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I brokers trattano meglio gli uomini rispetto alle donne?

Capitolo 3 Scelte e stili di investimento

4.3 I brokers trattano meglio gli uomini rispetto alle donne?

In questo paragrafo conclusivo vorrei analizzare uno studio condotto da Wang P. (1994) sull’atteggiamento degli intermediari finanziari verso i clienti e in particolare nei confronti delle donne investitrici, le quali sarebbero trattate meno seriamente dai brokers, con minori servizi erogati rispetto ai clienti uomini. In particolare gli intermediari spesso non pongono domande chiave circa l’atteggiamento e gli obiettivi dei propri clienti, e non menzionano talvolta né i tassi di rendimento né le commissioni sugli investimenti consigliati. La ricerca ha riguardato 50 tra uomini e donne “tester” che sotto la direzione di una società di ricerche di mercato, sono stati inviati come clienti in diversi uffici di intermediazione nelle aree di Chicago e Los Angeles. I soggetti più giovani, di età compresa tra i 30 e i 45 anni, hanno riferito di avere a disposizione 25.000 $ da investire, quelli più anziani (dai 50 ai 65 anni) 50.000 $. La maggior parte dei brokers (il 79%) erano uomini. La ricerca ha comportato le seguenti scoperte:

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- gli intermediari trascorrono più tempo con i clienti uomini rispetto alle clienti donne: i clienti uomini sono stati intervistati con una media di 47 minuti, 9 minuti in più rispetto alle donne;

- gli intermediari menzionano una varietà più ampia di investimenti ai clienti uomini: in particolare hanno discusso in media di 4 investimenti contro i 3 con le clienti donne;

- gli intermediari tendono a raccomandare ai clienti uomini investimenti più rischiosi con rendimenti più elevati: in particolare hanno consigliato a quasi un terzo degli uomini di investire in azioni, mente solo il 12% delle donne ha ricevuto la stessa raccomandazione; circa un terzo delle donne, tuttavia, sono state indirizzate verso fondi comuni equilibrati, che investono in azioni che pagano dividendi e obbligazioni con cedola a tasso fisso, rispetto ad appena il 14% degli uomini;

- gli intermediari cercano di avere a che fare di più con i clienti uomini: hanno tentato di chiudere un’operazione di vendita con il 94% dei clienti uomini, contro l’80% delle donne e nei commenti con i clienti “tester”, diversi brokers hanno espresso una preferenza netta ad avere a che fare con gli uomini. Quattro hanno chiesto di parlare con i mariti delle clienti donne o chiesto loro di tornare con il coniuge, mentre nessuno degli intermediari ha invitato i clienti uomini a tornare con le mogli. Un broker ha persino confidato a un cliente uomo: “Una situazione tipica nelle famiglie è che siano gli uomini a prendere le decisioni finanziarie” e ha aggiunto: “Non significa essere sessista”;

- nonostante il loro trattamento da clienti di “seconda classe”, le donne tendevano comunque a essere più soddisfatte dei loro intermediari rispetto agli uomini: il 28 % delle donne ha riferito di essere “molto soddisfatta” del servizio ricevuto, contro solo il 22% degli uomini. Più della metà delle clienti “tester” donna ha assegnato il punteggio più alto possibile in categorie come l’attenzione personale e l’interesse ad aiutare, mentre solo un quarto dei clienti uomini ha dichiarato di essere soddisfatto allo stesso modo; perché? Un pianificatore finanziario esperto ha affermato a riguardo: “Perché le donne sono spesso investitrici meno esperte e non riconoscono quando un broker è veramente utile o meno”.

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Soltanto una tra le società di intermediazione visitate ha ammesso l’esistenza di una discriminazione nel settore verso le donne e dell’intento a educare le donne ad assumere un ruolo più attivo negli investimenti.

