A parte i repertori per danza, la musica nyoro e tooro di villaggio è soprattutto vocale: come si è detto, la diffusione della cetra, usata solo dalle donne bahuma, e dell’arpa, suonata da pochi uomini iru, è di fatto molto limitata, mentre le informazioni su un utilizzo del flauto, strumento utilizzato soltanto dagli uomini, sono estremamente discontinue. La scarsità di repertori strumentali è un elemento importante se si considera che la musica di villaggio delle popolazioni vicine, come i Baganda, i Bakonzo e i Basoga, contempla invece una più vasta varietà di repertori strumentali e vocal-strumentali. Da questo punto di vista, la situazione delle aree considerate si presenta più vicina a quella dello Nkore: secondo Paul van Thiel, i bahima utilizzavano un ristretto numero di strumenti musicali, infatti la musica strumentale era molto rara (con le importanti eccezioni della musica per cetra nanga e per flauto mubanda), mentre era più fiorente la musica vocale.329
L’interesse eminentemente organologico, diretto non soltanto allo studio degli strumenti ma anche ai loro specifici repertori, degli etnomusicologi attivi in Uganda ha sovente portato ad ignorare il vasto complesso di repertori vocali di questa zona, come più in generale nel resto dell’Uganda, quando tali canti non fossero accompagnati. L’attenzione per i canti nyoro e tooro è venuta principalmente da studiosi interessati alla componente testuale di tali repertori, studiosi di letteratura orale e antropologi. Di fatto manca un’analisi che tenga in considerazione il complesso della musica vocale nyoro e tooro, la suddivisione locale in repertori specifici, la loro diffusione geografica e storica e le loro caratteristiche strutturali: di questi contenuti tratterà il resto del capitolo.
In primo luogo è necessaria una precisazione di ordine storico, che verte su due livelli. Da un lato, vi è la stratificazione di stili diversi (assorbiti, trasformati, parzialmente abbandonati) nei repertori vocali nyoro e tooro, riconducibili a processi migratori avvenuti in epoca precoloniale. Dall’altro lato, la situazione che è possibile fotografare oggi è il frutto di più di un secolo di contatti con musiche altre, di un cinquantennio di insegnamento dei repertori tradizionali nelle scuole e del processo di professionalizzazione della musica tradizionale, che è attualmente eseguita di rado in modo spontaneo e non spettacolare.
Il termine generico utilizzato in runyoro-rutooro per ‘canto’ è kizina (pl. bizina).330 La stessa parola indica tuttavia anche i brani strumentali, come quelli delle trombe ngwara: normalmente infatti le melodie strumentali si rifanno a testi cantati, il cui l’incipit è solitamente impiegato per menzionare i paralleli brani strumentali.331 In questo senso, dunque, il campo semantico della parola si allarga per comprendere il significato di ‘pezzo strumentale’ e quindi la parola indica in generale un ‘brano musicale’.
329 V
AN THIEL 1966-67.
330 D
AVIS 1938, p. 31.
331 La centralità del canto (come parola cantata) anche nei repertori strumentali africani è sottolineata da
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Il verbo genericamente utilizzato per indicare il cantare è kuzina,332 termine impiegato anche in riferimento all’atto coreutico: il danzare è infatti identificato con la parola derivata da questo lemma, mazina. L’azione di suonare uno strumento è invece indicata con kuteera, che significa primariamente ‘battere, percuote’ in relazione ai tamburi, ma viene anche utilizzato per i cordofoni e gli aerofoni.333
In Tooro, vi è anche un altro verbo, kujenga,334 impiegato per designare il cantare: nell’utilizzo che ho riscontrato personalmente sul campo questo verbo è utilizzato soltanto in riferimento ai repertori maschili dei bahuma, in particolare per i canti del bestiame.335
Nell’odierno panorama musicale ugandese, i repertori tradizionali non sono più normalmente praticati in modo spontaneo, ma in circostanze esecutive connotate da un impianto spettacolare. In tali contesti, soprattutto a livello scolastico, i canti tradizionali vengono oggi comunemente etichettati come folksong, termine che indica in realtà delle sequenze di canti molti diversi tra loro, senza una distinzione tra repertori specifici, come si vedrà meglio nel Capitolo VI. Soltanto alcune particolari categorie, come ad esempio i canti per danza e canti nanga, vengono ancora comunemente identificati. Per questo motivo, la mia ricostruzione della concettualizzazione della musica vocale in repertori distinti si è avvalsa di informatori anziani e in particolare delle persone che, nonostante abbiano come tutti vissuto in contatto con musiche non locali, ho reputato non essere state influenzate dal modo di fare musica tradizionale oggi o che, pur conoscendo le performance contemporanee, fossero in grado di distinguere lucidamente le pratiche musicali del passato.336 Da quanto appreso da queste persone, la musica vocale nyoro e tooro presentava alcune classificazioni in repertori, mentre altre definizioni erano piuttosto fluide e infine taluni canti non rientravano in alcuna categoria concettualizzata localmente.337 Poiché la classificazione locale dei canti si presenta nel complesso non sistematica e con vari livelli di definizione interna, prediligo il termine meno prescrittivo di ‘repertorio’ in luogo di ‘genere’ per riferirmi a tali categorie, in questo modo evitando anche la confusione con ‘genere’ nel senso di gender.
