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La sentenza della Corte di Cassazione n 20106 del 2009.

LE PRONUNCE GIURISPRUDENZIALI RILEVANTI AI FINI DEL PROCESSO DI TRANSIZIONE IN ATTO.

3. La sentenza della Corte di Cassazione n 20106 del 2009.

Una decisione particolarmente importante sia per i contenuti, che per l’ampio dibattito che ha determinato e le plurime critiche della dottrina

al riguardo, è stata la pronuncia 18 settembre 2009, n. 20106. 300

La controversia originava dall’esercizio, da parte di una nota casa automobilistica, della facoltà di recesso ad nutum prevista a suo favore nei contratti che la legavano ai propri concessionari di vendita.

La Corte di Cassazione ha statuito che il <<disporre di un potere [nel caso di specie, quello di recedere ad nutum] non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono su interessi contrapposti in modo più proporzionato>>; sicché il giudice avrebbe dovuto valutare se il recesso ad nutum, previsto nelle condizioni contrattuali, era stato <<attuato con modalità e per perseguire fini diversi ed ulteriori rispetto a quelli consentiti>>: ciò, in quanto <<l’obbligo di buona fede oggettiva e correttezza impone>> a _____________________________________________________________________

300 In danno e resp., 4/2010, 350 ss, con commento di ANNACHIARA MASTRORILLI. Per

un altro commento alla pronuncia si veda F. MACARIO, Recesso ad nutum e valutazione di abusività dei contratti tra imprese: spunti da una recente sentenza della Cassazione, in Corr. Giur., 2009, 1577

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ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra.

La sentenza ha, in primo luogo, sottolineato come la clausola generale di buona fede e correttezza sia operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.) e che, più precisamente, l'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica301.

Secondo la Corte, nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, il principio deve essere inteso come una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., sicchè il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo od integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi.

La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell'equilibrio e della proporzione.

Fin qui occorre sottolineare come la sentenza abbia l’indubbio pregio di compendiare il rinnovato e decisivo ruolo che la clausola di buona fede _____________________________________________________________________

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e correttezza è andato rivestendo negli ultimi anni nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, e la capacità, quindi, per il giudice di incidere in via diretta sull’equilibrio del contratto.

D’altronde, la pronuncia ha anche valorizzato e fatto riferimento puntuale all’istituto, controverso,302 dell’abuso del diritto affermando

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302 Come già più sopra ricordato, nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni,

in via generale, l'abuso del diritto. La cultura giuridica degli anni '30 fondava l'abuso del diritto, più che su di un principio giuridico, su di un concetto di natura etico morale, con la conseguenza che colui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo, ma non di sanzione giuridica.

Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione per la certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto -, in considerazione della grande latitudine di potere che una clausola generale, come quella dell'abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice, impedì che fosse trasfusa, nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942, quella norma del progetto preliminare (art. 7) che proclamava, in termini generali, che "nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto" (così ponendosi l'ordinamento italiano in contrasto con altri ordinamenti, ad es. tedesco, svizzero e spagnolo); preferendo, invece, ad una norma di carattere generale, norme specifiche che consentissero di sanzionare l'abuso in relazione a particolari categorie di diritti.

Sono, quindi, stati tradizionalmente letti come espressione di tale principio gli artt. 833 c.c. e 1175 c.c. in relazione all'intera area dei diritti patrimoniali. In particolare, quanto all'art. 833 c.c., inizialmente la norma veniva interpretata valorizzando l'intento di nuocere al vicino, sì che la presenza di un minimo vantaggio per l'agente neutralizzava l'applicazione dell'istituto; né ad esito diverso poteva pervenirsi alla luce della costituzionalizzazione della funzione sociale della proprietà, posto che tale principio non era posto a tutela delle posizioni soggettive dei proprietari ma di una dimensione sociale e collettiva del sistema economico.

