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2.   CI e collaborazione nelle PMI: un quadro di riferimento 20

2.1   Capitale intellettuale e PMI 20

2.1.3.1   Il Capitale Strutturale 37

Il Capitale Strutturale è l’infrastruttura che consente al capitale umano di esprimere il suo potenziale e con il quale esiste una relazione di interdipendenza dinamica. Esso è definito come “ciò che accade tra le persone, come le persone sono collegate all’interno di un’organizzazione e ciò che resta quando i dipendenti tornano a casa”. Esso ricomprende forme codificate di conoscenza di proprietà dell’impresa quali, ad esempio, i brevetti, i software applicativi, i manuali di processo, i database, le best practices manageriali e le reti Intranet. Il capitale strutturale consente di valorizzare il capitale umano, promuovendo ed agevolando la trasformazione di conoscenza in azione e rendendola una forma durevole di capitale. L’obiettivo del management è quello di contenere e trattenere la conoscenza affinché questa diventi proprietà dell’azienda.

Secondo Peter Drucker: “Soltanto l’organizzazione può assicurare quella continuità di fondo di cui i lavoratori della conoscenza hanno bisogno perché il loro lavoro sia efficace. Soltanto l’organizzazione, quindi, può trasformare in rendimento il saper specialistico del lavoratore della conoscenza.”

Questo significa che anche le persone più intelligenti hanno bisogno di un meccanismo che assembli, confezioni, promuova e distribuisca il frutto del loro pensiero.

Il capitale strutturale, a differenze del capitale umano, appartiene all’organizzazione nel suo complesso. Può essere riprodotto e messo a disposizione di ogni individuo.

Oltre alle forme codificate di conoscenza, il capitale strutturale comprende il sapere scientifico avanzato ma anche la strategia e la cultura, le strutture e i sistemi gestionali, le prassi e le procedure organizzative.

Un’accezione più particolare di capitale strutturale è quella di cultura organizzativa.

Il principale fattore di cultura organizzativa è il management in senso stretto. Si tratta di far funzionare l’organizzazione in termini di processi efficaci ed efficienti, con un premio visibile sulle capacità di implementare le innovazioni e lo spirito di acquisizione di nuove opportunità di mercato.

Una rapida condivisione della conoscenza, una crescita collettiva di conoscenza, lead time ridotti e una maggiore produttività delle persone – queste sono le ragioni per le quali è importante gestire il capitale strutturale.

La gestione del capitale strutturale si traduce in attività ed interventi volti a favorire i processi di acquisizione, creazione, memorizzazione, circolazione e riutilizzo della conoscenza, ovvero in una sola espressione: knowledge management. La conoscenza si trasforma in vantaggio competitivo solo se è accessibile, riutilizzabile e vendibile. La gestione della conoscenza codificata ad uso dell’intera organizzazione porta verso modelli di capitale strutturale tipici di un’impresa fondata non su asset fisici ma sull’informazione. Gli alti livelli di turnover che caratterizzano oggi le imprese hanno indotto molte aziende a creare archivi della conoscenza ad uso dell’intera organizzazione. Infatti, il condividere l’esperienza dei singoli ad uso di tutti, porta i nuovi assunti ad accedere ad un know-how che consente loro di capitalizzare sull’esperienza di altri. La sistematizzazione delle esperienze di successo e di insuccesso affrontate dall’organizzazione crea un vero e proprio lessons learned database che consente di risparmiare tempo e di incrementare l’efficienza nel momento in cui ci si trova a dover rispondere a particolari problemi che qualcuno, all’interno dell’organizzazione, ha precedentemente affrontato.

La condivisione della conoscenza e delle esperienze pone il problema degli incentivi e dei riconoscimenti. Alcune imprese offrono riconoscimenti alle risorse umane che dimostrano abilità nell’attività di knowledge sharing. Il sistema di incentivi e riconoscimenti crea le condizioni favorevoli affinché le cose accadano. In tal senso il capitale strutturale viene descritto come : “l’insieme di ragioni che portano persone di talento a lavorare per un’organizzazione e desiderano non lasciarla” (Stewart, 1997).

