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Carattere arcaico dell‟arte di Barney

Nel documento MATTHEW BARNEY E IL CINEMA (pagine 154-157)

Ho spesso tentato di evidenziare il carattere arcaico dell‟arte di Barney (il cinema di Cronenberg possiede in misura molto minore tali tratti) e il suo riallacciarsi ad esperienze primitive. Sempre Di Leva proprio a tale proposito dichiara: “il fenomeno dell‟ibridazione è storicamente accertato come una delle espressioni culturali più antiche a noi nota. Le prime rappresentazioni zooantropomorfe risalgono, infatti, al Paleolitico. Gli esempi più affascinanti ci arrivano dal Magdaleniano (14000 anni BP), dove il Sorcier de Les Trois Frères, l‟uomo bovide di Gabillou e l‟uomo dalla testa di uccello di Lascaux in pittura, ma ancora la scultura dell‟uomo-felino di El Juyo presso Santander, dimostrano una cultura diffusa in cui l‟ibrido diviene forma di rappresentazione prediletta della relazione tra l‟umano e il ciclo vitale. Con gli ultimi esempi rilevanti di ibridazioni nel periodo preistorico, vale a dire le figure zooantropomorfe di Tassili in Algeria del periodo Bovidiano (4000-3000 a. C.), ci avviciniamo ormai a quelle culture storiche che raccoglieranno ampiamente questa tradizione, facendone un mezzo di rappresentazione privilegiato della relazione tra l‟uomo e le forme originarie e trascendenti dell‟esistere. Così nell‟antico Egitto, ad esempio, figure ibride sono Ra dalla testa di falco (dio supremo del pantheon egizio e creatore dell‟uomo; il suo occhio è il sole), Bastet dalla testa di gatta (originariamente dea del calore benefico del sole, poi divenuta divinità lunare), Sekhmet dalla testa di leonessa (dea della guerra, sorella di Bastet, rappresentante del potere distruttivo del calore solare) e Anubi dalla testa di sciacallo (dio protettore del mondo dei

52 Ibid., pg.231

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morti che accompagnava il defunto nel suo viaggio ultraterreno). Come si nota, queste sono divinità che albergano nella zona di contatto tra vita e morte, tra essere e sue possibilità. Divinità astrali, sono figure archetipiche degli opposti aspetti dell‟essere e rappresentano l‟unità inscindibile di elementi divergenti: vita/morte, bene/male, sole/luna e

uomo/animale” 54

.

La videoarte di Barney e il cinema di Cronenberg rilanciano la grande tematica archetipica del superamento della possibilità umana, l‟inseguimento dell‟infinito, la pratica visionaria. Ed ecco quindi che (e anche questo vale sia per Barney che per Cronenberg): “il corpo è un campo di forze privo di limitazioni esterne, privo di frontiere, uno spazio aperto d‟indagine

che chiede l‟abolizione di ogni confinamento” 55

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Barney e Cronenberg delineano un universo alternativo ed inedito retto da leggi proprie, da propri equilibri interni, dalla sperimentazione del corpo e sul corpo.

Il corpo, nella poetica dei due autori, si configura sia come strumento che come fine: strumento di sperimentazione iconica, spaziale e temporale, e fine ultimo su cui si rappresenta la propria idea di mondo (Cronenberg) od il proprio mondo (Barney, se solo consideriamo la sua creazione di mondo legata al limite da superare, al “restraint”, materializzato proprio mediante la prova fisica, lo sforzo fisico).

Forse non riusciremo mai a mettere in luce del tutto l‟immensa portata ed il grandissimo ruolo che il corpo riveste nella poetica dei due autori: nel corpo risiede una creazione e rappresentazione archetipica del mondo. Sempre Massimiliano Di Leva dichiara: “Barney non propone di rigettare il corpo nell‟avvilimento restrittivo del passato, ma di assoggettarlo alle sue proprie leggi senza timore. Non esiste più il vincolo esterno della morale e del pudore pubblico. Il corpo si riappropria di una parte della sua stessa verità carnale” 56

.