Kwebena Nketia individua due modalità principali di raggruppamento in repertori della musica africana: da un lato, vi sono le musiche che non condividono caratteristiche formali, ma che sono accomunate dal contesto esecutivo; dall’altro lato, vi sono repertori che 332 DAVIS 1938, p. 187. 333 Ivi, p. 170. 334 Ivi, p. 54. 335
Secondo il dizionario di Davis, kujenga significa ‘cantare o danzare per le tribù delle colline’ (intransitivo) o il ‘cantare fatti eroici (del re) o per le vacche’ (transitivo). L’impiego da me riscontrato in Tooro si colloca quindi nella seconda accezione presentata da Davis. Si nota, di passaggio, che in tale senso kujenga ha un significato affine al verbo, in lingua runyankore, kwebuga.
336 Come si vedrà nella trattazione seguente, alcune di queste persone sono: Jane Sabiti, Jane Tibamanya,
Gerrison Kinyoro, Charles Rugaaju, Dorothy Kwaha.
337 Anche Aaron Mushengyezi, nella sua analisi dei canti infantili per il gioco tra i Baganda, riconosce simili
problematiche relative alla categorizzazione in generi vocali specifici: MUSHENGYEZI 2008, p. 236. Problematiche
simili sono state evidenziate anche per quanto concerne i repertori popolari italiani: a questo proposito, si rinvia a AGAMENNONE 1993.
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presentano tratti strutturali simili e che sono identificati a partire da alcuni elementi peculiari, come la denominazione degli esecutori, la funzione, la circostanza d’esecuzione, il principale strumento impiegato.338 Questi elementi si possono riscontrare anche nelle distinzioni interne che i Banyoro e i Batooro fanno (o meglio facevano) nell’ambito della propria musica tradizionale. A volte i repertori vocali sono individuati con termini specifici (ad esempio kiremberro per ninnananna) che ne identificano il contenuto e spesso lo stile caratteristico; in altri casi, invece, si utilizzano locuzioni (come kizina ky’… ossia ‘canto di/per…’) che possono identificare un repertorio connotato da una tematica centrale e da specifiche caratteristiche stilistiche, oppure semplicemente far riferimento agli esecutori, ai destinatari o al contesto esecutivo dei canti. Infine, alcuni canti possono appartenere a diversi repertori: solitamente ciò avviene per brani che, con un adattamento della velocità esecutiva, possono venir utilizzati anche per accompagnare la danza runyege.
Nella tabella riportata di seguito (Figura 4), ho cercato, riunendo i dati raccolti sul campo, di dar conto della classificazione nyoro e tooro dei repertori vocali; tuttavia è necessario considerare che non tutti i canti sono classificati (o classificabili) dai Banyoro e dai Batooro: in altre parole, non è possibile ascrivere tutti i canti conosciuti a una delle categorie sotto elencate.339 Ciò è verosimilmente dovuto al fatto che alcune tematiche non sono riconosciute come rilevanti al punto da denotare uno specifico repertorio; talune caratteristiche stilistiche sono peraltro trasversali a vari generi. Tuttavia la rilevanza tassonomica di un particolare repertorio non pare legata al suo grado di funzionalità, cioè all’utilità del canto rispetto ad un’attività, o alla sua connessione ad un contesto esecutivo specifico: i canti legati a certe attività lavorative comuni (come ad esempio i canti intonati mentre si macina il miglio) non sono infatti identificati in una classe specifica. Inoltre, alcuni elementi importanti nella cultura nyoro e tooro, come ad esempio le amicizie, pur essendo al centro di un certo numero di canti, non sono individuati come categoria specifica.
