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In questo paragrafo, ci si propone di presentare alcune delle caratteristiche dei repertori vocali di villaggio per come sono oggi ricordati dalla memoria degli anziani; il riferimento è dunque ai canti che saranno esaminati nel Capitolo III, anche se le osservazioni che seguono emergono dal complesso della documentazione da me realizzata nel Bunyoro e nel Tooro e, in parte, dalla comparazione con le registrazioni storiche. Pur non essendo il taglio di questo studio precipuamente analitico, sembra nondimeno opportuno presentare in questa sede alcuni dei tratti salienti dei repertori vocali, che saranno considerati nel prossimo capitolo con una prospettiva diretta soprattutto alla considerazione del contenuto verbale e del contesto esecutivo.

Nella musica nyoro e tooro la componente verbale è centrale sia nei repertori strumentali, i quali spesso hanno origine da testi cantati, sia, soprattutto, in quelli vocali. Tuttavia molte caratteristiche del parlato non vengono riprodotte nel canto.

L’importanza della parola nella musica africana è stata sottolineata soprattutto per ciò che concerne le culture musicali basate su lingue tonali365 e recenti studi hanno mostrato analiticamente la relazione tra una lingua tonale bantu e il canto.366 Tuttavia, a differenza della maggior parte delle lingue bantu, il runyoro-rutooro non è una lingua tonale, in cui l’altezza relativa utilizzata nella pronuncia delle sillabe contribuisce a differenziare i lemmi e quindi a definire il significato. Secondo vari autori, in passato il runyoro-rutooro era tonale, come gli altri idiomi dell’area, ma ha progressivamente perso questa caratteristica.367 Mancando gli elementi per ricostruire i toni originari della lingua (non esistono infatti studi dettagliati in proposito), non è possibile ipotizzare una relazione tra l’intonazione del parlato e le melodie dei canti.

Vi sono tuttavia altre caratteristiche della lingua, come la quantità vocalica, che sono determinanti nel definire il significato dei termini nyoro e tooro. Nel canto, tuttavia, la durata delle note sovente non rispecchia il rapporto tra sillabe lunghe e brevi: è infatti frequente che sillabe lunghe siano schiacciate in note brevi e che sillabe brevi si allarghino in note dalla più lunga durata. Secondo Peter Cooke, ciò è dovuto al fatto che le musiche nyoro e tooro sono generalmente basate su tempi binari che spesso non permettono di seguire le durate sillabiche del parlato: «… duple rhythms similar to those in Nilotic music are used to accompany songs and dances. As a result, syllables of two morae are frequently compressed, and conversely short syllables are lengthened to fit the underlying metrical framework of the music.»368 Invece, tra le popolazioni vicine dei Baganda e dei Basoga, la lunghezza vocalica è strettamente rispettata nella resa musicale, poiché i ritmi generalmente ternari permettono di realizzare una variegata alternanza di durate. La specificità dell’utilizzo di tempi binari tra

365 B

LACKING 1967; AGAWU 2003.

366 Ad esempio tra I vicini Bakonzo: si rinvia, a questo proposito, a C

RUPI 2010/2011.

367 R

UBONGOYA 1999, p. XVIII e KAJI 2009. In runyoro-rutooro non vi sono infatti termini che presentino la

medesima grafia, ma il cui significato si differenzi a seconda dell’intonazione della pronuncia.

368 C

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le popolazioni bantu dell’Uganda occidentale sembra quindi essere il risultato della penetrazione nilotica in questa zona diversi secoli or sono; ancora oggi la musica del Nord dell’Uganda, abitata da popolazioni nilotiche, è basata su tempi binari.369

