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c) Sintesi della ricognizione nel concetto

Per continuare esponendo come l'oggetto fenomenico venga fuori nella sua articolazione dal grezzo materiale che forniscono i sensi, il terzo ed ultimo passo sarebbe quello della partecipazione in questo processo dell'intelletto. La sintesi della ricognizione nel concetto è il culmine di un oggetto che trova la sua unità appunto nel proprio concetto.

“Se mancasse la coscienza che ciò che ora pensiamo è ciò stesso che pensavamo un istante prima, ogni riproduzione nella serie delle rappresentazioni risulterebbe inutile.”63 Se noi pensassimo alle pagine precedenti, potremmo

accorgerci che il termine “operazione” viene usato sempre più spesso. Esso è stato fin'ora ciò che compiva la sintesi e che forniva di unità a diversi livelli il molteplice.

Ora anche l'atto preso per sé ha bisogno di un'unità, in quanto si svolge esso stesso nel tempo e il tempo è scorrere di momenti separati l'un dall'altro. Cosa rende quindi l'atto unificato? L'essere svolta dalla stessa coscienza, e questa coscienza può svolgere un unico atto soltanto avendo coscienza, valga la ridondanza, che le diverse rappresentazioni che uniamo in un'unica rappresentazione appartengono tutte allo stesso atto che stiamo in quei momenti compiendo.

Così avviene durante il conteggio di un numero, dove, “se dimenticassi che le unità presenti ai miei sensi in questo momento sono state da me gradualmente aggiunte l'una dopo l'altra, non sarei in grado di rendermi conto dell'originarsi della pluralità da questa ordinata addizione d'una all'altra e non potrei quindi rendermi conto del numero”.64 E un concetto non è altro che quello, che la

coscienza dell'unità dell'operazione di una sintesi.

Abbiamo a questo punto seguito nella sua formazione la conformazione di un oggetto pronto per entrare nella nostra conoscenza. Ma andrebbe chiarito ora la differenza fra l'oggetto di una conoscenza e la conoscenza stessa, se l'oggetto è da considerarsi comunque ad essa corrispondente ma da essa diverso.

La risposta che Kant si dà, è quella di postulare un oggetto indeterminato quale una variabile x. È quest'x analoga a quanto detto fin'ora rispetto a quel che

determina la datità? Potrebbe sembrare, se Kant si fermasse a dire che questo “oggetto è considerato come ciò che sta di contro, impedendo che le nostre conoscenze vengano determinate a caso ed arbitrariamente...”.

Infatti la datità potrebbe adempiere a questo compito dal momento che esso fornisce contenuti determinati a una mente che può altrimenti vagare indefinitamente in un mare di ipotesi e dimostrazioni logiche di cui la Dialettica è piena.

Ma Kant aggiunge quanto segue: “... e facendo sì, invece, che lo siano a priori, in certi modi.”65 A priori? Kant qui ha tutt'altro in mente che la materia

delle nostre rappresentazioni come ciò che impedisce la nostra conoscenza di determinarsi a caso, ma la struttura che quest'oggetto ha come qualcosa che condivide con ogni oggetto. Noi abbiamo visto che mediante le tre sintesi esso acquista una sua conformazione a livelli, ma quello che è ancora stato taciuto è che le sintesi sono operate in conformità con le categorie. Infatti è a ciò che Kant si riferisce con “in certi modi”.

Ciò che sta veramente a monte di questa visione di oggetto è una condizione che nelle ultime pagine abbiamo menzionato sempre più spesso senza però mai soffermarci: l'unità.

Se l'oggetto frutto della triplice sintesi è in ultima istanza un'unità composta di molteplicità, questa molteplicità sottostà a una condizione

necessaria, non per sé stessa come molteplicità, ma per sé stessa come oggetto in cui finisce ad essere conformata.

Vale a dire che gli elementi di questa molteplicità “debbono necessariamente accordarsi fra loro in riferimento all'oggetto, quindi possedere quell'unità che costituisce il concetto di un oggetto.”66 A quest'unità generica, su

cui poggia l'oggetto, Kant si riferisce come a quell'x a cui le rappresentazioni facenti parte di un oggetto fanno riferimento.