Sull’esame dell’istituto si vedano, A. GAMBARO, Abuso del diritto, in Enc. giur. Treccani, vol. I., 2; Pino, Il diritto e il suo rovescio. Appunti sulla dottrina dell'abuso del diritto, in Rív. crit. dir. priv., 2004, 25 e ss.; S. PATTI, Abuso del diritto, in Enc. Giur., Milano, 2007, l, 8. Sulla socialità del contatto si rimanda a R. SACCO, L'abuso della libertà contrattuale, in L'abuso del diritto a cura di Furgiuele, Padova, 1998, 232, e già F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, 1966, 77. Per la lettura in chiave economica dell'abuso v. P. G. MONATERI, Diritto soggettivo, in Digesto civ., IV, Torino, 1990, 411-420.

La giurisprudenza più recente, anteriore alla pronuncia Cass. civ., n. 20106 del 2009, ha comunque fatto riferimento al c.d. abuso del diritto sia in ambito societario (si pensi ad es., al caso in cui il potere di voto sia stato esercitato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto, Cass. civ. 11.6.2003 n. 9353), sia in materia bancaria (laddove è stato sottolineato che non può escludersi che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benchè pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, si veda, ad es., Cass.

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che quest’ultimo costituirebbe un <<criterio rivelatore della violazione dell'obbligo di buona fede oggettiva>>, in quanto espressione di una regola generale posta dall’ordinamento e finalizzata a negare tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva, al fine di impedire che possano essere conseguiti o conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sè strutturalmente idonei, ma esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui l'ordinamento fa

espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata.303

Secondo la Corte, il principio di buona fede e correttezza e quello dell’abuso del diritto si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l'interpretazione dell'atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l'abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti.

21.2.2003 n. 2642), sia in materia contrattuale (come nel caso, ad es., del contratto

autonomo di garanzia ed exceptio doli (si veda Cass. 7.3.2007 n. 5273).

303 In particolare, secondo la Corte di Cassazione, gli elementi costitutivi dell'abuso

del diritto - ricostruiti attraverso l'apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte.

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Secondo la Corte, sebbene in linea di principio non sia compito del giudice valutare le scelte imprenditoriali delle parti in causa che siano soggetti economici, qualora vengano posti in essere atti di autonomia privata che coinvolgono - ad es. nei contratti d'impresa - gli interessi, anche contrastanti, delle diverse parti contrattuali, nell'ipotesi in cui il rapporto evolva in chiave patologica e sia richiesto l'intervento del giudice, a quest'ultimo spetta di interpretare il contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti.

In tal senso, l'atto di autonomia privata è, pur sempre, soggetto al controllo giurisdizionale: sebbene l’interpretazione c.d. letterale sia il criterio ermeneutico primario, il contratto e le clausole che lo compongono - ai sensi dell'art. 1366 c.c. - debbono essere interpretati anche secondo buona fede.

Non solo, secondo la Corte, il principio della buona fede oggettiva, inteso quale regola di reciproca lealtà di condotta, deve accompagnare il contratto nel suo svolgimento, dalla formazione all'esecuzione, ed, essendo espressione del dovere di solidarietà fondato sull'art. 2 Cost., impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire nell'ottica di un bilanciamento degli interessi vicendevoli, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di norme specifiche,

con conseguenze risarcitorie in caso di violazione.304

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304 Cass. civ., 22.1.2009 n. 1618; Cass. civ., 6.6.2008 n. 21250; Cass. civ.,

27.10.2006 n. 23273; Cass. civ., 7.6.2006 n. 13345; Cass. civ., 11.1.2006 n. 264; Cass. civ, Sez. Un.. 15.11.2007 n. 23726 che ha sottolineato come il criterio della buona

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Il giudice, quindi, nell'interpretazione secondo buona fede del contratto, deve operare nell'ottica dell'equilibrio fra i detti interessi.

L'irrilevanza, per il diritto, delle ragioni che sono a monte della conclusione ed esecuzione di un determinato rapporto negoziale, non esclude - ma anzi prevede - un controllo da parte del giudice, al fine di valutare se l'esercizio della facoltà riconosciuta all'autonomia contrattuale abbia operato in chiave elusiva dei principi espressione dei canoni generali della buona fede, della lealtà e della correttezza.