In questa affermazione Massimiliano Di Leva bene evidenzia una creazione autonoma di

leggi, atteggiamento questo tipico sia di Barney che di Cronenberg, come ho già avuto

modo di mettere in luce anche io precedentemente.

Ed ecco che così riusciamo a scorgere un altro aspetto essenziale della poetica dei due autori: il superamento della morale tradizionale (e tradizionalista) e forse, in una certa misura, la proposizione di una nuova morale alternativa, di una morale superiore.

54 Ibid., pgg. 232-233

55 Ibid., pg.235 56 Ibid., pg.236

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Il corpo si riappropria di se stesso, amplificandosi e assimilando significati nuovi ed

inediti, diventando articolazione essenziale ed ineludibile di un mondo “altro”.

Lo stesso Di Leva accenna al carattere utopico dell‟arte di Barney ed a un possibile carattere organicistico, implicitamente anti-individualistico, quindi radicalmente alternativo alla società occidentale basata sullo sfruttamento e che ha elevato l‟ineguaglianza a sistema.

Nonostante anche Cronenberg sia un autore critico verso il sistema dominante non giunge però alle stesse conclusioni di Barney, non giunge quindi a delineare un mondo organicistico e compatto, ma come ho più volte ripetuto il regista canadese raffigura una realtà attraversata da pulsioni paurose e da un‟angoscia palpabile.

Entrambi escono dagli stilemi della modernità, proiettandosi in universi inediti e “ribelli” alle leggi e ai tabù delle società occidentali, nei due autori è presente secondo me un rifiuto del mondo e della modernità declinata in Barney in una spinta all‟indietro (carattere arcaico della sua creazione artistica, carattere onnipotente e demiurgico) ed in una spinta in avanti (creazione di mondo, raffigurazione di esseri ibridi), ed in Cronenberg in una esaltazione “sfacciata” della hybris (ricollegandosi in questo a tematiche archetipiche, pensiamo solo per un attimo alla tragedia greca) ed in una raffigurazione di una realtà “altra” innestata comunque sul tronco della quotidianità.

Massimiliano Di Leva scrive, ad esempio: “Barney spinge per la riorganizzazione dei codici della modernità, cercando di uscire dallo smarrimento degli ultimi decenni. Barney è il primo artista degli anni novanta ad aver assunto come positivo il principio distruttivo che ha guidato questa fin de siècle postmoderna, ed aver, allo stesso tempo, costruito la maggior parte della sua opera sulla ricerca di un modello visivo di riedificazione all‟interno dello stesso sistema-uomo. Il suo è un umanismo vecchio stile, in cui nulla viene delegato alla tecnologia. Il modello è completamente umano. La partita si gioca all‟interno del naturale e a partire da quanto di più umano l‟uomo abbia a sua disposizione per ri-conoscersi: il proprio corpo e i suoi meccanismi interni di funzionamento. Il modello di riferimento è l‟organismo. Egli vive l‟esistenza e le relazioni con l‟alterità tutta come quella di un nodo organico in relazione agli altri. Ogni giunzione sistemica serve all‟arricchimento, alla sussistenza e allo sviluppo di tutte le altre. Il frammento non è mai isolato nella propria sussistenza, ma continuamente connesso e riconnesso all‟infinità di frammenti che gli si spargono intorno” 57

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57 Ibid., pg.244

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Sicuramente sia in Barney che in Cronenberg è presente una ridefinizione radicale dell‟essere umano, ed in questo senso, proprio focalizzando la loro attenzione sull‟uomo, compiono automaticamente un atto estetico e creativo umanista.

Nei due autori è presente una grande attenzione all‟uomo ed alla sua identità suscettibile di cambiamenti e trasformazioni radicali.

Nel documento MATTHEW BARNEY E IL CINEMA (pagine 154-157)