Come dire: chi è rosa? La pantera. Chi azzanna? La pantera. Chi ruba diamanti? La pantera. Ma cos'è la pantera? Quest'x rosa che azzanna e ruba diamanti. In realtà “pantera” è unità e riferimento di un molteplice di caratteristiche ma è al di fuori di questa serie di caratteristiche. È un oggetto alla base della nostra conoscenza, ma al di fuori di essa come tale.

Quest'unità x non può essere quindi un derivato della nostra capacità ricettiva, ovvero esso non è un contenuto empirico. In quel caso sarebbe semplicemente uno fra gli elementi del molteplice, e sarebbe pur'esso da unificare, il che creerebbe un circolo. Essa corrisponde alle nostre rappresentazioni come una verità corrisponde al suo oggetto, ma resta diversa dalle nostre rappresentazioni.

Si è detto che la congiunzione tra rappresentazioni non può che essere un risultato della nostra attività. Ma ogni congiunzione, dal momento che riguarda

una molteplicità di termini congiunti, presuppone che intervenga in qualche modo un'unità esterna (non spazialmente, ma logicamente) capace di stare alla base di quanto unificato.

Ora, dove potremmo noi trovare la fonte di quest'unità se non ci son date che rappresentazioni sparse e mutevoli da un lato, e rapporti sintetici fra di loro che presuppongono, più che postulare, un principio unitario alla base?

“Questa condizione originaria e trascendentale non è altro che l'appercezione trascendentale”.67 “In noi non può darsi conoscenza né

connessione o unità delle conoscenze fra loro, senza quell'unità della coscienza che precede ogni dato dell'intuizione e in relazione alla quale soltanto diviene possibile ogni rappresentazione di oggetti. A questa coscienza pura, originaria, immutabile, intendo dare il nome di appercezione trascendentale”.68 Cosa sarebbe

l'appercezione trascendentale?

Abbiamo qualche paragrafo fa aggiunto un obbligo al molteplice dato: quello di doversi necessariamente accordare internamente per far parte di un oggetto che è in ultima istanza semplice unità. Perché il disaccordo fra rappresentazioni sensibili renderebbe impossibile questa unità e dunque la loro oggettivizzazione e conseguente conoscenza. Ma questa necessità è tale se noi troviamo che questi contenuti necessariamente debbano far parte di un'esperienza

67 KrV, A 106. 68 KrV, A 107.

e quindi conformarsi nella forma di oggetto che è l'unico travestimento con il quale si può entrar a far parte di questo selettivo salotto.

Ma questo aspetto deve ancora essere dimostrato. Cosa ci dice Kant fin qua? “[A]ffermiamo di conoscere l'oggetto allorché abbiamo operato un'unità sintetica nel molteplice dell'intuizione. Il che si rende impossibile, se non ha potuto aver luogo l'intuizione secondo una regola, mediante una funzione della sintesi che renda necessaria a priori la riproduzione del molteplice e renda possibile un concetto in cui questo molteplice si unifichi”.

Questa necessità parrebbe subordinata alla necessità di avere una conoscenza di un oggetto, ma che il molteplice che compone questo oggetto, fornitoci mediante l'intuizione empirica, sottostia a questa necessità, ovvero la sua possibilità di essere venisse minacciata se esso non si accordassi alla regola e quindi non si accordassi internamente con gli altri contenuti in modo da fornire una base all'unificazione in un oggetto di cui abbiamo parlato, non è ancora né dimostrato né chiarito, ma soltanto dato per garantito.

Ed è, come abbiamo già detto, a questo molteplice dato e alla sua docilità al riguardo che dovrebbe indirizzarsi la Deduzione.

In ogni modo, la preoccupazione riguarda ora il rapporto fra l'unità della coscienza e non più l'oggetto della triplice sintesi, ma “il molteplice di tutte le nostre intuizioni”: “Deve dunque esserci un fondamento trascendentale dell'unità

della coscienza nella sintesi del molteplice di tutte le nostre intuizioni; perciò anche dei concetti degli oggetti in generale, e infine, pertanto, di tutti gli oggetti dell'esperienza; in mancanza di questo, sarebbe impossibile pensare un oggetto qualsiasi per le nostre intuizioni”.69 Che le nostre intuizioni ne perdano nel caso

che questo fosse così, ripeto, è una questione lasciata ancora aperta.

L'unità dell'oggetto ha come condizione che ciò che va unificato sia unificabile. Che ciò che va unificato sia effettivamente unificabile dipende dalla regola che, mediante la funzione della sintesi, ovvero mediante categorie, è stata rispettata nell'apprensione del molteplice nell'intuizione.