Anche gli uomini però hanno motivi per lamentarsi; dall’indagine è infatti emerso che gli intermediari spesso trascurano di ottenere informazioni chiave sia dagli uomini che dalle donne: il 35% non ha fatto domande a nessuno riguardo alla tolleranza al rischio, un fattore fondamentale per determinare il tipo di investimento più appropriato; inoltre, quasi un terzo degli intermediari non si è preoccupato degli obiettivi finanziari dei propri clienti o quanto presto avrebbero avuto bisogno del loro denaro investito, punti di riferimento essenziali per formulare raccomandazioni adeguate; infine, il 61% dei brokers non ha fornito informazioni circa le commissioni e spese di vendita, e solo circa la metà ha fornito volontariamente informazioni sui tassi di rendimento recenti o attuali degli investimenti discussi con i clienti.

Lo studio si conclude con una raccomandazione o meglio una “lezione chiara”: «Quando si tratta di scegliere un broker, bisogna prendere tempo per trovarne uno che lavorerà diligentemente con noi per determinare i nostri obiettivi finanziari e come raggiungerli». Per le donne, in particolare, la ricerca dovrà essere ancora più accurata; un pianificatore finanziario libero professionista ha affermato: “Cercate qualcuno che sia disposto ad ascoltare. Se non vi sentite a vostro agio, andate da qualcun altro”.

In conclusione dallo studio di Schubert et al. (1999) è emerso che le donne non fanno generalmente scelte finanziarie meno rischiose rispetto agli uomini e l’atteggiamento nei confronti del rischio di uomini e donne dipende dalla struttura e dalle opportunità delle decisioni; in particolare quando le decisioni sono presentate come scelte di investimento e assicurazione, non sono state riscontrate complessivamente differenze di genere significative nell’avversione al rischio. Anne Davies (2013) riguardo all’assunzione di rischio da parte delle donne ha sottolineato come esse manifestino un interesse non soltanto per il risultato dell’investimento in sé ma anche come questo si inserisce nel complesso delle decisioni intraprese che comprendono ad esempio l’assistenza sanitaria, la casa, il pagamento delle tasse. Infine Wang (1994) ha messo in evidenza come gli

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intermediari finanziari trattino meno seriamente le clienti donne rispetto ai clienti uomini, con minori servizi erogati.

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Conclusioni

L’analisi degli studi riportati nell’elaborato mi ha permesso di approfondire il tema delle scelte di portafoglio con particolare riguardo a quelle compiute dalle donne. Le decisioni di investimento degli individui presentano delle “anomalie” (bassa partecipazione al mercato finanziario, tendenza a detenere portafogli poco diversificati per attività e a movimentare eccessivamente il portafoglio) che derivano da errori di tipo cognitivo, determinati dall’utilizzo delle euristiche (regole intuitive ed approssimative); e proprio alle euristiche della disponibilità, rappresentatività e ancoraggio si collegano gli atteggiamenti di overconfidence e ottimismo. Barber e Odean (2001), sulla previsione che gli investitori

overconfident praticano un trading eccessivo, hanno rilevato che gli uomini

risultano più overconfident e acquistano e vendono titoli frequentemente ma, negoziando di più, danneggiano i loro rendimenti più di quanto faccia la controparte femminile. Jacobsen et al. (2014) hanno sottolineato come gli uomini siano sensibilmente più ottimisti delle donne riguardo all’economia e nell’approccio ai mercati finanziari e che questo li possa portare a detenere attività più rischiose in portafoglio; le donne, invece, riconoscendo un rischio significativamente più elevato nel mercato azionario prevedono, in media, risultati futuri peggiori, pertanto investirebbero meno in titoli azionari. Anche dallo studio di Wang et al. (2011) sulla percezione del rischio dei prodotti di investimento è emerso che le donne percepiscono un rischio più alto associato alla categoria “Azioni”. Jianakoplos e Bernasek (1998) hanno messo in evidenza che le donne single manifestano un’avversione al rischio maggiore nelle decisioni finanziarie rispetto agli uomini single: all’aumentare della ricchezza, la proporzione in attività rischiose aumenta di un importo minore per le donne single che per gli uomini single, e le differenze di genere sono influenzate anche dall’età, dalla razza, e dal numero di bambini. Per quanto riguarda la distinzione tra “popolazione manageriale e non” lo studio di Johnson e Powell (1992) ha riscontrato l’esistenza di differenze di genere nella popolazione “non manageriale” con riguardo alla qualità delle decisioni (intesa come capacità di utilizzare le informazioni disponibili per fare le scelte più appropriate), in particolare in relazione alla propensione ad accettare il rischio, mentre in quella “manageriale” donne e uomini presentano caratteristiche simili con riferimento