Se dalla ricerca sul campo non è stato possibile rinvenire parametri stabili alla base della classificazione locale della musica vocale, va tuttavia rilevato che tutti i canti associati alla cultura degli allevatori huma sono identificati con un termine specifico, che connota contenuto e forma di tali repertori: si tratta di nanga, ngabu, ngoma ny’abahuma e kijengo. La categorizzazione dei repertori iru è invece meno definita. La tabella seguente, organizzata secondo il grado di definizione terminologica presente nella terminologia locale, presenta soltanto le categorie di canti identificate da Banyoro e Batooro. L’analisi testuale e contenutistica sarà svolta nel Capitolo III e in quella sede mi riservo di analizzare anche canti, non concettualizzati in categorie locali, ma che sono rilevanti per le tematiche di genere (gender).
338 K
WABENA NKETIA 1974, pp. 24-26.
339 In casi simili, quando ho richiesto agli informatori quale tipo di canto avevano eseguito essi non dicevano
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DEFINIZIONE DEI REPERTORI VOCALI DIFFUSIONE
Bunyoro Tooro
Identificati da un nome specifico (con argomento affine e caratteristiche formali proprie)
Kiremberro/kizina ky’abaana ninnananna x x
Kigano canto legato ad un racconto ed eseguito nella stagione secca x x
Kikaso canto d’amore x x
Nanga canto di lode e d’amore (originariamente) per cetra nanga x
Ngabu canto e recitazione eroica x
Kijengo/kizina ky’ente canto delle vacche x
Ngoma ny’abahuma canto dei bahuma (usato per i matrimoni) x
Identificati da una locuzione (con caratteristiche formali specifiche)
Kizina ky’orunyege canto del runyege x x
Identificati da una locuzione (che indica l’argomento/contesto esecutivo)
Kizina ky’obuswezi/ky’okuswera canto di matrimonio x x
Identificati da una locuzione (che indica gli esecutori/destinatari)
Kizina ky’abahigi canto dei cacciatori X x
Kizina ky’abasohi canto dei pescatori X x
Kizina ky’abahezi canto dei fabbri X x
Figura 5. Tabella che illustra la nomenclatura dei canti (presentati alla forma singolare) in runyoro-rutooro e in italiano e loro diffusione geografica.
La maggior parte di queste categorie sono utilizzate sia in Tooro che in Bunyoro, ma in quest’ultima area è raro che si conoscano i repertori huma; inoltre alcuni specifici canti sono conosciuti in entrambe le zone.
La prima di queste categorie è quella delle ninnananne e dei canti utilizzati per calmare il bambino: in Tooro questi canti sono detti biremberro, in Bunyoro si preferisce il termine più generale di bizina by’abaana (‘canti per bambini’). Si tratta di canti monodici, eseguiti senza accompagnamento, piuttosto brevi, con una ritmica molto marcata e la frequente presenza di parole nonsense e di vocali cantate. Vengono generalmente intonati dalle madri, ma anche delle ragazzine e dai ragazzini che devono occuparsi dei fratelli minori. Solitamente chi canta fa dondolare il bimbo tra le braccia oppure batte col palmo della mano sulla sua schiena.
Vi è poi la vasta categoria dei canti bigano, diffusi sia in Bunyoro che in Tooro, alcuni dei quali si ritrovano in entrambe le aree. Sebbene il verbo da cui deriva la parola, kugana, significhi ‘cantare racconti’,340 la definizione più comune che viene data dei bigano è quella che si rifà al loro contesto di esecuzione: essi si cantano durante la stagione secca, in occasione del raccolto. Diversi informatori hanno sottolineato come i bigano si cantassero
340 D
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alla sera davanti al fuoco e soltanto nel periodo del raccolto o successivamente ad esso: non era permesso cantarli prima della messe, altrimenti questa sarebbe stata a rischio.341 Tale monito rispecchia la necessità, durante il periodo di coltivazione, di non attardarsi la sera e di andare a dormire presto per essere pronti al lavoro nei campi il giorno successivo e, parallelamente, la possibilità di dedicarsi ad attività di svago una volta terminato il raccolto, quando i ritmi agricoli sono rallentati. La circostanza esecutiva notturna e il divieto di esecuzione nel periodo di più intenso lavoro nei campi si rispecchia in una tipologia di canti del popolo Venda studiati da John Blacking:342 i canti ngano (sing. lungano), che non a caso presentano il medesimo radicale -gano dei nostri bigano, un radicale, del resto presente in diverse lingue bantu a indicare repertori cantati. I bigano prevedono una storia o un racconto che viene brevemente riferito nel canto, sono infatti