Tutta la nostra questione dipende da due estremità che al momento sono ancora molto fragili: abbiamo da un lato il molteplice intuito che sottostà alla regola nel venire intuito, dall'altro una fonte di unità per tutto il processo che chiamiamo Appercezione trascendentale. Dunque da un lato tocchiamo l'estremo della recettività, e dall'altro quello della spontaneità.

Torniamo dunque a quest'ultima e sondiamo se pure l'Appercezione trascendentale, nel suo fare le basi per l'unificazione del molteplice, non abbia anch'essa delle condizioni e dei bisogni.

In effetti ce li ha, perché, se alla base dell'unità ci deve essere qualcosa di permanente (dal momento che noi stiamo parlando dell'unità di qualcosa che si svolge in modo discorsivo nella nostra mente, e che, facente parte così del nostro

senso interno, si trova ad essere immerso in rapporti di tempo), noi potremmo chiederci cosa rende possibile la permanenza di questa Appercezione?

Come abbiamo già visto nel capitolo II, “[l]a coscienza di noi stessi, in base alla determinazione del nostro stato nella percezione interna, non è che empirica e sempre mutabile; nel flusso dei fenomeni interni, essa non è in grado di dare un Sé stabile e permanente ed è abitualmente designata come senso interno o appercezione empirica”70.

Quest'unità della coscienza che è l'Appercezione non sarebbe possibile se “nella conoscenza del molteplice, il nostro animo non potesse aver coscienza

della funzione con la quale esso lo congiunge sinteticamente in una conoscenza”.

Questo punto è fondamentale per capire la necessità di una sintesi in conformità alla forma delle categorie. Così De Vleeschauwer spiega questo aspetto dell'operazione di unificazione: “La connaissance exige l'unité des éléments donnés. Cette unité, la recognition nous l'a appris, suppose que chaque élément

soit accompagné de la conscience du moi comme base identique et permanente.

Si la conscience signifie le fait qu'un élément est accompagné de conscience, l'identité permanente de cette dernière ne ressort pas de la succession de ces éléments, devenus chacun un état de conscience distinct. La conscience requise pour leur unification est donc une conscience à laquelle tous les éléments se

rapportent et qui est indépendante de chacun d'eux.”71

L'Appercezione si trova dunque nella situazione di dover restare unificata essendo popolata però da un insieme di contenuti mentali in pieno svolgimento e passaggio. E se nulla ci fosse di identico nello scorrere delle rappresentazioni, l'animo non sarebbe in grado di “pensare l'identità di sé stesso”. Ma c'è qualcosa di permanente in questo scorrere.

Questo non è certo una rappresentazione, ma la forma che assumono le nostre rappresentazioni come risultato dell'operazione che l'appercezione compie su di esse. “L'identità della propria operazione” rende l'unità dell'Appercezione nel tempo possibile. E queste operazioni, abbiamo visto, sono rappresentate dalle categorie.

Facciamo brevemente il punto della situazione .

“Se l'unità della sintesi in base a concetti empirici risultasse del tutto contingente (…) sarebbe possibile che una baraonda di fenomeni venisse a riempire il nostro animo, senza che ne potesse mai derivare un'esperienza. Ma in questo caso si renderebbe impossibile anche ogni rapporto della conoscenza con oggetti, perché questa risulterebbe priva di ogni connessione in base a leggi universali e necessarie; nel qual caso si darebbe certamente un'intuizione senza

pensiero, ma mai una conoscenza, cioè per noi, men che nulla”72

Kant stesso conferma qui la distanza di quanto conseguito fin'ora da quella che sarebbe una completa deduzione dei concetti puri intesa come una deduzione della possibilità della conoscenza. Le categorie avrebbero validità oggettiva a priori riguardo alla conoscenza di oggetti, ma l'esistenza di oggetti non ha ancora un valore a priori se la sua possibilità resta ancorata alla necessità che il molteplice si accordi tra sé nell'intuizione per conformare l'oggetto stesso.

Sebbene quest'unità è garantita dal lato della nostra spontaneità dall'Appercezione, non si capisce ancora perché dovrebbe pure esserlo dal lato della nostra recettività, cioè del dato, se è ancora ammissibile un'intuizione senza

pensiero.

