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Il carattere individuale, utilizzatore informato e “crowded art” nel design Spunt

2. IL DIRITTO D’AUTORE E IL PLAGIO MUSICALE: PROFILI PROCESSUAL

2.4. L’ascoltatore medio e gli altri “medi” della proprietà intellettuale

2.4.2. Il carattere individuale, utilizzatore informato e “crowded art” nel design Spunt

Oltre al requisito della novità un disegno o modello per ricevere tutela deve essere munito, secondo quanto previsto dall’art. 33 c. 1 c.p.i., non più di “speciale

ornamento” come in passato, ma di “carattere individuale” cioè della capacità di

offrire all’utilizzatore informato un’impressione generale differente rispetto a quella suscitata da qualsiasi altro disegno o modello divulgato anteriormente261.

L’introduzione di questo nuovo requisito è di particolare interesse in quanto ci permette in primo luogo di notare l’opzione espressa da parte del legislatore europeo di tutelare il disegno o modello prescindendo dal “merito estetico” dello stesso, ma soprattutto perché tale requisito viene ad essere definito grazie al riferimento ad un modello astratto di fruitore, l’utilizzatore informato, la cui individuazione sul piano teorico ha ricevuto, recentemente, particolare attenzione sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza. Partendo da quest’ultimo rilievo si deve notare come la giurisprudenza abbia ritenuto, fin dalle prime pronunce, che l’utilizzatore informato fosse figura sovrapponibile al c.d. “end

user” e che si ponesse in posizione intermedia tra consumatore medio e

professionista (designer o archittetto); si è voluto così porre l’accento

260

P. AUTERI, La futura disciplina europea del design fra tutela del diritto d'autore e

repressione della concorrenza sleale, in Contratto Impresa Europa, 1998, 2, 241. 261

Il requisito è stato introdotto con la novella del 2001 alla legge modelli allora in vigore con cui si dava attuazione alla Dir. 98/71/CE che si proponeva di eliminare le barriere poste all’accesso alla tutela determinate dalla previsione, da parte di alcune legislazioni nazionali, di valutazioni del “valore estetico” del disegno o modello.

sull’aggettivo “informato” valorizzandolo al punto da ritenere che pur non essendo un vero e proprio tecnico si deve assumere che questi conosca i disegni o modelli esistenti nel comparto di riferimento e disponga di un certo grado di conoscenze quanto agli elementi che questi disegni o modelli presentano normalmente dando prova “di un grado d'attenzione relativamente elevato quando li

utilizza”262. È evidente che definizioni di questo tipo mirino a marcare la

differenza tra consumatore medio263 e utilizzatore informato che “se da un lato è in

grado di notare anche piccole variazioni, proprio in quanto consumatore attento e preparato è capace di formarsi una impressione generale diversa solo in quanto il prodotto possieda una propria individualità, cioè una configurazione innovativa rispetto ad analoghi prodotti già presenti sul mercato”264; questa differenziazione tra utilizzatore informato e

consumatore normale produce riflessi anche sulla relazione esistente tra disegno o modello e segni distintivi. Premesso che la “capacità distintiva” dei marchi sarà valutata rispetto al parametro del consumatore-medio, mentre il “carattere individuale” sarà parametrato al discernimento dell’utilizzatore informato che è plausibilmente in grado di cogliere differenze (rispetto ai disegni o modelli precedenti) che il consumatore-medio non riuscirebbe a percepire è si possibile inferire che potranno ricevere la tutela del design anche forme che non avrebbero avuto la “capacità distintiva” sufficiente per essere tutelati come marchi. Ciò testimonia che l’adozione di un modello dotato di una maggiore expertise non comporti necessariamente un innalzamento della soglia dei requisiti di accesso alla tutela. In sintesi: più il modello è in grado di percepire differenze tra gli oggetti più il grado di differenziazione che ad essi sarà richiesto per accedere alla tutela potrà essere basso. Proprio questo tipo di considerazione, infatti, ha portato parte della dottrina a ritenere che tra “carattere individuale” del design e “capacità distintiva” dei marchi esista una divergenza esclusivamente quantitativa, nel senso che il primo richiederebbe un carattere di differenziazione rispetto al

262

Cfr. Trib. CE 22 giugno 2010, n. 153; 264

panorama pregresso inferiore rispetto alla seconda265. Anche parte della giurisprudenza, questa volta in punto di cumulo tra tutela dell’esclusiva e concorrenza sleale confusoria, si è pronunciata nel senso intravedere proprio nella “capacità distintiva” (della forma), “il punto di congiunzione a giustificazione del

cumulo di tutela reale e personale, quando ciò è essenziale all’effettività della protezione dei diritti di esclusiva in discussione” e questo anche perché le tutele in oggetto operano

sulla base di parametri differenti, essendo la concorrenza sleale accertabile rispetto al rischio di confusione del consumatore medio e non dell’utilizzatore informato266. Questo ragionamento serve, ai nostri fini, da un lato per valutare il

peso esercitato sui requisiti costitutivi dell’esclusiva da altri “modelli astratti di

fruitori” nell’ambito della proprietà industriale e dall’altro per comprendere

quanto la “capacità distintiva” ed il diritto alla “leale differenziazione dei propri prodotti” sul mercato si pongano sempre più quale elemento unificante in ambito di proprietà intellettuale.