dei canti-racconto, nonostante parte delle premesse narrative siano sottointese: anche nella connessione col racconto si riscontra una chiara affinità coi repertori ngano venda.343 La vicenda, spesso soltanto accennata nel canto, normalmente è nota agli informatori anziani, il che suggerisce che in passato tali repertori avessero dimensioni più estese (di cui oggi si ricordano soltanto stralci) o che rimandassero a vicende note. Oggi, invece, l’interpretazione che viene offerta è spesso impoverita e si rifà al significato testuale del canto che è tuttavia spesso insufficiente per comprenderne appieno il senso.344 Anche Blacking nota che il testo dei canti ngano è sovente oscuro, ma la loro struttura suggerisce che si tratti di storie cantate corrotte col passare del tempo.345 Non vi è omogeneità tematica degli argomenti trattati da questi canti, ma in generale ricorrono elementi magici (trasformazioni, potere incantatorio del canto, ecc.), zone stregate (colline, grotte, corsi d’acqua, ecc.) e l’intervento di animali mostruosi (enormi serpenti, leoni, ecc.). Inoltre, i bigano hanno talvolta un carattere educativo, i principali destinatari di questi canti erano infatti i bambini, che si univano coralmente all’adulto che iniziava il canto ed eseguiva la parte da solista (la forma dei bigano è solitamente il call and response).346 Spesso questi canti sono stati adattati ad essere cantati durante la danza runyege.
Nell’Africa orientale e sud-orientale, i racconti sono spesso indicati coi termini che presentano un radicale molto vicino a quello dei nostri bigano: si ritrovano infatti le denominazioni nthano, ndano o ngano, come rileva Gerhard Kubik, che fanno riferimento a
341
Int. a Jane Sabiti (Duhaga Rusembe, 01/08/2009) e a Jane Tibamanya (Masindi, 27/06/2010). Anche John Nyakatura sottolinea che le occasioni di intrattenimento in villaggio si concentravano nella stagione secca e del raccolto, quindi da dicembre a febbraio e da maggio a luglio (NYAKATURA 1970, p. 44).
342
BLACKING 1967.
343
In particolare, Blacking scrive che un lungano può essere una storia che include un canto; il canto stesso, nel quale il narratore svolge la parte solistica e gli ascoltatori quella corale; oppure può identificare canti con caratteristiche formali simili, ma non collegati ad un racconto. (BLACKING 1967, p. 24).
344 Un caso simile sarà presentato nel Capitolo V, in relazione ad un canto originariamente parte di un
ruganikyo.
345 Ivi.
346 Nel complesso dei canti infantili venda, tuttavia, Blacking non rinviene un chiaro intento educativo, a causa
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racconti che possono anche contenere canti.347 Tuttavia, nel contesto nyoro e tooro, si è detto che si tratta di canti-racconto, nei quali la parola recitata non trova spazio. Tra i Bakonzo, insediati nella zona presso la catena montuosa del Rwenzori, in area adiacente al Tooro, la categoria esyongano indica invece racconti contraddistinti dalla presenza di canti.348
I Banyoro e i Batooro tuttavia distinguono tra i canti bigano e i canti presenti nei
racconti. All’interno dei racconti tradizionali (nganikyo), infatti, si trovano spesso dei brevi
canti (i quali non hanno una definizione in lingua locale) che normalmente hanno un ruolo drammaturgico centrale nell’articolare lo svolgimento della vicenda; essi sono spesso ripetuti nel corso del racconto e possono essere intonati da diversi personaggi. I canti presenti nei racconti, infatti, sono modellati sulla forma dialogica, che sostituisce un dialogo diretto parlato, e si ripetono diverse volte nel corso della storia, con lievi adattamenti testuali, a seconda del variare dei personaggi coinvolti o degli elementi nominati. A differenza di questi canti, i bigano sono normalmente indipendenti dai racconti verbali e sussumono in sé un’intera vicenda, tratteggiata con ellissi o sottointesa per gli ascoltatori; sono inoltre piuttosto lunghi e di andamento più vivace rispetto ai canti dei racconti, che non vengono mai intonati durante la danza.
I canti bikaso sono canti d’amore e di lode dell’amato. Secondo un’informatrice,349 essi venivano cantati la sera dalle ragazze ai loro amanti o dalle mogli ai mariti. Sono canti spesso lunghi ed elaborati, che contengono numerose immagini poetiche; in diversi casi, i bikaso presentano affinità tematiche coi canti nanga. Da quanto è emerso sul campo, i bikaso non hanno caratteristiche formali uniformi e possono essere sia canti a solo o in forma antifonale.