In questa ottica, il controllo e l'interpretazione dell'atto di autonomia privata dovrà essere condotto tenendo presenti le posizioni delle parti, al fine di valutare se situazioni di supremazia di una di esse e di eventuale dipendenza, anche economica, dell'altra siano stati forieri di comportamenti abusivi, posti in essere per raggiungere i fini che la parte si è prefissata.

Per questa ragione il giudice, nel controllare ed interpretare l'atto di autonomia privata, deve operare ed interpretare l'atto anche in funzione del contemperamento degli opposti interessi delle parti contrattuali. Seppure sotto alcuni profili la decisione della Suprema Corte si sia inserita di fatto (come dimostra il lungo elenco di precedenti richiamati dalla sentenza medesima) in un solco applicativo del principio di buona

fede costituisca uno strumento, per il giudice, finalizzato al controllo - anche in senso

modificativo o integrativo - dello statuto negoziale; e ciò quale garanzia di contemperamento degli opposti interessi.

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fede già tracciato dalla giurisprudenza di legittimità precedente305, le critiche rivolte nei confronti della decisione si appuntano in primo luogo, sulla scelta di aver dato rilievo autonomo e centrale alla categoria dell’abuso del diritto306, ma soprattutto sulle espressioni di _____________________________________________________________________

305 In tema di esercizio del diritto di recesso contemplato, a favore della banca, nel

contratto di apertura di credito stipulato con il cliente, della delibera assunta dall’assemblea di una società, allorquando la stessa “non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società, per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale, ovvero sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli”; ovvero con riguardo al pacifico insegnamento che eleva l’exceptio doli generalis a “rimedio di carattere generale, utilizzabile anche al di fuori delle ipotesi espressamente codificate, il quale è diretto a precludere l’esercizio fraudolento o sleale dei diritti di volta in volta attribuiti dall’ordinamento”.

306 Il dibattito in ordine alla sentenza ha coinvolto, tra gli altri: F. ADDIS, Sull’excursus

giurisprudenziale del “caso Renault”, cit.; E. BARCELLONA, Recesso “ad nutum” fra principio di buona fede e abuso del diritto: “solidarietà sociale” o inderogabilità del “mercato”? (Note a proposito di Cass. n. 20106/2009), in Riv. dir. comm., 2, 2011, 165; F. DI MARZIO, Divieto d’abuso e autonomia contrattuale d’impresa, cit.; P. RESCIGNO, Un nuovo caso di abuso del diritto, in Giur. it., 2011, 795 ss.; G. D’AMICO, Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, in Contratti, 1, 2010, 11 ss.; A. GENTILI, Abuso contratto per le parti: l’autonomia negoziale stretta tra giustizia, buona fede e abuso del diritto, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, 148 ss.; F. MACARIO, Recesso ad nutum e valutazione di abusività nei contratti tra imprese: spunti da una recente sentenza della Cassazione, in Corr. giur., 2009; M. ORLANDI, Contro l’abuso del diritto (in margine a Cass. 18 settembre 2009, n. 20106), in Riv. dir. civ., 2010, 2, 147 ss.; A. PALMIERI E R. PARDOLESI, Della serie “a volte ritornano”: l’abuso del diritto alla riscossa, in Foro it., 2010, 95 ss.; C. SCOGNAMIGLIO, Abuso del diritto, buona fede, ragionevolezza (verso una riscoperta della pretesa funzione correttiva dell’interpretazione del contratto?), in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, 139 ss.; F. VIGLIONE, Il giudice riscrive il contratto per le parti: l’autonomia negoziale stretta tra giustizia, buona fede e abuso del diritto, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, 148 ss..

