Passignano (diocesi di Fiesole)60.

Alla fine dell’XI secolo prima Rodolfo e poi Rustico protetti dai Canossa, ampliano la rosa dei monasteri con San Salvatore di Vaiano, San Salvatore di Fontana Taona e San Michele in Forcole (tutti nella diocesi di Pistoia) destinati a svolgere un ruolo importante nell’affermazione e nell’espansione dell’Ordine e Santa Maria di Conèo presso Colle Valdelsa (diocesi di Volterra); successivamente si aggiungeranno altri cenobi come ad esempio San Fedele di Strumi (diocesi di Arezzo) e la dipendenza di Santa Maria di Osella, Santa Maria di Rivocesare (diocesi di Firenze, Appennino romagnolo), Santa Maria di Nerana o Tagliafune (diocesi di Fiesole) e San Salvatore di Soffena (diocesi di Fiesole); Santa Maria di Montearmato (diocesi di Bologna), Santa Trinita di Firenze, San Paolo di Pisa, quasi tutti presenti nella bolla del 1090 di Urbano II che ne comprende a questa data ben quindici61; San Lorenzo di Coltibuono (diocesi di Fiesole) e Santa Maria di Montepiano(diocesi di Pistoia) tra l’XI ed il XII secolo62.

Dal secolo successivo il XII, fanno parte della congregazione i cenobi di San Bartolomeo di Cappiano (diocesi di Lucca poi di San Miniato) menzionato per la prima volta nella bolla di Pasquale II del 1115, di San Michele e Benedetto nel Poggio di San Donato in Siena, della Ss Trinità di Alfiano (diocesi di Siena), della Ss Trinità di Spineta (diocesi di Chiusi), di Santa Maria di Pacciana e Santa Maria di Grignano (entrambi nella diocesi di Pistoia) presenti nella bolla del 1115; Santa Mustiola di Torri (diocesi di Siena), Santa Maria di Cavriglia (diocesi di Fiesole); riguardo al monastero di Santa Maria di Vigesimo (diocesi di Firenze) Nicola Vasaturo afferma che rimane sotto la giurisdizione di Passignano fino agli inizi dell’Età Moderna63

.

Dalla prima decade del XII secolo i Vallombrosani superano i confini toscani approdando in area padana e lombarda. L’espansione non avviene dunque parallelamente ma favorita dal contesto e dalle situazioni che avevano portato i monaci riformati a rapportarsi con altre realtà e vicissitudini, come ad esempio l’incontro con la pataria milanese già dalla

60 Ivi, pag. 22.

61 Salvestrini, ivi, pag. 23. 62

Vasaturo, «L’espansione della Congregazione Vallombrosana fino alla metà del secolo XII», in «Rivista di

Storia della Chiesa in Italia», XVI, 1962, pp. 463-471.

(29)

29 seconda metà dell’XI secolo prima ed il ruolo svolto da Bernardo degli Uberti dopo, la presenza dei Camaldolesi nel sud-ovest della Toscana che limiterà il sorgere di fondazioni vallombrosane; strategie insediative forse non pianificate ma condizionate oltre che dalla realtà contingente anche da scelte compiute dai vescovi che vicendevolmente si susseguono nel governo delle diocesi: lo dimostrano i vescovi fiesolani che non erano riusciti a contenere il dilagare dei Vallombrosani i quali nel giro di circa un secolo avevano ereditato e inglobato le presenze benedettine locali, oppure i presuli pistoiesi che sostenuti dalla casata canossana (Pietro abate di Fucecchio) o divenuti tali per il verificarsi di una serie di circostanze politiche nel governo della diocesi (Atto) avevano conseguito il successo. Al contrario la curia lucchese con la sua politica morigerata praticata dai vescovi Anselmo I (poi papa Alessandro II) e Anselmo II da Baggio aveva ostacolato il diffondersi del movimento gualbertino; Arezzo che si era mostrata solidale con Pietro Mezzabarba e Siena, non favorirà la diffusione di un Ordine visto favorevolmente da Firenze sua nemica ma si farà promotrice nel XIII secolo della prima penetrazione cistercense in Toscana, in un’area confinante con la diocesi di Volterra, politicamente gravitante attorno alla stessa città senese.

(30)

Riferimenti

Documenti correlati

Il biennio successivo, caratterizzato da una forte flessione della domanda interna, ha visto un calo del prodotto più forte nel Mezzogiorno: nel 2013 il PIL vi risultava inferiore al

- che l’Azienda si è riservata la gestione diretta dei servizi, quali ascensore, pulizia, riscaldamento, etc., con addebito dei relativi costi a carico dei conduttori, a seconda

L’Angelica, per celebrare i suoi 40 anni, ha deciso di sostenere la campagna ventennale LA FESTA DELL’ ALBERO, dedicata agli. alberi e alla creazione di nuovi

approccio siffatto prende le distanze dalla disciplina semiotica per avviare una relazione ludica che, nei confronti della lingua d’adozione, è resa possibile dalla correlazione

Toute les patients ont été soumis respectivement à un nombre de séances compris entre deux et quatre sauf une patiente, ayant déjà subit à plusieurs reprises dans un autre hôpital

•Il potenziale di arresto è proporzionale alla frequenza della luce incidente Incoerente con la Fisica Classica !!!.. Diffrazione di luce e

Inoltre, Trecentocinquanta milioni di Km 2 sono ricoperti dalle acque, mentre la superficie delle terre emerse misura circa centocinquanta milioni di Km

La lunga durata del fenomeno ne fa – come scrive Musi nell’introduzione al saggio conclusivo del Prin 20 – uno snodo straordinario della modernità europea, sul quale si