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La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, 13 settembre 2005, n 18128.

LE PRONUNCE GIURISPRUDENZIALI RILEVANTI AI FINI DEL PROCESSO DI TRANSIZIONE IN ATTO.

2. La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, 13 settembre 2005, n 18128.

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Sebbene non sia più una novità giurisprudenziale, è d’altronde importante ricordare la pronuncia indicata nella rubrica del presente paragrafo, in quanto ha certamente contribuito all’affermarsi di una evoluzione “pretoria” al contempo caratterizzata, da un lato, dalla valorizzazione delle clausole generali e dei principi costituzionali e, dall’altro lato, dalla valorizzazione del ruolo giudiziario nella valutazione ed eventuale censura del disequilibrio normativo.

In particolare, va rammentato che, con la pronuncia in questione291, la Corte di Cassazione ha posto fine ad un contrasto interpretativo, sovvertendo un orientamento giurisprudenziale consolidato nei decenni292, facendo propria la tesi, fino a quel momento del tutto

minoritaria nella sua stessa giurisprudenza293, che predicava la

riducibilità ex officio della penale,294 indipendentemente, cioè, da una _____________________________________________________________________

291 A. DIMAIO, La riduzione della penale ex officio, in Corr. giur., 2005, 1538 ss.; A.

RICCIO, Il generale intervento correttivo del giudice sugli atti di autonomia privata, in Danno e resp., 2006, 424 ss.; V. PESCATORE, Riduzione d’ufficio della penale e ordine pubblico economico, in Obbl. e contr., 2006, 416 ss.; C. CICALA, La riducibilità d’ufficio della penale, in Riv dir.priv., 2006, 694 ss.; E. BATTELLI, La riduzione della penale ex officio, in Contratti, 2007, 487 ss.

292 Ex plurimis, Cass. civ., 30 maggio 2003, n. 8813; Cass. civ., 4 aprile 2003, n. 5324;

Cass. 19 aprile 2002, n. 5691; Cass. civ.,27 ottobre 2000, n. 14172; Cass. 15 gennaio 1997, n. 341; Cass. civ.,25 marzo 1995, n. 3549; Cass. civ.,21 gennaio 1985, n. 218.

293 Cass. civ., 24 settembre 1999, n. 10511; Cass. civ.,23 maggio 2003, n. 8188. 294 La penale è una disposizione pattizia in base alla quale debitore e creditore

convengono che « in caso di inadempimento o ritardo, uno dei contraenti è tenuto ad una determinata prestazione ». La clausola ha natura accessoria e il suo ammontare è lasciato alla libera determinazione delle parti. Quanto alla sua funzione, non vi è concordia tra gli interpreti. Secondo un primo orientamento, lo scopo principale della penale è di tipo risarcitorio, di liquidazione anticipata e forfettaria del danno. Si tratterebbe di individuare in via preventiva il quantum debeatur, da corrispondere in caso di inadempimento (diversa è l’ipotesi della penale per il ritardo nell’esecuzione della prestazione). Altra ricostruzione riconduce alla clausola in parola effetti sanzionatori, annoverandola tra le c.d. “pene private” alludendo alla duplice funzione

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richiesta in tal senso formulata dal contraente inadempiente, sempre che risultassero dedotte e provate in causa le circostanze a comprova della

manifesta eccessività della penale stessa.295

La sentenza delle Sezioni Unite del 2005296, nell’affermare la

riducibilità d’ufficio della clausola penale, ha, in primo luogo, valorizzato una rilettura degli istituti codicistici in senso conformativo ai precetti superiori della Costituzione, individuati nel dovere di solidarietà nei rapporti intersoggettivi (art. 2 Cost.), nell’esistenza di un principio di inesigibilità come limite alle pretese creditorie (C. cost. n. 19/94), da valutare insieme ai canoni generali di buona fede oggettiva e

di correttezza (artt. 1175, 1337, 1359, 1366, 1375 cod.civ.).297

preventiva e punitiva della stessa. La penale infatti esplica, contestualmente,

un’attività sollecitatoria all’adempimento e, in caso sia pattuita per il solo ritardo, sanzionatoria. In argomento si veda A. ZOPPINI, La pena contrattuale, Milano 1991.

