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La prima Deduzione trascendentale dei concetti puri dell'intelletto

Raccogliendo tutti i diversi spunti che fin'ora abbiamo esposto, vorrei porre dinnanzi qualche pretesa nei confronti di questa Deduzione.

Essa ha il compito di mostrare il diritto dei concetti puri, senza i quali non può darsi conoscenza alcuna, a riferirsi a priori agli oggetti. Ma scendendo nei particolari, questo dovrebbe equivalere a dire che, ad esempio, nell'uso della categoria di sostanza c'è un elemento sensibile a cui noi diamo il senso di sostanza e un altro a cui diamo il senso di accidente. Il nostro compito principale qui non sarà quello di mostrare come noi apprendiamo il primo elemento in quanto sostanza, il secondo in quanto accidente, ma di mostrare che la conoscenza che è alla base di questa nostra operazione, ovvero che tutti gli oggetti sono sostanze, non può in alcun modo venire frustrata.

Basterebbe che certi elementi semplicemente non si prestassero ad essere sostanza ed accidente affinché si verificasse questa frustrazione che vanificherebbe l'intero uso dell'intelletto. È dunque questa la vera minaccia alla quale la Deduzione è rivolta, ossia l'elemento sensibile.

questo elemento dato, poiché non sono da esso derivati, come se si trattasse di una copia, il che ci dispenserebbe dalla loro deduzione. E benché provenienti da noi, questi concetti hanno una sorta di “vocazione di ulteriorità”, considerato che l'unico loro uso è in rapporto agli elementi empirici, ovvero non provenienti da noi.

Ora, questi elementi sono fenomeni sensibili dati, poiché altro tipo di conoscenza ci è vietato. Perché le categorie, indispensabili per avere una conoscenza, sono in fondo diversi modi di unificare un molteplice dato, e il molteplice ci può soltanto essere fornito a posteriori43 dall'intuizione. Questo è il

motivo per il quale i noumeni non possono essere conosciuti.44 Ma stando così le 43 KrV, B 34/A 20 “Poiché ciò in cui soltanto le sensazioni si ordinano e possono esser

poste in una determinata forma, non può, a sua volta, esser sensazione, ne viene che la materia di ogni fenomeno ci è di certo data soltanto a posteriori, ma la forma relativa deve trovarsi per tutti i fenomeni già a priori nell'animo (...)”.

44 “La dottrina della sensibilità è dunque nel contempo dottrina dei noumeni in senso negativo ossia di cose che l'intelletto deve pensare senza questa connessione col nostro modo di intuire e quindi deve pensare non semplicemente come fenomeni, bensì come cose in sé; ma, nel tempo stesso, l'intelletto sa, a proposito di queste cose [in sé], che da una tale astrazione deriva un modo di considerarle tale da impedire qualsiasi uso delle proprie categorie; queste infatti, non avendo altri significato che relativo all'unità delle intuizioni nello spazio e nel tempo, sono in grado di

cose, resta inscindibilmente legato alle categorie non semplicemente un oggetto, che è già frutto dell'unificazione prodotta dalle categorie, ma un molteplice dato non dal pensiero. Ovvero quel che noi pretendiamo è il vero oggetto della nostra Deduzione.

Per dirlo esplicitamente con Kant, “[q]ui emerge dunque una difficoltà che non abbiamo incontrato nel campo della sensibilità: in qual modo, cioè, le condizioni soggettive del pensiero debbano avere una validità oggettiva, ossia ci diano le condizioni della possibilità di ogni conoscenza degli oggetti; infatti,

anche senza funzioni dell'intelletto, possono senz'altro esserci dati fenomeni nell'intuizione.”45

Come mostrare dunque che l'oggetto che abbiamo individuato per la Deduzione, la datità, che ormai abbiamo caricato di significati come esteriorità, indipendenza, indeterminabile, ulteriore, noumenico, ecc. e abbiamo cercato pure di trascinare al cuore del problema, sia determinata a priori dalle condizioni in cui la nostra conoscenza può verificarsi?

congiunzione e sulla base della semplice idealità dello spazio e del tempo. Dove questa unità del tempo non può aver luogo, ossia nel noumeno, viene

completamente meno l'intero uso, anzi l'intero significato delle categorie.” KrV B 308.

“È del tutto contraddittorio e impossibile che un concetto debba esser prodotto interamente a priori e debba riferirsi a un oggetto senza che appartenga come tale al concetto di un'esperienza possibile, né sia costituito da elementi di un'esperienza possibile.”46

Cosa rende possibile o meno un contenuto d'esperienza?