Infatti Kant ci dice “la possibilità, anzi la necessità, di queste categorie, poggia sulla relazione che l'intera sensibilità, e con essa anche ogni possibile fenomeno, hanno con l'appercezione originaria, in cui tutto deve essere necessariamente conforme alle condizioni dell'unità totale dell'autocoscienza, cioè deve subordinarsi alle funzioni universali della sintesi in base a concetti, come l'unica in cui l'appercezione abbia la possibilità di dimostrare a priori la propria piena e necessaria identità”.73

Qui si inizia finalmente ad intravedere una chiusura nella rete che abbiamo

72 KrV, A 111, corsivo mio. 73 KrV, A 112

a poco a poco tessuto attorno al nostro problema, ma mancando qui alcune affermazioni che renderebbero completa l'intera argomentazione al riguardo, non possiamo ancora darci per soddisfatti da questo passaggio.

Cercheremo di individuare le parti mancanti, da un lato nelle pagine restanti della Deduzione, e dall'altro nelle conclusioni di questa tesi, affinché l'intera portata di ciò che viene detto in questo passo e che abbiamo trattato nelle pagine precedenti venga alla luce.

Leggendo quest'ultima citazione, si può notare quanto l'attenzione sia sempre rivolta verso le condizioni della conoscenza, dell'appercezione, delle categorie, ecc. ma mai verso le condizioni della datità, ovvero verso l'individuazione se pure la datità come tale è anch'essa subordinata a delle condizioni senza le quali non potrebbe essere.

Questa condizione esiste, e non è altro che la necessità di far parte di una coscienza, il che presto escluderà categoricamente che si possano dare intuizioni

senza pensiero a una coscienza.

La Deduzione oggettiva inizia a porre riparo, almeno in parte, a questa trascuratezza nei confronti delle condizioni della recettività. Infatti Kant sarebbe qui più fedele a quanto affermato nell'introduzione rispetto a quanto affermato all'inizio di questa terza sezione, che si presenta come una riesposizione in ordine diverso di quanto venne esposto nella sezione precedente.74

In realtà nelle prime pagine ci troviamo di fronte a una annotazione che esprime qualcosa di importanza incalcolabile, in quanto si potrebbe dire che considera esplicitamente la “condizione necessaria della possibilità di ogni rappresentazione”.75 Che ci dice questa nota? “Tutte le rappresentazioni hanno

una relazione necessaria con una possibile coscienza empirica; se infatti non l'avessero, e se fosse del tutto impossibile esser coscienti di esse, equivarrebbe a dire che non esistono punto.” Quindi anche il molteplice dato, intriso quanto si voglia di indipendenza dalla mente che lo recepisce, ha delle condizioni che riguardano niente meno che la propria esistenza.

Dove si trovano queste condizioni? In noi. E più di preciso? Nella coscienza empirica di questo molteplice. Ma mediante questa coscienza empirica, la loro condizione si estende fino ad abbracciare l'intero organo della ragione, se vogliamo chiamare così l'insieme degli aspetti connessi e funzionalmente interdipendenti di cui è composta la nostra mente, e dentro a cui possiamo contare le facoltà dell'intelletto e dell'immaginazione, la sensibilità, l'appercezione, la coscienza empirica, il senso interno, e tutto ciò che abbiamo fin'ora trattato. Infatti, “ogni conoscenza empirica ha una relazione necessaria con una coscienza trascendentale (precedente ogni particolare esperienza), ossia con la coscienza di me stesso come appercezione originaria.”

particolarmente, intendiamo ora esporlo riunito e connesso.” 75 KrV, A 116

Ma andando avanti Kant è sempre più chiaro rispetto a questo punto: “Ciò che ci è dato prima di tutto è il fenomeno, il quale, quando è legato alla coscienza prende il nome di percezione (in mancanza di un rapporto a una coscienza almeno possibile, il fenomeno non potrebbe mai diventare per noi un oggetto di conoscenza e, di conseguenza, per noi non esisterebbe; e siccome esso non ha in se stesso alcuna realtà oggettiva, non esisterebbe del tutto).”

Sembrerebbe che il nostro autore si fosse corretto rispetto a quanto aveva detto prima di un'intuizione senza pensiero. Del come poi questo fenomeno, che “implica una molteplicità” e di come “nell'animo si trovano percezioni diverse, sparpagliate e singole” e si renda “necessario un loro congiungimento” abbiamo già parlato abbastanza.

Capitolo IV

Conclusione

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