295 L’orientamento delle Sezioni Unite può dirsi ormai consolidato nella

giurisprudenza successiva: si vedano, Cass. civ., 14 ottobre 2011, n. 21297; Cass. civ., 18 novembre 2010, n. 23273; Cass. civ., 28 marzo 2008, n. 8071; Cass. civ., 24 novembre 2007, n. 24458; Cass. civ., 19 ottobre 2007, n. 22002; Cass. civ., 28 agosto 2007, n. 18195; Cass. civ., 13 novembre 2006, n. 24166; Cass. civ., 28 settembre 2006, n. 21066.

296 Si veda A. RICCIO, È dunque venuta meno l’intangibilità del contratto: il caso della

penale manifestatamente eccessiva, in Contr. e impr., 2000, 98, che riconduce “il fondamento della riduzione della penale manifestatamente eccessiva (…) all’interno di un più generale ed emergente fenomeno: il processo di oggettivizzazione della tutela contro lo squilibrio delle condizioni contrattuali”, laddove la clausola generale di buona fede rappresenta “lo strumento per un controllo di ragionevolezza sugli atti di autonomia privata”.

297 In relazione alla norma in questione, va ricordato che parte della dottrina fa

discendere la sussistenza di un generale principio di proporzionalità di cui la norma medesima specificherebbe la valenza quantitativa, come giusta misurazione tra elementi omogenei e raffrontabili tra loro, traducendosi in un giudizio di equità in grado di eliminare la sproporzione tra valori economici. Tale principio si porrebbe a fondamento del potere del giudice di ridurre d’ufficio la penale eccessiva (art. 1384 c.c.) Sul punto significative sono: Cass. civ., 24.9.1999 n. 10511, in Contratti, 2000; in Corr. giur.,2000, 68 s.; Cass. civ., Sez. Un. 13.9.2005 n. 18128, in Corr. Giur. 2005, 1538 ss. Contra in dottrina si veda U. PERFETTI, L’ingiustizia del contratto, Milano, 2005, il quale ritiene che la riduzione della clausola penale sarebbe semplicemente l’espressione del potere dell’interprete di determinare la misura del pregiudizio e non già manifestazione di un’esigenza di proporzione tra prestazioni. Sul principio di

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In secondo luogo, ha valorizzato la previsione di cui all’art. 1322, primo e secondo comma, c.c. sottolineando come la legge, nel riconoscere l’autonomia contrattuale delle parti, afferma che essa ha comunque dei limiti, il cui rispetto è demandato al giudice, che non può riconoscere il diritto fatto valere, se esso si fonda su un contratto il cui contenuto non sia conforme alla legge ovvero sia diretto a realizzare interessi che non appaiono meritevoli secondo l’ordinamento giuridico. Secondo la Corte, se nel nostro ordinamento non fosse stato previsto e disciplinato l’istituto della clausola penale e, tuttavia, le parti avessero introdotto in un contratto una clausola con tale finzione, il giudice, chiamato a pronunciarsi in ordine ad una domanda di condanna del

debitore al pagamento della penale pattuita per effetto

dell’inadempimento, avrebbe dovuto formulare, d’ufficio, un giudizio sulla validità della clausola; giudizio che avrebbe potuto avere esito negativo, ove fosse stato ravvisato un contrasto dell’accordo con principi fondamentali dell’ordinamento, ad esempio per il fatto che la penale doveva essere pagata anche se il danno non sussisteva. In questo caso vi sarebbe stato un controllo d’ufficio sulla tutelabilità dell’accordo delle parti e, ove, il controllo si fosse concluso negativamente la tutela non sarebbe stata accordata.