L’importanza dell’apprendimento nella gestione del capitale intellettuale

All’interno di un’organizzazione l’uso consapevole della conoscenza e delle attività ad essa correlate viene riassunta, oggi, con il l’espressione “Knowledge Management” (KM).

Il KM è un tama molto dibattuto. Durante gli anni ‘90, il concetto è stato spesso impiegato per descrivere applicazioni informatiche per l’immagazzinamento e il recupero delle informazioni (Wilson, 2002). Tale prospettiva, basata sull’informazione è stata pesantemente criticata da autori che rivendicavano il KM come prospettiva sulla strategia, sulla gestione e sull’innovazione (Sveiby, 1990, 1997; Nonaka & Takeuchi, 1995; von Krogh et al., 2003).

Il KM è indicato come: “L’insieme di distinti e ben definiti approcci e processi, progettati per ricercare e gestire, in modo razionale e deliberato, le funzioni conoscitive, critiche, positive e negative lungo i processi operativi, gestionali e di supporto dell’impresa”. (Karl Wiing, 1994).

Secondo Sveiby (1997) è: “l’arte di creare valore facendo leva sul capitale intellettuale”. Il suo obiettivo è studiare l’impiego dei modi più efficienti per usare la conoscenza a disposizione di un’organizzazione, per generare il maggior valore possibile, impiegando le risorse intangibili quali fattori più rilevanti di vantaggio competitivo (Migliarese e Verteramo, 2005). Il Business Week lo definisce come “L’idea di catturare la conoscenza acquisita dagli individui e distribuirla agli altri appartenenti all’organizzazione”. Questa nuova concezione manageriale presenta due aspetti fondamentali:

1. la misurazione del Capitale Intellettuale 2. e la sua gestione.

Più nel dettaglio, il KM è un metaprocesso organizzativo attraverso il quale le organizzazioni creano, fissano, classificano, riutilizzano e condividono la conoscenza ritenuta necessaria per il perseguimento degli obiettivi aziendali. Esso si occupa di individuare modelli, metodologie e strumenti atti alla gestione della conoscenza attraverso un approccio basato sull’innovazione culturale, organizzativa e tecnologica.

Le attività di KM sono diventate molto diffuse nell’ ultimo decennio, non solo nelle grandi, ma anche nelle piccole imprese, anche se in realtà pochi manager nelle PMI attribuiscono a queste attività il nome di KM. Ad esempio, Beijerse (2000), dagli studi condotti su 12 innovative PMI in Olanda ha trovato ben 79 differenti attività o processi di KM, i più importanti dei quali erano legati alla gestione strategica ed ad una cultura positiva. Lim and Klobas (2000), invece, hanno rilevato dai loro studi su piccole imprese in Australia e a Singapore che le necessità e le sfide del KM sono sorprendentemente simili a quelle delle

grandi imprese. Essi hanno, inoltre, notato che molti processi di KM sono più semplici da applicare a PMI in quanto risulta più facile catturare la conoscenza tacita in un ambiente meno formale.

Alcune ricerche condotte sulle PMI da Gustavsson e Harung (1994) e successivamente da Choueke e Armstrong (1998) hanno mostrato che un approccio più consapevole al KM, l’esperienza e i valori condivisi hanno un impatto sull’apprendimento collettivo e sulla capacità di cambiamento, e quindi anche sul vantaggio competitivo delle PMI. Questa ipotesi è supportata da almeno altri due studi (Matlay, 2000; Penn, 1998) sulle PMI in Inghilterra, da cui si evince che l’apprendimento strategico e l’orientamento alla conoscenza conducono a sopravvivere e a crescere nel lungo periodo, ma anche a raggiungere più velocemente successi di breve termine. Malgrado questo processo di apprendimento si verifichi nella maggioranza delle piccole imprese, solo una minoranza è in grado di gestire la nuova conoscenza strategicamente per ottenerne vantaggi competitivi (Matlay, 2000). In conclusione, il risultato di questi studi indica che una prospettiva strategica sull’acquisizione della conoscenza può essere più importante per il successo e la sopravvivenza nel lungo periodo di quanto non lo siano i fattori ambientali.