• Non ci sono risultati.

Parte I - La mediazione culturale nei musei archeologici su sito

1 I musei archeologici su sito: dalla definizione di valore

1.2 Il rapporto con la ricerca archeologica

1.2.2 Caratteristiche funzionali di un sito archeologico

La definizione di museo, promossa dall’International Council of Museums (Icom) e

13 Le esposizioni che si riferiscono a contesti archeologici di epoca preistorica o protostorica hanno maggiormente sviluppato criteri museologici che ponevano l’accento su dinamiche sociali, economiche e culturali all’interno delle comunità indagate. Un esempio di questo tipo di esposizione è la sezione di

“Protostoria dei Popoli Latini” del Museo Nazionale Romano (Bietti Sestieri, De Santis, 2000).

inserita nel suo statuto dal 2007, è ormai globalmente condivisa14. Più acceso e complesso è il dibattito scientifico volto a identificare le caratteristiche peculiari di un sito archeologico (Manacorda, 2007). In passato l’identificazione di un sito archeologico era determinata dalla presenze di strutture che emergevano dalla superficie del terreno.

Grazie all’influenza della New Archaeology, dagli anni ‘70 sono stati scelti criteri quantitativi di concentrazione di materiale antropico per circoscrivere lo spazio che delimita un sito (Terrenato, 2000b). Una proposta, che evidenzia la complessità riscontrata nell’elaborare una tale definizione, è avanzata da Daniele Manacorda:

“Il sito non costituisce dunque solo il luogo che conserva tracce di uno stanziamento umano più o meno duraturo […]; è piuttosto il luogo dove la qualità e la quantità delle tracce riscontrabili con i metodi analitici dell’archeologia possono essere messe in relazione con altre presenze che, nel loro insieme, contribuiscono a caratterizzare il territorio in cui si inseriscono e gli conferiscono una fisionomia storicamente significativa” (2007, pp. 36-37).

Questa definizione sottolinea il carattere universale della ricerca archeologica che, pur focalizzando la propria attenzione su una realtà spazialmente definita dai contorni fisici dello scavo, non può prescindere dai rapporti che il luogo e le popolazioni che lo hanno abitato, hanno stabilito con le differenti entità territoriali e culturali. Entità tutte universalmente legate tra loro, che la ricerca archeologica cerca di mettere in relazione le une con le altre, procedendo per astrazioni.

È lo stesso Manacorda che continua a chiedersi

“Fin dove dobbiamo gettare lo sguardo? […] Non appena alziamo lo sguardo, solo la linea dell’orizzonte pone i limiti a un paesaggio senza il quale il sito in cui stiamo operando non esisterebbe non avrebbe senso. […] La ricerca del contesto, come in un sistema di scatole cinesi, può rilevarsi infinita: è il senso storico che aiuta a determinare i contorni, riconoscendo il peso dei condizionamenti geografici e ambientali, dei confini politici, dei vincoli imposti della cultura materiale” (2007, pp.34-35).

Questa caratteristica così incisiva e globale della ricerca spinge ovviamente a orientare

14 “A museum is a non-profit, permanent institution in the service of society and its development, open to the public, which acquires, conserves, researches, communicates and exhibits the tangible and intangible heritage of humanity and its environment for the purposes of education, study and enjoyment”

(www.icom.org; ultimo accesso settembre 2015).

le scelte politiche e culturali di conservazione e tutela delle testimonianze archeologiche.

Non è un caso, quindi, che nella Carta di Losanna del 1990 promossa dall’International Council on Monuments and Sites (Icomos) si ricordi quanto il patrimonio archeologico rappresenti l’eredità del mondo intero e non quella di una singola nazione (Nucifora, 2008)15.

Queste questioni che pongono l’archeologo di fronte a scelte strategiche per pianificare il lavoro di ricerca sul campo, sono molto simili a quelle del museologo quando definisce le linee interpretative su cui si svilupperà la narrazione del museo. Il delicato rapporto tra realtà stratigrafica musealizzata, espressione materica dell’attività dell’uomo nel tempo in un determinato spazio circoscritto, e rete dei contesti che inseriscono il messaggio del museo all’interno della più ampia storia universale dell’uomo, è uno dei nodi comunicativi più comuni per i musei che nascono su siti archeologici.

La ricerca archeologica prevede una strategia di indagine fondamentalmente contestuale che raccoglie, interpreta e costruisce relazioni culturali, temporali e spaziali tra i ritrovamenti, mobili o immobili, considerati come documenti, più che come testimonianze, della presenza dell’uomo in un dato territorio (Carandini, 1981;

Manacorda, 2007). Lo scavo procede per distruzione nel riconoscimento delle tracce antropiche lasciate nel terreno e cerca di interpretare i contesti di ritrovamento al fine di comprenderne l’evoluzione storica. Il singolo frammento o la porzione di muro può recuperare il suo significato storico-culturale solamente grazie alla documentazione affidata agli archeologi che intrecciano i contesti in un’unica trama storica.

1.2.2.1 Il contesto, i contesti: dallo strato alla storia

Il concetto di “contesto” è largamente utilizzato nelle scienze umane in molteplici ambiti disciplinari e, allo stesso tempo, presenta un certo grado di indeterminatezza (Flon, 2012).

