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Calcolo delle performance

CAPITOLO 4 Diversificazione di portafoglio con ETF su PE

4.2 Calcolo delle performance

Esistono molti modi per misurare le prestazioni di un portafoglio. Finora sono state proposte molte misure sulla performance. Secondo Jensen161, una misura della performance del portafoglio dovrebbe essere in grado di valutare la capacità di un

160 ETF Landscape, 2009

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gestore di aumentare il rendimento del portafoglio attraverso la previsione di successo e la sua capacità di minimizzare il rischio non sistematico del portafoglio. Reilly e Brown162 hanno illustrato alcune delle misure più utilizzate per valutare le prestazioni di un portafoglio. Si tratta dello Sharpe ratio163, dell’information ratio164, dell’indice di Jensen (Jensen, 1968) e del Treynor ratio165.

Lo Sharpe ratio

𝑆 = 𝑅𝑝 – 𝑅𝑓 𝜎𝑎 in cui:

Rp è il rendimento del portafoglio Rb è tasso di interesse privo di rischio (Ra – Rf) è il valore atteso

σa è la sua deviazione standard (o volatilità)

Lo Sharpe ratio è uno strumento di misurazione e gestione del rischio che prende il nome dal premio Nobel William F. Sharpe. Esso è facile da spiegare, ma molto importante. Fondamentalmente, lo Sharpe Ratio indica agli investitori se il successo di un portafoglio è dovuto a decisioni di investimento prudenti o all'assunzione di rischi inutili. Calcolato sottraendo il tasso privo di rischio dal tasso di rendimento di un portafoglio e dividendo il risultato per la deviazione standard dei rendimenti del portafoglio, lo Shape Ratio indica agli investitori solo quanto è stata buona la performance corretta per il rischio del portafoglio scelto.

Un valore alto di questo indice sottintende che vi è stata una buona performance corretta per il rischio preso, mentre un valore basso sottintende che gli investitori avrebbero dovuto utilizzare un investimento più conservativo.

162 Reilly e Brown 2012, “Investment analysis & and Portfolio Managementt” 163 William Sharpe 1994, “The Journal of Portfolio Management”

164 Grinold e Kahn 1989, “Performance of 130/30 Strategies” 165 Treynor 1965,"How to Rate Management of Investment Funds"

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Infatti, Sharpe166 afferma che questo rapporto dovrebbe essere utilizzato solo per un confronto tra portafogli e non per decidere se valga la pena investire in un particolare portafoglio o meno. Dichiara inoltre esplicitamente che lo Sharpe ratio dovrebbe essere utilizzato per misurare il rendimento atteso per unità di rischio, solo per zero strategie di investimento.

L’Information ratio

𝐼𝑅[𝑟(𝐴)] = 𝐸[𝑟(𝐴)] 𝑆𝑡𝑑[𝑟(𝐴)] in cui:

E[r(A)] sono i rendimenti attesi attivi del portafoglio

Std[r(A)] deviazione standard del rendimento attivo del portafoglio

Grinold167 (1989) propone l’information ratio, che viene calcolato dividendo i rendimenti attivi attesi del portafoglio, l'alfa, per la deviazione standard del rendimento attivo del portafoglio. Il denominatore, chiamato anche" tracking error", riflette il costo di una gestione attiva168. Il rendimento attivo atteso è la differenza tra il rendimento atteso del portafoglio e il rendimento atteso del benchmark.

Si può notare che questo rapporto è molto simile allo Sharpe ratio ed in effetti, sono entrambi indicatori della performance per unità di rischio.

Inoltre, l’information ratio è uguale allo Sharpe ratio, quando il benchmark combacia con il tasso di interesse privo di rischio.

L'informatio ratio ha la proprietà di sintetizzare sia una misura di extra-rendimento sia quella di extra-rischio del fondo rispetto al benchmark. In base alla costruzione dell'indice, emerge che un portafoglio gestito con una strategia passiva avrà un information ratio prossimo allo zero, mentre un gestore attivo dimostrerà una elevata qualità del proprio operato nella misura in cui sarà stato in grado di massimizzare il proprio rendimento differenziale rispetto al benchmark e minimizzare la rischiosità, sempre su base differenziale.

166 William Sharpe 1994, “The Journal of Portfolio Management” 167 Grinold e Kahn, 1989

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L’Alfa di Jensen

𝛼𝑖 = 𝑅𝑖 − 𝑅𝑓 − 𝛽𝑖(𝑅𝑀 − 𝑅𝑓) in cui:

Ri è il rendimento realizzato (sul portafoglio), Rf è il tasso di interesse privo di rischio βi il Beta del portafoglio

RM il market return

L'alfa di Jensen è una statistica comunemente utilizzata nella finanza empirica per valutare il rendimento marginale associato all'esposizione unitaria a una determinata strategia.

Jensen169 propone una misura della performance del portafoglio derivata dal CAPM. L'alfa, in questa formula, può essere interpretata come la parte nei rendimenti del portafoglio che è attribuibile alla capacità del gestore di generare rendimenti superiori alla media corretti per il rischio170.

Tuttavia, a differenza dell’information ratio o dello Sharpe ratio, l'Alfa di Jensen non valuta la capacità del gestore di ridurre il rischio non sistematico, poiché assume β come parametro di rischio.