Nel disciplinare l’istituto della penale, la legge, se, da un lato, ha ampliato il campo normalmente riservato all’autonomia delle parti,

proporzionalità si richiama P. PERLINGIERI, Equilibrio normativo e principio di

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dall’altro lato, ha attribuito al giudice un potere di controllo non nell’interesse della parte, ma nell’interesse dell’ordinamento, per evitare che l’autonomia contrattuale travalichi i limiti entro i quali la tutela delle posizioni soggettive delle parti appare meritevole di tutela, anche se ciò non toglie che l’interesse della parte venga alla fine tutelato, ma solo come aspetto riflesso della funzione primaria cui assolve la norma. Può essere affermato allora che il potere concesso al giudice di ridurre la penale si pone come un limite all’autonomia delle parti, posto dalla legge a tutela di un interesse generale, limite non prefissato, ma individuato dal giudice di volta in volta, e ricorrendo le condizioni previste dalla norma, con riferimento al principio di equità. Come rilevato298, la pronuncia in esame, sembra porsi su una ideale linea di continuità con quel trend legislativo incline a garantire adeguati strumenti di protezione alla c.d. parte debole del rapporto. Sebbene, infatti, il contesto d’indagine esuli dalla disciplina della tutela del consumatore, va dato atto dell’esistenza di scelte precettive, sia a livello nazionale che transfrontaliero, volte all’individuazione di meccanismi riequilibrativi che prescindano da una qualificazione formale dello status dei contraenti per approdare a soluzioni “più sostanziali”, che tengano cioè conto della posizione delle parti nell’ economia del rapporto contrattuale.

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298 C. COSENTINO, Eteronomia giudiziale e contratto diseguale, in

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È l’equilibrio contrattuale ex se, omessa ogni indagine sulle cause del suo dispiegarsi, che giustifica l’intervento autoritativo sul regolamento pattizio e la sostituzione d’ufficio del contenuto negoziale. Ma vi è di più: la verifica sulle determinazioni della clausola accessoria e in generale sugli atti di autonomia privata non è concepita in termini di straordinarietà, configurandosi, piuttosto, quale aspetto del « normale controllo » che l’ordinamento si riserva sull’attività negoziale. La portata innovativa delle motivazioni a sostegno della pronuncia e i possibili effetti dirompenti sulla teoria generale del contratto si manifestano attraverso l’indicata « normalità » del filtro giudiziale sulle scelte contenutistiche degli accordi negoziali, al di fuori dei limiti di valutazione legislativamente prescritti.

In tal senso, l’intervento delle Sezioni Unite del 2005, riconfermato da

successive pronunce299, inaugura una nuova era nei confronti della

fenomenologia negoziale, in una prospettiva di totale stravolgimento delle scelte di politica legislativa compiute sinora, che ancorano il controllo della fattispecie negoziale alla positiva verifica dei requisiti _____________________________________________________________________

299 Così da ultimo Cass. civ., 28 settembre 2006 n. 21066; Cass. civ., 28 marzo 2008,

n. 8071; Cass. civ., 12 gennaio 2009, n. 4815. In particolare, la pronuncia n. 21066 del 2006 merita di essere segnalata non solo perché ribadisce la riducibilità d’ufficio della penale manifestamente eccessiva, ma anche perché statuisce la possibilità di un intervento giudiziale sulle private pattuizioni che abbiano espressamente convenuto nel senso dell’irriducibilità della medesima. Anche in tal caso, la giustificazione di un potere giudiziale così incisivo poggia sulla tutela dell’interesse generale dell’ordinamento al corretto esplicarsi dell’autonomia privata ma, più che di “conformazione” dell’attività privata ci si trova, anche in tale ipotesi, dinnanzi a una forte erosione del principio di autonomia negoziale. Per un commento della sentenza si veda A. BOCCI, Clausola penale ed inefficacia del patto di irriducibilità, in Nuova giur. civ. comm., 2007, fasc. 7/8, 774; F. AGNINO, La riducibilità d’ufficio della clausola penale, in Corr. Giur., 2007, fasc.1, 46; R. RASCIO, Ancora sul potere giudiziale di riduzione della penale, in Dir. e giust., 2007, fasc. 3, 429.

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strutturali e alla meritevolezza degli interessi perseguiti, per riservare

l’esame dell’equilibrio contenutistico a ipotesi specifiche e

circostanziate.