Il runyoro-rutooro prevede vocali lunghe (formate da due morae)370 e vocali brevi (formate da una mora): la quantità vocalica è fondamentale per la corretta comprensione verbale poiché spesso essa determina differenze lessicali tra le parole. La posizione dell’accento tonico nel parlato non è legata alla lunghezza vocalica, esso può infatti corrispondere sia ad una sillaba lunga che ad una breve (cioè ad una sillaba che rispettivamente contenga una vocale lunga o una breve), poiché cade di norma sulla penultima sillaba. Negli esempi seguenti, le sillabe lunghe sono state sottolineate per differenziarle dalle brevi, in grassetto si indica invece l’accento tonico:

twara (a)maata gange (o)mukaikuru mpa (o)muuro

prendi latte mia anziana, vecchia dai fuoco Nella trascrizione seguente, si propone l’incipit di un canto kigano:

Figura 6. Trascrizione dei primi due versi del canto Twara matai gange, effettuata a partire dall’esecuzione di Korotirida Matama, effettuata a Muuro (Bunyoro settentrionale), il 29/06/2010. Il primo pentagramma riporta la linea del canto, quello sottostante il battito di mani [DVD, traccia n. 1].

Nel canto qui riportato, scelto perché particolarmente significativo per illustrare questo fenomeno, si può notare come la differenziazione tra sillabe lunghe e sillabe brevi spesso non si rispecchi nella durata delle note. La prosodia del parlato viene rispettata soltanto in due casi del frammento qui trascritto: nel secondo twara (lunga + breve), dove si ha una semiminima + croma, e nella parola mukaikuru (breve + lunga + breve + breve), intonata come croma + semiminima + croma + croma.

369

Ibidem. Il tempo ternario permette più facilmente l’adesione delle durate musicali alle lunghezze vocaliche anche in altre tradizioni musicali, ad esempio nella musica somala: a questo proposito si vedano gli studi di Giorgio Banti e Francesco Giannattasio (BANTI,GIANNATTASIO 1996; GIANNATTASIO 2002.

370 Le regole ortografiche qui adottate per la trascrizione del runyoro-rutooro (M

IIRIMA 2002) non sempre rendono evidenti le sillabe lunghe, poiché non prevedono in tali casi l’utilizzo generalizzato della doppia vocale. Tra le vocali lunghe vanno considerati anche i dittonghi, dati dalla vicinanza delle vocali i e u (che diventano così y e w) con un'altra vocale e i trittonghi, formati dal dittongo -yw- seguito da altre vocali. Anche la sillaba formata da consonante + vocale + n, come nel caso di gan- in gange, è lunga.

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Secondo Joseph H. Kwabena Nketia, nei tempi binari la distinzione tra sillabe lunghe e brevi nel canto non è rispettata come nei tempi ternari.371 Egli considera diverse trasformazioni della durata delle sillabe a fini di varietà ritmica in brani binari; tra queste possibili modificazioni si trova quella che prevede uno stesso valore di durata per sillabe lunghe e brevi, come avviene in alcune parole del canto qui considerato.372 L’utilizzo della stessa durata musicale per sillabe di lunghezza diversa si riscontra infatti in gange (lunga + breve) resa con semiminima + semiminima e in muuro (lunga + breve) cantata come semiminima + semiminima.

Secondo Oswald Ndoleriire, linguista della Makerere University, nei repertori vocali nyoro e tooro la comprensione verbale dei canti non è compromessa dalla mancata aderenza alle quantità vocaliche del parlato.373 Questo parere è stato confermato unanimemente dagli informatori sul campo, interrogati a proposito della diversità da me percepita tra le parole pronunciate e quelle cantate: il fenomeno non veniva percepito come anomalo e l’intelligibilità delle parole non appariva pregiudicata.

Nei canti nyoro e tooro lo stile è normalmente sillabico, tuttavia non è infrequente il caso di versi in cui la sovrabbondanza di sillabe produca uno ‘strizzamento’: le sillabe a fine verso o nei pressi di una cesura risultano talvolta quasi inudibili, similmente a quanto Blacking ha documentato per i canti Venda.374

Inoltre, rari sono i melismi nelle parole cantate, ma essi ricorrono su sillabe nonsense, su vocali, o ancora su suoni canticchiati a bocca chiusa, soprattutto nelle parti corali (Cfr.