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all’autostima, alla flessibilità di pensiero e all’apertura verso l’innovazione; le donne manager gestiscono le imprese in maniera analoga ai colleghi uomini nei valori condivisi, le strategie, skills e stili, pertanto i manager formalmente istruiti sia uomini che donne possono contribuire allo stesso modo al processo decisionale organizzativo; con riferimento alle decisioni in termini di investimento, Niessen e Ruenzi (2007) hanno rilevato che in un ambiente professionale dove i manager gestori di fondi hanno un background educativo e un’esperienza di lavoro simili, le donne sono più avverse al rischio, seguono stili di investimento meno estremi e più stabili nel tempo ed effettuano un trading minore rispetto agli uomini; nonostante non siano emerse differenze sostanziali nella performance media dei fondi, le donne manager ricevono afflussi di capitale più bassi, suggerendo che potrebbero essere definite come meno qualificate. Passando al caso degli investitori professionali, la ricerca di Olsen e Cox (2001) ha evidenziato come i professionisti donna pesano di più attributi di rischio quali la possibilità di perdita e l’ambiguità rispetto ai colleghi uomini, e tendono a sottolineare maggiormente una riduzione della rischiosità nella costruzione di portafoglio; inoltre, le differenze sono più significative per classi di attività agli estremi del rischio. Dall’esame del rapporto tra donne business

angels e investimenti nel capitale di rischio (Harrison e Mason, 2007) è emerso

che uomini e donne business angels condividono molte caratteristiche comuni in termini demografici, di occupazione e background finanziario, ma con riguardo a motivazione e preferenze negli investimenti le donne risultano più motivate, rispetto agli uomini, dal desiderio di sostenere la generazione imprenditoriale futura e supportare prodotti o servizi socialmente vantaggiosi, inoltre avrebbero più probabilità di investire in imprese di proprietà e guidate da donne; con riguardo alle fonti di informazione le donne angel investor fanno maggiore affidamento sui soci in affari e professionisti e meno sulla ricerca personale attiva; infine, risulterebbero meno inclini ad investire da sole e ad affidarsi in modo esclusivo al proprio giudizio, meno interconnesse e conosciute dagli altri business angels. Guardando alle scelte di investimento delle famiglie italiane, dal Rapporto Consob del 2016 è risultato che le risparmiatrici hanno un livello di conoscenza finanziaria di base inferiore alla controparte maschile e si ritengono peggiori della media nel prendere buone decisioni di investimento; nell’ambito della diversificazione delle attività finanziarie e dell’attitudine verso

