I CONTRATTI DEL CONSUMATORE E IL TERZO CONTRATTO.
3. La Buona fede come “limite”.
Sulla premessa per cui un diritto, qualunque esso sia, non può mai essere esercitato in modo illimitato, il principio di buona fede, è stato quindi, valorizzato per imporre un limite funzionale all’esercizio del diritto, in conformità al principio costituzionale di solidarietà.
L’utilità di questa declinazione della clausola generale di buona fede è stata quella di poter “censurare” ipotesi di apparente e formalmente legittimo esercizio di un diritto previsto in contratto, piegato però al perseguimento di finalità eccentriche o, comunque, non meritevoli di tutela rispetto a quelle in relazione alle quali l’ordinamento ha ritenuto di attribuire tale diritto.
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228 Caso classico è il contratto stipulato dal medico con la donna in stato di gravidanza
(contratto ginecologico) nell’ambito del quale sono stati enucleati gli “effetti protettivi” per il terzo, in quanto gli obblighi terapeutici sono finalizzati non solo alla protezione della sfera della controparte, cioè della donna incinta, ma anche nei confronti del nascituro che verrà alla luce per effetto della corretta esecuzione delle prestazioni contrattuali. In questo senso, si veda, ex plurimis, Cass. civ., 22.11.1993, n. 11503, in Rass. dir. civ., 1995, 908, con nota di VENNERI.
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In questi termini, l’applicazione del principio di buona fede e correttezza si è andato intersecando con l’istituto, oggetto di rilevanti contrasti in dottrina, dell’abuso del diritto. 229
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229 Come noto, si tratta di istituto di conio tipicamente dottrinale e giurisprudenziale,
non avendo trovato, nell’ordinamento, un puntuale riconoscimento di carattere generale. Solo di recente, e limitatamente alla normativa tributaria, l’art. 1, commi 4 e 5, d. lgs. 5 agosto 2015, n. 128 ha introdotto l'art. 10 bis nell’ambito del c.d. statuto del contribuente (l. 27 luglio 2000, n. 212), in forza del quale configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. In altri ordinamenti l’istituto in esame è stato disciplinato normativamente: così nell’ordinamento svizzero (art. 2 c.c.: il manifesto abuso del proprio diritto non e protetto dalla legge), tedesco (§ 226: "L'esercizio del diritto è inammissibile se può avere solo lo scopo di provocare danno ad altri"), spagnolo, (art. 7, comma 2, c.c. ove è previsto l'obbligo di esercizio del diritto conforme alle esigenze della buona fede), greco (l'art. 248 vieta l'esercizio del diritto quando si eccedano in modo manifesto i limiti imposti alla buona fede e al buon costume o le finalità socio-economiche del diritto), olandese (art. 13 che dispone che non si possono compiere atti :di esercizio che si traducano in abuso). La mancanza di una norma generale nel codice civile deve ritenersi una scelta ponderata, posto che dalla lettura dei lavori preparatori l’introduzione di un tale istituto era stata in vario modo contemplata per poi essere abbandonata.
