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Carattere utopico di 2001 Odissea nello spazio

Nel documento MATTHEW BARNEY E IL CINEMA (pagine 106-110)

Non importa, in questo mio lavoro, sapere se davvero questo film del 1968 rappresenta davvero un caso a parte nel corpus filmografico kubrickiano.

Dei dieci minuti di effetti fotografici e di sperimentazione cromatica come anche dell‟ultima scena avrò modo di parlare più approfonditamente in seguito nel corso di questo capitolo.

Io ho cercato di evidenziare anche il carattere utopico, perché sessualmente e psichicamente liberatorio, dell‟arte e dell‟universo barneyano, carattere utopico che alcuni critici hanno ravvisato nell‟ultima scena di 2001 odissea nello spazio.

Michel Chiment ad esempio afferma che il film vuole essere: “una risposta utopica agli altri film, pur mantenendo stretti legami con essi e che la sua fattura è più poetica e analogica, in opposizione all‟ironia e all‟analisi che dominano di solito la creazione kubrickiana” 8

.

Io reputo plausibile l‟esistenza di un utopismo, magari inconsapevole, nelle opere dei due artisti.

Io nei capitoli precedenti ho anche accennato ad una caratteristica mitopoietica dell‟arte di Barney, il videoartista americano crea un mito, un epos, si auto-mitizza e si pone come demiurgo, come creatore magico onnipotente ed arcaico del proprio mondo e della propria arte, tentando anche di ripristinare la dimensione auratica andata persa (almeno a detta di Walter Benjamin) nell‟epoca della riproducibilità tecnica dell‟opera d‟arte (la nostra). Un rappresentazione del mito, in filigrana, può essere colta anche nel film di Kubrick, se è vero, come è vero, quello che afferma Ghezzi: “l‟avventura si rivela di colpo viaggio

7 Ibid., pgg.78-79

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mitico, confronto nella Caverna tra Ulisse e il Ciclope e Circe e i Lestrigoni, tra l‟eroe e il drago” 9

.

Sia Cremaster che 2001 Odissea nello spazio sono in un certo senso opere archetipiche, che riattingono ad archetipi narrativi, e ad una dimensione sacrale del fare artistico e creativo riproponendolo nella nostra epoca di riproducibilità tecnica dell‟opera d‟arte. Da questo punto di vista (archetipi narrativi, sensorialità audiovisuale, mitopoiesi) il film di Kubrick ed il ciclo di Barney rappresentano un sentire arcaico nella nostra epoca, si tratta di una sensibilità arcaica e primitiva inserita in una prassi artistica e creativa altamente tecnologica.

Quindi la scena del tunnel di sensazioni visivo-sonore rappresenta, secondo me, il

movimento dell’utopia, il passaggio da una realtà ad un‟altra (utopica e liberata).

Si tratta di una scena che parla di realtà e del suo superamento e che parla di cinema. “La fuga in avanti nel tunnel di sensazioni visivo-sonore è quindi insieme nuova esperienza e crisi totale delle precedenti esperienze della ragione. Si rivela infine solo un punto di passaggio, la sua novità si blocca per dar luogo all‟approdo nella celebre camera settecentescamente arredata” 10

.

Mentre Barney delinea un universo straniante e sessualmente liberato, dove governa il principio di piacere e non più il principio di realtà e dove la logica e la ragione discorsiva hanno poca importanza (ecco perché in Cremaster si parla poco, non è solo un atteggiamento artistico anti-narrativo in Barney) Kubrick sembra delineare una nuova realtà retta da una nuova ragione.

Non a caso la scena finale è ambientata in una stanza dall‟arredamento settecentesco (un nuovo illuminismo? un uomo nuovo che agisce secondo natura e ragione?).

Inoltre Kubrick sembra comunque preannunciare il film che avrebbe poi realizzato nel 1975 (Barry Lyndon).

Quindi Barney non solo incorpora alcune forme ed alcuni stilemi del cinema di Kubrick all‟interno del proprio discorso artistico ma più semplicemente presenta notevoli analogie tematiche con il cinema kubrickiano in particolare proprio con Shining e 2001 Odissea

nello spazio.

Barney ricerca una purezza e un‟astrazione in Cremaster, ricerca la pura dimensione audiovisuale, se così possiamo dire; Kubrick, come abbiamo già visto svolge un‟analoga operazione di ricerca in 2001 Odissea nello spazio.

9 Op.cit. Stanley Kubrick, pg.86 10 Ibid., pg. 89

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Lo studioso francese Michel Chion, nel suo saggio sul film, infatti afferma che 2001

Odissea nello spazio “riannoda anche i molteplici fili sottesi tra il grande cinema

spettacolare e le ricerche sul cinema puro” 11

.