Rwanzira, Cap. III). Lo stile melismatico è tipico dei repertori dei bahuma e testimoniato

soprattutto dalle registrazioni storiche, mentre oggi è meno utilizzato, come si vedrà oltre. Infine, lo stile strettamente sillabico è talvolta abbandonato sulle note lunghe nei canti a voce sola, dove può apparire un moto discendente sulla stessa sillaba (Cfr. Ke ke kamengo, Cap. III), o nelle parti solistiche di canti responsoriali, soprattutto a fine verso sulle note tenute, probabilmente per permettere al solista di ‘agganciare’ la nota d’attacco del coro (Cfr. Kyera maino, Cap. III).375

A partire dal complesso della documentazione da me raccolta, è possibile suddividere i repertori vocali nyoro e tooro in canti a voce sola e canti polivocali.

I repertori eseguiti a voce sola sono di numero inferiore rispetto a quelli polivocali e appartengono a specifici repertori tipicamente femminili: si tratta delle ninnenanne,376 dei 371 KWABENA NKETIA 1974, p. 183. 372 Ibidem. 373

Comunicazione personale di O. Ndoleriire, Makerere Universtity, Kampala, 16/09/2011. I termini e il canto qui analizzato sono stati oggetto di discussione con il Prof. Ndoleriire e da questo confronto ho tratto molti degli elementi di analisi qui presentati.

374 B

LACKING 1967, p. 156.

375 Piccoli melismi si ritrovano anche in canti piuttosto lenti che non sono presi in considerazione in questa

sede, come le ninnenanne.

376 Si è già avuta occasione di osservare, tuttavia, che non solo le donne ma che i ragazzini potevano intonare le

ninnenanne per calmare i bambini piccoli: ciò non toglie che questi specifici repertori non fossero eseguiti da uomini e quindi, per contrasto, sono caratterizzabili come femminili.

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canti per la macina del miglio e dei canti d’amore bikaso; queste ultime due tipologie verranno analizzate nel Capitolo III.

I canti polivocali, che rappresentano la maggioranza dei repertori nyoro e tooro, sono essenzialmente in forma responsoriale (call and response form) e comprendono repertori maschili, femminili e misti. La preminenza di questa struttura formale nel contesto africano è stata associata da Wachsmann e Cooke alla parallela importanza culturale del senso comunitario con il quale il singolo si deve costantemente rapportare.377 Accanto alla classica struttura (verso del solista + verso del coro), si affianca una forma responsoriale più complessa, che appare soltanto nei canti di tradizione huma, come vedremo oltre. I repertori basati sulla forma responsoriale semplice sono quelli di danza, i bigano e i canti presenti nei racconti, i canti maschili di lavoro, quelli che introducono le recitazioni eroiche ngabu e la maggior parte dei brani eseguiti nel corso delle cerimonie matrimoniali.

Nei repertori in forma responsoriale semplice, la parte corale, eseguita all’unisono, rimane sostanzialmente costante nel corso di tutto il canto e normalmente contiene una frase che esprime il tema o il sentimento che permea il canto e in base al quale il solista aggiunge nuove frasi.378 Per tale motivo, i canti in questa forma sono solitamente piuttosto uniformi dal punto di vista del contenuto verbale: il solista riveste un ruolo eminentemente additivo, ossia intona in modo estemporaneo nuovi versi che incrementano e espandono il nucleo tematico espresso dal coro. Tuttavia il suo ruolo di leader gli permette di spaziare l’invenzione verbale a partire da circostanze contingenti o fatti di cronaca, anche se alla base della sua improvvisazione verbale sono spesso rinvenibili proverbi e frasi fatte.379 Inoltre egli vivacizza l’andamento del brano grazie alla possibilità di enfatizzare il canto in modo drammatico attraverso l’utilizzo di pause e ripetizioni; nei canti che accompagnano la danza, il solista spesso grida per farsi sentire nell’agglomerato sonoro prodotto da tamburi e sonagli e incita danzatori e musicisti.380 La sua parte prevede infine una costante variazione ritmico- melodica. Si è visto che non essendo il runyoro-rutooro una lingua tonale, non si verifica un modellamento melodico dei versi cantati sulla base dei toni presenti nella lingua; tuttavia la variabile lunghezza delle frasi e la prerogativa improvvisativa del solista fanno sì che nella sua parte vi siano variazioni ritmico-melodiche. Come nota anche Cooke a proposito dei canti konzo,381 data la continua trasformazione dei versi solistici è impossibile identificare un verso di riferimento a partire dal quale si elaborino i successivi.