Il c. 2 dell’art. 33 c.p.i. prevede che, nell’accertare il carattere individuale, si dovrà prendere in considerazione anche il “margine di libertà di cui l’autore ha beneficiato” nel comporre il proprio disegno o modello. L’inserimento di tale parametro di valutazione dovrebbe consentire al giudice di far riferimento, nel decidere se concedere o meno la tutela al disegno o modello, all’esistenza di un numero limitato di “modalità di realizzazione” di prodotti all’interno di una determinata categoria merceologica rispetto ad un determinato aspetto funzionale. Parte della dottrina ha ritenuto che l’inserimento di questo parametro possa far riferimento

265

M. BOGNI, sub. art. 33 c.p.i., in C. GALLI e A.M. GAMBINO, Codice commentato della

proprietà industriale e intellettuale, Utet, Torino, 2011, 1, 490. La rassegna fatta dall’autrice

la porta da un lato a rilevare come vi siano anche autori che riconoscono la piena coincidenza tra i due parametri senza che si possa individuare neanche una differenza di tipo quantitativo e si pone in posizione ad entrambi i punti di vista ritenendo che tra i due concetti vi sia una differenza qualitativo visto che “il carattere individuale è infatti una prerogativa della forma percepita in sé, e cioè come caratteristica obbiettiva del bene, mentre il carattere distintivo sussiste in tanto in quanto l’aspetto esteriore del prodotto venga percepito (anche) come altro da sé, e cioè appunto come marchio di forma, strumento di comunicazione di un messaggio attinente all’identità di marca” (spec. 491). 266

Così S. CIARDIELLO, Protezione del diritto di esclusiva, e concorrenza sleale per imitazione

alla c.d. teoria della “crowded art”267, secondo cui, al fine della concessione della tutela, sarà sufficiente un gradiente anche modico di differenziazione in quei settori merceologici che si possano considerare “affollati”. Una soluzione positiva di questo genere non può non richiamare alla mente il fenomeno della “standardizzazione” delle strutture compositive e della “uniformazione dei gusti” all’interno della musica leggera che si pone sotto un profilo dell’analisi di mercato come un settore effettivamente “affollato”. Non è difficile immaginare quali sarebbero gli effetti prodotti da una previsione simile a quella del “margine

di libertà dell’autore” anche in materia di diritto d’autore: saremmo davanti ad un

ulteriore allontanamento dalla ratio originale della tutela, mentre si accentuerebbe il rilievo dell’investimento pubblicitario e di risorse in quanto sarebbero ritenute meritevoli di tutela, nell’ambito della musica leggera, anche composizioni che presentino un grado “infimo” di originalità.

Questa breve panoramica dimostra che l’utilizzo giurisprudenziale e positivo di parametri di giudizio e valutazione incentrati sulla costruzione di “modelli astratti

di fruitori” sia comune a diversi istituti riconducibili alla proprietà intellettuale e

che sia, nella maggior parte dei casi, finalizzato ad ottenere un’estensione della tutela anche nei confronti di oggetti che non la meriterebbero se si facesse riferimento alla ratio originaria della tutela di riferimento. Si è inoltre sottolineato che, fino ad ora, il sistema ha consentito al giudice di poter rendere sentenza facendo riferimento anche alla propria sensibilità personale al fine di dirimere questioni che sarebbero, in realtà, campo privilegiato non solo per l’indagine statistica – la definizione del consumatore medio all’interno di un preciso target – ma anche dell’indagine cognitiva – la definizione di quali siano gli elementi dominanti di un marchio tali da imprimersi nella mente dei consumatori.

267

A favore di questa lettura fin da prima della riforma D. SARTI, La tutela estetica del

prodotto industriale, Giuffrè, Milano, 1990, 134 mentre perplessità sono sollevate da S.

SANDRI, L’utilizzatore informato nel design, in Il diritto industriale, 2006, 5, 413 il quale afferma che “il margine di libertà creativa nel design possa ridursi per effetto della funzionalità necessaria di alcune delle sue caratteristiche non dipende dalla presenza diffusa dei prodotti cui il design inerisce, ma se nella tipologia di quei prodotti la funzionalità della forma è molto diffusa” (spec. 415).

Ritornando all’oggetto principale di questo elaborato, sembra opportuno riconoscere, all’esito di questo breve excursus di carattere interdisciplinare, che i giudici si stiano sempre più spesso rifacendo a categorie e processi decisori propri della c.d. proprietà industriale; tuttavia, soprattutto rispetto all’utilizzo del parametro del consumatore medio, l’influenza potrebbe anche provenire dalla giurisprudenza nord americana che, come si avrà modo di approfondire nel seguente paragrafo, ha utilizzato nei giudizi di plagio musicale il c.d. “ordinary

observer test” che non si discosta molto da quello dell’ascoltatore medio, ma

necessita di essere contestualizzato all’interno di un iter processuale che è molto diverso, nella sua stratificazione interna, rispetto a quello posto in essere dai giudici nazionali.

2.5. L’accertamento del plagio musicale nella