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alcuni bias comportamentali, le donne sembrano più inclini all’“erroneous diversification”, che significa investire in numerosi titoli a basso rischio. La partecipazione delle famiglie ai mercati finanziari ha subito una contrazione a partire dal 2008 ed ha riguardato maggiormente le donne, le fasce di età e di ricchezza intermedie e i residenti nelle regioni meridionali, anche se negli ultimi anni si è verificato un graduale recupero verso i valori pre-crisi, e in particolare è aumentata la quota di investitori retail che possiedono obbligazioni bancarie italiane. Con riferimento alle abitudini di investimento, le donne farebbero maggiormente affidamento sui consigli di un esperto cui viene delegata la gestione dei propri investimenti. Secondo lo studio di Michael Liersch (2015), esperto di finanza comportamentale, uomini e donne sono soggetti a influenze emotive che possono avere implicazioni sia positive che negative sulle loro abitudini di investimento, e le differenze che si manifestano sono riconducibili a fattori sociali e demografici come istruzione, status occupazionale e circostanze finanziarie, più che derivare da caratteristiche intrinseche; l’elemento che sembra avere un impatto più significativo sul comportamento degli investitori è il livello di conoscenza finanziaria dichiarato: sono le donne ad affermare di avere una conoscenza inferiore rispetto all’investitore medio riguardo ai mercati finanziari e agli investimenti in generale. Entrambi i generi vorrebbero essere più coinvolti attivamente nel processo di investimento e quasi la totalità degli investitori si è dichiarata favorevole al supporto di un consulente esperto che possa aiutare a prendere decisioni potenzialmente produttive; inoltre, la maggior parte delle donne comprende e concorda con l’idea che raggiungere gli obiettivi di investimento comporti assumere un certo grado di rischio, e allo stesso tempo teme di perdere il capitale investito e non avere abbastanza denaro per il resto della propria vita; preoccupazione che può essere legata al fatto che le donne vivono generalmente più a lungo e alla scarsa fiducia nelle loro capacità in merito agli investimenti. Longobardi e Pagliuca (2015) nell’analizzare il gender gap con riferimento all’alfabetizzazione finanziaria hanno sottolineato come il divario di genere sia dovuto a fattori prettamente cognitivi (percezione, ragionamento, pianificazione, memoria) ma un ruolo importante è svolto da alcuni fattori attitudinali, quali la fiducia e la motivazione; gli autori suggeriscono la necessità di «intervenire con maggiore incisività con programmi di formazione in materia finanziaria, magari

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indirizzandoli in modo specifico alle studentesse», affinchè acquisiscano una maggiore sicurezza e consapevolezza riguardo alle scelte finanziarie e la gestione del denaro.

Personalmente, secondo un giudizio complessivo sui risultati degli studi riportati, ritengo che possano esistere delle differenze di genere nell’approccio al rischio e alle scelte finanziarie, ma che tali differenze debbano essere riferite a un contesto specifico e adattate all’evoluzione socio-temporale e non considerate come preconcetti statici e generali; Schubert et al. (1999) sono giunti alla conclusione che quando le decisioni vengono presentate come scelte di investimento e assicurazione non si riscontrano differenze significative tra uomini e donne e l’avversione al rischio dipenderebbe dalla struttura e dalle opportunità delle decisioni stesse. Se è vero che le donne manifestano un interesse non soltanto per il risultato dell’investimento in sé ma anche come questo si inserisce nel complesso delle decisioni intraprese che comprendono ad esempio l’assistenza sanitaria, la casa, il pagamento delle tasse (Davies, 2013), e se è vero che presentano una sensibilità diversa rispetto agli uomini nel modo in cui vengono percepite le informazioni e nella reazione ad esse, allora credo che un ruolo fondamentale possa essere svolto dagli intermediari finanziari con la costruzione di strategie di investimento in linea con i bisogni e stili di vita delle clienti e con la condivisione di materiale informativo che aiuti a comprendere meglio le proprie scelte. Un altro aspetto emerso e che ha un impatto rilevante è il livello di conoscenza finanziaria manifestato e dichiarato: le donne si ritengono meno preparate e hanno una minore fiducia nelle proprie capacità rispetto agli uomini; è importante intervenire per colmare questo gap, investire nella “cultura finanziaria” con programmi di formazione specifici nelle scuole che consentano di costruire la propria base di conoscenze e acquisire una maggiore consapevolezza riguardo alle scelte finanziarie. A tal proposito concordo pienamente con una citazione di Warren Buffett, imprenditore ed economista statunitense nonché soprannominato “l’oracolo di Omaha” per la sua sorprendente abilità negli investimenti finanziari:

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