Nelle forme responsoriali, dunque, la performance è resa originale dall’invenzione estemporanea del solista e dall’incremento testuale, dalle variazioni melodiche e ritmiche (o percussive per i tamburi impiegati nella danza) e dall’interazione dei performer con il

377

WACHSMANN,COOKE 1980,p.148

378

Questa caratteristica, comune ai brani in forma responsoriale, è stata osservata anche nel vicino contesto konzo da Peter Cooke (COOKE,DORNBOOS 1982, p. 51).

379 Questo elemento è stato rilevato anche da Serena Facci nel contesto nande (F

ACCI 1996, p. 36) e da Vanna Crupi in quello konzo (CRUPI 2010/2011).

380 Ciò è comune nei canti per danza che prevedono l’utilizzo di percussioni e sonagli: anche Facci lo nota a

proposito della musica nande (FACCI 1996, p. 36)

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contesto esecutivo (che influenza durata, tematica, stile e tempo dell’esecuzione). Va tuttavia precisato che, nella documentazione da me realizzata, tra i canti che è possibile comparare in esecuzioni di diversi interpreti, buona parte presentano una veste verbale piuttosto stabile: in molti casi i primi versi solistici sono simili da versione a versione, mentre una certa variabilità si riscontra soprattutto nei versi conclusivi. Ciò è verosimilmente dovuto al fatto che questi repertori non sono solitamente più frequentati: se la pratica attiva comporta una continua manipolazione ed elaborazione dei canti, secondo processi tipici delle tradizioni orali, essi sono ora conservati soltanto nella memoria degli anziani.

I repertori tipici della cultura degli allevatori huma, come i nanga e bizina by’ente, presentano solitamente una forma responsoriale più complessa della semplice alternanza tra un verso solistico e un verso corale. Nel canto nanga Rwanzira (cfr. Capitolo III e altre versioni nell’Appendice I) e nel kizina ky’ente Bwasemera (riportato nell’Appendice I) la struttura verbale è infatti così articolata: s – c / S - C

ossia

Verso solistico breve – Coro breve / Verso solistico lungo – Coro lungo, dove i versi lunghi del solista e del coro completano i rispettivi versi brevi precedenti.

In strutture di questo tipo, se il coro rimane stabile durante tutto il brano come è usuale, la parte solistica varia, ma l’invenzione verbale procede lentamente poiché è necessaria la costante ripresa del verso breve precedente e il suo completamento. Inoltre, in alcuni casi, anche ogni verso breve del solista riprende la parte finale dell’ultimo verso (lungo) da lui intonato. Si riporta qui una parte del testo del canto Rwanzira, che presenta appunto quest’ultima struttura formale:

S- Obwire bwaira tugonye È troppo tardi, troviamo riparo

C- Mmm

S- Obwire bwaira tugonye, tugonye mwa Nyarurungi

È troppo tardi, troviamo riparo da Nyarurungi

C- Rwanzira mmm, rwanzira mmm

S- Tugonye mwa Nyarurungi Sistemiamoci da Nyarurungi

C- Mmm

S- Tugonye mwa Nyarurungi, bwire twesweke enyugunyu

Sistemiamoci da Nyarurungi, quando viene la notte ci copriamo coi fianchi

C- Rwanzira mmm, rwanzira mmm

Se assegniamo a, b, c, d alle singole sezioni dei versi solistici (una sezione per il verso breve e due sezioni per il verso lungo) e x e X rispettivamente al coro breve e al coro lungo, la struttura complessiva è così riassumibile:

a x ab X b x bc X c x cd X ecc.