Abbiamo visto che per Hume null'altro che la contraddittorietà poteva escludere qualcosa dall'ambito delle possibilità. Ma qui stiamo parlando di esperienza, ed esperienza è qualcosa che, a meditare bene, è ben più stretto della semplice coscienza nel percepire qualcosa. È sottoporre le percezioni a uno sforzo conoscitivo, non necessariamente cosciente, che le rendano rappresentative di un futuro o un passato, ovvero che le mettano in rapporto con altre esperienze.

L'esperienza si svolge in diversi gradi e in qualsiasi ambito. Posso concentrare le mie energie per comprendere le dinamiche dei rapporti umani e quindi fare tesoro di ogni occasione per farmi un'esperienza al riguardo. Ma posso pure, inintenzionalmente, a livello più quotidiano, formarmi un'esperienza sul funzionamento dei fornelli di una casa con la sola ripetizione meccanica di un gesto di cui i primi tentativi saranno delle bruciature. Nell'esperienza rientrano pure, ad esempio, le conoscenze della fisica. In ogni modo, ogniqualvolta la mia conoscenza si accresce mediante il mio commercio col mondo, sia interno che

esterno, io ho a che fare con dell'esperienza.

È c'è una componente pura nell'esperienza. Ma questa componente pura è nell'esperienza perché negli stessi oggetti empirici che la compongono vi è in realtà una componente pura, oltre a quella empirica. Se dunque il campo dell'esperienza possibile è più ristretto di quello che si può logicamente escogitare, è perché queste forme pure rappresentano le condizioni per entrare in una esperienza possibile in quanto sono le condizioni per formarsi degli oggetti per quest'esperienza47.

Ma questo si basa sulla prova che i dati che noi apprendiamo effettivamente sottostiano a queste condizioni. Per mostrare che questo è così avviene impercettibilmente quella divisione del senso di oggetto fra la datità che è alla base, e il prodotto della nostra spontaneità che fa di esso un oggetto d'esperienza.

“Gli elementi di tutte le conoscenze a priori, finanche delle escogitazioni arbitrarie ed assurde, non possono di certo venir tratti dall'esperienza (in questo caso, infatti, non sarebbero più conoscenze a priori), ma debbono tuttavia contenere sempre le condizioni pure a priori di un'esperienza possibile e di un

47 “Ma questi concetti, che racchiudono a priori il pensiero puro presente in ogni esperienza, noi li troviamo nelle categorie; ed è già una bastevole deduzione di esse, nonché una giustificazione della loro validità oggettiva, poter dimostrare che

oggetto di essa; in caso diverso, non solo non verrebbe pensato nulla per mezzo di essi, ma, privi come sono di dati, non avrebbero mai la possibilità di sorgere nel pensiero.”48

Se da questo appare che la datità è in fondo ineliminabile dalla conoscenza come la concepisce Kant, perché dedicarci, più che a trovar un modo per “dedurre” questa datità alla base, a seguire la genesi di ciò che la nostra mente fa con essa per creare un oggetto?

L'accusa di psicologismo che pesa sulla prima deduzione si fa forte di questo argomento. Infatti potremmo accusare la Deduzione A di mostrarci soltanto come la nostra mente procede nell'uso empirico delle categorie, e non che il suo diritto a farlo, che era la questione principale, non sia in realtà basato sulla contingenza.

Contro queste accuse però Kant stesso ci mette in guardia nella Prefazione alla prima edizione:

“Questa trattazione, non poco profonda, ha però due aspetti. Uno riguarda gli oggetti dell'intelletto puro, e deve mostrare e giustificare la validità oggettiva dei suoi concetti a priori; e proprio questo rientra nei miei scopi in linea essenziale. L'altro aspetto passa a considerare lo stesso intelletto puro, secondo la sua possibilità ed i poteri conoscitivi su cui si fonda, cioè nel rapporto soggettivo; e sebbene questa trattazione sia di grande importanza per lo scopo principale della

mia indagine, non ne fa parte in modo essenziale.”49

Seguiamo così quella che verrà chiamata Deduzione soggettiva, in quanto essa può fornire chiarezza rispetto ai due sensi di oggetto che abbiamo scelto di privilegiare, e di cui abbiamo parlato già diverse volte. Passeremo solo in seguito all'argomento sul quale fa completo affidamento il nostro autore.

È qui che abbiamo rimandato a più riprese quando abbiamo parlato di oggetto frutto di spontaneità e recettività, in particolare quando abbiamo fatto l'esempio della pantera rosa. Come avviene l'unità, a cui inizieremo a dare il nome di sintesi, delle sue note empiriche (colori, odori, posizioni, ecc.) che sta alla base dell'intuizione di questa pantera?

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