Si è sottolineato che normalmente, le fattispecie “abusive” corrispondono ad ipotesi tipiche di inadempimento, o a vizio di nullità per mancanza di causa: in tal senso, si tratterebbe di categoria giuridica priva di effettiva efficacia “euristica” specie laddove ciò possa giustificare un intervento “eteronomo” da parte del giudice in ambito contrattuale in contrasto con la tesi per cui la disparità di forza negoziale è elemento caratteristico di ogni stipulazione contrattuale e il contratto non è strumento di uguaglianza sociale (si veda, D. MAFFEIS, Il contraente e la disparità di trattamento delle controparti, in Riv. dir. priv., 2006, 281 ss.). D’altronde, va rilevato che in particolare con riguardo alla fattispecie del recesso ad nutum, l’utilizzo della categoria in questione, in specie nell’ambito dei rapporti di durata, trova una giustificazione nella tutela dell’affidamento da parte del contraente sulla naturale prosecuzione del contratto sulla concreta aspettativa economica a non vedere frustrati i rilevanti investimenti, effettuati in vista dell'operazione contrattuale divisata, in linea con

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principio che hanno indotto nei commentatori il rischio di un possibile futuro diffuso penetrante, fisiologico controllo giudiziale, anche in senso modificativo o integrativo, dello statuto negoziale a garanzia di contemperamento degli opposti interessi delle parti, così segnando una

sorta di discontinuità rispetto ai precedenti orientamenti

giurisprudenziali, che evocavano invece i concetti di “abuso ed eccesso di potere”, di “exceptio doli”, di “buona fede oggettiva”, per rifiutare tutela solo a condotte fraudolente di particolare gravità, normalmente

caratterizzate dall’intenzione di nuocere alla controparte.307

A ben vedere, la rilevanza della decisione è ravvisabile nel fatto che la stessa ha, in nuce, messo in correlazione, in una logica “diacronica” e sistematica, pressochè tutti gli elementi normativi e giurisprudenziali esaminati nel presente lavoro.

In particolare, pur considerando certamente che l’ampia disamina della Corte di Cassazione avrebbe potuto essere più limitata se solo la Suprema Corte avesse valorizzato la portata estensiva e generale nell’ambito dei rapporti tra imprese poste tra loro in condizione di

l'elaborazione teorica di oltreoceano della c.d. recovery period rule, secondo la quale

il rapporto non può essere risolto attraverso un recesso ad nutum fino a quando non sono stati recuperatigli investimenti specifici effettuati. Si veda sul punto anche Cass. 14 luglio 2000, n. 9321, in I Contratti, 2000, 111, con nota di DI CIOMMO, Recesso dal contratto di apertura di credito e abuso del diritto, cit.. Sul tema v. anche F. GALGANO, Abuso del diritto, l'arbitrario recesso ad nutum della banca, in Contr. e impr., 1998, 18 e ss.

307 F. ADDIS, Sull’excursus giurisprudenziale del “caso Renault”, in Obbl. e contr., 4,

2012, 245 ss. L’autore critica aspramente la decisione, evidenziando che i richiami giurisprudenziali posti a sostegno della motivazione risultano inopportuni, non pertinenti con la materia trattata. Quasi come se i giudici li utilizzassero per attribuire ad indagini incomplete un crisma di autorevolezza che però è facilmente smascherabile da una lettura integrale delle decisioni precedenti. E il tutto appare come un’alterazione delle sentenze evocate che in realtà vogliono esprimere altro.

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asimmetria, dell’art. 9, l. n. 192 del 1998 e, quindi, dell’abuso del

potere di autonomia contrattuale d’impresa308, è indubbio che la

pronuncia abbia correttamente ribadito e messo a fuoco come, sia pure in un’ottica certamente casistica e concreta, specie laddove tra le parti venga a sussistere una forma di asimmetria, al giudice è demandato il

compito, come si è già detto precedentemente, attraverso

l’interpretazione del contratto secondo buona fede ex art. 1366 c.c., di censurare l’equilibrio contrattuale così come determinato formalmente dalle parti mediante un corretto bilanciamento degli interessi in gioco.