Sull’abuso del diritto in generale si rinvia, senza alcuna pretesa di completezza, a: F. BENATTI, Danni punitivi e abuso del diritto, in Contr. impr., 4-5, 2015, 862 ss.; M. TARUFFO, Abuso del processo, in Contr. impr., 4-5, 2015, 832 ss.; AA.VV., L’abuso del diritto nel dialogo tra corti nazionali ed internazionali, a cura di G. Merone, Napoli, 2014; A. CONVERSO, Note minime in tema di abuso del diritto, in Giur. merito, 6, 2013, 1314 ss.; F. PIRAINO, Il divieto di abuso del diritto, in Eur. dir. priv., 1, 2013, 75 ss.; G. VILLANACCI, I profili dell'abuso del diritto e la funzione integrativa del programma negoziale, in Rass. dir. civ., 1, 2013, 158 ss.; A. GENTILI, L’abuso del diritto come argomento, in Riv. dir. civ., 3, 2012, 313 ss.; E. BARCELLONA, Buona fede e abuso del diritto di recesso ad nutum tra autonomia privata e sindacato giurisdizionale, in Giur. comm., 2, 2011; F. DI MARZIO, Divieto di abuso e autonomia contrattuale d’impresa, in Riv. dir. civ., 4, 2011, 491 ss.; R. T. BONANZINGA, Abuso del diritto e rimedi esperibili, in www.comparazionedirittocivile.it, 2010; L. DELLI PRISCOLI, Abuso del diritto e mercato, in Giur. comm., 5, 2010, 834; C. RESTIVO, Contributo ad una teoria dell'abuso del diritto, Milano, 2007; F. DI CIOMMO, Recesso dal contratto di apertura di credito e abuso del diritto, in Contratti, 2000, 1115; AA. VV., L’abuso del diritto, Padova, 1998; D. MESSINETTI, Abuso del diritto, in Enc. dir., Aggiornamento, vol. II, Milano, 1998, 1 ss.; P. RESCIGNO, L’abuso del diritto, Bologna, 1998; G. LEVI, L’abuso del diritto, Milano, 1993; M. ROTONDI, L’abuso del diritto, Padova, 1979, ristampa; V. GIORGIANNI, L’abuso del diritto nella teoria della norma giuridica, Milano, 1963; U. NATOLI, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, 18 ss.; S. ROMANO, Abuso del diritto (diritto attuale), in Enc. dir., vol. I, Milano, 1958, 166 ss.
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La giurisprudenza più recente ha avuto modo a più riprese di far richiamo al principio in questione, sia nelle forme dell’abuso del diritto “sostanziale” 230 che nelle forme del c.d. abuso del processo231
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230 Il richiamo è evidentemente alla pronuncia della Corte di Cassazione, 18 settembre
2009, n, 20106, in Rass. dir. civ., 2010, 2, 577, di cui si parlerà più diffusamente nel prosieguo, ma che in questa sede va ricordata perché, dopo aver stabilito che anche la facoltà di recesso unilaterale non può essere esercitata in modo arbitrario, ha indicato in modo chiaro gli elementi costitutivi dell'abuso del diritto: 1) la titolarità dl un diritto soggettivo in capo a un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità dl modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto e un criterio di valutazione, giuridico o extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto e il sacrifico cui è soggetta le controparte.
231 Si fa riferimento, in particolare, alla vicenda relativa al c.d. frazionamento abusivo
del credito, fattispecie consistente nella ingiustificata frammentazione delle azioni giudiziarie concernenti nel loro complesso una domanda giudiziale unica, che determina un irragionevole, e per questo illecito, aggravamento dei costi processuali. A fronte di orientamenti oscillanti in giurisprudenza (in senso favorevole alla censura del frazionamento, tra le altre Cass., 6 agosto 1997, n.7275, in Giust. civ. mass., 1997, 1349; contra, Cass. civ., 15 aprile 1998, n. 3814, in Giust. civ. mass., 1998, 805), sono infine, intervenute, una prima volta, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la pronuncia 15 novembre 2007, n. 23726 che, nel censurare il frazionamento del credito, ha, da un lato, valorizzato la clausola generale di buona fede e il divieto di abuso del diritto quali istituti da rapportare entrambi al principio di solidarietà ex art. 2 Cost., per cui al creditore vanno imposti degli obblighi di comportamenti anche attivi che, entro il limite del sacrificio non eccessivo, non aggravino la sfera del soggetto inadempiente»; nello stesso senso, anche Cass. civ., 22 dicembre 2011, n. 28286, in Foro it., 2012, 10, I, 2813, con nota di GRAZIOSI; Cass. civ., 20 novembre 2009, n. 24539, in Giust. civ. Mass. 2009, 11, 1616, ha precisato che le domande oggetto di frazionamento devono essere dichiarate improcedibili, oppure, laddove non ancora proposte, improponibili.
A tale pronuncia ha fatto seguito, dopo un decennio, la decisione delle Sezioni Unite, 16 febbraio 2017, n. 4090, in Giust. civ. mass., 2017, con la quale la Suprema Corte, ha deciso una controversia avente caratteristiche sostanzialmente speculari rispetto a quella oggetto della pronuncia del 2007, affermando che <<Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c., riservando, se del
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