Questa sorta di ambiguità si registra anche nell’utilizzo del concetto di contesto

15 “The protection of the archaeological heritage should be considered as a moral obligation upon all human beings; it is also a collective public responsibility. This obligation must be acknowledged through relevant legislation and the provision of adequate funds for the supporting programmes necessary for effective heritage management. The archaeological heritage is common to all human society and it should therefore be the duty of every country to ensure that adequate funds are available for its protection”

Articolo 3 della Charter for the Protection and Management of the archaeological heritage promossa dall’Icomos (Carta di Losanna – 1990). (http://www.icomos.org/charters/arch_e.pdf, ultimo accesso settembre 2015).

nell’ambito della ricerca archeologica. L’idea di contesto archeologico nasce in contrapposizione alla pratica di estrarre oggetti dal sottosuolo per il commercio antiquario che considerava questi reperti solamente per il valore estetico o come tesori di un mondo passato16. La relazione spaziale che intercorreva tra i reperti e la loro disposizione nel sottosuolo è stata riportata all’idea di “contesto”, che aveva in sé l’accezione di un insieme, una pluralità di elementi accumunati da un criterio.

Oggigiorno la relazione tra reperti e luogo di ritrovamento è un concetto chiave nella pratica di indagine archeologica, che ha l’obiettivo di ricostruire la sequenze delle vicende antropiche in un determinato spazio (Harris, 1983). Questo stesso concetto assume accezioni diverse a seconda dell’importanza attribuita alla distribuzione dei vari strati che compongono un sito archeologico. Ad esempio, il ricorso al concetto di

“contesto” è maggiormente utilizzato nell’archeologia funeraria, dove è possibile ricollegare la deposizione del defunto a un unico atto antropico e la disposizione degli oggetti a corredo può assumere un significato rilevante, registrando l’ultima azione diretta dell’uomo del passato prima della chiusura della tomba17 (Bartoloni, 2003).

Nell’ambito dell’archeologia urbana e nell’analisi stratigrafica del terreno, il concetto di “contesto” è sostituito dal termine unità stratigrafica che è, al tempo stesso, unità materica riconoscibile nel terreno e unità di azione, astrazione interpretativa che riconosce nella stessa composizione materica la manifestazione dell’azione dell’uomo. Il termine contesto è dunque utilizzato in una fase interpretativa successiva, quando le azioni individuate sono combinate in insiemi di azioni, denominate anche attività (Carandini, 1981). Ed è proprio nell’individuazione di questo insieme di azioni, identificate nel concetto generico di “contesto” che si riconosce il passaggio fondamentale che trasforma l’evidenza archeologica in pagina di storia:

“Nel momento in cui si passa dal regno della sequenza stratigrafica delle unità di azione a quello della sequenza delle unità di attività, lo scavatore varca il limite che separa la materialità della documentazione dal racconto delle vicende umane. Le unità di attività non sono infatti più realtà stratigrafiche ma già grumi di problemi e quindi di narrazione: nuclei di esistenza tradotti in

16 Fiorelli durante gli scavi di Pompei si occuperà per la prima volta di osservare e registrare il luogo in cui i reperti antichi erano estratti dal sottosuolo. Si procedeva a indagare il sottosuolo non per pozzi e trincee ma sfogliando il terreno e distinguendo i vari strati dell’eruzione vulcanica e registrando la posizione di ogni reperto (Manacorda, 2007).

17 Per le deposizioni si utilizza il termine di “contesto chiuso” per indicare uno strato archeologico che non ha subito modificazione di origine antropica fino alla sua scoperta.

artefatti. Partiti dagli atomi della materia documentaria, già intravediamo una storia che prende forma. Nulla di più affascinante di questo processo di distillazione che traduce il disordine indefinibile dei mondi trascorsi in stati di cose organizzate e configurate. Qui è il potere resuscitativo dell’archeologo” (ivi, p. 138).

Questo processo di astrazione, che implica una dose di rischio interpretativo per non rimanere schiacciati dal dettaglio di sequenze di indizi, permette di partire dal riconoscimento di una oggettività documentata per unire successivamente i tasselli che via via compongono “la scatola cinese dei contesti” (Manacorda, 2007): così l’archeologo può procedere nell’individuazione di gruppi di attività che a loro volta potranno essere combinati per identificare avvenimenti o periodi18. Mentre all’unità stratigrafica è sufficiente riferirsi una cronologia relativa che definisce un “prima” e un

“dopo”, all’unità di attività, concepita come unità interpretativa base, sarà necessario attribuire una cronologia assoluta.

Nella citazione di Andrea Carandini possiamo cogliere un riferimento diretto all’articolazione di una narrazione di vicende umane che permette di ricollegare l’idea di

“contesto” al concetto di microstoria e all’utilizzo della ricostruzione di finzione nella comunicazione museale. La struttura del racconto di finzione permette di organizzare in modo coerente l’interpretazione del dato archeologico e offre al visitatore di vivere un’esperienza euristica nel ripercorrere lo stesso itinerario ricostruttivo intrapreso durante la fase di sintesi dei dati proveniente dall’attività di scavo (Flon, 2012).