Altro raggruppamento di canti presente sia in Bunyoro che in Tooro è quello dei canti
per la danza runyege. È questa una categoria piuttosto eterogenea in quanto riunisce
tematiche che vanno dall’evento di attualità al canto d’amore, dalla felicità per l’avere ospiti alla sottile ironia attorno ad un personaggio sgradito. Si è detto infatti che molti canti possono essere utilizzati per accompagnare la danza: normalmente è sufficiente accelerarne il tempo. Solitamente si scelgono soggetti gioiosi, ma sono frequenti anche canti che, attraverso la polemica o i sottintesi, provocano ilarità. Dunque, i canti per runyege sono accumunati dal fatto di essere eseguiti con la danza, cioè da caratteristiche formali, quali la forma antifonale e un tempo piuttosto veloce, ma sono del tutto eterogenei in quanto a temi trattati. Di questi canti si parlerà nello specifico nel Capitolo IV, dedicato appunto alla danza runyege.
Vi è poi la grande categoria dei canti di matrimonio (bizina by’obuswezi, più comunemente detti ‘canti per sposarsi’ cioè bizina by’okuswera) che racchiude canti che segnano i diversi passaggi rituali del matrimonio e che, com’è facilmente intuibile, si organizzano al loro interno tra i canti eseguiti dalla parte della sposa e quelli eseguiti dal
347 K
UBIK 1987.
348 C
RUPI 2010/2011.
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gruppo dello sposo. A parte la circostanza in cui vengono eseguiti, i canti di matrimonio non presentano né stile né argomento specifico in comune: questa è probabilmente la categoria di canti che presenta al proprio interno la più disparata varietà stilistica. Vi sono delle ‘sottocategorie’ dei repertori legati al matrimonio, che alludono direttamente a momenti specifici della lunga cerimonia di matrimonio; un esempio sono i canti per l’ijooje, cerimonia durante la quale la sposa doveva camminare per diverse volte sopra a dei fasci di papiro, prima di dire definitivamente addio alla propria famiglia. I repertori vocali legati al matrimonio sono centrali nel definire i ruoli che la sposa e lo sposo assumono nella nuova famiglia e, poiché questa cerimonia segna di fatto il passaggio all’età adulta, il contenuto di tali canti è sovente indicativo dello status di genere. Nel complesso, i canti eseguiti dai parenti della sposa hanno spesso un tono triste e lamentoso, poiché esprimono il dispiacere della famiglia nel veder partire la sposa. Dall’altro lato, una parte dei canti eseguiti dalla famiglia dello sposo, sono connotati dai sentimenti di gioia ed entusiasmo nell’accogliere la sposa e di solito sfociavano nella danza runyege per festeggiare l’evento. Vi è dunque una parziale sovrapposizione tra canti per runyege e una sezione specifica di canti per matrimonio. Alcuni canti di matrimonio saranno oggetto di analisi specifica nel Capitolo III.
Diffusi sia in Bunyoro che in Tooro erano infine i canti associati ad alcune attività che presentano un certo grado di professionalizzazione, cioè a mansioni comunemente non svolte da tutti gli uomini, sia per le condizioni ambientali che per le competenze specifiche richieste. I canti dei cacciatori (bahigi), dei pescatori (basohi) e dei fabbri (bahezi) sono accomunati dal fatto di essere relativi ad una professione specifica, ma all’interno di queste categorie vi possono essere canti per accompagnare lo svolgimento del lavoro (dunque fornire un supporto ritmico a delle azioni ripetitive e, con l’impegno nell’esecuzione vocale, alleviare la fatica del lavoro), canti per incoraggiare tale attività (comuni soprattutto per vincere la paura degli animali feroci durante la caccia oppure far fronte al timore di un naufragio), canti per propiziarsi gli spiriti che proteggono la foresta, il lago o la collina, dove si svolgono tali attività. La locuzione che definisce questo tipo di canti non è significativa di un’omogeneità formale, ma soltanto di un’affinità di contenuto verbale. Va peraltro notato che l’espressione bizina by’… rinvia sia all’idea di appartenenza (‘canti di…’) che a quella destinazione (‘canti per…’): in questo senso sembra di poter spiegare l’assimilazione in questa categoria di alcuni canti che forniscono un incoraggiamento a pescatori e a cacciatori e vengono intonati non da questi ma dalla comunità e, in particolar modo, dalle donne. Tuttavia, va sottolineato che canti di questo tipo sono stati da me documentati soltanto in