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Parte II - La metodologia e l’analisi dei dispositivi digitali nei musei

5 La sezione dedicata al Tempio di Giove Capitolino nei

5.3 Il percorso espositivo

Le sale del Palazzo dei Conservatori e l’esedra di Marco Aurelio sono spesso soggette a modifiche a causa della presenza di allestimenti di esposizioni temporanee che incidono profondamente sul progetto espositivo originale. Gli allestimenti dell’esposizione temporanea sono riconoscibili attraverso l’uso di un colore specifico che identifica il percorso tematico attraverso tutti i musei Capitolini. Molti oggetti e strumenti di mediazione dell’esposizione permanente possono essere riposizionati a seconda delle nuove esigenze espositive, influendo sul progetto comunicativo del museo. Rimane dunque difficile procedere a un’analisi dell’esposizione come è stata pensata all’origine

perché molti cambiamenti effettuati in occasione di quelle temporanee si sono trasformati in modifiche permanenti. Un valido supporto all’analisi è rappresentato dalla pubblicazione, realizzata a cura dei musei, sui contenuti dell’esposizione e dalla parziale visita virtuale che è possibile effettuare collegandosi al sito dei musei, nella quale sono utilizzate immagini dell’esposizione originale.

L’analisi del progetto espositivo seguirà le indicazioni avanzate da Davallon (2006) che propone di partire dalla costruzione di significato da parte del visitatore cercando di individuare il modo in cui la strategia comunicativa del museo può agevolare, suscitare e orientare la sua interpretazione.

L’esposizione si basa su un tipo di museologia mista in cui si privilegia la “trasmissione di conoscenza”. Gli oggetti esposti sono selezionati per rafforzare e materializzare il racconto che si sviluppa lungo l’esposizione. Allo stesso tempo alcuni elementi possono essere riferiti anche a una museologia incentrata sul coinvolgimento del visitatore, secondo la tipologia denominata da Davallon “del punto di vista”, il cui scopo è di rendere materiale e visibile il mondo costituito dall’organizzazione dei significati prodotti dal visitatore durante l’esperienza di visita (Davallon, 1999; Flon, 2012).

La sezione non rientra nel percorso obbligato dell’esposizione museale ma ne rappresenta una sua espansione. L’area è sicuramente condizionata dal grande spazio aperto dominato dai bronzi esposti nell’esedra e dall’imponente struttura in blocchi di cappellaccio del cosiddetto Muro Romano che fa da quinta scenografica alla grande sala espositiva (fig. 53). Tra i due si frappone il vuoto lasciato per la visione del lato orientale delle grandi fondazioni del tempio, riportate alla luce durante i recenti scavi. Le dimensioni dei blocchi e la corrispondenza dei materiali invitano il visitatore a effettuare una prima connessione tra i due muri. Purtroppo la diversa disposizione dei due elementi ostacola una sintesi che permetterebbe di identificarli come parte di un unico edificio: il Muro Romano è in alzato rispetto al piano pavimentale mentre le altre fondazioni scendono nel sottosuolo per circa otto metri. La luce naturale, che avvolge la grande esedra, illumina le fondazioni che le sono prossime facendone risaltare il bianco della pietra, ma lascia in ombra il grande Muro Romano che a sua volta ostacola l’illuminazione proveniente dalla grande vetrata che la separa dal giardino del palazzo Caffarelli. Dall’affaccio sulle grandi fondazioni, la larga rampa che collega l’esedra allo spazio espositivo invita a seguire, al suo termine, la direzione imposta dalla grande parete del Muro Romano che prosegue perpendicolarmente disegnando un percorso a

“L” (fig. 54). Alla fine della parete si apre sulla destra un nuovo corridoio perpendicolare in cui si evidenzia un cambiamento dell’esposizione caratterizzato, in questa parte, da grandi vetrine a parete. Una linea di luce artificiale dal basso sottolinea da una parte l’andamento dei muri antichi dall’altro mette in risalto la superficie della pietra e la regolarità dei blocchi. Il pavimento marmoreo levigato contrasta con la ruvidezza delle superfici dei muri antichi e, in alcuni tratti, con l’emergere di parti di fondazioni rasate a livello dell’attuale piano di calpestio. Nella parte finale dell’esposizione, dove termina il Muro Romano, una luce azzurra sottolinea una linea che demarca un cambiamento di colore della pavimentazione. Solamente dopo la lettura di un pannello testuale, purtroppo distante da questo luogo, è possibile riconoscere in questa linea illuminata sul pavimento la segnalazione dell’antica fronte del basamento del tempio (fig. 55).