Il reperto che proviene da un contesto archeologico investigato ha un indiscutibile vantaggio: offre la possibilità di ricostruire quella trama di relazioni che ha perduto nel momento della scoperta, ma che l’attento lavoro dell’archeologo è stato in grado di documentare e interpretare attraverso un’accurata indagine stratigrafica. A questo punto spetta all’allestimento museografico e ai processi di mediazione intrapresi dall’istituzione museale riallacciare quella rete di contesti e renderli comprensibili al pubblico.

La museologia contemporanea promuove il rispetto del principio di non dislocazione, secondo il quale i reperti musealizzati dovrebbero rimanere il più possibile all’interno del loro contesto d’origine per facilitare appunto la connessione comunicativa tra contesto e oggetto (Ruggieri Tricoli, 2004).

In un’ottica più ampia di contesto archeologico diffuso, i parchi archeologici nascono

18 “Mano a mano che si passa dai segmenti sequenziali di azioni alle attività, ai gruppi di attività e agli avvenimenti/periodi, si entra nel regno della trasformazione, del tempo assoluto, del quando” (ivi., p. 140).

proprio con questo obiettivo: preservare quanto più possibile la testimonianza antropica in un vasto territorio, evidenziando l’evoluzione del rapporto tra uomo e ambiene (Francovich, Zifferero, 1999; Guaitoli, 2008).

1.2.2.2 Sito musealizzato e paesaggio

Nella definizione di sito archeologico abbiamo evidenziato la difficoltà di delimitare lo spazio di indagine al luogo fisico in cui si svolge l’attività di scavo, considerando la complessità della rete dei contesti in cui si inserisce. Nella ricostruzione delle vicende delle comunità antiche, lo studio del paesaggio assume un ruolo fondamentale.

L’archeologia dei paesaggi nasce con lo scopo di ricostruire il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente, integrando le informazioni raccolte attraverso ricognizioni di ampio raggio con quelle derivanti dallo scavo intensivo dei siti archeologici (Cambi, Terrenato, 1994).

Nell’ultimo ventennio molti organismi internazionali che si occupano di patrimonio, tra i quali Icom, Icomos e Icrom, hanno lavorato per un superamento della distinzione tra varie tipologie di patrimonio per promuovere un’idea sistemica di protezione e valorizzazione (Sposito, 2007)19. In questa prospettiva i siti archeologici sono collegati al loro contesto paesaggistico che costituisce parte fondamentale del loro valore e della possibilità di una loro comprensione (Ruggieri Tricoli, 2004). Il valore del paesaggio non è strettamente legato alla presenza diffusa di edifici o manufatti archeologici, ma, come affermato dall’archeologia dei paesaggi, alla conoscenza del rapporto natura/cultura che ha riguardato le comunità antropiche, le cui tracce sono documentate nel sito valorizzato.

Spetta all’archeologo ampliare lo sguardo oltre i confini dei limiti di scavo per offrire una ricostruzione storica che includa questo rapporto fondamentale con l’ambiente.

Ancora più delicato è il ruolo del museo che deve superare le mura che lo delimitano per permettere al visitatore di sviluppare un’interpretazione di questa relazione, in funzione anche dei valori che la società contemporanea attribuisce ai luoghi in cui lo stesso museo viene a trovarsi. Il museo è chiamato a comunicare con il paesaggio esterno attraverso forme di mediazione culturale che consentano di immaginare

19 Soprattutto in ambiente anglosassone si preferisce adottare il termine heritage landascapes per sottolineare l’indeterminatezza degli elementi rappresentatati dal paesaggio a cui la società attribuisce diversi valori (Lumley, 1994). Questo approccio olistico considera il sito musealizzato semplicemente come un valore aggiunto e non come l’argomento centrale dell’attenzione delle politiche di conservazione del patrimonio.

“[…] lo spazio geografico come fu percepito da chi in altre epoche storiche ebbe a usarlo a partire da un punto naturale dei propri occhi , dal bordo di una spiaggia, da un’altura del paesaggio, dalla torre di un campanile, dalla tolda di una nave” (Manacorda, 2007, p. 35)

Le moderne teorie museologiche registrano uno spostamento di attenzione dagli oggetti all’ambiente nel quale gli stessi oggetti si sono formati (Ruggeri Tricoli, Sposito, 2007)20.

La stessa architettura del museo, costruita intorno al sito archeologico, può favorire questo genere di connessioni con l’ambiente circostante21. Il raggiungimento di questi obiettivi comunicativi potrebbe essere ostacolato qualora il sito musealizzato si trovasse in luoghi in cui la densità abitativa avesse compromesso la comprensione di un paesaggio circostante. Ma non sempre il paesaggio archeologico deve coincidere con un paesaggio culturale: “molto spesso anche certi contesti storici costruiti assumono il senso di una tale sedimentazione, da costituire ormai paesaggi del tutto organici al loro interno” (Sposito, 2007, p. 16)22.

1.3 Dal riconoscimento del valore scientifico alla valorizzazione