A differenza dei canti responsoriali semplici, in un tale assetto che prevede la continua ripresa della chiusa del verso precedente, è chiaro che l’inventiva del solista è fortemente rallentata e condizionata nella costruzione di una progressione coerente. Va peraltro notato

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che i repertori huma, come appunto i nanga e bizina by’ente, presentano normalmente un tempo più lento dei canti responsoriali in forma semplice, tipici dei coltivatori iru.

In altri nanga che ho avuto modo di documentare sul campo, l’intervento corale (che presenta un’unica forma verbale, ma viene ripetuto due volte) si inserisce ogni due versi solistici, secondo lo schema:

S1, S2, C *2, S3, S4, C *2, ecc.

Tra le forme responsoriali complesse, va infine menzionata la particolare struttura di un

kizina ky’ente, Bituli bambi (Cfr. Capitolo III), che ho raramente ritrovato in altri canti. Questo

canto prevede un verso solistico e uno corale costanti che si alternano a coppie di un verso solistico e uno corale variabili sia a livello verbale che a livello musicale.

1) S- Bituli382 bambi Bituli, davvero

C- Ogu muhesi w’ebyoma Il fabbro dei metalli

S- Bituli bambi Bituli, davvero

C- Ogu muhesi w’ebyoma Il fabbro dei metalli

S- Obumba nintahya Quando vado a casa

C- Nteera enkomi irangira Schiocco forte la lingua 2) S- Sisisi383 bambi Sisisi, davvero

C- Ogu mwoki w’amakara Quello che fa il carbone

S- Sisisi bambi Sisisi, davvero

C- Ogu mwoki w’amakara Quello che fa il carbone

S- Obumba nintahya Quando vado a casa

C- Nteera enkomi irangira Schiocco forte la lingua

La forma complessiva risulta essere:

S-C, S-C, Sx-Cx; S’-C’, S’-C’, Sx-Cx; S’’-C’’, S’’-C’’, Sx-Cx; ecc.

Questa particolare forma sembra imparata con quella presentata precedentemente che prevedeva un intervento corale ogni due versi del solista; è possibile infatti che essa sia il risultato della suddivisione interna di ciascun verso tra solista e coro, a partire da una situazione iniziale nella quale i versi variabili erano del solista e quelli fissi del coro. Ad un orecchio occidentale, invece, una simile struttura pare richiamare una forma strofica, dove i versi solistici e corali stabili hanno la funzione di ritornello.

I testi di molti canti presentati in questo lavoro (Cfr. Capitoli III e IV e Appendice I) risultano a prima vista frammentari, disordinati o compositi: la mancanza di linearità nell’esposizione verbale sembra essere il risultato delle circostanze informali nelle quali tali brani si originarono e furono successivamente eseguiti.384 I brani composti nelle scuole, su

382 Nome di bovino.

383 Nome di bovino, lett. ‘nerissimo’.

384 Cooke rileva queste caratteristiche anche in molti canti konzo (C

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modello più o meno tradizionale, e i canti tradizionali oggi rieseguiti all’interno dei festival scolastici (Cfr. Capitolo VI: Ceeku ceeku), invece, presentano testi ordinati, consequenziali e internamente coerenti. I canti promossi nel contesto scolastico, infatti, servono soprattutto per trasmettere nozioni e conoscenze ai giovani, seguendo il metodo codificato e ordinato impostosi nel sistema scolastico e non la tipologia di apprendimento informale che era tipica del regime di oralità.

Non esistono studi approfonditi sul sistema scalare nyoro e tooro e un’indagine di questo tipo, oltre a scontrarsi con diverse difficoltà oggettive,385 non rientrerebbe negli obiettivi di questo lavoro; sembra tuttavia opportuno proporre alcune considerazioni di carattere generale che introducano la disamina dei canti affrontati nel prossimo capitolo.