I pilastri azzurri che sorreggono la nuova copertura diventano indicatori del discorso museale, riportando il titolo delle sotto-sezioni in cui l’esposizione è divisa. I colori prevalenti riprendono quelli generalmente utilizzati nel nuovo complesso espositivo composto dall’esedra e dalle gallerie degli Horti, che si posizionano ai suoi lati e che espongono le opere provenienti dagli scavi effettuati durante la creazione di Roma città capitale: il nero per le pareti di fondo che incorniciano le opere, i pannelli e le vetrine, il blu per i pilastri, l’arancione come sfondo per altri pannelli posizionati soprattutto nella seconda sezione dedicata alla storia del Colle Capitolino.

Il primo setto murario delle fondazioni in cappellaccio del tempio si presenta come un vuoto che interrompe la continuità spaziale della grande esedra a cui corrisponde un cambiamento nel discorso espositivo del museo. Il visitatore arriva all’esedra di Marco Aurelio attraversando le sale del palazzo cinquecentesco dei Conservatori, per lo più affrescate, in cui sono esposti prevalentemente statue o reperti provenienti da collezioni storiche. Al di là delle grandi fondazioni del tempio si percepisce un cambiamento sia nella tipologia delle collezioni sia nei parametri espositivi. Alle delicate superfici marmoree si sostituisce la ruvida pietra grezza squadrata delle fondazioni. Inoltre si intravedono strumenti di mediazione che manifestano un’impostazione più documentaria dell’esposizione: pannelli testuali accompagnati da riproduzioni grafiche e plastici ricostruttivi.

Il discorso espositivo dell’esedra rimane incentrato sulla valorizzazione degli aspetti storici della collezione museale, in quanto sono qui raggruppati i bronzi provenienti dalle celebri donazioni papali rinascimentali. Le statue bronzee sono dunque presentate

per il loro carattere documentario di società passate che le hanno realizzate e successivamente valorizzate, depositando su di esse valori sociali e culturali perduti.

Intorno a questo nucleo sono distribuite le gallerie degli Horti, che ripropongono la stessa organizzazione museologica proposta dall’archeologo Lanciani alla fine dell’800.

Sono così presentate statue marmoree provenienti dai quartieri indagati in occasione dei grandi lavori edilizi che approfondirono le zone periferiche del centro dove anticamente si distribuivano le grandi ville suburbane dell’antica città. L’organizzazione espositiva si basa sullo studio della topografia urbana, associando le sculture al luogo in cui sono state trovate e di conseguenza al nome dei proprietari della villa antica. In queste sale l’esposizione delle statue è preceduta da pannelli che presentano la ricostruzione grafica della topografia del luogo di ritrovamento in relazione alle parti conosciute della città antica. In alcuni casi si aggiungono descrizioni evinte dai diari di scavo, redatti alla fine dell’800. Queste sale hanno rappresentato, nella loro originaria progettazione del Lanciani, un primo tentativo di costruzione del discorso espositivo sulla base di dati archeologici che hanno una dimensione prevalentemente topografica. Esse fotografano la distribuzione di questi centri del collezionismo antico in un medesimo periodo senza approfondire la dimensione dell’evoluzione storica. Queste sale possono dunque essere considerate come una sorta di filtro tra una modalità espositiva basata prevalentemente sulla storia del gusto collezionistico e un’altra intenta a comunicare l’evoluzione storica dei contesti urbani sulla base di dati degli scavi stratigrafici. Pertanto nel percorso espositivo di questa parte dei musei è possibile riconoscere le tracce dell’evoluzione della ricerca archeologica in Italia: dall’interesse esclusivo per i reperti allo studio dell’organizzazione topografica della città fino ad arrivare all’attenzione verso la dimensione diacronica dello scavo stratigrafico (Barbanera, Terranato, 1998). È possibile inoltre riconoscere questi vari approcci verso il reperto archeologico nelle forme in cui si organizza la mediazione del discorso espositivo. Nelle sale del Palazzo dei Conservatori sono presenti strumenti di mediazione molto discreti, costituiti prevalentemente da elementi testuali che presentano la storia delle singole opere esposte. Nelle gallerie degli Horti si introduce la presentazione dei luoghi antichi in cui le opere erano conservate attraverso una pianta topografica storica accompagnata da spiegazioni testuali. Nell’ala museale oggetto d’analisi, sono previsti molteplici strumenti di mediazione che hanno lo scopo di sostenere la comunicazione del discorso espositivo, tra i quali elementi testuali, ricostruzioni grafiche e plastiche, allestimenti che riproducono contesi originali di

scoperta.