Chion nella sua introduzione al suo libro scrive diverse cose molto interessanti, fra cui la seguente:

“per la scarsezza di dialoghi e per il modo in cui privilegia i mezzi propri del cinema- suono, luce, movimento, montaggio- 2001 Odissea nello spazio è anche il capostipite e il capolavoro di quella che può essere definita film experience in cui la proiezione del film è assimilata a un rituale. Attinge in tal senso sia alle ricerche sonore e ottiche dell‟ultimo periodo del cinema muto sia alla modernità degli anni ‟60 (Antonioni, Tati) da cui è nato. Incarna un sogno di cinema assoluto, che mira a un‟esperienza non verbale e universale, è uno dei film più personali e audaci del suo regista e allo stesso tempo un‟opera che ci parla

in una maniera straordinariamente forte della condizione umana nel cosmo” 12

.

Un rituale proprio come potrebbe essere considerata la visione di Cremaster, una forte dimensione audiovisuale che accomuna il film al ciclo barneyano; abbiamo inoltre il sogno kubrickiano di un cinema assoluto ed il sogno barneyano di un‟opera d‟arte totale, una istanza anti-narrativa ed un‟esperienza non verbale sia nel film di Kubrick che nel ciclo di Barney.

Lo stesso carattere lento, meditativo ed allusivo del film è caratteristica propria anche di

Cremaster: entrambe le opere si muovono in una dimensione spazio-temporale ed in una

realtà rarefatta ed ovattata.

Sia il film di Kubrick che il ciclo di Barney possono mettere alla prova la pazienza dello spettatore, forse volutamente, richiedendo un impegno sensoriale continuo.

Secondo me all‟epoca dell‟uscita del film si parlò a sproposito di cultura lisergica e psichedelica (riguardo alla scena del tunnel visivo-sonoro): 2001 odissea nello spazio è infatti un film titanico nella sua ricerca “lucida” e non drogata dell‟altrove.

Anche questo atteggiamento lo accomuna a Cremaster, vale a dire proprio il superamento del limite, la ricerca strenua e titanica, onnipotente, che pecca di hybris.

Ciò che fece sbagliare i critici nel 1968 fu proprio il volersi riferire per forza alla cultura psichedelica dell‟epoca, alla droga usata anche come via di sperimentazione artistica. Ed infatti “è perfettamente naturale e in sintonia con lo spirito dei tempi che il giornalista di Playboy chieda a Kubrick se ha mai preso l‟LSD (sostanza d‟origine chimica che si

11 M. Chion, Un’odissea del cinema. Il 2001 di Kubrick, Torino, Lindau, 2000, pg.7 12 Ibid.

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ritiene produca delle visioni). Il regista risponde che la droga non è fatta per l‟artista, perché crea uno stato di soddisfazione a priori, uccide lo spirito critico e fa sembrare tutto bello e interessante” 13

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Il film kubrickiano così come Cremaster sono opere autenticamente visionarie che non hanno bisogno di nessun ausilio esterno (mi riferisco alle droghe).

5. “Cremaster” e 2001 Odissea nello spazio come opere liturgiche

Michel Chion più avanti definisce il film come una liturgia di tempo suono e luce; in questo modo pone l‟opera all‟interno di una dimensione sacrale e cultuale, proprio come io ho cercato di dimostrare riguardo all‟opera di Barney leggendola anche alla luce di Totem e

tabù di Freud, al carattere magico ed onnipotente del fare artistico.

In Barney, come ho già accennato in apertura di questo capitolo giocano una funzione importante proprio la luce e il cromatismo bianco (Cremaster 1 e Cremaster 3) che ci riportano alla mente le immagini del film di Kubrick.

L‟aspetto liturgico di 2001 Odissea nello spazio bene si manifesta nella dimensione muta e non-narrativa che si fa rarefatta sfiorando così l‟astrazione.

Questo elemento vale anche per Barney: sia in Cremaster che nel film kubrickiano ci si muove infatti in una sorta di astrazione spazio-temporale, in una sorta di proiezione mentale.

Quindi cerchiamo di fare il punto della situazione.

Tenterò nella seconda parte di questo capitolo di parlare più nel dettaglio di Cremaster 1 e

Cremaster 3 (e più in generale dell‟intero ciclo) e di 2001 Odissea nello spazio.

Quindi prenderò di nuovo in considerazione il parallelismo che si fonda sul bianco nelle opere dei rispettivi artisti e dell‟intreccio concettuale e tematico fra l‟opera barneyana e l‟epilogo del film di Kubrick.

Cercherò anche di esaminare le opere succitate nei punti che mi sembrano salienti, per quanto è possibile, tentando di sviscerarne contenuti interessanti ai fini di questa mia ricerca.

La somiglianza fra Barney e il cinema di Kubrick è di ordine concettuale, oserei dire filosofico, ma anche di impostazione visiva.

13 Ibid., pg.14

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Può apparire poco scontata da certi punti di vista la somiglianza fra le poetiche dei due rispettivi artisti.

Il rapporto di Barney con il cinema di Kubrick è fatto anche di suggestioni, processi creativi magari inconsapevoli ma permanenti, di visioni suggerite.

Il film di Kubrick viene incorporato, assimilato, fagocitato nel flusso visivo barneyano e reso matericamente e scenograficamente visibile.

Nel documento MATTHEW BARNEY E IL CINEMA (pagine 106-110)