Va innanzitutto rilevato che non esiste una documentazione sonora abbastanza datata da escludere un’influenza occidentale sulla musica locale e che permetta dunque di ricostruire con esattezza i sistemi scalari in uso nel Bunyoro e nel Tooro durante il periodo precoloniale. L’approssimazione dell’intonazione dei gradi della scala sull’impronta degli intervalli scalari occidentali (la seconda maggiore e la terza minore in primis) è infatti una tendenza messa in luce, già negli anni Sessanta, da diversi studiosi, come si vedrà nel Capitolo V.386 Si è già più volte ricordato che le prime registrazioni effettuate nel Bunyoro e nel Tooro, risalenti all’inizio degli anni Cinquanta, documentano in misura estremamente ridotta i repertori esclusivamente vocali; non è peraltro possibile stabilire se all’epoca l’intonazione nel canto avesse già iniziato un percorso di assimilazione verso il modello intervallare occidentale.

Il riferimento alla letteratura che si è occupata dei sistemi scalari utilizzati in aree culturali vicine a quelle qui trattate può fornire alcune coordinate generali e può suggerire considerazioni valide anche per il contesto nyoro e tooro. Joseph Kyagambiddwa, nel suo studio sulla musica ganda, definisce equipentatonico (nel quale l’ottava è suddivisa in cinque intervalli uguali) il sistema in uso in Buganda;387 mentre Klaus Wachsmann, a partire dallo studio dell’accordatura di alcuni strumenti ganda e soga, propone il concetto di pen-

equidistance, cioè di distanza approssimativamente equivalente tra i vari intervalli della scala

(pentatonica).388 L’indagine sulla percezione delle altezze e degli intervalli compiuta da Peter

385

Faccio riferimento al fatto che l’intonazione, nei repertori da me documentati, può essere sovente imprecisa, a causa di diversi fattori. I canti tradizionali non sono più normalmente eseguiti, ma soltanto ricordati dagli anziani, il che implica che la ormai scarsa dimestichezza sia con gli specifici brani sia con il canto in generale, soprattutto considerata l’età avanzata degli informatori. Questi elementi, insieme all’influenza della musica occidentale che può considerarsi variegata nei diversi interpreti, introducono numerose variabili di inderteminatezza in questo tipo di analisi.

386

Gerhard Kubik rileva una maggiore resistenza dei sistemi pentatonici, rispetto a quelli eptatonici, ad approssimarsi ai valori intervallari occidentali, tuttavia sottolinea che l’influenza della musica occidentale si è manifestata anche sui repertori pentatonici a partire dagli anni Sessanta e Settanta (KUBIK 1985).

387 K

YAGAMBIDDWA 1955.

388 W

ACHSMANN 1950 e1967.Similmente, Kwabena Nketia rileva che in generale nella musica africana i sistemi

equipentatonici sono basati non su altezze assolute, ma sulla sequenza di intervalli equivalenti (KWABENA NKETIA

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Cooke all’inizio degli anni Novanta in Buganda e in Busoga, mette in luce come sia tollerata ogni scala pentatonica che non contenga intervalli di molto inferiori al tono intero, nonostante la scala ideale sembrerebbe essere quella equipentatonica.389 Analogamente, Kwabena Nketia rileva nel contesto della musica africana una significativa tolleranza nella variazione di intonazione dei gradi della scala e osserva che spesso il sistema scalare individuato a partire dall’accordatura degli strumenti possa non trovare coincidenza nell’intonazione delle note nel canto. Nella sua analisi dei repertori vocali, risulta più rilevante la sequenza di intervalli, essendo questi il risultato di processi melodici piuttosto che del riferimento ad una scala paradigmatica.390

Similmente alle altre culture bantu dell’area (con l’eccezione dei Bakonzo), i sistemi scalari alla base dei repertori tradizionali nyoro e tooro studiati sono pentatonici anemitonici. I brani vocali tradizionali391 da me documentati con anziani sono infatti