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308 Peraltro, va rilevato come il recesso a una sola parte e per di più arbitrario (cioè

immotivato, e/o senza preavviso, e/o gratuito) è inequivocabilmente considerato dal legislatore come potenziale espressione dell’abuso del potere di predisposizione unilaterale del contenuto negoziale, come si evince in particolare dagli artt. 1341, comma 2, c.c.; 33 lett. g), h), cod. cons.; 9, comma 3, l. 192/1998. E questo perché un recesso siffatto non assolve ad alcuna delle funzioni che sono proprie dell’istituto, ma segna il solo potere di consentire al suo titolare una illegittima sottrazione al vincolo contrattuale, in disprezzo dell’art. 1372 c.c. e delle norme che regolano i recessi legali secondo i principi di correttezza e buona fede, in questo senso, C. DALIA, A proposito di abuso di autonomia contrattuale di impresa, www.comparazionedirittocivile.it , 23, la quale ricorda altresì che I recessi legali sono, infatti, costruiti in modo da garantire l’equilibrio contrattuale, nel rispetto degli interessi reciproci dei contraenti, e devono essere assunti come paradigma di un recesso correttamente attribuito, e di conseguenza lealmente esercitato, soprattutto nell’ambito della contrattazione asimmetrica. Il recesso di pentimento è tendenzialmente oneroso (ne sono esempi gli artt. 1671, 2227, 2237, 1685, 1723, 1725, 1734, 1738, 1958 c.c.); quello determinativo nei contratti a tempo indeterminato spetta ad entrambi i contraenti e deve essere preferibilmente con preavviso (artt. 1616, 1750, 1845, 1833, 1569, 2118 c.c.), a meno che non via siano ragioni concrete – come ad esempio la gratuità del rapporto - per escludere questa forma di garanzia (artt. 1771 e 1810 c.c.); quello impugnativo non può prescindere da una giusta causa o un giusto motivo (artt. 1612, 2237, 2119, 2558 c.c.). Secondo l’autrice si tratta di regole che nell’ambito della contrattazione asimmetrica non possono essere derogate se non in melius, proprio perché è evidente che una loro modifica in senso più favorevole per il predisponente non è frutto dell’esercizio dell’autonomia contrattuale di entrambi i contraenti, ma della posizione di supremazia di uno solo dei contraenti. Nell’ambito della contrattazione simmetrica il recesso potrà subire notevoli flessioni legate proprio al bilanciamento dei rispettivi poteri contrattuali. Sulla tripartizione delle funzioni del recesso, ormai pacificamente condivisa in dottrina, seppur con sfumature diverse, si vedano, per tutti, G. GABRIELLI e F. PADOVINI, Recesso (diritto privato), in Enc. dir., vol. XXXIV, Milano, 1988, 27 ss.

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A questo proposito, non pare decisiva né l’obiezione, di sottofondo sempre ricorrente nell’ambito dell’oggetto del presente lavoro, per cui così facendo si affiderebbe al giudice un potere discrezionale troppo ampio, concedendogli margini di decisione in ordine al “se” ravvisare nel caso di specie esigenze di protezione del contraente debole e, quindi, di apprestare la relativa tutela, senza che sia possibile individuare in maniera puntuale e rigorosa gli elementi costitutivi della fattispecie e i suoi effetti.

Infatti, questa obiezione, da un lato, non tiene conto del fatto che l’utilizzo delle clausole generali (imprescindibili per consentire di rendere “duttile” l’ordinamento) porta necessariamente con sé un grado di discrezionalità più o meno ampio a seconda dello specifico principio in rilievo, laddove, nel caso di specie, la portata del principio di buona fede, come si è visto, è ontologicamente vastissima anche perché si ricollega direttamente all’art. 2 Cost. e involge l’intero spettro delle fasi contrattuali (prima, durante e dopo la stipula); dall’altro lato, non considera che l’evoluzione tecnologica, commerciale, sociale ecc., pone sempre più spesso il giudice di fronte alla necessità di adeguare la