Treynor Ratio

𝑇𝑅𝑝 =[𝐸(𝑅𝑝) − 𝐸(𝑅𝑏)] 𝛽𝑝

in cui:

E(Rp) è il rendimento atteso del portafoglio E(Rb) è il tasso degli investimenti privo di rischio βp è il Beta del portafoglio

169 Michael Jensen 1968, “The Journal of Finance”

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L'indice di Treynor (Treynor ratio), detto anche Reward to Volatility Ratio, è un indice di rischio finanziario introdotto per la prima volta nel 1965 dall'economista Jack Treynor. Tale indice, a differenza di quanto fa l'indice di Sharpe (che utilizza come indice di rischio la deviazione standard), usa il classico Beta come indice di rischio.

L'indice di Treynor è un rapporto tra surplus generato dalla gestione e rischio assunto, quindi maggiore è l'indice di Treynor maggiore è l'appetibilità dell'investimento. Un indice di Treynor elevato è indicatore di un'elevata capacità del portafoglio di remunerare l'esposizione al rischio sistematico (Beta).

Sebbene queste misure siano tra le più famose nella gestione del portafoglio, ovviamente non rappresentano l'unico modo per valutare le prestazioni di un portafoglio171. Cogneau e Hübner hanno identificato oltre 100 modi per misurarne le performance. Tuttavia, un'analisi approfondita di tali misure va oltre lo scopo di questa tesi. Inoltre c'è una problematica importante che non ho ancora menzionato, cioè la rilevanza di questi rapporti per la gestione passiva.

Le misure presentate sopra hanno infatti i loro limiti e dovrebbero essere utilizzate in modo appropriato e in base alle circostanze. Sarebbe inappropriato utilizzare una misura incentrata sui rendimenti assoluti per valutare la performance di un ETF gestito passivamente. In effetti, nella gestione passiva, l'obiettivo principale è replicare la performance di un benchmark. Hassine e Roncalli172affermano che, per gli investitori passivi, la performance assoluta non ha senso.

In questo contesto, le misure di rendimento come l'alfa di Jensen e il rapporto di Sharpe sembrano inopportune. Si può facilmente capire che, poichè la gestione del portafoglio attiva e quella passiva hanno obiettivi diversi, dovrebbero utilizzare misure di rendimento diverse o fornire interpretazioni diverse dei risultati ottenuti applicandole. Le misure presentate sopra funzionano dunque bene ed appaiono adeguate per i portafogli gestiti attivamente. Una misura di performance sugli ETF dovrà essere in grado, quindi, di valutare la loro efficienza e di distinguere gli ETF buoni dagli ETF mal gestiti.

Roncalli definisce un buon ETF come "un fondo che presenta il rischio più basso in relazione all'indice che replica". Secondo lui, l'efficienza di un ETF può essere valutata

171 Cogneau & Hubner, 2009

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considerando tre fattori: la tracking difference, la liquidità dello spread e il tracking error.

Mentre la tracking difference e il tracking error sono argomenti ampiamente discussi in letteratura in merito al tracciamento dell'indice173, il problema della liquidità è spesso dimenticato.

Roncalli afferma che, nel caso di una gestione attiva del portafoglio di un benchmark, minimizzare il tracking error non è compatibile con il fatto di rendere il portafoglio dominante nel senso di media/varianza. Roll, infatti, si è concentrato sulla minimizzazione del tracking error per un dato livello extra rendimento. Il problema di tracciamento dell'indice è un problema di ottimizzazione del portafoglio e la letteratura, nell’affrontarlo, ha proposto diverse soluzioni e modelli. Jeurissen e Van den Berg174 , ad esempio, suggeriscono di utilizzare un algoritmo genetico ibrido per selezionare il miglior portafoglio di monitoraggio.

Nel 2003, Beasley, Meade e Chang hanno, invece, presentato un approccio euristico evolutivo per risolvere il problema di tracciamento dell'indice. Il loro modello include un vincolo sui costi di transazione e un vincolo sul numero massimo di azioni che possono essere utilizzati per replicare l'indice stesso. Barro e Canestrelli,175 infine, propongono un modello multi-periodale per minimizzare il tracking error tenendo conto del rischio di shortfall. L'obiettivo nella gestione passiva del portafoglio, infatti, è quello di replicare l’andamento di un indice. Tuttavia, anche se la la tracking difference e il tracking error sono veramente bassi, se il benchmark scende, il fondo replicherà questa performance. Il modello di doppio tracking error che presentano, mira infatti a proteggere l'investitore da un calo significativo del benchmark. Per quanto riguarda poi la liquidità, essa costituisce uno dei principali vantaggi degli ETF rispetto ai fondi comuni di investimento. Non per questo, però, merita minore attenzione. La tracking difference è la differenza, positiva o negativa, tra i rendimenti di un ETF e i rendimenti di un benchmark in un determinato periodo di tempo. Il tracking error invece è la volatilità della tracking difference e viene solitamente misurata dalla deviazione standard della tracking difference come sostiene Roncalli176.

173 Jeurissen, Van den Berg 2005, “A Mean/Variance Analysis of Tracking Error” 174 Jeurissen, Van den Berg, 2005

175 Barro e Canestrelli 2013, “Dynamic tracking error with shortfall control using stochastic programming” 176 Roncalli 2014, “Mutual Funds and Exchange-traded Funds: Building Blocks to Wealth”

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